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Full text of "La Gerusalemme liberata, con commento di Severino Ferrari. Nuova ed. curata e riveduta da Pietro Papini, con le illus. di Bernardo Castello"

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University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/lagerusalemmelOOtass 


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GERUSALEMME  LL 
BER  ATA  DI  TORQUATO 

TASSO,  CON  COMMENTO  DI    SEVE^ 

RINO  FERRARI  *  nuova  edizione 

CURATA  E  RIVEDUTA  DA    PIETRO    PAPJNI    ^ 
CON   LE   ILLUSTRAZIONI   di    BERNARDO   CASTELLO. 

NUOVA    TIRATURA. 


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G.C.   SANSONI   -   EDITORE   -   FIRENZE 


PROPRIETÀ   LETTERARIA 


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49-1930.  —  Firenze,  Tip.  "  L'Arte  della  Stampa  ",  Sncc.  Landi,  Via  S.  Caterina,  14 


AVVERTENZA 
PER  LA  PRESENTE  EDIZIONE 


Nel  curare  questa    edizione,  oltre  aver  tolto  le  mende  " 
che  si  trovavano  nelle  stampe  precedenti,  ho  voluto  riscon- 
trare anche  il  testo  su  le  edizioni  fondamentali  del  Bonnà 
e  dell'  Osanna  e  su  quella   cosi  detta   critica   del  Solerti. 
Intanto  questo  riscontro  mi  ha  dato  la  persuasione  che  il 
lavoro  del  Solerti,  frutto  di  tanta  fatica,  è  deficiente  e  da 
rifare  con  maggior  diligenza.  Oltre  errori  materiali  assai 
gravi    nel    testo,  che  possono  indurre  nella  credenza   che 
siano  lezioni  diverse,  l'apparato  critico  è  manchevole  e  ine- 
satto. Ad  esempio,  vi  mancano  molte  varianti  delle  priii- 
cipali  fonti;   altre   sono  mal  citate;  cosi  che   lo   studioso 
finisce  col  perdere  ogni  fiducia  in  questo  lavoro;  e  ognuno 
sa  che,  in  tal  genere  di  studi,  la  fiducia  della  esattezza  e 
della  completezza  è  essenziale  e  indispensabile.  L'idea  prima 
quindi  di  riferirmi  senz'altro  al  Solerti,   tanto  più  che  il 
Solerti  medesimo  dichiara  di  muovere  dai  criteri  e  dalle 
fonti  dello  stesso  Ferrari,  dovette  da  me  esser   messa  da 
parte.  E,  volendo  correggere  le  mende  del  testo,  mi  fu  ne- 
cessario riprendere  in  esame  le  edizioni  del  Bonnà  e  del- 
l' Osanna,  pur  tenendo  presente  e  giovandomene    quando 
andava   sul   sicuro,   l'edizione   del  Solerti.  Io  ho  messo  a 
contributo  anche  la  3^  ediz.  del  Bonnà,  di  cui  l'editore  dice 
che  ha  avuto   nuova   revisione   e   correzione    dallo  stesso 
poeta.  E  poiché  questa  terza    si    accosta    più    spesso  alla 
prima  che  alla  seconda  delle  edizioni  già  fatte  dal  Bonnà, 


IV  AVVERTENZA  PER  LA  PRESENTE  EDIZIONE 

cosi  viene  in  certo  modo  a  dar  credito  e  a  confermare  le 
lezioni  della  prima,  alla  quale  per  ciò  mi  sono  tenuto  an- 
che più  strettamente,  allontanandomene  solo  quando  era 
evidente  l'errore  o  la  cattiva  lezione. 

Nel  commento  ho  fatto  molti  emendamenti,  sopra  tutto 
nelle  citazioni,  che  ho  riscontrato  accuratamente  una  per 
una:  di  nuovo  quasi  niente:  appena  una  diecina  di  ag- 
giunte, dove  le  ho  reputate  indispensabili. 

E  perché  il  lettore  possa  giudicare  le  poche  novità  del- 
l'opera mia,  ho  creduto  doveroso  distinguerle  con  un  aste- 
risco sia  per  il  testo  che  per  il  commento. 

In  sostanza  dunque  il  lavoro  del  Ferrari  è  rimasto 
quale  egli  lo  fece;  ed  era  giusto  che  fosse  cosi,  perché  la 
lunga  prova  sostenuta  con  tanto  buon  successo  nelle  nostre 
scuole  gli  dava  bene  il  diritto  di  presentarsi  a  nuovi  ci- 
menti con  rinnovata  giovinezza. 

A  rendere  più  elegante  e  più  gradevole  nella  Scuola 
il  presente  volume,  si  sono  riprodotte  le  illustrazioni  di 
Bernardo  Castelli  (Genova,  1590),  le  più  belle  che  abbia 
ispirato  il  poema  Tassesco. 

Modena,  20  agosto  1917. 

Pietro  Papini. 


PREFAZIONE 


In  clie  questa  ristampa  annotata  della  Gerusalemme  sia 
diversa  dalle  altre  impresse  fino  al  giorno  d'oggi,  esporrò 
qui  brevemente,  affinché  si  possa  avere  un'idea  delle  no- 
vità clie  vi  ho  introdotte  e  delle  fatiche  che  vi  ho  durate. 
Prima  di  tutto  ho  rinnovata  la  lezione.    Le    ristampe 
fatte  dopo  il  1584  seguirono,  qual  più  qual  meno    fedel- 
mente,   la    lezione    che    in    detto    anno  usci  pei  tipi  del- 
l'Osanna   in  Mantova;  e    ad  essa  ancor  più  da  vicino   si 
attennero    le    stampe    del   nostro  secolo,  giovandosi  della 
notizia  che  quella  fosse  uscita  per  le  cure  di  Scipione  Gon- 
zaga. Io  invece  ho  voluto  riprodurre   la    lezione  che  due 
volte,  con  qualche  varietà,    dette  in  Ferrara   nel    1581  ^  il 
Ferrarese    Febo  Bonnà    amico    del    poeta.  E  ciò  perché  i 
motivi  che  consigliarono  quella  dell'Osanna    come  la  mi- 
gliore, —  i  quali  furono  la  già  citata  autorità  del  Gonzaga, 
e  il  fatto  che  ivi  la  Gerusalemme  compariva  più  chiara  e 
piana  nello  stile  e  con  meno  stranezze  pur  nella  lingua,  — 
a  me  non  parevano  sufficienti.  Si  trattava  per  me  di  dare 
il  poema  nella  forma  che  meglio  rispondeva  agli  intendi- 
menti e  al  gusto  dell'autore,  non  come  meglio  a  noi  o  ad 
altri  pia,cesse;  e  l'autorità  del  Gonzaga  poi  mi  era  sospetta. 
Perché  se  egli  fu  certamente  quello  tra  i  correttori  che  più 
si  permetteva  di  rifare  o  di  accomodare  la  Gerusalemme, 
come  il  poeta  medesimo  ne  accerta  là  dove  riconosce  ohe 


VI  PREFAZIONE 


i  concieri  di  lui  erano  alle  volte  migliori  de'  suoi  ;  appar 
chiaro  che  quando  dove  porsi  a  procurarne  la  stampa,  egli 
fra  le  varianti  lezioni  —  ed  erano  molte  —  inclinasse  a 
scegliere  le  più  confacenti  al  suo  gusto  e,  nel  caso  che 
nessuna  gli  garbasse,  dovesse  farsi  poco  scrupolo  di  sur- 
rogare per  conto  suo. 

Tanto  per  altro  non  mi  sarebbe  parso  sufficiente  per 
abbandonare  la  vulgata,  se  altre  ragioni  non  si  fossero 
aggiunte.  Ma  chi  voglia  cercare  1'  epistolario  del  poeta 
vedrà  quanti  sieno  i  luoghi  nei  quali  il  Tasso  si  mostra 
premuroso  della  stampa  del  Bonnà,  laddove  dell'altra  non 
parla;  vedrà  come  il  Tasso  non  si  lagni  mai,  egli  si  facile 
a  lagnarsi,  della  scorrettezza  della  stessa  ;  si  bene  si  la- 
menti in  contrario,  perché  il  Bonnà  spenda  e  spanda  a 
Parigi,  dandosi  bello  e  buon  tempo  coi  danari  provenuti 
dalle  sue  fatiche.  E  chi  voglia  por  mente  che  alla  prima 
impressione  della  Conquistata  nel  1593  sovrintese  il  poeta 
ili  persona,  e  che  in  questa  fermò  definitivamente  la  le- 
zione; e,  paragonandone  i  luoghi  in  comune  colla  Liberata, 
vorrà  osservare  che  le  più  volte  la  Conquistata  legge  d'ac- 
cordo colle  stampe  che  della  Liberata  offri  il  Bonnà,  e  non 
con  la  stampa  dell'Osanna;  inferirà  meco,  spero,  che  senza 
dubbio  quelle  e  non  queste  riprodussero  il  poema  nella 
sua  forma  genuina  e  sull'autografo.  Che  certamente  il 
Bonnà  ebbe  l'autografo  davanti;  quello  stesso,  credo,  che 
si  trovava  presso  il  duca  Alfonso  IL  Ma  perché  poi  il 
Tasso  nell'Apologia,  uscita  nel  1585,  volle  affermare  che 
non  mai  alcuna  sua  opera  era  stata  messa  in  luce  colla 
sua  approvazione,  e  perché  egli  era  infaticabile  correttore 
de'  suoi  scritti,  e  perciò  la  lezione  non  può  stabilirsi  che 
in  modo  approssimativo;  io,  né  solo  a  sostegno  di  quanto 
son  venuto  esponendo  sulla  preferenza  che  si  deve  accor- 
dare alla  stampa  che  ho  seguita,  ma  ancora  perché  a  chi 
meglio  piaccia  la  vulgata  possa  come  riedificarla,  ho  posto 
nelle  note  le  varietà  della  Conquistata  secondo  la  stampa 
principe,  e  quelle  della  Liìjerata  come  si  leggono  nella  ci- 
tata stampa  dell'Osanna. 


PREFAZIONE  VII 


Il  commento.  Fra  i  commentatori,  a  datare  dai  con- 
temporanei del  poeta  fino  ad  oggi,  il  più  ampio,  il  più 
vario,  il  più  sicuro  rimane  indubbiamente  il  Guastavini. 
Se  non  che,  se  il  suo  commento  poteva  dirsi  quasi  senza 
lacune  o  difetti  pe'suoi  tempi,  oggi  non  potrebbe  ben  ri- 
spondere al  bisogno  di  chi  voglia  capire  pienamente  la 
Gerusalemme.  E  dal  lato  dei  riscontri  coi  poeti  latini  e 
greci,  altri  già  riempirono  in  tutto,  o  quasi,  le  mancanze 
di  lui,  e  adoperarono  più  minute  diligenze  nelle  citazioni  ; 
ma  per  quanto  concerne  le  interpretazioni  dei  passi  oscuri 
e  le  illustrazioni  di  lingua,  ben  poco  fu  aggiunto  ;  e  poco 
si  è  avvertito  di  nuovo  sullo  stile  dopo  le  osservazioni  del 
Galilei;  più  si  è  fatto,  perché  più  imperioso  si  faceva  sen- 
tire il  bisogno  a  mano  a  mano  che  ci  si  allontanava  dai 
tempi  del  poeta,  nel  cercare  la  verità  storica  dei  perso- 
nag2;i  e  dei  fatti,  e  nel  contrapporre  i  nomi  nuovi  geogra- 
fici agli  antichi.  Le  mie  premure  adunque  dovevano  essere 
rivolte  là  dove  maggiori  mi  apparivano  i  mancamenti. 

Non  facile  impresa  certo  dichiarare  sempre  in  modo 
netto  e  preciso  quel  tanto  (e  non  è  poco)  che  nel  poeta 
appare  intricato,  maldefinito.  oscuro. 

Impresa  non  facile  certo,  principalmente  perché  alla 
chiara  interpretazione  si  opponevano  le  difficoltà  della  lin- 
gua e  i  viluppi  dello  stile,  ove  maggiormente  il  Tasso  in- 
novò e  peccò.  Bisognava  rendersi  conto  della  lingua  di- 
stricandola dai  contorcimenti  stilistici,  per  alla  fìtie  rica- 
varne spesse  volte  un  concettino  arguto,  una  immaginetta 
lambiccata  !  Si  badi  bene  :  il  Tasso  facendo  suo  il  precetto 
greco,  che  poi  fu  si  caro  al  Seicento,  che  obbligo  e  fine 
della  poesia  fosse  la  meraviglia,  volle  ciò  inteso  non  solo 
per  la  parte  grande  della  invenzione  e  della  fantasia,  ma 
ancora  per  la  veste  esteriore. 

Ora  in  una  letteratura  che  annoverava  la  Commedia, 
il  Canzoniere,  il  Decamerone  e  il  Furioso,  e  i  nuovi  poemi 
cavallereschi  o  eroici,  originali  o  di  traduzione,  per  chi 
volesse  cantare  le  armi  e  gli  amori,  trovar  modo  di  mara- 
vigliare e  ferm£|,re  l'attenzioiie  di  tutti,  non  doveva  tornar 


Vin  PREFAZTONE 


facile.  Lo  forme  ©  i  modi  poetici  del  dire  erano  in  mas- 
sima parte  già  stati  trovati  e  a  perfezione  nel  Trecento. 
I  nuovi  atteggiamenti  che  si  potevano  introdurre  avevano 
già  trovato  posto  massime  nel  Furioso  :  e  quasi  il  tutto  era 
stato  poi  ripetuto  e  su  tutti  i  tuoni,  e  fino  alla  sazietà, 
lungo  il  bellissimo  ed  adorno  ma  poco  originale  Cinque- 
cento: e  l'abitudine  togliendo  a  mano  a  mano  la  novità 
alle  cose,  cbe  sino  allora  erano  apparse  originali,  aveva 
finito  col  togliere  pure  la  maraviglia. 

Il  Tasso  accettando  che  la  lingua  poetica  doveva  rica- 
varsi quasi  esclusivamente  dai  poeti,  si  era  aperta,  è  vero, 
una  strada  per  rinfrescare  quel  tanto  che  ora  rimaneva  di 
non  più  ripreso  degli  antichi  ;  ma  oltre  che  non  era  gran 
cosa,  questa  parte  era  per  l'appunto  —  e  ciò  a  lui  pareva 
un  bene  —  la  meno  popolare,  la  meno  spontanea,  e  quasi 
sempre  ìa  più  strana  :  e  se  co'  suoi  criteri  sulla  lingua  po- 
teva attingere  ancora  largamente  dal  latino,  si  correva  il 
rischio  di  cadere,  come  talvolta  cadde,  nel  pedantesco.  A 
voler  fare  un  poema  moderno,  —  dico  moderno,  perché 
il  soggetto  della  Gerusalemme,  benché  contasse  più  secoli, 
nelle  condizioni  politiche  e  religiose  di  quel  tempo,  ap- 
parve tale,  —  occorreva  di  più  l'uso  ricco  e  largo  della 
lingua  che  era  comune,  se  non  altro  alla  poesia.  Né  le  si 
poteva  "dar  novità  che  adoperandola  ne'  suoi  sensi  meno 
usitati  0  innestandole  nuovi  significati.  Egli  vi  si  provò; 
né  sempre  riusci  felicemente;  ancora  perché  non  sempre 
ebbe  facile  la  rima.  Cosi  volendo  rinnovare  oltre  alla  lin- 
gua gli  atteggiamenti  dello  stile,  e  far  parere  nuove  im- 
magini vecchie,  gli  fu  forza  togliere  dagli  antichi  e  dai 
moderni  tutte  le  arditezze,  e  le  licenze,  e  i  falsi  barocchi- 
smi talvolta,  e  analizzare,  ampliare,  disporre  diversamente 
quanto  altri  aveva  già  brevemente  e  puramente  delineato: 
poi,  più  che  usarne  ne  abusò. 

Ogni  pruno  diventò  siepe.  I  giuochi  di  parole,  gli  ar- 
diti traslati,  magari  le  parole  coniate  di  nuovo,  non  si  ri- 
scontrano negli  antichi?  le  allitterazioni  non  furono  pur 
r^are  a  Virgilio  e  a  Dante?  Mancano    i  concettini  arguti. 


PREFAZIONE  IX 


le  immagini  ricercate,  preziose,  talvolta  strampalate  nel 
Petrarca  e  nell'Ariosto?  Or  bene  il  Tasso  ne  fece  incetta, 
per  cosi  esprimermi  :  quindi,  come  ho  accennato,  sparse  a 
piene  mani  nella  sua  Gerusalemme  quanto  del  genere  si 
trovava  disseminato  con  parsimonia  in  più  opere  e  in  più 
poeti.  Debbo  ciò  non  di  meno  osservare  che  maggiormente 
esagerò  ed  abbondò  di  tali  rarità  in  quelle  parti  che  egli 
chiamò  oziose,  che  sono  per  avventura  le  più  liriche  :  come 
l'episodio  di  Olindo  e  Sofronia,  i  lamenti  di  Erminia,  di 
Tancredi,  di  Armida  allettatrice,  e  gli  amori  di  lei  con 
Einaldo  ecc.  ;  nelle  altre  parti  fu  più  parco  e  severo,  più 
casto,  vorrei  dire.  E  ciò  fece  a  bella  posta,  ragionandoci 
sopra,  e  sforzato  qui  più  che  altrove  dal  tempo.  E  si  ca- 
pisce: le  sue  teoriche  trovarono  maggiormente  di  che  eser- 
citarsi nella  poesia  amorosa,  perché  in  essa  i  tempi  suoi 
sentivano  maggiore  il  bisogno  di  novità,  ristucchi  delle 
imitazioni  petrarchesche.  Ridire  ciò  che  aveva  detto  il  Pe- 
trarca, e  nei  modi  con  che  egli  lo  aveva  detto,  ripeto  che 
non  doveva  più  far  colpo  su  nessuno.  Chiamare  calda  neve 
la  carne  era  cosa  stravecchia;  ma  si  poteva  ottener  l'inu- 
sitato distinguendo  destramente  e  contrapponendo  il  freddo 
e  il  caldo,  e  facendo  si  che  le  nevi  del  petto  creassero  il 
fuoco  dell'amore:  e  se  breve  per  picciolo  era  del  Petrarca, 
e  minuti  per  sottili  del  Cavalcanti,  si  poteva  mostrar  no- 
vità coll'usare  più  spesso  tali  parole,  o  collocando  l'una 
prossima  all'altra,  o  campandole  in  modo  appariscente.  E 
quante  diligenze  io  abbia  dovuto  usare  per  ricercare  gli 
esempi  e  le  origini  e  i  sensi  di  molte  locuzioni  preziose 
e  oscure,  vedrà  il  lettore. 

Altre  più  che  difficoltà  fatiche  materiali,  e  difficoltà 
vere  che  per  faticare  non  sempre  si  vincono,  mi  sorsero 
contro  nella  parte  storica  del  commento.  E  nascevano  dal 
fatto  che  io  mi  ero  proposto  di  avvertire:  -  1)  donde  il 
Tasso  avesse  derivato  la  parte  storica;  -  2)  se  egli  consa- 
pevole o  no,  si  era  allontanato  dalla  storia  creduta  vera 
al  suo  tempo  per  obbedire  alle  esigenze  della  poesia  e  del- 
l'indole  sua;  -  3)  se,  in    fine,    essendo    correttamente  va- 


PREFAZIONE 


race  secondo    gli    storici  d'allora,    rimaneva    pur    tale    ai 
giorni  nostri. 

Premesso  che  in  questa  parte  del  commento  più  che 
nelle  altre  rimane  ancora  molto  da  fare,  espongo  quanto 
ho  fatto.  Quelle  che  io  ho  chiamate  fatiche  materiali  con- 
sistevano le  più  nel  risolvere  il  primo  punto  sopra  indi- 
cato; cioè  nel  fermare  quanto  per  la  tessitura  e  per  le  in- 
venzioni parziali  del  poema  egli  avesse  attinto  dagli  sto- 
rici delle  crociate,  e  specialmente  da  G-aglielmo  Tirio,  prin- 
cipe di  quelli.  Il  Gruastavini  porgeva  in  questo  grande 
aiuto;-  sicché  mi  fu  facile  sotto  la  sua  guida  rintracciare 
le  cose  di  più  momento  e  porle  o  avvertirle  in  nota;  porle 
0  avvertirle,  a  seconda  che  il  Tasso  imitava  o  traduceva: 
traduceva,  s'intende,  come  sanno  e  voglion  tradurre  i  poeti, 
che  la  poesia  non  è  storia.  Dal  Tirio  adunque  principal- 
mente egli  derivò  quanto  di  storico  è  nella  Grerusalemme; 
ma  in  quali  limiti?  in  che  modo  o  con  quali  intendimenti? 
e  gli  fu  fedele? 
/'  Il  titolo  che  il  Tasso  impose  dopo  lungo  tergiversare 
al  poema  -  Gerusalemme  liberata  -  o  meglio  -  conquistata  - 
mostra  chiaro  che  egli  dagli  storici  volle  derivare  il  fatto, 
la  favola,  l'argomento  del  poema,  che  è  la  liberazione  della 
santa  città.  Perciò  quanto  di  più  prettamente  storico  si 
trova  nella  Gerusalemme,  è  ciò  che  soffre,  che  opera, 
che  compie  l'esercito  cristiano  preso  nel  suo  insieme,  come 
un  tutto,  come  uu  personaggio  solo.  Ma  per  quello  che  ri- 
guarda i  personaggi  singoli,  presi  ad  uno  ad  uno,  è  un 
caso  differente.  Perché  i  personaggi  della  poesia  se  storici, 
possono  storici  dirsi  o  in  quanto  compiono  quelle  date 
imprese  delle  quali  furono  realmente  detti  autori,  o  in 
quanto  corrispondono  per  le  loro  passioni,  pei  loro  difetti, 
pei  loro  pregi,  per  il  loro  carattere,  per  la  parte  psicolo- 
gica insomma,  come  oggi  si  direbbe,  al  modo  con  che  leg- 
gendo la  storia  noi  ce  li  figuriamo. 

Ma  quale  dei  personaggi  visti  dal  Tasso  nelle  regioni 
luminose  della  sua  fantasia  risponde  all'  idea  che  di  essi 
ci  siamo  formata  leggendo  i  cronisti?  Goffredo  si:  Goffredo 


PREFAZIONE  XI 


è  nella  Gerusalemme  dipinto  presso  a  poco  come  da  essi. 
Ma  il  Tasso,  io  penso,  giunse  a  darcelo  cosi  vero,  non 
tanto  perché  attingesse  o  si  inspirasse  alla  verità  storica; 
quanto  perché  lo  ideò  e  lo  volle  simile  al  tipo  classico 
d' Enea.  Ora  per  avventura  Goffredo  in  quella  parte  della 
sua  vita  che  spese  in  terra  santa  ove  mori  vincitore,  fu 
per  l'appunto  rappresentato  dai  cronisti  in  tutto  di  senti- 
menti e  di  virtù  simile  all'eroe  virgiliano  ;  e  cosi  accadde 
che  il  Tasso,  imitando  un  tipo  ideale,  si  trovasse  poi  pie- 
namente d'accordo  colla  realtà. 

Ma  Tancredi,  in  che,  di  grazia,  risponde  al  tipo  del- 
l'eroe di  cui  porta  il  nome,  e  di  cui  sono  pieni  i  racconti 
della  prima  crociata?  Cambiategli  nome,  ditelo  d'altra 
schiatta  che  normanno,  e,  tolti  pochi  accenni  ai  fatti  che 
in  effetto  operò,  voi  vi  accorgerete  che  è  personaggio  pu- 
ramente fittizio.  E  r  ideale  del  cavaliero  cristiano  come 
poteva  essere  vagheggiato  da  un  poeta  della  seconda  metà 
del  Cinquecento  ;  ma  dell'  uomo  del  Cinquecento  Tancredi 
ha  pure  in  sé  tutte  le  debolezze,  i  languori,  le  femmini- 
lità, che  ondeggiavano  nel  cuore  del  Tasso.  Non  mai  la 
storia  soffri  offesa  più  grande,  -  bella  offesa  del  rima- 
nente. Il  Tancredi  feroce,  pronto  alle  risse,  che  solamente 
è  là  dove  si  pugna  per  la  fede,  per  l'onore,  per  la  con- 
quista diciamo  pure,  resta  tuttavia  nel  poema  un  pio,  un 
indomito  e  fedele  guerriero,  ma  nell'animo  suo  l'amore  con- 
trappesa se  non  vince  gli  altri  sentimenti.  In  fondo  in 
fondo,  Armida  che  sembra  personaggio  di  pura  invenzione, 
in  quanto  è  donna  non  maga,  e  donna  saracina,  è  più  pos- 
sibilmente storica  di  Tancredi  ;  giacché  ha  per  fondamento 
l'asserzione  di  quanti  narrarono  che  le  donne  saracine  strin- 
sero nei  loro  vezzi  e  nelle  violenze  dei  loro  amori  i  cava- 
lieri cristiani,  si  che  li  distornarono  dalla  impresa. 

Venendo  da  ultimo  a  dire  del  modo  con  che  ho  anno- 
tato quei  luoghi  nei  quali  il  Tasso  è,  secondo  i  suoi  tempi, 
storicamente  verace,  perché  né  consapevolmente  né  incon- 
sapevolmente si  diparti  mai  da'  cronisti  che  gli  eran  guida, 
-  alludo  precipuamente  al  canto  xvii  ove  dietro  al  Pigna 


XII  PREFAZIONE 


Darrò  le  origini  e  le  glorie  degli  Estensi  ;  -  basti  avver- 
tire solamente  che  io  ho  indicati,  e,  abbisognando,  ripor- 
tati i  passi  che  ebbe  dinanzi  ;  ma  di  più,  quando  ho  po- 
tuto, ho  indicato  a  pie  di  pagina  se  le  cose  stiano  al  giorno 
d'oggi  come  le  disse  il  poeta,  o  altrimenti. 

Molto  intricata  davvero  oggi  pure,  in  tanto  lume  di 
critica,  la  verità  sulle  origini  e  sulle  imprese  dei  primi  si- 
gnori da  Este  ;  come  pure  non  sempre  riesce  facile  riscon- 
trare colle  moderne  le  notizie  della  geografìa  antica  quali 
furono  esposte  dal  Tasso.  Pure  ancora  queste  diligenze  (e 
avrei  desiderato  far  più)  gli  ho  voluto  usare.  Perché  queste 
e  ben  altre  migliori  fatiche  se  le  meritava  in  vero  il  poeta 
che  da  tre  secoli  è  il  più  popolare  d' Italia.  Settentrionale 
d'origine,  meridionale  di  nascita,  egli  rispecchiò  nella  sua 
poesia  i  difetti  e  i  pregi  affettivi  e  melodici  dei  due  po- 
poli. E  se  i  casi  di  Tancredi  e  del  Circasso  duellanti,  e  di 
Erminia  innamorata  e  di  Armida  vezzosa  e  astuta  maga 
e  donna  a  un  tempo,  risuonano  ancora  incantevoli  per  la 
laguna,  o  raccorciano  col  diletto  le  lunghe  veglie  invernali 
ai  carbonari  dell'Appennino  ;  porgono  non  minore  materia 
di  affetti  e  di  commozione  al  popolo  di  Palermo,  sia  che 
li  applauda  nei  piccoli  teatri  ove  non  entra  che  il  popolo, 
sia  che  gli  ammiri  quando  gli  passano  dinanzi  dipinti  sui 
carretti  che  numerosi  e  rumorosi  percorrono  le  lunghe  vie 
della  bella  città. 

Modena,  1890. 

S.  F. 


STAMPE  CITATE 


"  BoN.i  —  Gerusalemme  liberata,  in  Ferrara,  per  Vittorio  Baldini  1581. 
Sotto  la  dedicatoria  è  la  data  del  24  giugno;  curata  da  Febo  Bonnà  (in-4»). 

BoN.2  —  Ristampa  fatta  dal  medesimo  Bonnà,  in  Ferrara,  appresso  gli 
Heredi  di  Francesco  de'  Rossi:  usci  nello  stesso  anno  1581,  il  20  di  luglio, 

me  appare  dalla  dedicatoria  (in-4o). 

Os.  —  Questa  stampa  della  Liberata^  uscita  in  Mantova,  per  Francesco 
Osanna,  1584  (in-4«>),  sì  vuole  curata  da  Scipione  Gonzaga. 

CoNQ.  —  Gerusalemme  Conquistata.  In  Roma,  1593  (in-4°). 


BoN.3  —  Ristampa  fatta  dallo  stesso  Bonnà  in  Ferrara,  appresso  Ca- 
gnacini  e  fratelli,  1585. 

Solerti,  Gerusalemme  liberata^  Firenze,  1895. 


ABBREVIATURE 


DELLE  OPERE  CITATE  IN  QUESTO  COMMENTO 


Beni.  —  Comparazione  di  T.  T.  con  Omero  e 
Virgilio^  insieme  con  la  difesa  dell'Ariosto, 
paragonato  ad  Omero,  di  Paolo  Beni.  In  Pa- 
dova, per  Battista  Martini,  1612. 

BiragO.  —  Dichiarazioni  et  avvertimenti  poetici, 
istorici,  politici,  cavallereschi  e  morali  del 
signor  Francesco  Birago  nella  Gerusalemme 
Conquistata  del  signor  T.  T.  In  Milano.  Ap- 
presso Benedetto  Somasco,  m.d.c.xvi. 
arbone.  —  La  Gerusalemme  liber.  per  cura  di 
Domenico  Carbone.  Nona  edizione  stereotipa. 
Firenze,  Barbèra,   1888. 

Camerini.  —  La  Gerusalemme  liber.  per  cura  di 
Eugenio  Camerini.  Milano, 

Casini.  —  Manuale  di  letteratura  italiana  ad  uso 
delle  scuole.  Voi,  I.  Firenze,  Sansoni,  1886. 

Ferrari  e  Straccali.  —  Questa  edizione  delle 
Stanze  scelte  della  Gerusalemme  Liberata.  Bo- 
logna, Zanichelli,  1896,  non  si  cita  nelle  note  ; 
ma  qui  le  ho  voluto  dar  posto  per  ricordare 
la  parte  che  vi  ebbe  l'amico  mio  Alfredo 
Straccali. 

Galilei.  —  Considerazioni  al  Tasso,  Cito  la  più 
recente  ristampa,  negli  :  Scritti  di  critica 
letteraria,  raccolti  ed  annotati  per  uso  delle 
scuole  da  Enrico  Mestica.  Torino,  Loescher, 


GnsstaTlnl.  —  Discorsi  ed  annotationi  di  Giulio 
Guastavini.  Pavia,  1595. 

Gentile  (Gentili).  —  Annotationi  di  Scipio  Gen- 
tili.  Leida,  1586. 

Gugl.  Tir.  —  Guglielmo  Tirio.  Historia  belli 
sacri  verissima.  Si  sono  avute  sott'occhio  la 
stampa  di  Basilea  1564,  e  l'altra  uscita  nella 
stessa  città,  1559. 

Mella.  —  La  Gerusalemme  Liber.  illustrata  dal 
•prof.  G.  Arborio  Mella.  Edizione  quarta,  To- 
rino, Marietti,  1879. 

Mazz.  e  Pad.  —  Annotazioni  di  G.  Mazzatinti  e 
G.  Padovan  alle  Stanze  scelte  della  Gerusa- 
lemme Liberata,  ad  uso  delle  scuole.  Torino, 
Loescher,   (885. 

Novara.  —  Novara  Andrea.  La  Gerusalemme  li- 
berata annotata  per  uso  delle  scuole  (i  primi 
4  canti).  Torino,  Fenocchio,  1885. 

Scartazzinl.  —  La  Gerusalemme  liber.  per  cura  di 
G.  Scarlazzini.  Seconda  ediz.  Leipzig,  1882. 

Tasso.  —  La  Lettere,  il  Giudizio  sovra  la  sua 
Gerusalemme  da  lui  medesimo  ri/ormata,  VA- 
pologia  del  poema,  i  Discorsi  sul  poema  eroi- 
co, si  citano  secondo  le  ristampe  curate  dal 
Guasti,  pei  tipi  del  Lemonnier,  Firenze  (Le 
Lettere  tra  il  1852  e  il  55;  le  altre  opere  mi- 
nori, col  titolo  di  Prose   diverse,  nel  1875). 


CANTO    I 


Pfotasi  del  poema  -^ 
Narrazione  -^  Dio  ri- 
mira r  esercito  cristiano 
in  Tortosa  e  manda  Ga- 
briele a  Goffredo  ^  Con- 
gresso dei  principi  -jAr  Ar- 
ringa di  Pietro  Eremita 
i»^  Goffredo  eletto  capo 
dell'impresa  ^  Rassegna 
del  campo  cristiano  -^ 
Ambasciatori  spediti  a 
Costantinopoli  a  solleci- 
tare i  soccorsi  dell'im- 
peratore e  la  venuta  del 
principe  de'  Dani  ^  Uè- 
sercito  muove  verso  Ge- 
rusalemme -jAf  La  flotta 
if  Aladino  :  suoi  pre- 
parativi e  sue  insidie  -jàr 


La  Oerusalenirtie  pensata  in  Padova  nel 
1562,  cominciata  nel '63  a  Bologna,  nel '66 
(cfr.  Epistolario  :  Leti.  6)  era  già  condotta 
al  sesto  canto.  Terminata  nei  primi  del '75, 
fu  dal  T.  mandata  a  Roma  a  Scipione  Gon- 
zaga perché  la  rivedesse.  Il  Gonzaga  prese 
a  compagni  nella  revisione  Pier  Angelio, 
detto  il  Barga  dal  nome  della  sua  patria; 
Flaminio  de  Nobili,  lucchese;  fcsilvio  Auto- 
niano.poi  cardinale;  e  ^^perone  Speroni:  nei 
primi  del '76  la  revisione  fu  finita,  e  il  T. 
pensava  alla  stampa;  ma  poi  non  vide  la 
luce  integralmente  che  nell"81  (nel '79  era 
uscito  il  solo  e.  tv;  e  nelP'SO  erano  stati  im- 
pressi solamente  canti  xiv  fra  i  primi  xvi, 
con  molte  lacune  e  strapazzi).  Da  prima  vo- 
leva intitolarla  Gottifredo,  e  sotto  il  nome 
di  Goffredo,  titolo  che  a  molti  letterati  al- 
lora meglio  piacque,  comparve  in  parecchie 
stampe;  ma  poi  tini  col  chiamarla  Gieru- 
saletnme  Conquistata,  come  si  può  vedere 
nella  Lett.  216;  l'aggiunto  Liberata  non  lo 


soddisfece  giammai  {Le.tt.  220).  Tuttavia  il 
nome  di  Liberata  rimase  alla  prima  forma 
del  poema  che  dette  la  gloria  al  Tasso;  e 
quello  di  Conquistata  al  rifacimento  che  fu 
compiuto  e  stampato  nel  1593. 

Il  soggetto  del  poema,  al  dire  del  Tasso 
medesimo  {Giudizio  sopra  la  Gerusalemme 
Rirormata),  è  V  espugnazione  di  Gerusa- 
lemme. Fu  simile  ad  Omero  in  ciò,  che  non 
trattò  tutta  la  guerra,  ma  una  parte  sol- 
tanto; ed  in  questo  dissimile,  che  quegli 
non  cantò  la  caduta  di  Troia,  mentre  il  No- 
stro elesse  l'espugnazione  di  Gerusalemme 
«  per  soggetto  del  òtto  poema  e  della  sua 
azione,  e  accampò,  per  cosi  dire,  in  questa 
fatica  tutte  le  forze  del  suo  ingegno  e  del- 
l'artificio ».  Quindi  la  Gerusalemme  ha  ri- 
gorosa unità  di  favola,  la  quale,  secondo 
le  idee  del  T.,  non  é  rotta  dalle  molte  azioni 
e  dalle  molte  persone,  che  anzi  le  contiene; 
e  non  è  determinata  dall'unità  del  luogo  e 
del  tempo,  ma  dipende  dall'unità  della  for* 


1  —  Tasso,  (Jerusaleviìne  liberata. 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Canto  Tarme  pietose  e '1  Capitano 
Che'l  gran  sepolcro  liberò  di  Cristo: 


ma  e  del  fiue  [Cfr.  ancora  :  Lelt.  25,  32,  38, 
39,  60,  75,  82];  ed  ha  ancora  unità  d'agente 
perché  «i  molti  cavalieri  sono  considerati 
nel  poema  come  membra  d'un  corpo,  del 
quale  è  capo  GofiFredo,  Rinaldo  destra  » 
[Leu.  25]. 

1.  Proposizione.  Il  T.  era  in  dubbio  (Lett. 
49)  se  fosse  meglio  modificare  i  primi  4  versi 
cosi:  «L'armi  pietose  e  i  cavalieri  i' canto, 
Che  de  la  croce  si  segnar  di  Cristo;  Quau- 
t'operar  sotto  Goffredo  e  quanto  Seco  sof- 
frir nel  glorioso  acquisto  ».  —  1,  Canto  ecc. 
Virgilio,  Aen.,  i  5:  «  Arma  virumque  ca- 
no ...,».  —  pietose  :  devote,  religiose.  Ricorda 
in  Virgilio  il  «  plus  Aeneas  »,  e  il  «  parce 
pias  scelerare  manus  ».  —  Capitano  :  Gof- 
fredo di  Bouillon,  duca  della  Bassa  Lorena. 
Nacque  circa  il  1058  a  Baysj-,  o  Bezy,  vil- 
laggio del  Brabante  Vallone,  da  Eustachio 
conte  di  Boulogne  e  da  Ida  figliuola  di  Gof- 
fredo il  Barbuto.  Nel  lo76  si  vide  togliere 
la  bassa  Lorena  da  Arrigo  IV;  poi  Alberto 
conte  di  Namur  minacciò  di  torgli  ancora 
il  ducato  di  Buglioue.  Contro  costui  prima 
difese  la  città  costringendolo  a  levar  l'as- 
sedio, poi  lo  abbatté  in  singoiar  duello  in 
campo  chiuso.  Militò  indi  sotto  Arrigo  IV 
contro  Gregorio  VII,  e  fu  il  primo  che  sotto 
di  lui  entrasse  in  Roma.  1- gli,  sui  campi  di 
Voltseim,  uccise  coli'  asta  del  gonfalone 
Rodolfo  di  Rhinfeld,  che  il  papa  aveva  no- 
minato Cesare  dopo  aver  deposto  Arrigo  IV; 
pei  quali  servigi  esso  Arrigo  gli  restituì  la 
Bassa  Lorena.  Quasi  ad  ammenJa  di  aver 
parteggiato  per  lo  scisma,  crociatosi  nel  1095 
fra  i  primi  al  concilio  di  Chiaramonte,  parti, 
l'anno  di  poi,  con  forte  nerbo  di  soldati  fran- 
cesi, lorenesi,  e  tedeschi,  alla  conquista  di 
Terra  Santa.  A  Costantinopoli  fu  raggiunto 
da  altre  spedizioni,  con  l'aiuto  delle  quali 
potè  impadronirsi,  nel  luglio  del  1099,  di 
Gerusalemme,  e  vi  fu  acclamato  re.  I  cro- 
nisti e  i  primi  storici  delle  crociate  non  con- 
siderano che  questa  seconda  parte  della  vita 
di  Goffredo,  dove  pare  che  incarni  il  tipo 
del  x>ius  Aeneas,  al  quale  il  T.,  anche  per 
ragioni  artistiche,  lo  volle  sempre  più  av- 
vicinare [Lett.  60:  «sol  Goffredo  in  tutto 
buono  e  pio  ci  vien  -  dagli  .storici  -  rappre- 
sentalo  »].  Guglielmo  Tirio,  a  cui  il  T.  spes- 
sissimo s'ispirò,  lo  dice  {Histjrla  belli  sa. 
cri  ecc.  1 17):  «  strenuus  et  insignis  »,  e  (ix  5): 
«virreligiosusclemens  piusac  timensDeum, 
iustus,  recedens  ab  orani  malo,  serius  et 
stab^ilis  in  verbo,  seculi  vanitates  contem- 
nens;  quod  in  iìla  aetate  et  militari  prae- 
sertim  professióne  rarum  est  ....et  Deo  pia- 
cens  ».  Lo  dice  poi  di  bella  statura,  fortis- 


Molto  egli  oprò  co'l  senno  e  con  la  mano: 
Molto  soffri  nel  glorioso  acquisto: 
E  in  vau  l'Inferno  vi  s'oppose,  e  in  vano 
S'armò  d'Asia  e  di  Libia  il  popol  misto; 
11  Ciel  gli  die  favore,  e  sotto  a  i  santi 
Segni  ridusse  i  suoi  compagni  erranti. 
2 
0  Musa,  tu  che  di  caduchi  allori 


Simo,  largo  di  petto,  vago  nel  viso,  di  pelo 
tendente  al  rosso,  e  al  giudizio  di  tutti,  quasi 
!  unico  nell'esercizio  delle  armi  e  nell'arte 
i  militare.  —  3.  Dante,  di  Guidoguerra,  Inf. 
XVI  39:  «Fece  col  senno  assai  e  colla  spa- 
da». —  4,  soffri:  Tasso  (Lett.  cit.)  :  <  sotto 
questa  voce  vengono  l'arti  diaboliche,  e 
l'armi  pagane,  e  insomma  tutti  gli  episodi 
a  stornamento  dell'  impresa  »,  cioè  la  mu- 
tazione della  fortuna:  anche  Omero  nel- 
VOdissea  dice  che  Ulisse  fece  e  pati,  &Virg., 
Aen.  I  1-6,  dopo  aver  premesso  che  dirà 
dell'eroe  che  venne  in  Italia,  aggiunge  che 
molto  fu  sbattuto  per  terra  e  per  mare,  e 
inolio  a7i Cora  sofferse  in  guerra.  —  acnui' 
sto:  «Questa  parola  (continua  il  T.)  era  cosi 
assolutamente  detta  da  tutti  gli  storici  an- 
tichi; idest,  Giovanni  Villani,  Matteo  ecc. 
che  dicono  :  Passò  a  la  conquista,  inten- 
dendo di  Terra  Santa  ».  —  5.  tì:  Os,  a  lui. 

—  6.  Libia  :  il  poeta  'Lett.  88),  seguendo  Tolo- 
meo, fa  della  Libia  la  terza  parte  del  mondo  ; 
l'Africa  sarebbe  stata  una  parte  di  essa, 
comprendente  il  territorio  di  Cartagine.  — 
7.  11  Ciel:  Os.  Che'l  Ciel.  —  Il  Galilei  nota 
che  i  versi  7-8  sono  «  un  particolare  spic- 
cato delle  cose  precedenti  »;  la  conclusione 
logica  sarebbe  «  Il  cielo  gh  die  favore,  ed 
egli  adorò  la  gran  tomba  e  sciolse  il  voto  ». 
Cosi  come  sono,  voglion  dire  che  Goffredo 
coU'aiuto  del  cielo  potè  riunire  sotto  il  segno 
della  croce  i  suoi  compagni  distratti  {eì^- 
ranti)  continuamente  in  altre  imprese,  onde 
ebbe  poi  modo  di  condurli  al  termine  pre- 
fisso. Secondo  la  nostra  lez.  questo  concetto 
viene  ad  essere  ancora  più  disgiunto  dal 
precedente:  il  T.  {Lett.  47)  riconosce  che  il 
parlar  disgiunto  «  cioè,  quello  che  si  lega 
più  tosto  per  l'unione  e  dipendenza  de'  sensi, 
che  per  copula  o  altra  congiunzione  di  pa- 
role »  è  imperfezione  quando  Sd  ne  abusi: 
attribuisce  questo  suo  difetto  allo  studio 
continuo  di  Virg.,  il  poema  del  quale  fu 
chiamato  da  Caligola  arena  senza  calce. 

—  santi  Segni:  Mazzatinti  e  Padovan:  «'per- 
che nel  vessillo  dei  combattenti  cristiani 
stava  dipinta  la  croce  ;  cfr.  i  72,  ix  92,  xi  5». 

2.  Invocazione:  alcuni  credettero  alla  Ver- 
gine, altri  ad  Urania,  celeste  intelligenza. 
Sto  con  questi  ultimi.  Il  Tasso  nella  Lett.  1549 
scrive:  «  Ma  s'in  cielo  vi  sono  le  musiche 
proporzioni,  conviene  che  vi  siano  le  Muse; 
ma  vi  sono   senza  fallo,  perché  il  mondo 


CANTO  I 


Non  circondi  la  fronte  in  Elicona, 
Ma  su  nel  cielo  in  Ira  i  beati  cori 
Hai  di  stelle  immortali  aurea  corona, 
Tu  spira  al  petto  mio  celesti  ardori, 
Tu  rischiara  il  mio  canto,  e  tu  perdona 
S' intesso  fregi  al  ver,  s'adorno  in  parte 
D'altri  diletti,  che  de' tuoi,  le  carte. 

à 
Sai  che  là  corre  il  mondo,  ove  più  versi 
Di  sue  dolcezze  il  lusinghier  Parnaso; 
E  che'l  vero  concito  in  molli  versi, 
I  più  schivi  allettando  ha  persiiaso  : 
Cosi  a  l'egro  fanciul  porgiamo  aspersi 
Di  soavi  licor  gli  orli  del  vaso: 
Succhi  amari  ingannato  intanto  ci  beve, 
E  da  l'inganno  suo  vita  riceve. 

4 
Tu,  magnanimo  Alfonso,  il  qual  ritogli 


tutto  è  composto  con  musica  armonia  »; 
nella  Canz.  in  lode  di  D.  Carlo  Gesualdo: 
«Musa,  tu  che  dal  cielo  il  nome  prendi,  E 
corone  hai  lassù  di  stelle  e  d' oro,  Non  sol 
di  verde  alloro  Cingi  iu  Parnaso  la  serena 
fronte  >:  e  nei  Discorsi  del  poema  eroico, 
lib.  iv:  <  Sarà  lecito  al  poeta  cristiano  in- 
vocare  la  mente  e  le  intelligenze,  imperoc- 
ché le  Muse  non  furono  credute  altro  che 
intelligenze  ».  — 1.  caduchi  :  «E  proprio  ca- 
duca la  cosa  che  nel  suo  liorire  cade»,  se- 
condo l'Ottimo  nei  Comm.  al  Paradiso.— 
7.  fregi:  qui,  in  generale  tutti  gli  ornamenti 
che  fanno  da  cornice  al  vero.  —  8.  altri  di- 
letti: gli  amori  particolarmente. 

3,  1.  Tersi:  sparga.  —  2.  lus.  Parn.:  la 
poesia  che  sa  dilettare.  —  3.  condito:  detto 
metafor.  per  ammannito  e  reso  piacente  in 
dolci  versi.  Petrarca,  sest.  Mia  benigna 
torturi.  19:  «  Già  mi  fu  col  desir  si  dolce  il 
pianto  Che  condia  di  dolcezza  ogni  aspro 
stile  ».  *  Ma  quello  del  Tasso  è  uso  un  po'  di- 
verso, e  non  ha  esempì.  —  5-8.  Lucrezio, 
De  ver.  nat.  i  936:  «  b^ed  veluti  pueris  ab- 
sinthia  taetra  medentes  Cum  dare  conantur, 
prius  oras,  pocula  circum,  Contingunt  mel- 
lis  dulci  flavoque  liquore  ecc.»:  il  Tasso 
cita  al  proposito  questi  versi  nel  Giudiz. 
sovra  la  Riform.;  e  in  una  lettera  (259) 
scrive:  «  la  mia  [intenzione]  non  fu  cattiva, 
né  dissimile  a  quella  di  quei  medici,  che 
ungevano  di  mèle  la  bocca  del  vaso,  nel 
quale  si  dava  la  medicina  ». 

4.  Dedica:  ad  Alfonso  II  duca  di  Ferrara, 
salito  al  trono  nel  1559,  morto  nel '97;  ultimo 
duca  estense  che  governasse  su  Ferrara. 
Nella  Conquistata  la  dedica  è  a  Cinzio  Aldo- 
brandini,  nipote  di  Clemente  Vili.  —  1.  Tu 
ecc.:  In  un'ode  ad  Alfonso:  «  te  che  da  l'esi- 
gilo Primo  in  nobil  riposo  Mi  raccogliesti 
nel  reale  albergo  ».  Cfr.  Aminta.,  att.  I,  se. 
2.:  «  E  come  volse  il  ciel  benigno  a  caso  ecc.  » 


Al  furor  di  fortuna  e  guidi  in  porto 
Me  peregrino  errante,  e  fra  gli  scogli 
E  fra  Tonde  agitato  e  quasi  absorto, 
Queste  mie  carte  in  lieta  fronte  accogli, 
Che  quasi  in  vóto  a  te  sacrate  i'  porto. 
Forse  un  di  fìa  che  la  presaga  penna 
Osi  scriver  di  te  quel  ch'or  n'accenna. 
♦  5 

E  ben  ragion,  s' egli  avverrà  ch'in  pace 
Il  buon  popol  di  Cristo  unqua  si  veda, 
E  con  navi  e  cavalli  al  fero  Trace 
Cerchi  ritor  la  grande  ingiusta  preda, 
Ch'a  te  lo  scettro  in  terra,  o,  se  ti  piace, 
L'alto  imperio  de' mari  a  te  conceda. 
Emulo  di  Goffredo,  i  nostri  carrai 
In  tanto  ascolta,  e  t'apparecchia  a  l'armi. 
6 

Già'l  sesto  anno  volgea,  ch'in  oriente 


—  2.  fortuna:  nel  senso  latino  di  procella.  — 
3.  e  fra:  Os.  infra.  —  A.  absorto,  dal  latino 
absorhère,  assorbire,  si  dice  dell'acqua  (cfr. 
Ariosto,  Ori.  xiv  6).  Il  Nostro  abusa  di  lati- 
nismi, a  bella  posta,  perché  a  lui  pareva 
dessero  maggior  dignità  al  poema:  Lett.^'i: 
«  Dubito  ancora  di  non  essere  alquanto  licen- 
zioso ne  le  voci  latine,  però  quelle  voci  che 
si  potranno  tor  via  senza  scemar  la  maestà, 
sarà  ben  fatto  che  si  tolgano  ».  —  7.  presaga 
penna:  penna  che  fin  d'ora  sa  le  tue  glorie 
future  e  le  addita.  Il  presago  congiunge 
questa   stanza   alla  seguente. 

6.  Esprime,  come  da  molto  tempo  era  de- 
siderio od  uso  nei  poeti  italiani,  la  speranza 
di  una  nuova  crociata:  presagisce  che  Al- 
fonso ne  sarà  duce  di  terra  o  di  mare.  Pe- 
trarca, Trionf.  Fam.  ii  142:  «Ite  superbi,  o 
miseri  cristiani,  Consumando  l'uu  l'altro,  e 
non  vi  caglia  Che  '1  sepolcro  di  Cristo  è  in 
man  de'  cani  ».  —  2.  unqua:  una  volta,  mai: 
latinismo  caduto  oggi  pur  dalla  lingua  poe- 
tica. —  3.  Trace:  Turco  ;  chiama  traci  i  tur- 
chi perché  avevano  occupata  l'antica  Tracia, 
e  fin  dal  1453  avevano  posto  la  sede  di  loro 
impero  in  Costantinopoli.  —  6.  a  te:  Os.  altri. 

6,  1.  sesto:  Veramente  il  terzo.  Esponga 
il  Tasso  medesimo  perché  dica  il  sesto  {Giu- 
diz. sovr.  la  Riform.):  «Io  diedi  il  prin- 
cipio al  mio  poema  dal  sesto  anno  dell'im- 
presa, tacendo,  fino  al  suo  luogo,  quel  che 
negli  anni  precedenti  era  avvenuto;  i  quali 
secondo  una  parte  degli  istorici  non  furono 
sei,  ma  due  solamente,  perché  nel  terz'anno 
l'esercito  de' cristiani  s'inviò  all'espugna- 
zione di  Gerusalemme;  ma  io  ho  voluto  ac- 
crescere le  fatiche  ed  i  pericoli  de  l'im- 
presa, con  quell'arte  dimostrata  da  Plutar- 
co, la  qual  s'usa  nell'accrescere  la  verità  ». 
Colla  stessa  libertà  egli  pose  nel  1099  la 
grande  battaglia  cogli  Egizi,  che  segui  solo 
di  poi.  Cfr.  e.  IX  1  nota.  —  volgea:  andava 


GERLTSALEMME  LIBERATA 


Passò  il  campo  cristiano  a  l'alta  impresa; 
E  Nicea  per  assalto,  e  la  potente 
Antiochia  con  arte  avea  già  presa; 
L'aveaposciainbattaglia.in  centra  gente 
Di  Persia  iunumerabile,  difesa; 
E  Tortosa  espugnata:  indi  a  la  rea 
Stagion  die  loco,  e'I  novo  anno  attendea. 


E'I  fine  omai  di  quel  piovoso  inverno, 
Che  fea  l'arme  cessar,  luuge  non  era; 
Quando  da  l'alto  soglio  il  Padre  Eterno. 
Ch'è  ne  la  parte  più  del  ciel  sincera, 
E  quanto  è  da  le  stelle  al  basso  inferno, 
Tantoèpiù  in  su  de  la  stellata  spera, 


compiendosi:  è  il  virgiliano  «  in  se  sua  per 
vestigia  volvitur  annus  »,  già  usato  dal  Pe- 
trarca, s  n.  Padre  del  ciel  9.  «  Or  volge, 
signor  mio,  T  undecim' anno  ».  —  3.  Mcea  : 
in  Bitinia.  Non  si  arrese  per  assalto,  ma  per 
capitolazione,  e  ad  Alessi  imperatore  di 
Costantinopoli.  Per  altro  i  cristiani  l'ave- 
vano costretta  a  questo,  in  séguito  a  parec- 
chi assalti;  e  per  assalto  l'avevano  presa 
già  i  tedeschi  che  erano  coir  Eremita  nella 
prima  spediz.;  ma  prima  dell'arrivo  di  Gof- 
fredo   era   ricaduta  in  potere  di  Solimano. 

—  4.  Antiochia:  Nella  Siria,  dove  confina 
colla  Palestina.  Descritta  come  fortissima 
dai  cronisti,  fu  la  città  che  oppose  maggior 
resistenza  ai  cristiani.  —  con  arte:  fu  presa 
nel  Ì09S  pel  tradimento  di  un  cristiano  rin- 
negato accordatosi  con  Boemondo.  Gugl. 
Tirio  vi  spende  intorno  molti  capitoli  del 
V  e  del  VI  libro.  —  5-6.  gente  Di  Persia:  i 
Persiani  erano  condotti  da  Corbatag,  gene- 
rale di  quell'imperatore;  e  furono  sconfitti 
sotto  Antiochia,  cfr.  Gugl.  Tir.,  vi  2l.  —  7. 
Tortosa:  antic.  si  chiamò  Antharadus,'^oì 
Costantina;  al  tempo  dei  crociati  facea 
parte  della  contea  di  Tripoli  di  Siria,  e  si 
chiamava,  come  oggi,  Tortosa,  —  In  questo 
luogo  è  l'esercito  cristiano  al  cominciare 
dell'azione  nel  poema:  secondo  la  storia  si 
radunò  invece  presso  Cesarea:  e  Cesarea 
pose  il  T.  in  vece  di  Tortosa  nella  Conquisi. 

—  rea  Stagioni  l'inverno.  —8  die  loco:  la- 
sciò si  sfogasse.  —  *  noTO  anno,  la  nuova 
stagione;  anno  è  usato  alla  latina:  cfr. 
stanza  seg.,  dove  si  accenna  alla  vegnente 
primavera. 

7.  2.  cessar:  sospendere.  —  L'azione  co- 
mincia adunque  al  principio  di  primavera: 
dura  un'intera  stagione  (cfr.  Tasso,  Giudiz. 
sovra  la  Riform.).  —  3.  Quando  ecc.:  cfr. 
Virg.,  Aen.  i  223.  —  4.  sincera:  pura.  Dante, 
Par.  VII  130:  «  Oli  Angeli,  frate,  e  il  paese 
sincero  Nel  qual  tu  se'  ».  —  5-6.  Intendi:  Ed 
è  tanto  più  su  della  sfera  ove  sono  le  stelle, 
cioè  della  volta  stellata  {o  dell'ottavo  cielo 
delle   stelle   fisse),  quanto  le  stelle  distano 


Gli  occhi  in  gin  volse,  e  in  un  sol  punto,  e  in 

"^una 
Vista  mirò  ciò  cb'in  sé  il  mondo  aduna. 
8 

Mirò  tutte  le  cose,  ed  in  Soria 
S'afiSssò  poi  ne'principi  cristiani; 
E  con  quel  guardo  suo  ch'a  dentro  spia 
Nel  più  secreto  ior  gli  affetti  umani, 
Vide  Goffredo  che  scacciar  desia 
De  la  santa  città  gli  empi  Pagani, 
E  pien  di  fé,  di  zelo,  ogni  mortale 
Gloria,  imperio,  tesor  mette  in  non  cale. 
9 

Ma  vede  in  Baldovin  cupido  ingegno, 
Ch'a  l'umane  grandezze  intento  aspira: 
Vede  Traucredi  aver  la  vita  a  sdegno. 


dal  centro  della  terra.  —  Il  Guastavini  ri- 
corda  Omero  nell'ottavo  deìV Iliade:  «quel- 
lo, prendendolo,  caccierò  nel  tartaro  oscu- 
ro, —  ben  lontano,  ove  profondamente  sotto 
terra  é  il  baratro....  Tanto  da  basso  dell'in- 
ferno, quanto  il  cielo  è  sopra  la  terra»;  cfr. 
I  Virg.,  Aen.  vi  577.  —  7-8.  in  ana  Tista  ecc.: 
1  con  un  solo  volger  d'occhi,  *  con  una  sola- 
:  occhiata. 

1       8,  1.  Soria:  oggi  Siria.  —5.  Vide:  Os.Vede. 

!  —  8.  mette  in  non  cale:  non  cura.  Petrarca, 

I  canz.  Qiieiran'iquo  mio  dolo.  33:  cPer  una 

donna  ho   messo  Egualmente  in  non   cale 

ogni  penserò  ». 

9,  1.  BaldoTin:  fratello  del  duce  Goffre- 
do ;  presa  Antiochia,  fu  signore  della  con- 
{  tea  d'Edessa.  Morto  Goffredo,  ebbe  il  regno 
di  Gerusalemme.  Continuando  la  guerra  con. 
tro  gli  Egizi  nel  1110  prese  la  Tolemaide  e 
Tripoli,  mori  nel  1118.  Il  T.  al  solito,  seguita 
!  Gugl.  Tirio;  l'aolo  Emilio  (La  sacra  ini- 
I  presa  ecc.\  invece,  dice  che  Baldovino  ed 
i  Eustazio  nella  vita  privata  erano  come  ve- 
[  scovi  della  Chiesa  primitiva.  —  3.  Tancredi  : 
normanno  di  sangue,  italiano  di  nascita, 
figlio  di  Odone  il  Buono  e  di  Emma  sorella 
del  Guiscardo,  seguitò  il  cugino  (secondo 
Gugl.  Tir.,  lo  zio)  Boemondo,  che  or  ora 
vedremo,  nella  crociata,  con  ventimila  uo- 
mini (secondo  P.  Emilio)  di  Puglia,  di  Ca- 
labria e  di  Sicilia,  ai  quali  si  unirono  molti 
altri  della  gioventù  italiana.  Riportò  molte 
vittorie  e  sottomise  parecchie  città.  Resse 
il  principato  di  Tiberiade  che  egli  si  era 
conquistato,  poi  ebbe  la  s;gnoria  di  Antio- 
chia. Mori  a  35  anni,  in  una  spedizione  con- 
tro gli  infedeli.  Il  T.  prendendo  a  base  la 
storia,  trasformò  addirittura  il  suo  eroe. 
Lett.  60:  «  la  lascivia  di  Tancredi,  che  nella 
sua  matura  età  era  inescusabiJe,  forman- 
dolo io  giovinetto,  si  può  men  diffìcilmente 
perdonare  a  la  tenerezza  de  gli  anni».  Lo 
modificò    interamente    facendolo    d'animo 


CANTO  I 


Tanto  uu  suo  vano  umor  l'angeeraartira: 
E  fondar  Boemondo  al  novo  regno 
Suo  d'Antiochia  alti  principii  mira, 
E  leggi  imporre,  ed  introdiir  costume 
Ed  arti,  e  culto  di  verace  Nume; 
10 

E  cotanto  internarsi  in  tal  pensiero,  [ti  : 
Ch'altra  impresa  non  par  che  più  rammen- 
iScorge  in  Kinaldo  ed  animo  guerriero 
E  spirti  di  riposo  impazienti; 
Non  cupidigia  in  lui  d'oro  o  d'impero, 
Ma  d'onor  brame  immoderate,  ardenti  : 
^«corge  che  da  la  bocca  intento  pende  [de. 
Di  Guelfo,e  i  chiari  antichi  esempi  appren- 
11 

Ma,  poi  ch'ebbe  di  questi  e  d'altri  cori 
Scòrti  gl'intimi  sensi  il  Re  del  mondo, 
Chiama  a  sé  da  gli  angelici  splendori 
Gabriel,  che  ne'  primi  era  secondo. 


gentilissimo,  mentre  negli  storici  appar  su- 
bitaneo alle  risse;  e  infondendogli  quell'af- 
fettività patetica  proveniente  dal  disaccordo 
malinconico  fra  l'idealità  e  .la  realtà,  che 
non  di  Tancredi  ma  dell'animo  suo  era  pro- 
pria. Vedi  st.  45,  1  nota.  —  5.  Boemondo: 
figlio  di  Roberto  Guiscardo,  principe  di  Ta- 
ranto, crociatosi,  pare,  più  che  per  zelo  re- 
ligioso, per  odio  contro  l'imperatore  Ales- 
sio e  per  cupidigia  di  regno.  Fu  il  vero 
conquistatore  di  Antiochia,  di  cui  fu  nomi- 
nato principe;  e  si  mantenne  nel  corso  delia 
guerra  indipendente  dagli  altri  principi  cri- 
stiani. Costretto  dopo  parecchi  anni  di  re- 
gno a  cedere  la  città,  si  ritirò  ne'  suoi  do- 
mini di  Puglia,  ove  mori  nel  1111  mentre 
allestiva  una  nuova  spedizione.  —  8.  culto 
ecc.:  la  religione  di  Cristo. 

10,  3.  Rinaldo:  Benché  il  Tasso  dica  [Lett. 
343):  <  di  Reginaldo  si  fa  nell'istoria  men- 
zione, e  Rinaldo  è  detto  da  Reginaldo  »,  pure 
convien  ammettere  che  è  personaggio  del 
tutto  fittizio.  Nel  nostro  poema,  a  detta  del 
Tasso,  sostiene  la  parte  che  Achille  nel- 
Vlliade  :  Lett.  25:  <  i  molti  cavalieri  sono 
considerati  nel  mio  poema  come  membra 
d'un  corpo,  del  quale  è  capo  Goffredo,  Ri- 
naldo destra  »;  è  il  principale  [Lett.  82)  ese- 
cutore dei  disegni  d'\  Goffredo,  ed  è  il  de- 
stinato alla  presa  di  Gerusalemme.  Cfr.  st. 
58, 1  nota.  —  7.  da  la  bocca  intento  pende,  sta 
attentissimo  ad  udire.  —  8.  Guelfo:  Mella: 
«  Con  poetico  anacronismo  pose  il  T.  tra  i 
liberatori  del  Sepolcro  questo  campione  cro- 
ciatosi solo  quattr'anni  dopo,  per  illustrare 
la  stirpe  del  suo  mecenate.  Egli  era  figlio 
di  Alberto  Azzo,  marchese  di  Este,  e  di  Cu- 
nizza  dei  Ouelph  o  Welpes  di  Svevia». 

11.  Per  questa  strofa  e  per  la  seguente, 
si  vegga  Virg.,  Aen.  iv  219,  quando  Giove 
manda  Mercurio  ad  Enea.  —  4.  Gabriel,  il 


È  tra  Dio  questi  e  l'anime  migliori 
Interprete  fedel,  nunzio  giocondo: 
Giù  i  decreti  del  Ciel  porta,  ed  al  Cielo 
Riporta  de'  mortali  i  preghi  e'I  zelo. 
12 

Disse  al  suo  nunzio  Dio:  Goffredo  trova, 
E  in  mio  nome  di'  lui:  perché  si  cessa? 
Perché  la  guerra  omai  non  si  rinnova 
A  liberar  Gierusalemme  oppressa? 
Chiami  i  duci  a  consiglio,  e  i  tardi  mova 
A  l'alta  impresa;  ei  capitan  fìa  d'essa. 
Io  qui  l'eleggo;  e'I  faran  gli  altri  in  terra. 
Già  suoi  compagni,  or  suoi  ministri  in 
13  [guerra. 

Cosi  parlògli;  e  Gabriel  s'accinse 
Veloce  ad  eseguir  l'imposte  cose: 
La  sua  forma  invisibil  d'aria  cinse 
Ed  al  senso  mortai  la  sottopose: 
Umane  membra,  aspetto  uman  si  finse; 
Ma  dì  celeste  maestà  il  compose: 
Tra  giovene  e  fanciullo  età  confine 
Prese,  ed  ornò  di  raggi  il  biondo  crine. 
14 

Ali  bianche  vesti,  c'han  d'or  le  cime, 
Infaticabilmente  agili  e  preste: 
Fende  i  venti  e  le  nubi,  e  va  sublime 
Sovra  la  terra  e  sovra  il  mar  con  queste. 
Cosi  vestito,  indirizzossi  a  l'ime 
Parti  del  mondo  il  messaggier  celeste: 
Pria  sul  Libano  monte  ei  si  ritenne, 
E  si  librò  su  l'adeguate  penne; 


secondo  fra  quei  sette  angeli  che  Tobia 
dice  assistere  Dio,  primo  dei  quali  è  Mi- 
chele. —  8.  zelo  :  ardore  religioso. 

12,  2.  di' lui:  a  lui:  Dante,  Purg.  xi  79: 
«  Oh  dissi  lui  ».  —  sì  cessa:  si  sospende  l'im- 
presa. Aen.y  IV  235:  «Quid  struit?  aut  qua 
spe  inimica  in  gente  moratur,  Nec  proleu^ 
Ausoniam  et  Lavinia  respicit  arva  ?»  —  7. 
Io  qui  l'eleggo  ecc.:  Io,  dal  cielo,  l'eleggo 
capitano,  e  quelli  che  fin  ora  gli  furono 
compagni  si  affretteranno  in  terra  a  porsi 
sotto  gli  ordini  di  lui. 

13,  4.  sottopose:  la  fece  capace  di  essere 
appresa  dai  sensi  mortali.  —  5.  fìnse:  pla- 
smò ;  il  primo  senso  di  fingere  è  appunto 
dar  figura,  plasmare.  —7.  Tra  giovene  ecc.: 
Intendi:  Prese  un'età  che  fosse  tra  la  fan- 
ciullezza e  la  gioventù. 

14,  3.  sublime:  altissimo.  —5-6.  ime  Parti: 
basse,  rispetto  al  luogo  donde  moveva.  —7. 
Libano:  «la  più  alta  catena  (scrive  il  Mella) 
di  monti  vicino  alla  Giudea, ....  per  avere  i 
fianchi  coperti  di  nevi  perpetue,  ha  il  nome 
(li  Libano,  che  vale  quanto  biancheggiante. 
S' incurva  a  foggia  di  ferro  di  cavallo  da 
Tripoli  a  Damasco.  In  una  delle  sue  pendici 
si  trovano  i  famosi  cedri  ».  —  8.  adeguate 
penne:  ali  che  stanno  tese  e  pari  dall'uu  lato 


GERUSALEMME  LIBERATA 


15 

E  vèr  le  piaggie  di  Tortosa  poi 
Drizzò  precipitando  il  volo  iu  giuso. 
Sorgeva  il  novo  sol  da  i  lidi  eoi. 
Parte  già  fuor,  raa'l  più  ne  l'onde  chiuso; 
E  porgea  mattutini  i  preghi  suoi 
Goffredo  a  Dio,  com'egli  avea  per  uso; 
Quando  a  paro  co'l  sol,  ma  più  lucente, 
L'Angelo  gli  appari  da  l'oriente  ; 
16 

E  gli  disse:  Goffredo,  ecco  opportuna 
Già  la  stagion  ch'ai  guerreggiar  s'aspetta: 
Perché  dunque  trapor  dimora  alcuna 
A  liberar  Gierusalera  soggetta? 
Tu  i  principi  a  consiglio  ornai  raduna, 
Tu  al  fin  de  l'opra  i  neghittosi  affretta. 
Dio  per  lor  duce  già  t'elegge;  ed  essi 
Sopporran  volentieri  a  te  sé  stessi. 
17 

Dio  messaggier  mi  manda:  io  ti  rivelo 
La  sua  mente  in  suo  nome.  Oh  quanta 

[spene 
Aver  d'alta  vittoria,  oh  quanto  zelo 
De  l'oste  a  te  commessa  or  ti  conviene! 
Tacque;  e,  sparito,  rivolò  del  cielo 
A  le  parti  più  eccelse  e  più  serene. 
Resta  Goffredo  a  i  detti,  a  lo  splendore, 
D'occhi  abbagliato,  attonito  di  core. 
18 

Ma  poi  che  si  riscote,  e  che  discorre 
Chi  venne,  chi  mandò,  che  gli  fu  detto, 
Se  già  bramava,  or  tutto  arde  d'imporre 
Fine  a  la  guerra,  ond'egli  è  duce  eletto: 


e  dall'altro,  nel  momento  prima  di  piegarsi 
ad  una  direzione. 

15,  3.  eoi,  voce  che  in  greco  significa  orien- 
tali: nei  lidi  dell'estremo  oriente  gli  antichi 
credevano  nascesse  il  sole.  —  5.  mattotiui  i 
preghi:  le  preghiere  della  mattina. 

12.  Il  lìeui  osserva  giustamente  che  qui  si 
adombra  quanto  Iride  dice  a  Turno  nel  prin- 
cipio del  IX  deWAen.:  «Quid  dubitas?  nunc 
tempus  equos,  nunc  poscere  currus;  Rumpe 
moras  omnes,  et  turbata  arripe  castra».  E 
il  Beni  fa  osservare  con  che  bell'arrificio 
sia  condotta  questa  breve  conciona  dell'an- 
giolo, che  dura  sino  alla  metà  della  strofa 
seguente:  e  come  siano  benissimo  riprese 
le  parole  che  Iddio  prima  rivolse  all'an- 
giolo; e  con  quanto  affetto  si  chiuda:  oh 
quanta  spene  ecc.  —  8.  Sopporran....  sé 
stessi:  si  metteranno  sotto  al  tuo  comando. 
Sopporre  (lat.  se  subiicere),  in  questo  senso 
è  d'uso  frequente  nel  Nostro.  —  TOlentieri, 
Os.  volontari. 

18.  1.  discorre:  esamina;  Ariosto,  Ori. 
XXI  31:  «Cercando  va  più  dentro  ch'alia 
gonna  Suoi  vizi  antichi  e  ne  discorre  il 
tutto  ».  —  2.  Chi  venne  :  1'  angelo.  —  chi 
mandò:  Dio.  —  3-4.  imporre  Fine  alla  gner- 
ra:  è  il  latino  «  finem  impnuere  bello». 


Non  che'l  vedersi  a  gli  altri  in  ciel  pre- 

fporre 
D'aura  d'ambizion  gli  gonfi  il  petto: 
Ma  il  suo  voler  più  nel  voler  s'infiamma 
Dei  suo  Signor,  come  favilla  in  fiamma. 
19 
Dunque  gli  eroi  compagni,  i  quai  non 
Erano  sparsi,  a  ragunarsi  invita:    ilunge 
Lettere  a  lettre,  e  messi  a  messi  aggiunge, 
Sempre  al  consiglio  è  la  preghiera  unita: 
Ciò  ch'alma  generosa  alletta  e  punge, 
Ciò  che  può  risvegliar  virtù  sopita, 
Tutto  par  che  ritrovi,  e  in  efficace 
Modo  l'adorna  si  che  sforza  e  piace. 

20 
i    Vennero  i  duci,  e  gli  altri  anco  seguirò: 
j  E  Bcemondo  sol  qui  non  convenne. 
j  Parte  fuor  s'attendò,  parte  nel  giro 
1  E  tra  gli  alberghi  suoi  Tortosa  tenne. 
I  grandi  de  l'esercito  s'unirò 
(Glorioso  senato)  in  di  solenne. 
Qui  il  pio  Goffredo  incominciò  tra  loro, 
Augusto  in  vólto,  ed  in  sermon  sonoro: 
21 
Guerrier  di  Dio,  ch'a  ristorar  i  danni 
De  la  sua  Fede  il  Re  del  Cielo  elesse, 
E  sccuri  fra  l'arme  e  fra  gl'inganni 
De  la  terra  e  del  mar  vi  scòrse  e  resse: 
Si  ch'abbiam  tante  e  tante  in  si  pochi  anni 
Ribellanti  provincie  a  lui  sommesse, 
E  fra  le  genti  debellate  e  dome 
Stese  l'insegne  sue  vittrici  e '1  nome: 

22 
Già  non  lasciammo  i  dolci  pegni,  e'I  nido 
Nativo  noi  (se'l  creder  mio  non  erra) 
j  Né  la  vita  esponemmo  al  mare  infido, 
i  Kd  a  i  perigli  di  lontana  guerra. 
Per  acquistar  di  breve  suono  un  grido 
Vulgare,  e  posseder  barbara  terra:      [so 
Che  proposto  ci  avremmo  angusto  escar- 
Premio,  e  in  danno  de  l'alme  il  sangue 

[sparso. 


19,  3.  lettre:  sincope  che  piacque  già  al 
;  Petrarca,  sou.  Più  volte  amor  2:  «Scrivi 
j  quel  che  vedesti  in  lettre  d'oro  *,  e  ancora 

nella  canz.  Solea  della  fontana  al  verso  41. 

20,  2.  Boeniondo  sol  ecc.:  mancò  per  le 
j  ragioni  addotte  nelle  st,  9-10.  —  conTcnne  : 
[  venne  insieme:  latinismo. 

I  22,  1.  dolci  pegni:  la  moglie,  i  tigli,  le 
!  cose  care.  Petrarca,  canz.  Verdi  panni 
\  sang.  57:  «  Quanto  il  sol  gira,  Amor  più 
I  caro  pegno.  Donna,  di  voi  non  bave  ».  — 
i  '1  nido  XatiTo:  la  patria:  Petrarca,  canz. 
;  Italia  rata,  benché,  82:  «Non  è  que.sto  il 
\  mio  nido  Ove  nutrito  fui  si  dolcemente?». 
—  5-5.  di  breve  suono  nn  grido  Tulgare:  la 
:  t'ama  popolare  (vulgare)  che  presto  pa.ssa, 
I  iu  breve  cioè  rispetto  all'eternità.  È  lo  stesso 
I  concetto  di  Dante,  Purg.  xi  100:  «  Non  è  il 


CANTO  I 


23 

Ma  fu  de'  pensier  nostri  ultimo  segno 
Espugnar  di  Sion  le  nobil  mura, 
E  sottrarre  i  Cristiani  al  giogo  indegno 
Di  serriti!  cosi  spiacente  e  dura, 
Fondando  in  Palestina  un  novo  regno, 
Ov'abbia  la  pietà  sede  secura: 
Né  aia  chi  neghi  al  peregrin  devoto 
D'adorar  la  gran  tomba  e  sciorre  il  vóto. 
24 

Dunque  il  fatto  sin  ora  al  rischio  è  molto, 
Più  che  molto  al  travaglio,  a  l'onor  poco, 
Nulla  al  disegno,  ove  o  si  fermi,  o  vòlto 
Sia  l'impeto  de  l'armi  in  altro  loco. 
Che  gioverà  l'aver  d'Europa  accolto 
Si  grande  sforzo,  e  posto  in  Asia  il  foco, 
Quando  sia  poi  di  si  gran  moti  il  fine 
Non  fabbriche  di  regni,  ma  ruine? 
25 

Non  edifica  quei  che  vuol  gl'imperi 
Su  fondamenti  fabbricar  mondani, 
Ove  ha  pochi  di  patria  e  fé  stranieri 
Fra  gl'infiniti  popoli  pagani: 
Ove  ne'  Greci  non  convien  che  speri, 
E  i  favor  d'occidente  ha  si  lontani: 


mondan  rumor  altro  che  un  fiato  Di  ven- 
to ecc.  >. 

23,  7.  Né  sia  chi  neghi  ecc.:  L'occasione 
che  determinò  le  crociate  furono  appunto 
le  angherie  che  soffrivano  i  pellegrini  che 
andavano  al  Sepolcro.  —  8.  Cfr.  V  ultimo 
vers.  della  Geins. 

24,  1.  al  rischio:  confrontato  col  rischio, 

—  7.  sia:  Os.  e  Bon.'2  sia.  B.i  sian. 

25,  Spiega  ed  amplia  il  concetto  racchiuso 
negli  ultimi  due  versi  della  stanza  prece- 
dente. Intendi  che  voglia  dire:  Anche  se  al- 
cuno  di  noi  riesca  a  fondare  un  impero  qui, 
dove  ha  seco  pochi  della  sua  fede  e  della 
sua  patria  (e  perciò  considerati  qui  doppia- 
mente stranieri),  mentre  infiniti  sono  i  po- 
poli che  hanno  stanza  all'intorno  e  seguono 
altra  religione,  e  dove  non  potrà  far  caso 
delle  promesse  greche,  e  lontani  sono  gli 
aiuti  che  può  avere  dall'Occidente;  costui 
avrà  fondato  un  impero  che  poco  dopo  sarà 
distrutto  ed  a  lui  sarà  di  sepolcro,  se  a  fon- 
damento vi  avrà  posto  soltanto  le  forze  ma- 
teriali che  forniscono  gli  uomini  {foìida- 
menti  mondani),  e  non  l'aiuto  di  Dio:  come 
dice  il  Salmo:  «  Nisi  Dorainus  aeditlcaverit 
domum,  in  vanum  laboraverunt  qui  aedifi- 
cant  eam  «►.  —  Il  Galilei,  dei  versi  3-4,  scrive  : 
«  Confesso  ingenuamente  non  saper  cavar 
senso  di  questi  due  versi,  benché  molte  volte 
vi  abbia  fantasticato  sopra  ecc.  »;  e  in  vero 
uon  sono  chiari,  non  però  incomprensibili. 

—  1.  qnel:  CONQ.  e  Os.  quel.  —  5.  Alessio 
Comneno  imperatore  si  oppose  con  tutte  le 
arti  alla  buona  riuscita  dell'impresa. 


Ma  ben  move  ruine,  ond'egli  oppresso 
Sol  costrutto  un  sepolcro  abbia  a  se  stesso 
26 

Turchi,  Persi,  Antiochia  (illustre  suono 
E  di  nome  magnifico  e  di  cose), 
Opre  nostre  non  già,  ma  del  Ciel  dono 
Furo,  e  vittorie  fnr  meravigliose. 
Or  se  da  noi  rivolte  e  torte  sono 
Contra  quel  fin  che  '1  donator  dispose. 
Temo  ce  'n  privi,  e  favola  a  le  genti 
Quel  si  chiaro  rimbombo  al  fin  diventi. 
27 

Ah  non  sia  alcun,  per  Dio,  che  si  graditi 
Doni  in  uso  si  reo  perda  e  difì"onda! 
A  quei  che  sono  alti  principii  orditi 
Di  tutta  l'opra  il  filo  e'I  fin  risponda.     • 
Ora  che  i  passi  liberi  e  spediti. 
Ora  che  la  stagione  abbiam  seconda. 
Che  non  corriamo  a  la  città  ch'è  mèta 
D'ogni  nostra  vittoria?  e  che  piii'l  vieta? 
23 

Principi,  io  vi  protesto  (i  miei  protesti 
Udrà  il  mondo  presente,  udrà  il  futuro, 
Gli  odono  or  su  nel  Cielo  anco  i  Celesti), 
Il  tempo  de  l'impresa  è  già  maturo'. 
Men  diviene  opportnn  più  che  si  resti: 
Incertissimo  fia  quel  che  è  securo. 
Presago  son,  s'è  lento  il  nostro  córso, 
Avrà  d'Egitto  il  Palestin  soccorso. 
29 

Disse;  e  ai  detti  segui  breve  bisbiglio; 
Ma  sorse  poscia  il  solitario  Piero, 


26,  1.  Torchi,  Persi,  Autiochia:  cioè,  Ni- 
cea  col  re  Solimano;  Corbatag  generale  del- 
l'imperatore di  Persia;  Cassano  re  d'Antio- 
chia; i  quali  tutti  erano  stati  vinti  e  sconfitti 
da' cristiani;  cfr.  st.  fi,  1-6.  —  1.  far:  Os.  in- 
ver:  leggendo  coll'Os.,  V  inver  varrebbe 
quanto  il  qiiidem,  dei  latini,  servendo  a  dare 
maggior  enfasi  a  quello  che  si  dice. 

27,  2.  diffonda:  gitti  via,  scialacqui,  quasi. 

—  4.  filo:  tessitura,  fìgurat.  per  «condotta  • 
«  continuazione  ».  —  5.  Ora  che  ì  passi  libe- 
ri ecc.:  perché,  presa  Antiochia,  che  era 
come  la  porta  della  Palestina,  ed  era  l'osta- 
colo maggiore  a  chi  per  la  Siria  andasse  in 
Terra  Santa,  ultima  fortezza  temibile  ri- 
maneva soltanto  la  stessa  Gerusalemme. 

28,  5.  Men:  le  stampe  Bon.  leggono  Ma: 
con  evidente  guasto:  abbiamo  perciò  se- 
guita la  lezione  dell'Os.  d'accordo  con  Conq. 

-  resti:  indugi.  —  6.  IncertLosinio  fla  ecc.: 
sottinteso  più  che  si  resti.  —  8.  Avrà:  Os. 
Ch'avrà. 

29,  2.  il  solitario  Piero:  Pietro,  detto  l'È. 
remita  (il  solitario)^  infiammò  gli  animi  dei 
cristiani  e  fu  il  promotore  dello  crociate; 
perciò  benché  non  di  sangue  nobile  né,  qui, 
capitano  d'eserciti  (pi-ivato),  siede  fra  i  du- 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Che  privato  fra'  principi  a  consiglio 
Sedea,  del  gran  passaggio  autor  primiero: 
Ciò  ch'esorta  Goffredo,  ed  io  consiglio; 
Né  loco  a  dubbio  v'ha,  si  certo  ò  il  vero 
E  per  sé  noto:  ei  dimostrollo  a  lungo; 
Voi  l'approvate;  io  questo  sol  v'aggiun- 
go [go  : 

Se  ben  raccolgo  le  discordie  e  l'onte 
Quasi  a  prova  da  voi  fatte  e  patite, 
I  ritrosi  pareri,  e  le  non  pronte 
E  in  mezzo  a  l'eseguire  opre  impedite; 
Reco  ad  un'altra  originaria  fonte 
La  cagioii  d'ogni  indugio  e  d'ogni  lite: 
A  quella  autorità,  che,  in  molti  e  vari 
D'opinion,  quasi  librata,  è  pari. 
31 

Ove  un  sol  non  impera,  onde  i  giudici 
Pendano  poi  de'premi  e  de  le  pene, 
Onde  sian  compartite  opre  ed  ulìici, 
Ivi  errante  il  governo  esser  conviene. 
Deh!  fate  un  corpo  sol  de'  membri  amici  ; 


ci.  In  Gugliel.  Tir.  ha  spesse  estasi  e  rive- 
lazioni, ed  ancora  nella  Gerusal.  è  l' ispirato 
da  Dio.  Gugl.  Tir.  1 11,  ne  fa  questo  ritratto: 
«Erat....  statura  pusillus  et,  quantum  ad 
exteriorem  hominem,  persona  coutempti- 
bilis:  sed  raaior  in  exiguo  regnabat  corpore 
virtus.  Vivacis  enim  ingenii  erat,  et  oculum 
habens  perspicacem,  gratumque  et  sponte 
fluens  ei  uon  deerat  eloquium  ». 

30,  5.  altra:  Os.  alta.  L'Abate  Colombo 
(Gerusal.,  Firenze,  Molini,  1823i,  dà  per  «si- 
curamente erronea  »  la  lezione  altra.  «Af- 
finché potesse  avervi  luogo,  egli  dice,  con- 
verrebbe che  si  fosse  parlato  prima  di  qual- 
che cagione  la  quale  avesse  fatto  differire 
l'impresa  »  ;  e  porta  il  sussidio  di  altre  buo- 
ne stampe  che  leggono  alta;  a  cui  si  po- 
trebbe aggiungere  l'autorità  di  due  codici 
(cfr.  Gerus.,  Lodi,  1S26).  Tuttavia  credo  si 
possa  difendere  pure  altra,  se  non  prefe- 
rire. Si  ricordi  che  l'Eremita  risponde  alla 
parlata  di  Goffredo,  nella  quale  (massime 
alla  st.  25»  par  che  la  causa  del  poco  pro- 
fitto dell'impresa  sia  attribuita  bellamente 
al  desiderio  dei  cristiani  di  procurarsi  regni 
in  Siria  senza  pensare  a  Dio  (come  già  Bal- 
dovino e  Boemondo);  e  perciò  può  benissi- 
mo l'Eremita  contrappore  a  Goffredo,  che 
la  causa  (la  fonte)  d'ogni  male  non  è  tanto 
la  cupidigia  del  regno,  quanto  un'altra. 

81,  1-4.  Conquistata'.  <•  Regno  o  imperio 
partito  e  quasi  sparso  Fra  molti,  non  è  buon 
non  è  costante;  Non  è  pronto  a  l' imprese, 
al  premio  è  scarso;  Lodato  è  quel  eh'  un 
solo  ha  posto  avante  ».  A  proposito  di  que- 
sti versi  il  T.  cita  nel  Giucliz.  sovr.  la  Ri- 
forni.  Omero:  «Non  bonus  multorum  prin- 
cipatus:  unus  priuceps  sit,  uiius  rex  ».  — 
4.  errante:  inco.^tante.  —  5-6.  fate  un  cor- 
po.... Fate  un  capo:  Formate  un  corpo.  Elcg- 


Fate  un  capo,  che  gli  altri  indrizzi  e  freue: 
Date  ad  un  sol  lo  scettro  e  la  possanza, 
E  sostenga  di  re  vece  e  sembianza. 

32  [petti 

Qui  tacque  il  veglio.  Or  quai  pensier,  qua! 
Son  chiusi  a  te,  Sant'Aura  e  divo  Ardore? 
Inspiri  tu  de  l'Eremita  i  detti, 
E  tu  grimjirimi  a  i  cavalier  uel  core; 
Sgombri  gl'inserti,  anzi  gl'innati  affetti 
Di  sovrastar,  di  libertà,  d'onore: 
Si  che  Guglielmo  e  Guelfo,  i  più  sublimi, 
Chiamar  Goffredo  per  lo  duce  i  primi. 

33 
L'approvar  gli  altri:  esser  sue  parti  dén- 
Deliberare  e  comandar  altrui.  [no 

i  Imponga  ai  vinti  legge  egli  a  suo  senno; 
\  Porti  la  guerra,  e  quando  vuole,  e  a  cui: 
I  Gli  altri,  già  pari,  ubbidienti  al  cenno 
I  Siano  or  ministri  de  gl'imperii  sui. 
j  Concluso  ciò,  fama  ne  vola;  e  grande 
j  Per  le  lingue  de  gli  uomini  ai  spande. 
!  34 

i    Ei  si  mostra  a  i  soldati  :  e  ben  lor  pare 
;  Degno  de  l'alto  grado  ove  l'han  posto: 
E  riceve  i  saluti  e  '1  militare 
Applauso,  in  vólto  placido  e  composto. 
Poi  ch*a  le  dimostranze  umili  e  care 
;  iVamor,  d'ubbidienza  ebbe  risposto, 
Impon  che'l  di  segueiiteinungrancampo 
Tutto  sì  mostri  a  lui  schierato  il  campo. 

35 
Facea  ne  Toriente  il  sol  ritorno, 
Sereno  e  luminoso  oltre  l'u.^ato. 
Quando  co' raggi  usci  del  novo  giorno 
Sotto  l'insegne  ogni  guerriero  armato, 
E  si  mostrò  quanto  potè  più  adorno 
Al  pio  Buglion,  girando  il  largo  prato. 
S'era  egli  fermo,  e  si  vedea  davanti 
Passar  distinti  i  cavalieri  e  i  fanti. 

36 
Mente,  de  gli  anni  e  de  l'oblio  nemica, 
De  le  cose  custode  e  dispensiera. 


;  gete  un  capo.  —  Uno  dei  principali  difetti 
del  Nostro  par  esser  quello  di  ripetere  spesso 
e  volentieri  la  stessa  parola,  ma  variandone 
il  significato;  dando  luogo  a  giuochi  di  pa- 
rola e  producendo  oscurità.  —  8.  sostenga 
di  re  vece:  faccia  le  veci,  abbia  l'ulhcio  di 
re.    —   e    sembianza:    di   re   abbia    ancora 

!  l'aspetto,  l'apparenza  esterna. 

32,  5.  inserti  :  inseriti,  figurai.:  innestati 

i  quisi.  —  7.  Gaglielmo  e  Guelfo,  i  pia  subli- 
mi: Guglielmo  e  Guelfo,  i  più  ragguardevoli 
per  la  dignità  e  nobiltà  del  sangue,  essendo 

j  il  primo,  figliuolo  del  re  d'Inghilterra  (cfr. 
st.  44,  4);  l'altro  del  Marchese  d'Este  e  di 

!  Gunizza  (cfr.  st.  10,  8  e  41,  1). 

j       34,  4.  pi r.cido:  affabile,  né  insuperbito  del 

I  nuovo  altissimo  onore. 

I       Sj,  1.  Mente  ecc.:  Invoca  la  memoria,  co- 


CANTO  I 


9 


Vagliami  tua  ragion,  si  ch'io  ridica 
Di  quel  campo  ogni  duce  ed  ogni  scliiera: 
Suoni  e  risplenda  la  lor  fama  antica, 
Fatta  da  gli  anni  ornai  tacita  e  nera; 
Tolto  da' tuoi  tesori,  orni  mia  lingua 
Ciò  ch'ascolti  ogni  età,  nulla  l'estingua. 
37 

Prima  i  Franchi  mostrarsi:  il  duce  loro 
Ugone  esser  solea,  del  re  fratello. 
Ne  l'isola  di  Francia  eletti  fòro. 
Fra  quattro  fiumi  ampio  paese  e  bello. 
Poscia  che  Ugon  mori,  de' gigli  d'oro 
Segui  l'usata  insegna  il  fier  drappello 
Sotto  Clotàreo,  capitano  egregio, 
A  cui,  se  nulla  manca,  è  il  nome  regio. 
38 

Mille  8on  di  gravissima  armatura; 
Sono  altrettanti  i  cavalier  seguenti, 
Di  disciplina  a  i  primi  e  di  natura 
E  d'arme  e  di  sembianza  indifferenti; 
Normandi  tutti:  e  gli  ha  Roberto  in  'ura, 


me  Dante, /n/".  Il  8:  «O  mente  che  scrivesti 
ciò  ch'io  vidi,  Qui  si  parrà  la  tua  nobilita- 
te». Al  Galilei  tutta  la  strofa  parve  fiacca 
e  indeterminata;  certo  non  è  facile  la  chiusa 
'7-8),  che  va  spiegata:  Mia  lingua  adorni  e 
nulla  possa  far  dimenticare  quanto,  tolto 
da'  tuoi  tesori,  deve  ascoltarsi  da  ogni  età. 
Ma  il  nulla  potrebbe  forse  anche  intendersi 
per  aggettivo  [nessuna]  riferentesi  a  età. 
~  3.  ragion:  Os.  virtù.  11  Galilei  spiegò  ra- 
gione  corno,  aiuto,  favore:  ma  la  sostituzione 
virtù  mostra  che  il  T.  voleva  che  avesse  il 
senso  di  valore^  potenza. 

37.  Rassegna.  Il  Tasso  (Giudiz.  sovr.  la 
Riforìn.)  avverte  che  «  è  convenevole  che  i 
nomi  dei  principali  cavalieri  o  re  siano  o 

'veri  illustri,  o  per  fama  conosciuti  ».  —  2. 
Ugone:  detto  Magno:  «  vir  illustris  (scrive 
Gugl.  Tir.)  Domini  Pliilippi  Francorum  re- 
gis  frater  ».  —  soleji  :  Adopera  il  passato, 
facendolo  già  morto.  Ter  la  dignità  de'  cro- 
ciati \\  T.  si  distaccò  in  questo  da  Gugl, 
Tir.  (vii  1)  il  quale  racconta  che,  mandato 
ambasciatore  a  Costantinopoli,  con  grande 
scandalo  del  campo  più  non  ritornò:  «Fuit 

-  aggiunge  -  in  eo  delictum  tanto  notabi- 
lius,  quanto  ipse  genere  erat  praeclarior». 

—  3.  Isola  di  Francia  [lle-de-France\  il  paese 
chiuso  tra  i  fiumi  senna,  Marna,  Oise,  ed 
Aisne.  —  5.  gigli  d'oro:  stemma  dei  Ca- 
peti.  —  8.  se  nulla:  se  qualcosa.  —  nome: 
Os.  sangue. 

38,  4.  indifferenti:  non  differenti,  eguali; 
come  nell'Ariosto,  Or;,  xxiii.  111:  «Rimase 
al  fin  cogli  occhi  e  con  la  mente  1-issi  nel 
sasso,  al  sasso  indifferente  >►.  —  5.  Roberto, 
detto  Courteheuze  (coscia  corta).,  primoge- 
nito di  quel  Guglielmo  che  per  aver  con- 
quistata l'Inghilterra  fu  detto  il  Conqui- 
«ta^ore,  fu  duca  di  Normandia  ed  impegnò 


Che  principe  nativo  è  de  le  genti. 
Poi  duo  pastor  do'popoli  spiegare 
Le  squadre  lor,  Guglielmo  ed  Ademaro. 
39 

L'uno  e  l'altro  di  lor,  che  ne'  divini 
Ufficii  già  trattò  pio  ministero, 
Sotto  l'elmo  premendo  i  lunghi  crini, 
Esercita  de  l'arme  or  l'uso  fero. 
Da  la  città  d'Urange  e  da  i  confini 
Quattrocento  guerrier  scelse  il  primiero; 
Ma  guida  quei  di  Poggio  in  guerra  l'altro, 
Numero  egua!,  né  men  ne  l'arme  scaltro. 
40 

Baldovin  poscia  in  mostra  addur  si  vede 
Co' Bolognesi  suoi  quei  del  germano. 
Che  le  sue  genti  il  pio  fratel  gli  cede 
Or  ch'ei  de'  capitani  è  capitano. 
Il  conte  di  Carnuti  indi  succede. 
Potente  di  consiglio  e  prò'  di  mano: 
Van  con  lui  quattrocento;  e  triplicati 
Conduce  Baldovino  in  sella  armati. 
41 

Occupa  Guelfo  il  campo  a  lor  vicino, 
Uom  ch'a  l'alta  fortuna  agguaglia  il  mer- 
Conta  costui  per  genitor  latino  [to: 

Degli  avi  Estensi  un  lungo  ordine  e  certo; 
Ma,  german  di  cognome  e  di  domino, 
Ne  la  gran  casa  de'  Guelfoni  è  inserto: 
Regge  Carintia,  e  presso  l'istro  e'I  Reno 
Ciò  che  i  prischi  Suevi  e  i  Reti  avièno. 


le  sue  terre  per  servire  in  questa  impresa. 
—  8.  Guglielmo  (cfr.  la  st.  seg.),  era  vescovo 
di  Grange,  e  Ademaro,  di  Poggio  (Puy).  Fu- 
rono i  due  primi  che  al  concilio  di  Chiara- 
monte  supplicarono  ilpapadi  essere  crociati. 

39,  3.  1  lunghi  crini:  secondo  l'uso  dei 
Franchi  di  portare  i  capelli  lunghi. 

40,  1.  Baldovin:  cfr.  st.  9,  1.  —  2.  Bolo- 
gnesi: di  Boulogne-sur-mer  in  Piccardia,  di 
cui  Baldovino  era  duca.  —  5.  conte  di  Car- 
nuti: Os.  de' Carnuti.  Stefano  conte  del 
paese  di  Chartres  di  lUois  e  di  tante  ca- 
stella che  si  diceva  che  il  loro  numero  ag- 
guagliasse i  giorni  dell'anno.  Secondo  la 
storia  non  dovrebbe  esser  qui,  perché  è 
detto  (Gugl.  Tir.  v  10)  che  sotto  Antiochia 
lasciò  i  Cristiani  e  tornò  a  dietro.  Ritornò, 
è  vero,  in  Terra  Santa,  ma  dopo  la  presa 
di  Gerusalemme.  Cfr.  st.  62.  —  7.  triplicati: 
Baìdoviuo  conduce  guerrieri  a  cavallo  che, 
in  numero,  sono  tre  volte  quelli  condotti  da 
Stefano.  Costrutto  poco  bello  e  poco  chiaro. 

41,  1.  Guelfo:  Cfr.  st.  10,  8  nota.  Intendi  : 
Costui  fu  per  parte  del  padre  (Azzo  II  d'E- 
ste),  italiano  (latino);  e  conta  un  lungo  or- 
dine e  certo  di  avi  estensi:  ma  di  cognome, 
poiché  fu  chiamato  Guelfo,  e  di  dominio, 
poiché  ebbe  signoria  su  Svezia  Carinzia  e 
Rezia,  fu  germano:  e  cognome  e  dominio 
(st.  42)  ebbe  dalla  madre.  —  8.  nTlèno:  for- 


10 


GERUSALEMME  LIBERATA 


A  questo,  che  reH^gìo  era  materno, 
Acquisti  ei  giunse  gloriosi  e  grandi. 
Quindi  gente  traea  che  prende  a  scherno 
D'andar  contra  la  morte,  ov'ei  comandi; 
Usa  a  temprar  ne' caldi  alberghi  il  verno, 
E  celebrar  con  lieti  inviti  i  prandi. 
Fur  cinquemila  a  la  partenza;  e  a  pena 
(De' Persi  avanzo)  il  tf  rzo  or  qui  ne  me- 
43  [na. 

Seguia  la  gente  poi  candida  e  bionda, 
Che  tra  i  Franchi  e  i  Germani  e'I  mar  si 

[giace, 
Ove  la  Mosa  ed  ove  il  Reno  inonda. 
Terra  di  biade  e  d'animai  ferace  : 
E  gl'insulani  lor,  che  d'alta  sponda 
Riparo  fansi  a  l'oceàn  vorace: 
L'ocean,  che  non  pur  le  merci  e  i  legni. 
Ma  intere  inghiotte  le  cittadi  e  i  regni. 
44 

Gli  nni  e  gli  altri  son  mille,  e  tutti  vanno 
Sotto  un  altro  Roberto  insieme  a  stuolo. 
Maggior  alquanto  è  lo  squadron  Britan- 

[no; 
Guglielmo  il  regge,  al  re  minor  figliuolo. 
Sono  gl'Inglesi  sagittarii,  ed  hanno 
Gente  con  lor  ch'è  più  vicina  al  polo: 
Questi  da  l'alte  selve  irsuti  manda 
La  divisa  dal  mondo  ultima  Irlanda. 


45 
Vien poi  Tancredi;  e  non  è  alcun  fra  tanti 
^Tranne  Rinaldo)  o  feritor  maggiore, 
0  più  bel  di  maniere  e  di  sembianti, 

0  più  eccelso  ed  intrepido  di  core. 
S'alcun'ombra  di  colpa  i  suoi  gran  vnnti 
Rende  men  chiari,  è  sol  follia  d'amore; 
Nato  fra  l'arme,  amor  di  breve  vista. 
Che  si  nutre  d'affanni,  e  forza  acquista. 

46 
E  fama  che  quel  di  che  glorioso 
Fé' la  rotta  de' Persi  il  popol  Franco, 
Poi  che  Tancredi  al  fin  vittorioso 

1  fuggitivi  di  seguir  fu  stanco, 
Cercò  di  refrigerio  e  di  riposo 

A  Tarse  labbia,  al  travagliato  fianco, 
E  trasse  ove  invitollo  al  rezzo  estivo 
Cinto  di  verdi  seggi  un  fonte  vivo. 
47 

Quivi  a  lui  d'improviso  una  donzella 
Tutta,  fuor  che  la  fronte,  armata  apparse: 
Era  pagana,  e  là  venuta  anch'ella 
Per  l'istessa  cagion  di  ristorarse. 
Egli  mirolla,  ed  ammirò  la  bella         [se. 
Sembianza,ed'essa  si  compiacque, en'ar- 
Oh  maraviglia!  Amor,  ch'a  pena  è  nato. 
Già  grande  vola,  e  già  trionfa  armato. 
48 

Ella  d'elmo  coprissi;  e,  se  non  era 
Ch'altri  quivi  arrivar,  ben  l'assaliva. 
Parti  dal  vinto  suo  la  donna  altera, 


ma  poetica  dell'imperfetto  indicativo:  per 
aviano,  aveano. 

42,  2.  Acq.  ei  g.  :  aggiunse  la  Baviera. — 
3.  Qaindi  gente  traea  ecc.:  Lucano,  Phars.^ 
I  158:  «  populi  quos  despicit  Arctos,  Felices 
errore  suo,  quos  ille  timorum  Maxinius, 
haud  urget  leti  metus  :  inde  ruendi  In  fer- 
rum  mens  prona  viris.  animaeque  capaces 
Mortis  ». 

43.  1.  la  gente  ecc.:  fiamminghi  ed  olan- 
desi: IJirag):  •  Descrive  le  Fiandre  insieme 
con  la  Brabantia  e  l'isole  di  Zelanda  ed 
Olanda  da'  suoi  confini  ».  —  8.  inghiotte.  Al- 
lude a  quanto  raccontano  gli  storici  antichi 
di  isole  in:,^hiottite  dal  mare;  come  della 
Fiandra  r.i^couta  Plinio. 

44,2.  Roberto:  Roberto  II  conte  di  Fian- 
dra, ficrlio  di  Roberto  il  Frisone.  I  saraceni 
per  la  sua  Dravura  lo  credettero  S.  Giorgio 
(e  cosi  lo  soprannominarono)  disceso  a  di- 
fendere i  cristiani.  Tornato,  dopo  la  presa 
di  Costantinopoli,  in  patria,  mori  in  séguito 
a  una  caduta  da  cavallo.  —  4.  Gnglieimo: 
I  commentatori  avvertono  che  la  storia 
non  conosce  questo  Guglielmo,  che  dovreb- 
be essere  stato  figlio  d^  Guglielmo  II  il 
Rosso.  Ma  il  T.  segue  Gugl.  Tirio  che  lo 
annovera  (i  IT)  fra  i  crociati.  —  8.  virg., 
Ed.  I  07:  -  Et  penitus  tote  divisos  orbe  Bri- 
tannos  ». 


45,  1.  Tancredi  :  Gfr.  st,  9,  3,  nota.  Sugli 
amori  di  lui  il  T.  scrive  [Leu.  60):  «Né  mi- 
nor occasione  mi  viene  offerta  da  gli  sto-, 
ricidi  vagar  ne  gli  amori:  perch' è  scritto 
che  Tancredi,  che  fu  per  altro  cavaliere  di 
somma  bontà  e  di  gran  valore,  fu  nondi- 
meno molto  incontinente....  ».  —  7.  amor 
di  breve  rista.  Il  Galilei  interpretò  amore 
di  vista  corta,  e  ne  rise;    ma  certo  deve 

1  intendersi:  Amore  nato  in  quel  breve  tempO: 
in  che  Tancredi  potè  vedere  Clorinda  al 
fonte,  come  si  narra  qui  sotto. 

46,  1.  È  fama:  Birago  :  «Intende  della 
vittoria,  avuta  da  suo  zio,  di  Carbone  ca- 
pitano del  re  di  Persia,  il  quale  fatto  un 
possente    esercito    andava   per  soccorrere. 

;  Antiochia».  —  ?,  rezzo:  fresco  proveniente 

I  dall'ombre;  Ariosto,  Cinq.  Cjint.  ilo:  «  La 

I  cui  belPoralira  al  sol  si  i  raggi  toUe  Che  al 

mezzodì  dal  rezzo  è  il  calor  vinto  ». 

47,  1,  donzella:  Clorinda.  —  7-S.  NeirA-. 
minta:  u,  se.  2:  Tirsi:  «Amor  nascente  ha 
corte  l'ali;  a  pena  Può  su  tenerle  e  non  le 

I  spiega  a  volo.  Dafne:  Pur   non   s'accorge 
!  l'uom  quando  egli  nasce,  E  quand'uom  se 
i  n'accorge  è  grande  e  vola  ». 
I       48,  3.  Tinto  suo  :  cioè,  soggiogato  da  lei 
I  per  forza  d'amore. 


CANTO  I 


11 


Ch'è  per  necessità  sol  fuggitiva; 
Ma  l'imagine  sua  bella  e  guerriera 
Tal  ei  serbò  nel  cor,  qual  essa  è  viva; 
E  sempre  ha  nel  pensiero  e  l'atto  e'I  loco 
In  che  la  vide,  ésca  continua  al  foco. 
49 

E  ben  nel  vólto  suo  la  gente  accorta 
Legger  potria:  Questi  arde,  e  fuor  di  spe- 
Cosi  vien  sospiroso,  e  cosi  porta         ne; 
Basse  le  ciglia  e  di  mestizia  piene. 
Gli  ottocento  a  cavallo,  a  cui  fa  scorta, 
Lasciar  le  piagge  di  Campagna  amene, 
Pompa  maggior  de  la  natura,  e  i  colli 
Che  vagheggia  il  Tirren  fertili  e  molli. 
50 

Venian  dietro  ducente  in  Grecia  nati, 
Che  son  quasi  di  ferro  in  tutto  scarchi: 
Pendon  spade  ritorte  a  l'un  de'lati; 
Suonano  al  tergo  lor  faretre  ed  archi; 
Asciutti  hanno  i  cavalli,  al  córso  usati, 
A  la  fatica  invitti,  al  cibo  parchi: 
Ne  l'assalir  son  pronti  e  nel  ritrarsi, 
E  combatton  fuggendo  erranti  e  sparsi. 
51 

Latin  regge  la  schiera,  e  sol  fu  questi 
Che,  greco,  accompagnò  l'arme  latine. 
Oh  vergogna!  oh  misfatto!  or  non  avesti 


49,  1-2.  Petrarca,  son.  Solo  e  pensoso: 
«  negli  atti  d'  allegrezza  spenti  Di  fuor  si 
legge  com'io  dentro  avvampi»,  e  ancora, 
canz.  Di  pensier  in  pens.  12:  «  Onde  alla 
vista  uom  di  tal  vita  esperto  Dirla:  questi 
arde,  e  di  suo  stato  è  incerto  ».  —  7.  Pompa. 
Gli  antichi  chiamarono  la  Campania  «  cer- 
tamen  Liberi  et  Cereris  ». 

61,  1.  Latin  :  cosi  leggono  le  stampe  del 
BoN.,  e  cosi  scrive  il  P.  nella  Lett.  39;  ma 
Os.  e  CoNQ.  Tatin,  d'accordo  con  due  ms. 
(cfr.  le  varianti  lezioni  nella  stampa  della 
Gerusalemme,  Lodi,  1826):  la  pregevole 
stampa  del  Viotto,  ISSI,  in  4.»,  ha  pure  La- 
tin, ma  ivi  r.Angeli  crede  dovere  annotare: 
«  Tatino  era  prima  scritto,  e  molto  meglio, 
non  tanto  per  essere  stato  il  di  lui  nome 
proprio,  quanto  perché  sendo  greco,  gli 
conveniva  più  quel  nome  greco  che  questo 
latino  »  :  Ougl.  Tir.  ed  altri  storici:  Tani- 
nus  e.  Tantinus.  —  ¥\i  dato  come  guida  ai 
cristiani  da  Alessio  imperatore,  più  per 
ispiarne  gli  umori  e  i  fatti  che  per  altro. 
«  Adiunxerat  (scrive  il  Tirio,  n  23)  se  etiam 
nostrorum  castris  quidam  Graecus  Taninus 
nomine,  Imperatori  familiaris  adraodum, 
vir  nequam  et  perfidus,  nares  habens  mu- 
tilas  in  signum  mentis  perversae.  Hic  ex 
imperiali  iussione  nostris  ducem  viae  ad 
maiorem  cautelam  postulantibus,  designa- 
tus  fucrat  dux  itineris  et  comes  futurus  ». 
—  schiera:  BoN.2,  Conq.  e  Os.:  ma  Bon.i 
squadra. 


Tu,  Grecia,  quelle  guerre  a  te  vicine? 
E  pur  quasi  a  spettacolo  sedesti,  , 
Lenta  aspettando  de'grand'atti  il  fine. 
Or,  se  tu  se' vii  serva,  è  il  tuo  servaggio 
(Non  ti  lagnar)  giustizia  e  non  oltraggio. 
52 

Squadra  d'ordin  estrema  ecco  vien  poi 
Ma  d'onor  prima  e  di  valore  e  d'arte. 
Son  qui  gli  Avventurieri,  invitti  eroi, 
Terror  de  l'Asia  e  folgori  di  Marte. 
Taccia  Argo  i  Mini,  e  taccia  Artù  que'suoi 
Erranti,  che  di  sogni  empion  le  carte; 
Ch'ogni  antica  memoria  appo  costoro 
Perde:  or  qual  duce  fla  degno  di  loro? 
53 

Dudon  di  Consa  è  il  duce;  e,perché  duro 
Fu  il  giudicar  di  sangue  e  di  virtute. 
Gii  altri  sopporsi  a  lui  concordi  furo, 
Cli'avea  più  cose  fatte  e  più  vedute. 
Ei  di  virilità  grave  e  maturo, 
Mostra  in  fresco  vigor  chiome  canute; 
Mostra,  quasi  d'onor  vestigi  degni. 
Di  non  brutte  ferite  impressi  segni. 
54 

Eustazio  è  poi  fra' primi;  e i propri  pregi 
Illustre  il  fanno,  e  più  il  fratel  Buglione. 
Gernando  v'è,  nato  di  re  norvegi, 
Che  scettri  vanta  e  titoli  e  corone. 
Ruggier  di  Balnavilla  in  fra  gli  egregi 


62,  5.  Argo:  Il  costruttore  della  nave  di 
tal  nome  in  cui  i  tessali  (detti  Mini  da  Mi- 
nia parte  della  Tessaglia)  passarono  alla 
conquista  del  vello  d'oro.  —  Artii:  principe 
inglese  del  vi  secolo:  è  l'eroe  principale 
dei  romanzi  cavallereschi  della  Tavola  Ro- 
tonda. —  6.  di  sogni:  Petrarca,  Tr.  Am.  iii 
79.  -  Ecco  quei  che  le  carte  empion  di  sogni, 
Lancillotto  e  Tristano  e  gli  altri  erranti  ». 
—  8.  Perde:  è  vinta:  Petrarca,  Di  pensier 
in  pens.  44  :  *  Avria  ben  detto  che  sua 
figlia  perde  Come  stella  che '1  sol  copre  col 
raggio  ». 

63,  L  Dudon  di  Consa:  Il  Tasso  di  lui  dice 
{Leu.  21):  «fu  un  gran  cavaliero  che  vera- 
mente fu  a  quella  impresa  ».  —  Consa:  Contz, 
città  nel  paese  di  Treves  presso  al  con- 
fluente della  Sar  e  della  Mosella  —  duro, 
difficile.  —  3.  sopporsi  :  sottoporsi,  come 
alla  st.  16,  8.  Intendi:  gli  altri  furono  con- 
cordi nel  sottoporsi  a  lui.  —  7-S.  Questi  due 
versi  furono  cosi  rifatti  nella  Conquistata 
(I  74):  «  E  di  belle  ferite  i  segni  impressi 
Sono  dei  suo  valor  vestigi  espressi  ».  Meglio. 

64, 1.  Eustazio:  cfr.  st.  9,  la  nota  al  vers.  1. 
Minor  fratello  di  GolTredo  e  Balduino.  Per- 
sonaggio interamente  trasformato  dal  Tas- 
so; com<^  abbiam  notato  di  Tancredi.  —  3. 
Gernando:  personaggio  d'invenzione.  —  4. 
vanta:  Novara:  .Nel  senso  ùqW  iactare 
latino  ».  —  5.  Ruggier  di  Dalnarilla  :   ricor- 


12 


GERUSALEMME  LIBERATA 


La  vecchia  fama,  ed  Ergerlan  ripone; 
E  celebrati  son  fra  i  più  o^agliardi       [di. 
Un  Gentonio, un  Rarabaldo, e  duo  Gherar- 
55 

Son  fra' lodati  Ubaldo  anco,  e  Rosmondo 
Del  gran  ducato  di  Lineastro  erede: 
Non  fia  ch'Obizo  il  Tòsco  aggravi  al  fondo 
Chi  fa  de  le  memorie  avare  prede: 
Né  i  tre  frati  lombardi  al  chiaro  mondo 
Involi,  Achille,  Sforza  e  Palamede: 
0  '1  forte  Otton,  che  conquistò  lo  scudo 
In  cui  da  l'angue  esce  il  fanciullo  ignudo. 
5o 

Né  Guasco  né  Ridolfo  a  dietro  lasso, 
Né  l'un  né  l'altro  Guido,  ambo  famosi: 
Non  Eberardo  e  non  Gernier  trapasso 
Sotto  silenzio  ingratamente  ascosi. 
Ove  voi  me,  di  numerar. già  lasso, 
Gildippe  ed  Odoardo,  amanti  e  sposi, 
Rapite?  0  ne  la  guerra  anco  consorti. 
Non  sarete  disgiunti  ancor  che  morti! 
57 

Ne  le  scole  d'Amor  che  non  s'apprende? 
Ivi  si  fé*  costei  guerriera  ardita: 
Va  sempre  affissa  al  caro  fianco;  e  pende 
Da  un  fato  solo  l'una  e  l'altra  vita: 
Colpo,  che  ad  un  sol  noccia,  unqua  non 

[scende, 
Ma  indiviso  è  il  dolor  d'ogni  ferita: 
E  spesso  è  l'un  ferito,  e  l'altro  langue; 


dato  da  Gugl.  Tir.,  cap.  17  del  lib.  i,  dove 
si  trovano  molti  degli  eroi  cit.  in  seguito, 
i  quali,  perché  entrano  nella  Gerusal.  poco 
più  che  come  nomi,  non  illustro  maggior- 
mente. 

65.  3.  Obizo  :  Casini:  <  progenitore  dei 
marchesi  Malespina».  —  7.  scudo:  Ottone, 
uno  dei  Visconti  di  Milano,  lo  prese,  in  sin- 
goiar tenzone,  ad  un  saraceno:  diventò  poi 
lo  stemma  della  sua  casa.  —  8,  angue:  *  La 
vipera  che'l  Melanese  accampa»  (Dante, 
Purg.  vili  80>. 

56,  5.  Ore  voi.  Movimento  preso  dal  vi 
dell' Aen.  S45:  «  Quo  fessura  rr.pitis,  Fa- 
bii?  ,.  _  6.  Gildippe  ed  Odoardo:  Tasso 
(Lett.  60):  «È  scritto...  eh' Odoardo,  barone 
inglese,  accompagnato  da  la  moglie  che 
tenerissimamente  l'amava,  passò  a  questa 
impresa,  et  insieme  vi  morirono;  né  sol  la 
moglie  di  costui,  ma  molte  altre  nobili  don- 
ne, in  questo  e  ne  gli  altri  passaggi,  si  tro- 
varono ne  gli  eserciti  cristiani  ». 

&7,  1.  Xe  le  scole  d'Amor  :  Petiarca,  in 
persona  d'Amore,  canz.  Quell'antiquo  mio 
dolc.  119:  *Per  quel  ch'egli  imparò  nella 
mia  scola»;  il  T.,  come  spiega  il  Casini, 
«vuol  dire  che  a  Gildippe  l'amore  dello 
sposo  insegnò  gli  ardimenti  della  vita  mili- 
tare». —  *7.  Le  tre  lìoN.  e  Os.  leggono  Val- 
tro.  11  Solerti  legge  l'altra  seguendo  alcune 


E  versa  l'alma  quel,  se  questa  il  sangue. 

58 
Ma  il  fanciullo  Rinaldo,  e  sovra  questi 
E  sovra  quanti  in  mostra  eran  condutti. 
Dolcemente  feroce  alzar  vedresti 
La  regal  fronte,  e  in  lui  mirar  sol  tutti. 
L'età  precorse  e  la  speranza;  e  presti 
Pareano  i  fior,  quando  n'uscirò  i  frutti: 
Se  '1  miri  fulminar  ne  l'arme  avvolto, 
Marte  lo  stirai;  Amor,  se  scopre  il  vólto. 

59 
Lui  ne  la  riva  d'Adige  produsse 
A  Bertoldo  Sofia,  Sofia  la  bella 
A  Bertoldo  il  possente;  e,  pria  che  fusse 
Tolto  quasi  il  bambin  da  la  mammella, 
Matilda  il  volse,  e  nutricollo,  e  instrusse  1 
Xe  l'arti  regie;  e  sempre  ei  fu  con  ella, 
Sin  ch'invaghì  la  giovenetta  mente 
La  tromba  che  s'udia  da  l'oriente. 

60 
Allor  (né  pur  tre  lustri  avea  forniti) 
Fuggi  soletto,  e  corse  jitrade  ignote; 
Varcò  l'Egeo,  passò  di  Grecia  i  liti 


fonti  non  ottime.  —  8.  E  Tersa  l'alma  ecc.: 
Intendi:  E  l'uno  versa  lacrime  sincere,  la- 
crime, per  dirla  col  Petrarca  che  Valma 
agli  occhi  invia.  —  Bione  neìì'' idillio  sulla 
morte  d  Adone:  «Tante  versa  la  Dea  stille 
di  pianto.  Quante  di  sangue  Adone  ». 

68,  1.  BinalJo  :  cfr.  st.  10,  3.  Essendo  Ber-, 
toldo  figliuolo  di  Azzo  IV  marchese  d'Este, 
viene  cosi  Rinaldo  ad  essere  l'eroe  estense; 
come  più  largamente,  nel  Furioso,  Rug- 
giero. Fin  dal  1576  il  T.  {Lett.  57)  volendo 
fare  più  storico  in  ordine  agli  Estensi  il 
suo  eroe,  pensava  di  intitolare  nel  nome  di 
Rinaldo  quel  Guelfo  che  abbiam  visto,  e  che 
nel  battesimo  ebbe  nome  Rinaldo.  Nella 
Conquistata  tutto  fu  cambiato:  furono  tolte 
via  le  lodi  agli  Estensi,  e  Rinaldo  diventò 
Riccardo  (i  SO  :  «Ei  di  Guglielmo  e  di  Lucia 
primiero  Nacque  ai  Guiscardi  (allor  d'alta 
fortuna)  Dove  il  Tirren  vagheggia  un  colle 
altero,  E  '1  lido  intorno  a  lui  fa  doppia  luna; 
E  l'antica  città  degna  d'impero  Nel  sen  gli 
diede  bella  e  nobil  cuna,  Sovra  gli  scogli 
ove  quel  mar  si  frange.  Che  la  Sirena  an- 
cor sepolta  piange  ».  —  3.  Dolcemente  fe- 
roce :  In  Rinaldo  il  poeta  vede  combinate 
con  felice  mistura  le  doti  del  padre  e  della 
madre  :  forza  e  grazia. 

59,  1.  ne  la  riva  d'Adige:  nella  regione 
bagnata  dall'Adige,  dove  sorge  Este,  culla 
dei  signori  di  Ferrara.  —  2.  Bertoldo:  figlio, 
come  s'è  detto,  di  Azzo  IV.  —  5.  Matilda: 
Casini:  «  la  contessa  Matelda  di  Toscana 
(cfr.  Machiavelli,  Ist.  i  14)  imparentata  agli 
j  Estensi,  per  aver  sposato  Guelfo  di  Eavie- 
I  ra  »  ;  e  cfr.  e.  xvii  77. 


I 


CANTO  I 


13 


Giunse  nel  campo  in  regìon  remote. 
Nobilissima  fuga,  e  che  rimiti 
Ben  degna  alcun  magnanimo  nepote. 
Tre  anni  son  eh' è  in  guerra:  e  intempe- 

[stiva 
Molle  piuma  del  mento  a  pena  usciva. 
61 

Passati  i  cavalieri,  in  mostra  viene 
La  gente  a  {)iede,  ed  è  Raimondo  inanti. 
Reggea  Tolosa,  e  scelse  infra  Pirene 
E  fra  Garonna  e  l'ocean  suoi  fanti. 
Son  quattromila,  e  bene  armati  e  bene 
Instrutti,  usi  al  disagio  e  tolleranti: 
Buona  è  la  gente,  e  non  può  da  più  dotta 
O  da  pili  forte  guida  esser  condotta. 
62 

Ma  cinquemila  Stefano  d'Ambuosa 
E  di  Elesse  e  di  Torsi  in  guerra  adduce. 
Non  è  gente  robusta  o  faticosa, 


*60,  5.  nobilissima  tuga.  ecc.  Questi  versi 
sono  un  complimento  per  Alfonso  II,  che 
fuggi  giovinetto  in  Francia  desideroso  di 
apprendere  gli  esercizi  cavallereschi  e  di 
vivere  in  quella  corte  famosa. 

61,  2.  Raimondo:  Di  Raimondo  IV,  conte 
di  Tolosa,  nobilissimo,  sono  piene  le  storie. 
Combatté  sotto  il  Cid;  e,  premio  del  suo 
valore,  ebbe  in  isposa  una  figlia  di  Alfonso 
il  grande.  Mori  nel  1110.  Il  Tasso  ne  fece  il 
suo  Nestore;  di  lui  scrive  {Lett.  60):  «  Ho 
ben  io  premura  di  scusar  ogni  difetto  de' 
principali,  quanto  l'arte  mi  pare  che  ri- 
chiedesse. Perché  io  fingo  che  la  iattanzia 
e  la  ritrosità  di  Raimondo,  che  fur  vizi 
de  la  sua  natura,  sian  costumi  de-  la  vec- 
chiezza ». 

62,  1-2.  Stefano  d'Ambuosa  E  di  Blesse  e 
di  Torsi:  I  commentatori  non  sanno  racca- 
pezzare chi  sia  questo  Stefano  che  il  P.  fa 
condottiero  dei  crociati  di  Amboise  (Am- 
buosa),  di  Tours  (Torsi  —città,  come  Am- 
boise,  della  Turenna),  e  di  Blois  {Blesse  — 
neirorleanese),  sembrando  loro  che  pigli 
errore  col  fare  due  personaggi  di  quello 
Stefano  che  abbiamo  visto  alla  st.  40.  E  l'er- 
rore vi  è  certo  ;  derivato  nel  T.,  credo,  da 
una  lezione  guasta  di  Gugl.  Tir.  nel  lib.  vi 
10.  Di  (atto,  trovo  nella  stampa  latina  che 

;  io  seguito  del  Tirio  :  «  dominus  Stephanus 
Carnotensium  et  Blesensium   comes  ...    si- 
mulabat  aegritudinem  ecc.  »,  e  in  una  tra- 
duzione italiana  invece:  «  il  conte  dei  Car- 
nuti, e  il  conte  di  Blesse.  .  che  simulavano». 
*  Il  Bonnà  legge  Tours,  ma  noi  abbiamo 
I  seguito  la  lezione  preferita  dal  Solerti,  per- 
i  che  «  il  Tasso  dà  sempre  terminazione  ita- 
I  liana  ai  nomi   stranieri  *    (Cavedoni).  —  3. 
faticosa  veramente  vuol  dire  «  che  apporta 
fatica  •,    ma   qui    «   atta    alla   fatica  ».    — 

I 


Se  ben  tutta  di  ferro  ella  riluce. 
La  terra  molle  lieta  e  dilettosa 
Simili  a  sé  gli  abitator  produce. 
Impeto  fan  ne  le  battaglie  prime, 
Ma  di  legger  poi  langue,  e  si  reprime. 

6.3 
Alcasto  il  terzo  vien,  qual  presso  a  Tebe 
Già  Capaneo,  con  minaccioso  vólto: 
Sei  mila  Elvezii,  audace  e  fera  plebe, 
Da  gli  alpini  castelli  avea  raccolto,   [he, 
Che  '1  ferro  uso  a  far  solchi,  a  franger  gle- 
In  nove  forme  e  in  più  degne  opre  ha  vòlto; 
E  con  la  man,  che  guardò  rozzi  armenti, 
Par  ch'i  regni  sfidar  nulla  paventi. 

GÌ 
Vedi  appresso  spiegar  l'alto  vessillo 
Co  '1  diadema  di  Piero  e  con  le  chiavi. 
Qui  settemila  aduna  il  buon  Camillo 
Pedoni,  d'arme  rilucenti  e  gravi; 
Lieto  ch'a  tanta  impresa  il  ciel  sortillo, 
Ove  rinnovi  il  prisco  ouor  de  gli  avi, 
0  mostri  al  men  ch'a  la  virtù  latina 
0  nulla  manca,  o  sol  la  disciplina. 

65 
Ma  già  tutte  le  squadre  eran  con  bella 
Mostra  passate,  e  l'ultima  fu  questa; 
Quando  Goffredo  i  maggior  duci  appella, 
E  la  sua  mente  a  lor  fa  manifesta: 
Come  appaia  diman  l'alba  novella 
Vo'che  l'oste  s'invii  leggiera  e  presta, 
Si  ch'ella  ginn</a  a  la  città  sacrata, 
Quanto  è  possibil  più  meno  aspettata. 

66 
Preparatevi  dunque  ed  al  viaggio 
Ed  alla  pugna  e  a  la  vittoria  ancora. 
Questo  ardito  parlar  d'uom  cosi  saggio 


5.  terra:  la  Turenna  e  l'Orleanese,  come  so- 
pra ho  dichiarato.  —  7-8.  fan,  lanarnc,  repri- 
me: dissonanza  di  verbi  giustificata  dal 
dipendere  tutti  dal  collettivo  pente. 

63,  2.  Capaneo:  mentre  assaliva  Tebe,  fu 
da  Giove,  per  la  sua  superbia,  fulminato. 
Dante,  Inr.  xiv  68:  «quel  fu  l'un  de' sette 
regi  Ch'assiser  Tebe,  ed  ebbe  e  par  ch'egli 
abbia  Dio  in  disdegno;  e  poco  par  che'! 
pregi»  —  5.  Che '1  ferro:  Virg.,  Georg,  i 
508:  «Et  curvao  rigiduni  falces  confiantur 
in  ensem  ».  —  7.  guardò:  custodi.  —  8.  regni: 
CONQ.  e  Os.  regi. 

64,2.  le  chiari:  stemma  dello  stato  pon- 
tificio. —  3.  Camillo:  nella  Conquist.  il  P. 
lo  fa  di  casa  Orsina.  Personaggio  di  f:\nta- 
sia.  —  5.  Petrarca,  Tr.  Farri,  i  61  :  «  l'erché 
a  si  alto  grado  il  ciel  sortillo  »,  e  Dante, 
Par.  XI  109:  «  Quando  a  colui  che  a  tanto 
ben  sortillo  ». 

66,  6.  leggiera:  Vi  è  l'idea  della  mol- 
lezza per  la  quale  si  fa  poco  rumore. 


14 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Sollecita  ciascuno  e  l'avvalora. 
Tutti  d'andar  son  pronti  al  nuovo  raggio 
E  impazienti  in  aspettar  l'aurora. 
Ma'!  provido  Buglion  senza  ogni  téma 
Non  è  però,  benché  nel  cor  la  prema. 
67 

Perch'egli  avea  certe  novelle  intese, 
Che  s'è  d'Egitto  il  re  già  posto  in  via 
In  verso  Gaza,  bello  e  forte  arnese 
Da  fronteggiare  i  regni  di  Scria: 
Né  creder  può  che  l'uomo  a  fere  imprese 
Avvezzo  sempre,  or  lento  in  ozio  stia: 
Ma  d'averlo  aspettando  aspro  nemico, 
Parla  al  fedel  suo  messaggiero  Enrico: 
68 

Sovra  una  lieve  saettia  tragitto 
Vo'  che  tu  faccia  ne  la  greca  terra. 
Ivi  giunger  dovea  (cosi  mi  ha  scritto 
Chi  mai  per  uso  in  avvisar  non  erra) 
Un  giovene  regal,  d'animo  invitto,      'ra: 
Che  a  farsi  vien  nostro  compagno  in  guer- 
Prence  è  de'Dani,  e  mena  un  grande  stuolo 
Sin  da  i  paesi  sottoposti  al  polo. 
69 

Ma  perché  '1  greco  imperator  fallace 
Seco  forse  userà  le  solite  arti, 
Per  far  che  o  torni  in  dietro,  o'i  corso  auda- 
Torca  in  altre  da  noi  lontane  parti;       [ce 
Tu,  nunzio  mio,  tu,  consiglier  verace, 
In  mio  nome  il  disponi  a  ciò  che  parti 
Nostro  e  suo  bene;  e  di' che  tosto  vegna, 
Che  di  lui  fora  ogni  tardanza  indegna. 


6C,  4.  aTTalora:  lat.  :  virtutem  addii; 
Dante,  Par.  x  93:  «La  bella  donna  che  al 
ciel  t'avvalora».  —8.  prema:  comprima, 
Virg.,  Aen.  i  209  :  «  premit  altum  corde  do- 
lorera  ». 

67,  2.  re:  cfr.  e.  xvii  2.  —  3.  Gaza:  città 
di  Palestina.  Il  P.  (Lett.  28)  avverte  che  era 
vero  che  Gaza  fosse  frontiera  del  Calififo  : 
cfr.  ancora  e.  xvii  1.  —  arnese  ecc.:  stru- 
mento. Dante,  Inf.  xx  70:  «Siede  Peschie- 
ra, bello  e  forte  arnese  Da  fronteggiar  Bre- 
sciani e  Bergamaschi  ».  E  si  avverta  che 
arnese  si  disse  ancora  dell'  armatura  di 
ferro  strumento  di  difesa.  —  5.  l'uomo:  il 
re  d'Egitto.  —  7.  Ma  d'arerlo  ecc.:  Ma  mentre 
aspetta  che  gli  arrivi  sopra  nemico,  intanto 
dà  gli  ordini  ad  Enrico  che  sono  espressi 
nella  st.  seg.  —  Il  P.  adopera  parla  per  dà 
ordini  a  fine  di  mostrare  la  forma  amiche- 
vole con  che  Goffredo  s'intrattiene  col  suo 
fedele  messaggiero. 

68,  ].  saettia:  specie  di  nave  velocissima. 
—  4.  Chi  :  tale  persona  che.  —  5.  jiovene 
regal:  Sveno,  cfr.  e.  viii  2  e  segg. 

69,  1.  '1  greco  ecc.:  Alessio  I  Comneno, 
imperatore  della  Grecia  dal  1081  al  1118. — 
6.  parti  ecc.:  pare  a  te  il  nostro  e  il  suo 
bene. 


70 

Non  venir  seco  tu,  ma  resta  appresso 
Al  re  de"  Greci  a  procurar  l'aiuto, 
Che  già  più  d'una  volta  a  noi  promesso, 
E  per  ragion  di  patto  anco  è  dovuto. 
Cosi  parla  e  l'informa:  e  poi  che'l  messo 
Le  lettre  ha  di  credenza  e  di  saluto, 
Toglie,  affrettando  il  suo  partir,  congedo  : 
E  tregua  fa  co' suoi  pensier  Goffredo, 
71 

Il  di  seguente,  allor  che  aperte  sono 
Del  lucido  oriente  al  sol  le  porte, 
Di  trombe  udissi  e  di  tamburi  un  suono, 
Ond'al  cammino  ogni  guerrier  si  esorte. 
Non  è  si  grato  a  i  caldi  giorni  il  tuono, 
Che  speranza  di  pioggia  al  mondo  apporte, 
Come  fu  caro  a  le  feroci  genti 
L'altero  suon  de' bellici  instrumenti. 
72 

Tosto  ciascun,  da  gran  desio  compunto, 
Veste  le  membra  de  le  usate  spoglie, 
E  tosto  appar  di  tutte  l'arme  in  punto: 
Tosto  sotto  i  suoi  duci  ogn'uom  s'accoglie, 
E  l'ordinato  esercito  congiunto 
Tutte  le  sue  bandiere  al  vento  scioglie; 
E  nel  vessillo  imperiale  e  grande 
La  trionfante  Croce  al  ciel  si  spande. 
73 

Intanto  il  sol,  che  de' celesti  campi     [de. 
Va  più  sempre  avanzando,  e  in  alto  ascen- 
L'arme  percote,  e  ne  trae  fiamme  e  lampi 
Tremuli  e  chiari,  onde  le  viste  offende. 
L'aria  par  di  faville  intorno  avvampi, 
E  quasi  d'alto  incendio  in  forma  splende; 
E  co' feri  nitriti  il  suono  accorda 
Del  ferro  scosso,  e  le  campagne  assorda. 
74 

11  Capitan,  che  da' nemici  agguati 
Le  schiere  sue  d'assecurar  desia, 
ilolti  a  cavallo  leggiermente  armati 
A  scoprire  il  paese  intorno  invia; 
E  innanzi  i  guastatori  avea  mandati, 
Da  cui  si  debbe  agevolar  la  via, 
E  i  vóti  luoghi  empire,  e  spianar  gli  erti, 
E  da  cui  siano  i  chiusi  passi  aperti. 


70,  8.  tregua  fa,  nel  senso  di  interrompe, 
sospende.  Petrarca,  sest.  A  qualunque  aìi. 
10:  *  Non  ho  mai  triegua  di  sospir  col  sole». 

73,  1.  Intanto  il  sol  ecc.:  Costruisci:  il 
sole  che  va  avanzando  sempre  più  dei  ce- 
lesti campi.  —  i'.  pili  :  una  parte  maggiore. 
—  aranzando:  acquistando,  cfr.  e.  xviii  69: 
«Non  si  ferma  la  lancia  alla  ferita;  Dopo 
il  colpo,  del  corso  avanza  molto  ».  —3.  L'ar- 
me percote,  ecc.:  Virg.,  Aeri,  vii  526:  »  aera- 
que  fulgent  Sole  lacessita  et  lucem  subnu- 
bila  iactant  ».  —  6.  Cfr.  Omero,  II.,  trad. 
Monti,  II,  595. 


CANTO  I 


15 


75 

Nou  ò  ijetite  p:ijraiui  insieme  accolta, 
Non  imiro  cinto  di  piofonda  fossa,    [folta 
Non  gran  toirento,  o  monte  alpestre,  o 
ISelva,  ehe'l  lor  viajjcyio  arrestar  possa. 
C'osi  do  }j:1ì  altri  ti  inni  il  r(^  tal  volta, 
Quando  superbo  oltra  misura  ingrossa, 
iSovra  le  sponde  riiinoso  scorre, 
Né  cosa  è  mai  che  gli  s'ardisca  opporre. 
76 

Sol  di  Tripoli  il  re,  che 'a  ben  guardate 
Mura,  genti,  tesori  ed  arme  serra, 
Forse  le  schiere  Franche  avria  tardate; 
ftla  non  osò  di  provocarle  in  guerra. 
Lor  con  messi  e  con  doni  anco  placate 
Ricettò  volontario  entro  la  terra; 
E  ricevè  condizion  di  pace, 
Si  come  imporle  al  pio  Goffredo  piace. 
77 

Qui  del  monte  Seir,  ch'alto  e  sovrano 
Da  l'oriente  a  la  cittade  è  presso, 
Gran  turba  scese  de' fedeli  al  piano 
D'ogni  età  mescolata  e  d'ogni  sesso; 
Portò  suoi  doni  al  viucitor  cristiano; 
Godea  in  mirarlo,  e  in  ragionar  con  esso; 
Stupia  de  l'arme  pellegrine;  e  guida 
Ebbe  da  lor  Goffredo  amica  e  fida. 
78 

Conduco  ei  sempre  a  le  marittime  onde 
Vicino  il  campo  per  diritte  strade; 
Sapendo  ben  che  le  propinque  sponde 
L'amica  armata  costeggiando  rade, 
La qual  può  far  che  tutto  il  campo  abbon- 
De'necessari  arnesi,  e  che  le  biade       [de 
Ogni  isola  de' Greci  a  lui  sol  mieta, 
E  Scio  pietrosa  gli  vendemmi  e  Creta. 
79 

Geme  il  vicino  mar  sotto  l' incarco 
De  l'alte  navi  e  de'più  levi  pini; 
Si  che  non  s'apre  ornai  securo  varco 
Nel  mar  Mediterraneo  a  i  Saracini; 


76,  5.  Cosi  ecc.:  Virg.,  Georg,  i,  481:  «  Pro- 
luit  insano  contorquens  vortice  silvas:  Flu- 
viorumrexEridanus,camposque  peromnes, 
Cum  stabulis  armenta  tulit». 

76.  Si  cauta  dal  P.  quanto  è  narrato  da 
Gugl.  Tir.  (vii  21)  sotto  la  rubrica:  «  Prae- 
ses  Tripolitanus  multa  pecunia  et  muneri- 
bus  a  nostris  pacem  impetrai  ». 

77-78-79.  Gugl.  Tir.  loc.  cit.:  «  A  certis... 
quibusdam  fldelibus,  Seyr  montis  habitato- 
ribus,  qui  urbibus  illis  a  parte  supereminet 
orientali  excelsus  admodum  et  in  sublime 
luga  porrigens,  tanquam  a  viris  prudenti- 
bus  locorum  gnaris,  qui  ad  eos  gratula- 
bundi  descenderant,  ut  fraternae  charitatis 
impenderent  affectum,  consilium  ab  eis  pe- 
tierant.qua  via  versusllyerosolymam  tutius 
Dossent  incedere  et  commodius.  Ilii  tandem 


Ch'oltra  queic'haGiiorgio  armati  e  Marco 
Ne'  veneziani  e  liguri  confini. 
Altri  Inghilterra  e  Francia,  ed  altri  Olan- 
E  la  fertil  Sicilia  altri  ne  manda.        [da, 
80 

E  questi,  che  son  tutti  insieme  uniti 
(Jon  saldissimi  lacci  in  un  volere, 
S'eran  carchi  e  |)rovvisti  in  varii  liti 
Di  ciò  eh' è  duopo  a  le  terrestri  schiere: 
Le  quai  trovando  liberi  e  sforniti 
I  passi  de'  nemici  a  le  frontiere. 
In  corso  velocissimo  se'n  vanno 
Là 've  Cristo  soffri  mortale  affanno. 
81 

Ma  precorsa  è  la  fama,  apportatrice 
De' veraci  romori  e  de'  bugiardi. 
Ch'unito  è  il  campo  vincitor  felice, 
Che  già  s'è  mosso,  e  che  non  è  chi  '1  tardi  : 
Quante  e  quai  sian  le  squadre  ella  ridice, 
Narra  il  nome  e'I  valor  de' più  gagliardi, 
Narra  i  lor  vanti,  e  con  terribil  faccia 
Gli  usurpatori  di  Sion  minaccia. 
82 

E  l'aspettar  del  male  è  mal  peggiore 
Forse,  che  non  parrebbe  il  mal  presente; 
Fende  ad  ogn'aura  incerta  di  romore 
Ogni  orecchia  sospesa,  ed  ogni  mente: 
E  un  confuso  bisbiglio  entro  e  di  fuore 
Trascorre  i  campi  e  la  città  dolente. 
Ma  il  vecchio  re  ne'  già  vicin  perigli 
Volge  nel  dubbio  cor  feri  consigli. 
8> 

Aladin  detto  è  il  re,  che,  di  quel  regno 
Novo  signor,  vive  in  continua  cura; 
Uom  già  crudel,ma'l  suo  feroce  ingegno 
Pur  mitigato  avea  l'età  matura. 


compensatis  bona  fide  universarum  viarum, 
quae  illuc  ducebant,  tam  commoJitatibus 
quam  compendiis,  novissime  viam  eis  com- 
raendaverunt  maritimam,  ut  et  directiorem 
sequerentur,  et  navium  suarum  quae  pro- 
ficiscentem  sequebantur  exercitum,  eis  so- 
latium  non  deesset.  Erant  autem  in  nostro- 
rum  classe,  non  solum  Guinimeri,  socio- 
rumque  eius,  qui  a  Flandria,  Norraannia  et 
Anglia...  descenderant;  verum  et  lanuen- 
sium,  Venetorum,  Graecorumque  naves, 
quae  a  Cypro,  Rhodo,  et  aliis  insulis  re- 
bus onustae  venalibus  frequenter  accede- 
baut,  quae  nostris  raultam  afferebant  con- 
solatlonem  ». 

79,  5.  tìcorgio...  e  Marco:  Genova  e  Ve- 
nezia. 

81,  I.  la  fama  apportatrice  ecc.:  Virg., 
Aen.  IV  173:  «  it  Fama  per  urbes....  Tara 
fleti  pravique  tenax,  quam  nuntia  veri  ». 

83,  I.  Aladiu:  personaggio  flttizio:  Tasso 
Giudiz.  sovra  la  Rifovìn.:  «Manca,  non 
ch'altro,  nel  primo  poema  (la  Liberata)  la 


16 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Egli,  che  de' Latini  udì  il  disegno, 
C'hnn  d'assalir  di  sua  città  le  mura, 
Giunge  al  vecchio  timor  novi  sospetti; 
E  de' nemici  pavé  e  de'soggetti. 
84 

Però  che  dentro  a  una  città  commisto 
Popolo  alberga  di  contraria  fede; 
La  debil  parte  e  la  minore  in  Cristo, 
La  grande  e  forte  in  Macoraetto  crede. 
Ma  quando  il  re  fé  di  Sion  l'acquisto, 
E  vi  cercò  di  stabilir  la  sede. 
Scemò  i  publici  pesi  a' suoi  pagani, 
Ma  più  gravonne  i  miseri  cristiaui. 
85 

Questo  pensier,  la  ferità  nativa, 
Che  da  gli  anni  sopita  e  fredda  langue, 
Irritando  inasprisce,  e  la  ravviva 
Si  ch'assetata  è  più  che  mai  di  sangue; 
Tal  fero  torna  a  la  stagione  estiva 
Quel  che  parve  nel  gel  piacevol  angue: 
Cosi  leon  domestico  riprende 
L'innato  suo  furor,  s'altri  l'offende. 
86 

Veggio,  dicea,  de  la  letizia  nova 
Veraci  segni  in  questa  turba  infida; 
Il  danno  universal  solo  a  lei  giova. 
Sol  nel  pianto  comun  ])ar  ch'ella  rida; 
E  forse  insidie  e  tradimenti  or  cova, 
Rivolgendo  fra  sé  come  m'uccida: 
0  corue  al  mio  nemico,  e  suo  consorte 
Popolo,  occultamente  apra  le  porte. 
87 

Ma  no'l  farà;  prevenirò  questi  empi 
Disegni  loro,  e  sfogherommi  a  pieno: 
Gli  ucciderò,  faronne  acerbi  scempi. 
Svenerò  i  tìgli  a  le  lor  madri  in  seno, 
Arderò  i  loro  alberghi  e  insieme  i  tempi: 
Questi  i  debiti  roghi  a  i  morti  fièno: 


E  su  quel  lor  sepolcro  in  mezzo  ai  vóti 
Vittime  pria  farò  de'  sacerdoti. 
88 

Cosi  l'iniquo  fra  suo  cor  ragiona; 
Pur  non  segue  pensier  si  mal  concetto: 
Ma  s'a  quegli  innocenti  egli  perdona, 
E  di  viltà,  non  di  pietade  effetto: 
Che,  s'un  timor  a  incrudelir  lo  sprona, 
Il  ritien  pili  potente  altro  sospetto: 
Troncar  le  vie  d'accordo,  e  de' nemici 
Troppo  teme  irritar  Tarme  vittrici. 
89 

Tempra  dunque  il  fellonia  rabbi  a  insana, 
Anzi  altrove  pur  cerca  ove  la  sfoghi; 
I  rustici  edificii  abbatte  e  spiana, 
E  dà  in  preda  a  le  fiamme  i  culti  luoghi; 
Parte  alcuna  non  lascia  iut-grao  sana, 
Ove  il  Franco  si  pasca,  ove  s'alloghi; 
Turba  le  fonti  e  i  rivi,  e  le  pure  onde 
Di  veneni  mortiferi  confonde. 
90 

Spietatamente  è  cauto,  e  non  oblia 
Di  rinforzar  Gierusalem  fra  tanto. 
Da  tre  lati  fortissima  era  pria, 
Sol  verso  Borea  è  nien  secura  alquanto; 
Ma  da' primi  sospetti  ei  le  munia 
D'aiti  ripari  il  suo  men  forte  c:;nto; 
E  v'accogliea  gran  quantitade  in  fretta 
Di  gente  mercenaria  e  di  soggetta. 


cognizione  del  Soldano  o  del  Tiranno,  che 
signoreg^riava  in  Palestina,  il  quale  fu  da 
me  nomato  Aladino  con  nome  quasi  suppo- 
sitizio: ora  (nella  conquistata]  rimovendo 
il  falóo  Aladino,  vi  ho  riposto  il  vero  di 
Ducato,  ch'io  per  miglior  suono,  chiamo 
Ducalto  ».  Scartazzini:  «Reggeva  Gerusa- 
lemme pel  CalitTo  iatimita  d'Egitto  TErairo 
Ducat.  I  Turchi  Ortocidi  l'avean  perduta 
Tanno  innanzi.  In  seguito  allo  scisma  av- 
venuto nel  9oS  fra  gli  Abassidi  e  i  Fatimiti, 
i  Califfi,  0  supremi  pontefici  e  reggitori 
politici  de' Musulmani,  divennero  due:  l'uno 
risedeva  in  Bagdad,  in  Egitto  l'altro;  e  da 
lui,  da  un  anno,  dipendeva  la  Siria  ».  —  8. 
pare:  tènie;  lat.  p'vet. 

84,  7.  Scemò  i  pnblici  pesi  ecc.:  come  è 
raccontato  da  Gugl.  Tir.  vii  23. 

85,  5-6.  Compendia  una  similitudine  di 
Virg.,  Aen.  ii47l.  —  6.  piacevol:  trattabile; 
nella  Conquisi,  gli  sostituì  placido. 

87.  Corrisponde  a  quanto  racconta  Gugl. 


Tir.  nel  loc.  cit.  —  S.  Tittime...  farò:  Dante, 
Purg.  XX  67:  «  Carlo  venne  in  Italia,  e  per 
ammenda  Vittima  fé' di  Corradino  ». 

88.2  segue:  mette  in  esecuzione,  nel  sen- 
so del  latino  exsequitur.  —  1.  Troncar:  di- 
pende da  teme  del  verso  seguente:  teme, 
con  la  troppa  crudeltà,  di  troncar  ecc.,  e 
di  irritar  troppo  le  armi  vitt.  dei  nemici. 
Gugl.  Tir.  dice  (vii,  14)  che  «  mutato  Con- 
silio »  si  dette  invece  a  spogliare  di  tutte  le 
ricchezze  i  cristiani. 

89,  6.  Ore:  Os.  Onde.  —  Franco:  Mella: 
•  Franchi  san  detti  in  levante  tutti  indistin- 
tamente gii  europei  dalle  crociate  in  poi  ». 
—  7.  Turba  le  fonti  ecc.:  Gugl.  Tir.  vm  4; 
«  cives,  praecognito  nostrorum  adventu,  ora 
fontium  et  cisteruarum  quae  in  circuita 
urbis  erant....  obstruxerunt  >>;  e  cap.  7: 
«  [cives]  audito  noscrorum  adventu,  ut  lo- 
cus  ad  continuandam  obsidionem  reddere- 
tur  iueptior,  iactu  pulveris  et  modis  aliis 
quibus  poterant  oppilaverant  universos  ». 

90.  Gugl.  Tir.  dopo  aver  detto  che  i  Ge- 
rosolimitani s'industriavano  a  munire  e  a 
provvedere  la  citt  s  seguita  (vii  23):  «  Sed 
et  princeps  Aegyptius,  qui  multo  labore 
eodem  anno,  Turcorum  expulso  principa- 
tu.  praedictam  urbem  receperat,  comperto 
quod  ab  Antiochia  noster  discesserat  exer- 
citus.  quanto  poterai  studio  turres  reparari 
praeceperat  et  moenia  ». 


CANTO  II 


Hmeno  -^  h*  imaginc 
della  Vergine  i^  Olindo 
e  Sofronia  -^  Clorinda 
-jUr  L'esercito  cristiano  in 
Emaus  -^  Alete  e  Ar- 
gante ambasciadori  pel 
re  d'Egitto  *  Parlata 
d' Alete  -^  Risposta  di 
Goffredo  -^  Argante  di- 
chiara la  guerra  it^  Notte 
^  Ardore  religioso  e 
guerresco  dei  cristiani. 


Mentre  il  tiranno  s'apparecchia  a  l'armi, 
Soletto  Ismeuo  un  di  gli  s'appresenta; 
Ism<3n,  che  trar  di  sotto  a  i  chiusi  marmi 
Può  corpo  estinto,  e  far  che  spiri  e  senta  ; 


1,  1.  tiranno:  Aladino;  cfr.  e.  i  83,  1  in 
nota.  —  2.  Ismeno:  il  mago  che  scongiura 
r  inferno  e  si  fa  ubbidire  dai  demoni  e  gli 
discioglie  e  lega,  appartiene  al  sovranna- 
turale accettato  dalla  fantasia  popolare  cri- 
stiana, e  perciò  vero  poeticamente  e  stori- 
camente. Tasso  {Leu.  60):  «ne  gli  incanti 
e  ne  le  maraviglie  io  dico  non  molte  cose 
le  quali  non  mi  siano  somministrate  da 
l'istorie,  0  almeno  non  me  ne  sia  porto  al- 
cun seme,  che  sparso  poi  nei  campi  de  la 
fantasia  produce  quelli  alberi  che  ad  al- 
cuno paiono  mostruosi  ».  E  ancora  :  «  Io 
stimo  che  in  ciascun  poema  eroico  sia  ne- 
cessarissimo quel  mirabile  che  eccede  l'uso 
de  le  nazioni  e  la  possibilità  de  gli  uomini  ; 


Tsmen,  che  al  suon  de'  mormoranti  carmi 
Sin  ne  la  reggia  sua  Pluton  spaventa, 
E  i  suoi  demon  ne  gli  empi  uffici  impiega 
Pur  come  servi,  e  li  discioglie  e  lega. 
2 
Questi  or  Macone  adora,  e  fu  cristiano; 
Ma  i  primi  riti  anco  lasciar  non  puote; 


0  sia  egli  effetto  de  gli  dèi,  come  è  nei  paesi 
de' gentili;  o  de  gli  angioli,  o  vero  de' dia- 
voli e  de'  maghi,  com'è  in  tutte  le  moderne 
poesie  ».  Ismeno  poi  appartiene  a  quella 
specie  di  maghi  che  il  T.  nel  dial.  Il  Mes- 
saggiero  chiama  "  stregoni»:  enei  Giudiz. 
sovra  la  Rifar  m.:  «per  autorità  ancora  di 
S.  Girolamo  due  sono  le  spezie  di  maghi, 
l'una  buona,  malvagia  l'altra  ».  —  5.  nior- 
niornnti:  Os.:  mormorati',  nel  primo  caso 
s' intenda  «  che  vanno  espandendosi  mor- 
morando »,  nel  secondo  «  recitati  a  bassa 
voce  ». 

2,  1.  Macone:  Maometto.  —  2    riti:  Si  in- 


Tasso,  Genisakìume  liberata. 


18 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Anzi  sovente  in  uso  empio  e  profano 
Confonde  le  due  leggi  a  sé  mal  note: 
Ed  or  da  le  spelonche,  ove  lontano 
Dal  vulgo  esercitar  suol  l'arti  ignote, 
Vien  nel  pnblico  rischio  al  suo  signore, 
A  re  malvagio  consiglier  peggiore. 
3 

Signor;,  dicea,  senza  tardar  se'  n  viene 
Il  vincitor  esercito  temuto; 
Mafacciara  noi  ciòcheanoi  far  conviene; 
Darà  il  Ciel,  darà  il  mondo  a  i  forti  aiuto. 
Ben  tu  di  re,  di  duce  hai  tutte  piene 
Le  parti,  e  lunge  hai  visto  e  proveduto. 
S'empie  iu  tal  guisa  ogni  altro  i  propri 

[uffici. 
Tomba  fìa  questa  terra  a'  tuoi  nemici. 
4 

Io,  quanto  a  me,  ne  vengo,  e  del  periglio 
E  de  l'opre  compagno,  ad  aiutarle: 
Ciò  che  può  dar  di  vecchia  età  consiglio. 
Tutto  prometto,  e  ciò  che  magica  arte. 
Gli  Angeli  che  dal  Cielo  ebbero  esigilo 
Costringerò  de  le  fatiche  a  parte. 
Madond'io  voglia  incominciar  gl'incanti, 
E  con  quai  modi,  or  uurrerotti  avanti. 
5 

Nel  tempio  de' Cristiani  occulto  giace 
Un  sotterraneo  altare,  e  quivi  è  il  vólto 
Di  Colei  che  sua  diva  e  madre  face 
Quel  vulgo  del  suo  Dio  nato  e  sepolto. 
Dinanzi  al  simulacro  accesa  face  [volto. 
Continua  splende;  egli  è  in  un  velo  av- 
Pendono  intorno  in  lungo  ordine  i  vóti 
Che  vi  portano  i  creduli  devoti. 


tendano  i  riti   religiosi   del   cristianesimo. 

—  4.  leggi:  religioni.  —  6.  ignote:  ignorate 
dal  volgo.  —  7.  nel  pnblieo  rischio  :  nel  pe- 
ricolo in  cui  versa  tutto  il  popolo  pagano. 

—  8.  consiglier  peggiore  :  apposizione  ad 
latneno. 

3,  I.  se'n  Tiene:  si  noti  che  l'esercito 
cristiano,  partito  da  Tortosa,  doveva  im- 
piegare alcuni  giorni  prima  di  giungere  a 
Gerusalemme.  —  5-6.  hai  tutte  piene  Le 
parti  :  latin.  «  explere  partes,  explere  mu- 
uus  ».  —  7.  S'empie...  i  propri  uificì:  frase 
latina:  Plinio  (a  Traiano):  •«  oflScium  im- 
plere  suum  «•. 

6  Questo  rapimento  dell'immagine,  che 
era  come  la  salvaguardia  del  popolo  di 
Cristo,  somiglia  molto  al  rapimento  del  Pal- 
ladio a  Troia.  —  3-4.  Intricati  questi  due 
versi  per  istrano  e  duro  iperbato.  Il  Galilei 
a  ragione  li  censura  acerbamente.  Costrui- 
sci e  intendi:  Di  colei  che  il  volgo  cristiano 
fa  sua  diva,  e  la  madre  del  suo  Dio  nato  e 
sepolto.  —  8.  portano:  Os.  por  taro;  e  que- 
st'ultima mi  par  lezione  miglioro  anche 
por  l'armonia  del  verso. 


Or  questa  effigie  lor,  di  là  rapita, 
Voglio  che  tu  di  propria  man  trasporte 
E  la  riponga  entro  la  tua  meschita: 

10  poscia  incauto  adoprerò  si  forte, 
Ch'ognor,  mentr'ella  qui  fia  custodita, 
Sarà  fatai  custodia  a  queste  porte: 
Tra  mura  inespugnabili  il  tuo  impero 
Securo  fia  per  novo  alto  mistero. 

7 
Si  disse,  e'I  persuase;  e  impaziente 

11  re  se'n  corse  a  la  ma.:ion  di  Dio, 
E  sforzò  i  sacerdoti,  e  irreverente 
Il  casto  simulacro  indi  rapio; 

E  portollo  a  quel  tempio,  ove  sovente 
S'irrita  il  Ciel  col  folle  culto  e  rio. 
Nel  profan  loco  e  su  la  sacra  imago 
Susurrò  poi  le  sue  bestemmie  il  mago. 
8 

Ma  come  apparse  in  ciel  l'alba  novella, 
Quel,  cui  l'immondo  tempio  in  guardia  è 
Non  rivide  l'imagine,  dov'ella         [dato, 
Fu  posta,  e  in  van  cerconne  in  altro  lato. 
Tosto  n'avvisa  il  re,  eh' a  la  novella 
Di  lui  si  mostra  fieramente  irato; 
Ed  iraagina  ben,  ch'alcun  fedele 
Abbia  fatto  quel  furto,  e  che  se'l  cele. 
9 

0  fu  di  man  fedele  opra  furtiva, 
0  pur  il  Ciel  qui  sua  potenza  adopra; 
Che  di  Colei,  che  sua  regina  e  diva, 
Sdegna  che  loco  vii  l'imagin  copra: 
Ch'incerta  fama  è  ancor,  se  ciò  s'ascriva 
Ad  arte  umana,  od  a  mirabil  opra: 
Ben  è  pietà,  che,  la  pietade  e  '1  zelo 
Uman  cedendo,  autor  se'n  creda  il  Cielo 


I 

j       6,  3.  meschita  :    chiesa   dei    musulmani, 

I  moschea.  —  5.  mentr'ellft  :  finché  ella.  —  6. 

j  fatai:  voluta  dal  fato,  necessaria.  —  8.  no- 

I  To:  insolito. 

I       8.  L'ira  di  Aladino  per  lo  sfregio   rice 

I  vuto,  e  la  vendetta  ciie  si  propone  di  trarne, 

i  d'onde  origina  l'episodio  di  Olindo  e  Sofro- 

'  nia,   muovono   da   quanto   si   racconta   da 

I  G  ugl.  Tir.  1 5,  che,  cioè,  i  musulmani  avendo 


trovato  un  cane  morto  iu  una  moschea, 
avrebbero  ucciso  tutti  i  cristiani,  se  un  gio- 
vinetto non  avesse  spontaneamente  offerta 
la  vita  per  la  salvezza  comune.  Cfr.  st.  13 
in  nota.  —  6.  Di  lui:  Os.  Vèr'  lui. 

9,  3.  Cfr.  st.  5,  3.  —  7.  Ben  è  pietà  ecc  : 
Bisticcio,  che  può  intendersi  :  Ed  è  devota 
religione  ancora  questo  far  autore  il  cielo 
di  cose  al  compimento  delle  quali  la  devo- 
zione e  lo  zelo  degli  uomini  sembrino,  o  si 
dichiarino  inferiori  (cedano,  nel  senso  di 
Dante,  Par.  xxxiii  56  ;  «  che  a  tal  vista  ce- 
de, E  cede  la  memoria  a  tanto  oltraggio  »'. 
Se   pure  cedere  non  è  preso  per  trarsi  in 


CANTO  li 


19 


10 

Il  re  ne  fa  con  importuna  inchiesta 
Ricercar  Of?iii  chiesa,  osiii  maj^ione  ; 
Ed  a  chi  gli  nasconde,  o  manifesta 
Il  furto,  o'I  reo,  gran  pene  e  premi  impone. 
Il  mago  di  spiarne  anco  non  resta 
Con  tutte  l'arti  ilver,  ma  non  s'appone: 
Ché'l  Cielo,  opra  sua  fosse  o  fosse  altrui, 
Celolla,  ad  onta  de  gr  incanti,  a  lui. 
11 

Ma  poi  che'l  re  crudel  vide  occultarse 
Quel,  che  peccato  de' Fedeli  ei  pensa. 
Tutto  in  lor  d'odio  infellonissi,  ed  arse 
D'ira  e  di  rabbia  immoderata  immensa. 
Ogni  rispetto  oblia,  vuol  vendicarse, 
Segua  che  puote,  e  sfogar  l'alma  acceusa. 
Morrà,  dicea,  non  andrà  l'ira  a  vóto, 
Ne  la  strage  comune  il  ladro  ignoto, 
1-2 

Pur  che'l  reo  non  si  salvi,  il  giusto  péra 
E  l'innocente;  ma  qual  giusto  io  dico? 
È  colpevol  ciascun,  né  in  loro  schiera 
Uom  fu  giammai  del  nostro  nome  amico. 
S'anima  v'è  nel  novo  error  sincera. 
Basti  a  novella  pena  un  fallo  antico. 
Su  su,  fedeli  miei,  su  via  prendete 
Le  fiamme  e  '1  ferro,  ardete  ed  uccidete. 
13 

Cosi  parla  a  le  turbe;  e  se  n'intese 
La  fama  tra'  Fedeli  immantinente, 
Ch'attoniti  restar;  si  gli  sorprese 
11  timor  de  la  morte  omai  presente. 
E  non  è  chi  la  fuga  o  le  difese, 
Lo  scusar  o  '1  pregare  ardisca  o  tente. 
Ma  le  timide  genti  e  irrisolute 
Donde  meno  sperare  ebber  salute. 


disparte  con  corrispondenza  al  fatto   che 
l'autore  umano  era  ignoto  e  nascosto. 

10,  5.  Il  mago:  Òs.,  E 'l  mago.  —  6.  arti; 
arti  magiche. 

12,  5.  novo  error:  il  furto.  —  sincera:  in- 
nocente. 

13,  8.  L'episodio,  che  qui  si  accenna,  e  si 
svolge  di  poi,  ha,  come  si  è  notato  alla  st.  8, 
1,11  suo  seme  in  Gugl.  Tir.,  che  nel  i5  narra: 
«  adolesceus  primatibus  se  offert  civitatis, 
reum  se  confitetur,  et  omnes  alios  astruit 
innocentes.  Quod  audientes  iudices,  aliis  ab- 
solutis,  illum  gladio  exposuerunt.  Et  ita  prò 
fratribus  animam  poneus,  cum  pietate  dor- 
mitionem  accepit  optimara  in  Domino  ha- 
bens  repositam  gratiam  ».  In  quanto  alle 
fonti  artistiche  dell'epis.  si  ricordano  per  la 
gara  onde  voglion  morire  a  preferenza  i  due 
contendenti,  una  scena  delV  Antigone  di  So- 
focle, tra  Ismene  ed  Antigone;  e,  in  parte, 
la  scena  tra  Florio  e  Biancofiore  nel  Filo- 
capo  del  Boccaccio  :  pel  genere  di  pena,  e 
per  l'intervento  di  un  terzo  che  li  liberi,  la 
nov.  46  del  Decatnerone  (Gianni  da  l'rocida 


14 

Vergine  era  fra  lor  di  già  matura 
Verginità,  d'alti  pensieri  e  regi. 
D'alta  beltà;  ma  sua  beltà  non  cura, 
()  tanto  sol  quant'onestà  se'n  fregi: 
È  il  suo  pregio  maggior,  che  tra  le  mura 
D'angusta  casa  asconde i suoi  gran  pregi; 
E  de'  vagheggiatori  ella  s'invola 
A  le  lodi,  a  gli  sguardi,  inculta  e  sola. 

15   •  [celi 

Pur  guardia  esser  non  può,  ch'in  tutto 
Beltà  degna  ch'appaia  e  che  s'ammiri; 
Né  tu  il  consenti.  Amor,  ma  la  riveli 
D'un  giovenetto  a  i  cupidi  desiri. 
Amor,  ch'or  cieco,  or  Argo,  ora  ne  veli 


e  Restituta  sono,  per  ordine  dell'impera- 
tore Federigo,  presi  e  legati  ad  un  palo,  e 
davanti  agli  occhi  loro  fu  la  stipa  ed  il  fuoco 
apparecchiato  per  doverli  ardere  all'ora  co- 
mandata, quando  Ruggiero  dell'Oria,  avuto 
sentor  di  ciò,  presentossi  al  re,  ed  ottenne 
loro  la  salvezza);  e  una  leggenda  nel  De 
Virginibus  di  Sant'Ambrogio,  ove  Teodora 
vergine  cristiana  è  salvata  da  Didimo  scam- 
biando i  panni:  scoperto  l'inganno  il  giova- 
ne è  dannato  al  supplizio  ;  Teodora  accorsa 
chiede  per  sé  la  palma  del  martirio  (cfr.  Ge- 
rini  G.  B.  Di  alcun,  epis.  della  Ger.  Liber.). 

14.  Nell'epistolario  {Leit.  25)  il  Tasso,  die- 
tro obbiezioni  mossegli  circa  l'opportunità 
di  divagare  in  tale  epis.,  confessa  di  aver 
voluto  indulgere  genio  et  principi,  che  è 
quanto  dire,  che  dolce  forza  gli  facevano 
l'arte  sua  e  il  principesco  mecenate;  vero 
che  a  lui  pure  pareva  poco  connesso  all'in- 
venzione dell'intero  poema,  e  troppo  lirico 
{Lett.^1):  *  In  quanto  a  l'episodio  di  Sofro- 
nia, ho  pensato  di  aggiungere  otto  o  dieci 
stanze  nel  fine,  che  '1  farà  parer  più  con- 
nesso; e  di  quelle  sue  nozze  farò  come  vor- 
ranno. In  ogni  modo  quella  stanza  Va  dal 
rogo  alle  nozze,  avea  da  esser  mutata  >.  E 
ancora  {Leu.  61):  «Io  ho  già  condannato 
con  irrevocabil  sentenza  a  la  morte  l'epi- 
sodio di  Sofronia,  e  perché  in  vero  era 
troppo  lirico,  e  perché  al  signor  Barga  [uno 
dei  correttori)  ed  a  gli  altri  pareva  poco 
connesso  e  troppo  presto  ».  Alle  quali  ra- 
gioni aggiunse  la  paura  di  dare  occasione 
alTautorità  ecclesiastica  di  proibire  il  libro 
come  poco  religioso  [Lett.  65).  Ma  lini  col 
tenerlo  (Le«.  70):  lo  tolse  poi  dalla  Conqui- 
stata. In  Sofronia  credo  che  adombri  Eleo- 
nora d'Este;  in  Olindo  pare  che  ritragga  sé 
stesso.  —  1-2.  matara  Vergrinità:  in  piena  gio- 
vinezza. —  3-1.  Petrarca,  son.  Arbor  villo- 
riosa  11:  «L'alta  beltà,  ch'ai  mondo  non  ha 
pare,  Noia  t'è,  se  non  quanto  il  bel  tesoro 
Di  castità  par  ch'ella  adorni  e  fregi  ». 

16,  5.  Arffo:    personaggio    mitologico,   il 


20 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Di  benda  gli  occhi,  ora  ce  li  apri  e  giri, 
Tu  per  mille  custodie  entro  a  i  più  casti 
Verginei  alberghi  il  guardo  altrui  porta- 
le [sti. 

Colei  Sofronia,  Olindo  egli  s'appella, 
D'una  cittade  entrambi  e  d'una  fede. 
Ei  che  modesto  è  si  com'essa  è  bella, 
Brama  assai,  poco  spera,  e  nulla  chiede; 
Né  sa  scoprirsi,  o  non  ardisce;  ed  ella 
0  lo  sprezza,  o  no'l  vede,  o  non  s'avvede. 
Cosi  fin  ora  il  misero  ha  servito 
0  non  visto,  o  mal  noto,  o  mal  gradito. 
17 

S'ode  l'annunzio  in  tanto,  e  che  s'appre- 
Miserabile  strage  al  popol  loro.  [sta 

A  lei,  che  generosa  è  quanto  onesta. 
Viene  in  pensier  come  salvar  costoro. 
Move  fortezza  il  gran  pensier;  l'arresta 
Poi  la  vergogna  e  "1  virglnal  decoro; 
Vince  fortezza,  anzi  s'accorda,  e  face 
Sé  vergognosa  e  la  vergogna  audace.    - 
18 

La  vergine  tra  '1  vulgo  usci  soletta; 
Non  copri  sue  bellezze,  e  non  l'espose; 
Raccolse  gli  occhi,  andò  nel  vel  ristretta. 
Con  ischive  maniere  e  generose. 
Non  sai  ben  dir  s'adorna,  o  se  negletta  ; 
Se  caso  od  arte  il  bel  volto  compose  : 


capo  del  quale  si  fingeva  seminato  d'occhi. 
—  7.  per:  attraverso. 

16,  I  versi  4-6-8  sono  fatti  nel  medesimo 
modo:  e  tanto  neirorganismo  metrico  quanto 
nella  disposizione  dei  concetti  c'è  troppo  ar- 
tifizio. Questi  scherzi,  come  li  chiamava  il 
Galilei,  sono  difetto  principale  nel  Tasso. 
Dei  difetti  del  suo  stile  in  genere,  il  T.  con- 
fessa {Leu.  75)  :  «  conosco  d'essere  stato  trop- 
po frequente  ne'  contrapposti,  ne  gli  scherzi 
de  le  parole,  ne  le  allusioni,  ed  in  altre  figure 
di  parole,  le  quali  non  sono  proprie  de  la 
narrazione  e  molto  meno  della  narrazione 
magnifica  ed  eroica,  si  che  giudico  che  mi 
sia  necessario  andar  ri  movendo  alquanto 
del  soverchio  ornamento  de  le  materie  non 
oziose,  perché  ne  le  oziose  nessun  orna- 
mento forse  é  soverchio.  Ne  gli  spiriti  e  ne 
gli  ornamenti  che  nascono  non  da  le  parole 
ma  da' sensi,  mi  pare,  senza  partirmi  da  i 
precetti  de  l'arte,  di  poter  essere  molto  men 
severo;  né  stimo,  a  verun  patto,  vizio  l'es. 
sere  alquanto  più  spiritoso  e  vivace  che  non 
fu  Omero  e  Virgilio  ». 

17,  7.  Yince  fortezza  ecc.:  Giuoco  di  pa- 
role che.  in  altri  termini,  vuol  dire,  che 
Sofronia  apparve  come  donna  forte  e  ve- 
reconda ad  un  tempo.—  8.  audace:  rispetto 
alla  vergogna,  questa  andata,  più  che  di  co- 
raggio, era  atto  d'audacia. 

18,  3.  Raccolse  gli  occhi:  non  permise  che 
divorassero  qua  e  là.  —  4.  Ischiye:  sdegno- 


Di  natura,  d'Amor,  de'  cieli  amici 
Le  negligenze  sue  sono  artifìci. 

19 
Mirata  da  ciascun  passa  e  non  mira 
L'altera  donna,  e  innanti  al  re  se'n  viene; 
Né,  perché  irato  il  veggia,  il  pie  ritira. 
Ma  il  fero  aspetto  intrepida  sostiene. 
Vengo,  signor,  gii  disse,  e  'n  tanto  l'ira 
Prego  sospenda  e'I  tuo  popolo  aflfrene; 
Vengo  a  scoprirti,  e  vengo  a  darti  preso 
Quel  reo  che  cerchi,  onde  sei  tanto  offeso. 

20 
A  l'onesta  baldanza,  a  l'improviso 
ì  Folgorar  di  bellezze  altere  e  sante, 
:  Quasi  confuso  il  re.  quasi  conquiso, 
j  Frenò  lo  sdegno,  e  placò  il  fèr  sembiante. 
S'egli  era  d'alma,  o  se  costei  di  viso 
Severa  manco,  ei  diveniane  amante; 
Ma  ritrosa  beltà  ritroso  core 
Non  prende,  e  sono  i  vezzi  ésca  d'Amore. 

21 
Fu  stupor,  fa  vaghezza,  e  fu  diletto, 
S'Amor  non  fu,  che  mosse  il  cor  villano. 
Narra,  ei  le  disse,  il  tutto;  ecco  io  com- 

[metto 
Che  non  s'offenda  il  i)opol  tuo  cristiano. 
Ed  ella:  Il  reo  si  trova  al  tuo  cospetto; 
Opra  è  il  furto,  signor,  di  questa  mano; 
Io  l'imagine  tolsi;  io  sou  colei 
Che  tu  ricerchi,  e  me  punir  tu  dèi. 

22 

Cosi  al  publico  fato  il  capo  altero 
Offerse,  e  '1  volse  in  sé  sola  raccòrre. 
Magnanima  menzogna,  or  quando  è  il  ve- 
Si  bello  che  si  possa  a  te  preporre?     [ro 
Riman  sospeso,  e  non  si  tosto  il  fero 
Tiranno  a  l'ira,  come  suol,  trascorre. 
Poi  la  richiede:  Io  vo'  che  tu  mi  scopra 
Chi  die  consiglio,  e  chi  fu  insieme  a  Topra. 


I  se.  —  generose:  nobili.  —  7-8.  Versi  che  a 
i  pensarci  su  dicono  poco.  Costruisci:  le  ne- 
!  gligenze  sue  sono  artifici  della  natura,  del- 
I  l'amore,  dei  cieli  ben  disposti. 
i  19.  Cfr.  l'apparire  di  Sofronia  con  quello 
I  di  Armida,  e.  iv  28. 

j       20,  7-8.  Qui,  come  nelle  st.  17  e  18,  ama  il 
j  P.  di  sofisticare  e  arzigogolare  nella  clau- 
Isola:   I  vezzi,   non   la   ritrosia,   accendono 
l'amore. 

21,  3.  disse:  Os.  dice. 

22,  1-2.  al  publico  fato  ecc.  Intendi:  Al 
destino  che  pesava  su  tutti  (la  vendetta 
d' Aladino)  ella  offerse  l'altero  capo,  e  volle 
che  tal  vendetta  cadesse  tutta  e  solamente 
su  di  lei.  —  3.  Magnauinia  menzogna:  Ri- 
cordo col  Gentile  l'oraziano  (Od.  Ili  xi): 
«  periurum  fuit  in  parentem  Splendide.men- 
dax  ». 


CANTO  II 


21 


23 

Non  volsi  far  de  la  mia  gloria  altrui 
Né  pur  minima  parte,  ella  gli  dice; 
Sol  di  me  stessa  io  eonsapevol  fui, 
Sol  consigliera,  e  sola  esecutrice. 
Dunque  in  te  sola,  ripigliò  colui, 
Caderà  Tira  mia  vendicatrice. 
Diss'ella:  È  giusto;  esser  a  me  conviene, 
Se  fui  sola  a  l'onor,  sola  a  le  pene. 
24 

Qui  comincia  il  tiranno  a  risdegnarsi; 
Poi  le  dimanda:  Ov'hai  l'imago  ascosa? 
Non  la  nascosi,  a  lui  risponde;  io  l'arsi: 
E  l'arderla  stimai  laudabil  cosa; 
Cosi  almen  non  potrà  più  violarsi 
Per  man  de' miscredenti  ingiuriosa. 
Signore,  o  chiedi  il  furto,  o'I  ladro  chiedi: 
Quel  no'l  vedrai  in  eterno,  e  questo  il  ve- 
•25  [di. 

Ben  che  né  furto  è  il  mio,  né  ladra  io  so- 

[no; 
Giusto  è  ritor  ciò  ch'a  gran  torto  è  tolto. 
Or,  questo  udendo,  in  minaccievol  suono 
Freme  il  tiranno,  e'i  fren  de  l'ira  è  sciol- 
Non  speri  pili  di  ritrovar  perdono  [to. 
Cor  pudico,  alta  mente,  o  nobil  vólto; 
E  indarno  Amor  contra  lo  sdegno  crudo 
Di  sua  vaga  bellezza  a  lei  fa  scudo. 

26 
,   Presa  è  la  bella  donna;  e  incrudelito 
Il  re  la  danna  entro  un  incendio  a  morte. 
Già'l  velo  e  '1  casto  manto  è  a  lei  rapito  ; 
Stringon  le  molli  braccia  aspre  ritorte. 
Ella  si  tace;  e  in  lei  non  sbigottito. 
Ma  pur  commosso  alquanto  è  il  petto  for- 
E  smarrisce  il  bel  vólto  in  un  colore    [te  ; 
Che  non  è  pallidezza,  ma  candore. 
27 

Divulgossi  il  gran  caso;  e  quivi  tratto 
Già'l  popol  s'era:  Olindo  anco  v'accórse  ; 
Dubbia  era  la  persona  e  certo  il  fatto  ; 
Venia,  che  fosse  la  sua  donna,  in  fórse. 


24,  2.  Poi:  Os,  Pur.  —  6.  miscredenti:  che 

non  credono  giustamente. 

25,"?.  ritor...  torto.,  tolto:  brutta  combi- 
nazione di  suoni.  —  7.  E  indarno  Amor  ecc.: 
Vuol  dire,  che  indarno  Amore  oppone  allo 
sdegno  di  Aladino  le  bellezze  di  Sofronia. 

26,  2.  entro  un  incendio  a  morte:  a  mo- 
rire entro  un  incendio.  —  3.  è  a  lei:  Os.  a 
lei.  —  4.  Virg.,  Aen.  ii  406:  «  teneras  arce- 
bant  vincula  palmas  ».  —  7.  E  smarrisce  il 
bel  vólto  ecc.:  Par  che  voglia  dire  che  il 
volto  privo  di  sangue  non  diventa  pallido 
smorto,  ma  candido  e  lucente;  suggerito 
forse  dal  Petrarca,  Tr.  Mort.  i  166:  «Pal- 
lida no,  ma  come  neve  bianca  ecc.». 

27,  3.  Dubbia  era:  Os.  €hé  dubbia.  —  4. 
Tenia...  io    forse, ven., dubbioso  che  l'accu- 


Come  la  bella  prigioniera  in  atto 
Non  pur  di  rea,  ma  di  dannata  ei  scòrse, 
Come  i  ministri  al  duro  udticio  intenti 
Vide,  precipitoso  urtò  le  genti. 
28 

Al  re  gridò:  Non  è,  non  è  già  rea 
Costei  del  furto,  e  per  follia  se  'n  vanta. 
Non  pensò,  non  ardi,  né  far  potea 
Donna  sola  e  inesperta  opra  cotanta. 
Come  ingannò  i  custodi,  e  de  la  Dea 
Con  quali  arti  involò  l'iraagin  santa? 
Se  '1  fece,  il  narri.  Io  l'ho,  signor,  furata. 
(Ahi!  tanto  amò  la  non  amante  amata). 
29 

Soggiunse  poscia:  Io  là,  donde  riceve 
L'alta  vostra  meschita  e  l'aura  e  '1  die, 
Di  notte  ascesi  e  trapassai  per  breve 
Fóro,  tentando  inaccessibil  vie. 
A  me  l'onor,  la  morte  a  me  si  deve; 
Non  usurpi  costei  le  pene  mie: 
Mie  son  quelle  catene,  e  per  me  questa 
Fiamma  s'accende,  e  '1  rogo  a  me  s'ap- 
30  [presta. 

Alza  Sofronia  il  viso,  e  umanamente 
Con  occhi  di  piotate  in  lui  rimira. 
A  che  ne  vieni,  o  misero  innocente? 
Qual  consiglio  o  furor  ti  guida  o  tira? 
Non  son  io  dunque  senza  te  possente 
A  sostener  ciò  che  d'un  uom  può  l'ira? 
Ho  petto  anch'  io,  ch'ad  una  morte  crede 
Di  bastar  solo,  e  compagnia  non  chiede. 
31 

Cosi  parla  a  l'amante;  e  no  '1  dispone 
Si  ch'egli  si  disdica  o  pensier  mute. 
Oh  spettacolo  grande  ove  a  tenzone 
Sono  Amore  e  magnanima  virtute! 
Ove  la  morte  al  vincitor  si  pone 
In  premio,  e  '1  mal  del  vinto  è  la  salute! 
Ma  più  s'irrita  il  re,  quant'ella  ed  esso 
È  più  costante  in  incolpar  sé  stesso. 
32 

Pargli  che  vilipeso  egli  ne  resti, 


sata  fosse  la  sua  donna.  —  7-8.  Il  poeta  rifa, 
con  altra  intenzione,  Gugl.  Tir.  loc.  cit.: 
«  Duuique  adessent  spiculatores  eductis  gla- 
diis  ut  populum  iuterimerent,  obtulit  se  ado- 
lescens  plenus  spiritu,  dicens...  ». 

28, 1.  Virg.,  Aen.  ix  427:  «Me,  me,  adsum 
qui  feci  ;  in  me  convertite  ferrum,  0  Rutuli! 
mea  fraus  omnis:  nihil  iste  nec  ausus,  Nec 
potuit.:  coelum  hoc  et  conscia  sidera  tester». 
—  8.  Virg.  nel  loc.  cit  :  «  Tantum  infelicera 
nimium  dilexit  amicura  »;  che  è  molto  me- 
glio detto  che  nel  Tasso. 

30,  1.  umanamente:  benignamente. 

31,  2.  0  pensier:  Os.  e  pensier.  —  5-6.  Ove 
la  morte  ecc.:  Intendi:  ove  si  pone  in  premio 
al  vincitore  la  morte,  ed  é  di  pena  al  vinto  la 
vita,  la  salvezza. 


22 


GERUSALEMME  LIBERATA 


E  ch'in  disprezzo  suo  sprezzili  le  pene. 
Credasi,  dice,  ad  ambo;  e  quella  e  questi 
Vinca,  e  la  palma  sia  qual  si  conviene. 
Indi  accenna  a  i  sergenti,  i  quai  son  presti 
A  legar  il  garzon  di  lor  catene. 
Sono  arabo  stretti  al  palo  stesso;  e  vòlto 
È  il  tergo  al  tergo,  e'I  vólto  ascoso  al  vól- 
33  fto. 

Composto  è  lor  d'intorno  il  rogo  ornai, 
E  già  le  fiamme  il  mantice  v'incita; 
Quando  il  fanciullo  in  dolorosi  lai 
Proruppe,  e  disse  a  lei  ch'è  seco  unita: 
Questo  dunque  è  quel  laccio,  ond'io  spe- 

[rai 
Teco  accoppiarmi  in  compagnia  di  vita? 
Questo  è  quel  foco  eh'  io  credea  che  i  cori 
Ne  dovesse  infiammar  d'eguali  ardori? 
34 

Altre  fiamme,  altri  nodi  Amor  promise, 
Altri  ce  n'apparecchia  iniqua  sorte,    [se, 
Troppo, ahi!  ben  troppo,  ella  già  noi  divi- 
Ma  duramente  or  ne  congiunge  in  morte. 
Piacerai  almen,poi  ch'in  si  strane  guise, 
Morir  pur  dèi,  del  rogo  esser  consorte, 
Se  del  letto  non  fui  :  duolmi  il  tuo  fato, 
Il  mio  non  già,  poi  ch'io  ti  moro  a  lato. 
35 

Ed  oh  mia  morte  avventurosa  a  pieno! 
Oh  fortunati  miei  dolci  martiri!' 
S'impetrerò  che  giunto  seno  a  seno  ■ 
L'anima  mia  ne  la  tua  bocca  spiri: 
E  venendo  tu  meco  a  un  tempo  meno 
In  me  fuor  mandi  gli  ultimi  sospiri. 
Cosi  dice  piangendo:  ella  il  ripiglia 
Soavemente,  e  in  tai  detti  il  consiglia  : 
36 

Amico,  altri  pensieri,  altri  lamenti. 
Per  più  alta  cagione  il  tempo  chiede,    [ti 
Che  non  pensi  a  tue  colpe,  e  non  rammen- 
Qual  Dio  prometta  a  i  buoni  ampia  mer 

[cede? 
Soffri  in  suo  nome,  e  fian  dolci  i  tormenti, 
E  lieto  aspira  a  la  superna  sede. 
Mira  il  eie]  come  è  bello,  e  mira  il  sole 
Ch'a  sé  par  che  n'inviti  e  ne  console. 


33,  3.  fancinllo:  giovanetto,  come  il  puer 
dei  latini;  e  fanciullo  fu  già  detto  Rinaldo 
al  e.  I  58,  1.  —  5.  Ovidio,  Mei.  (iv  678),  quando 
Perseo  vede  Andromeda  legata:  «  Ut  stetit, 
0,  dixit,  non  istis  digna  catenis  Sed  quibus 
Inter  se  cupidi  iunguntur  amautes  ». 

35.  Boccaccio,  A'ou.  ritata:  «  voi^lio,  di 
grazia,  che,  come  io  sono  con  questa  gio- 
vane, la  quale  io  ho  più  che  la  mia  vita 
amata  ed  ella  me,  con  le  reni  a  lei  voltato 
ed  ella  a  me,  che  noi  siamo  coi  visi  l'uno 
all'altro  rivolti,  acciocché  morendo  io,  ve- 
dendo il  viso  nel  suo,  ne  possa  andar  con- 
solato ». 


37 

Qui  il  vulgo  de'  Pagani  il  pianto  estolle";" 
Piange  il  Fedel,  ma  in  voci  assai  più  bas- 
Un  non  so  che  d'inusitato  e  molle       [se. 
Par  che  nel  duro  petto  al  re  trapasse: 
Ei  presentino,  e  si  sdegnò;  né  volle 
Piegarsi,  e  gli  occhi  tòrse,  e  si  ritrasse. 
Tu  sola  il  duol  comun  non  accompagni, 
Sofronia,  e  pianta  da  ciascun  non  piagni. 

38  [riero 

Mentre  sono  in  tal  rischio,  ecco  un  guer- 
(  Che  tal  parca)  d'alta  sembianza  e  degna; 
E  mostra,  d'arme  e  d'abito  straniero, 
Che  di  lontan  peregrinando  vegna. 
La  tigre  che  su  l'elmo  ha  per  cimiero, 
Tutti  gli  occhi  a  sé  trae,  famosa  insegna  ; 
Insegna  usata  da  Clorinda  in  guerra; 
Onde  la  credon  lei,  né  '1  creder  erra. 
39 
Costei  gl'ingegni  feminili  e  gli  usi 
Tutti  sprezzò  sin  da  l'etate  acerba; 
A  i  lavori  d'Aracue,  a  l'ago,  a  i  fusi 
Inchinar  non  degnò  la  man  superba; 
Fuggi  gli  abiti  molli  e  i  lochi  chiusi, 
Che  ne'eampi  onestate  ancor  si  serba: 
Armò  d'orgoglio  il  vólto,  e  si  compiacque 
Rigido  farlo;  e  pur  rigido  piacque. 

40 
Tenera  ancor  con  pargoletta  destra 
Strinse  e  lento  d'un  corridore  il  morso; 


37,6.  Piegarsi,  cedere,  inchinando  a  pietà. 

3S,  2.  tal:  un  guerriero,  un  uomo,  men- 
tre in  realtà  era  una  donna.  —  3.  d'arme  e 
d'abito  str.iniero:  straniero  è  apposizione  di 
guerriero:  e  mostra,  straniero  com'è  nelle 
ormi  e  nell'abito  ecc.  —  7.  Clorinda.  Vedi 
la  nota  su  Gildippe  e.  i  56,  6.  Per  le  donne 
saracine  il  T.  sta  sulla  fede  dell'Anonimo, 
il  quale  racconta  che  esse  -difesero  li  città 
con  virile  ardimento:  questo  è  il  fonda- 
mento storico  del  nostro  personaggio.  Arti- 
sticamente ricorda  la  Camilla  virgiliana  e 
la  Marfisa  ariostesca.  Sulla  opportunità  poi 
di  introdurre  donne  guerriere  nell'epica, 
il  T.  scrisse  (Giudiz.  sovr.  la  Rtform.)  :  «do- 
vendo il  poeta  cercare  la  maraviglia,  niuna 
cosa  ci  pare  più  maravigliosa  dell'ardire  e 
della  fortezza  femminile  ». 

39,  1.  Costei  ecc.:  Virg.,  Aen.  vii  805: 
«  Bellatrix,  non  illa  colo,  calathisve  Miner- 
vae  Femineas  assueta  manus;  sed  proelia 
virgo  Dura  pati  ».  —  2.  etate:  Bon.2  e  Os. 
età  più.  —  3.  lavori  d'Àracne:  lavori  fem- 
minili. Aracne,  mortale,  contese  con  Miner- 
va nella  valentia  dei  lavori  donneschi:  vin- 
ta, fu  convertita  in  ragno:  cfr.  Ovidio,  Met. 
VI  1-145;  e  Dante,  Purp.  xii  43-5. 

40,  1.  Tenera  ecc.:  Virg.,  Aen.  xi  578: 
«Tela  mauu  jam  tum  tenera   puerilia  ter- 


CANTO  II 


23 


Trattò  Tasta  e  la  spada,  ed  in  palestra 
Indurò  i  membri,  ed  alleuògli  al  corso: 
Poscia  0  per  via  montana  o  per  silvestra 
L'orme  segui  di  fier  leone  e  d'orso; 
Segui  le  guerre;  e  in  esse  e  fra  le  selve 
Fera  agli  uomini  parve,  uomo  a  le  belve. 
41 

Viene  or  costei  da  le  contrade  perse, 
Perché  a  i  cristiani  a  suo  poter  resista; 
Ben  ch'altre  volte  ha  di  lor  membra 

[asperse 
Le  piagge  e  l'onda  di  lor  sangue  ha  mista. 
Or  quivi  in  arrivando  a  lei  s'ofierse 
L'apparato  dì  morte  a  prima  vista. 
Di  mirar  vaga,  e  di  saper  qual  fallo 
Condanni  i  rei,  sospinge  oltre  il  cavallo. 
42 

Cedon  le  turbe;  e  i  duo  legati  insieme 
Ella  si  ferma  a  riguardar  da  presso: 
Mira  che  l'una  tace  e  l'altro  geme, 
E  più  vigor  mostra  il  men  forte  sesso: 
Pianger  lui  vede  in  guisa  d'uom  cui  preme 
Pietà,  non  doglia,  o  duol  non  di  se  stesso; 
E  tacer  lei  con  gli  occhi  al  ciel  si  fisa, 
Ch'anzi  '1  morir  par  di  qua  giù  divisa. 
43 

Clorinda  intenerissi,  e  si  condolse 
D'arabeduo  lor,  e  lacrimonne  alquanto. 
Pur  maggior  %ente  il  duol  per  chi  non 

[duo!  se; 
Più  la  move  il  silenzio  e  meno  il  pianto. 
Senza  troppo  indugiare  ella  si  volse 
Ad  un  nom  che  canuto  avea  da  canto: 
Deh!  dimmi:  chi  sou  questi?  ed  al  mar- 

[toro 
Qual  gli  conduce  o  sorte  o  colpa  loro? 
44 

Cosi  pregollo;  e  da  colui  risposto 


sit  Et  fundam  tereti  circura  caput  egit  ha- 
bena  ».  —  4.  allenògli  ;  li  fece  vigorosi,  ac- 
crebbe loro  la  lena,  cioè  la  forza  che  per- 
dura. —  7.  esse:  Os.  quelle. 

41,  5.  quÌTÌ:  Os.  quinci.  E  quindi  aveva 
il  BoNNÀ  ma  corresse  in  quivi  nell'error. 
corr. 

"42,  3.  tace...  geme:  Novara:  «Tace  Sofro- 
nia perché  armata  il  petto  di  costanza  cri- 
stiana: essa  è  rapita  in  estasi,  eia  sua  mente 
è  separata  da  ogni  cosa  terrena:  Olindo 
geme  per  la  passione  amorosa  che  lo  tra- 
vaglia ».  —  8.  anzi:   prima,  avanti. 

43,  4.  Più  la  commuove  il  silenzio  di  So- 
fronia e  meno  il  pianto  di  Olindo  ;  antitesi 
inutile  che  ripete  il  concetto  del  verso  pre- 
cedente; dove  il  duolse  non  è  perfetto  di 
dolere,  come  potrebbe  anche  intendersi, 
ma  presente  del  riflessivo  dolersi:  duolsi, 
si  duole. 


Breve,  ma  pieno  a  le  dimando  fue. 
Stupissi  udendo,  e  imaginò  ben  tosto 
Ch'egualmente  innocenti  eraii  quo' due. 
Già  di  vietar  lor  morte  ha  in  sé  proposto, 
Quanto  potranno  i  preghi  o  l'arme  sue. 
Pronta  accorre  a  la  fiamma,  e  fa  ritrarla, 
Che  già  s'appressa,  ed  a  i  ministri  piirla. 

45 
Alcun  non  sia  di  voi,  che  'n  questo  duro 
Ufficio  oltra  seguire  abbia  baldanza, 
Sin  ch'io  non  parli  al  re:  ben  v'assecuro 
Ch'ei  non  v'accuserà  de  la  tardanza. 
Ubbidirò  i  sergenti,  e  mossi  furo 
Da  quella  grande  sua  regal  sembianza. 
Poi  verso  il  re  si  mosse:  e  lui  tra  via 
Ella  trovò,  che  contra  lei  venia. 

46 
Io  son  Clorinda,  disse:  hai  forse  intesa 
Talor  nomarmi;  e  qui,  signor,  ne  vegno 
Per  ritrovarmi  teco  a  la  difesa 
De  la  fede  comun/e  e  del  tuo  regno,   [sa; 
Son  pronta,  imponi  pure,  ad  ogni  impre- 
L'alte  non  temo,  e  l'umili  non  sdegno: 
Voglimi  in  campo  aperto,  o  pur  tra'l  chiu- 
De  le  mura  impiegar,  nulla  ricuso.       [so 

47 
Tacque  ;  e  rispose  il  re  :  Qual  si  disgiunta 
Terra  è  da  l'Asia,  o  dal  carain  del  sole, 
Vergine  gloriosa,  ove  non  giunta 
Sia  la  tua  fama,  e  l'onor  tuo  non  véle? 
Or  che  s'è  la  tua  spada  a  me  congiunta, 
D'ogni  timor  m'affidi  e  mi  console; 
Non,  s'esercito  grande  unito  insieme 
Fosse  in  mio  scampo,  avrei  più  certa  spe- 

48  [me. 

Già  già  mi  par  ch'a  giunger  qui  Goffredo 
Oltra  il  dover  indugi:  or  tu  dimandi 
Ch'impieghi  io  te:  sol  di  te  degno  credo 


44,  2.  Breve,  mn  pieno,  brevemente  ma 
pienamente.  —  5.  Tìetar  :  impedire. 

45,  1.  duro:  crudele;  a  un  dipresso  come 
Dante  disse  «  i  demon  duri  »  In/",  xiv  44.  — 
4.  de  la:  BoN.'^-'-  e  Os.;  ma  BoN.»  di  tal. 

46,  6.  L'alte,  intendi  imprese.  —  7.  Vogli- 
mi  :  O  tu  mi  voglia  ecc. 

47,  1.  Qual  si  disgiunta  ecc.:  Virg.,  Aen.  i 
565:  <  Quis  genus  Aeneadum,  quis  Trojae 
nesciat  urbem  Virtutesque  virosque?...  Non 
obtusa  adeo  gestamus  pectora  l'oeni  :  Nec 
tam  aversus  equos  Tyria  sol  jungit  ab  ur- 
be ».  Petrarca,  canz.  0  aspettata  in  ciel  46: 
cUna  parte  del  mondo  è  che  si  giace...  Tutta 
lontana  dal  cammin  del  sole». 

48,  1.  Avendo  Clorinda  in  aiuto,  ad  Alad. 
sembra  persino  che  Goffredo  metta  a  far  la 
strada,  che  lo  separa  da  lui,  più  tempo  di 
quanto  fa  bisogno  (oltra''  l  do  ver).  —  3.Ch'  ìm' 
pieghi  io  te:  Bon.s  e  Os.  ma  Bon.»  Ch'io  im- 
pieghi te.  —  degno:  cosa  degna.  Os.  degtif 


24 


GERUSALEM^IE  LIBERATA 


L'imprese  malagevoli  e  le  grandi. 
Sovra  i  nostri  guerrieri  a  te  concedo 
Lo  scettro,  e  legge  sia  quel  che  comandi. 
Cosi  parlava.  Ella  rendea  cortese 
Grazie  per  lodi;  indi  il  parlar  riprese: 

49 
Nova  cosa  parer  dovrà  per  certo 
Che  preceda  a  i  servigi  il  guiderdone; 
Ma  tua  bontà  m'affida:  io  vuo'che'n  merto 
Del  futuro  servir  que'rei  mi  done: 
In  don  li  chieggio;  e  pur,  se'l  falloèincer- 
Gli  danna  inclementissima  ragione  :     ^to 
Ma  taccio  questo,  e  taccio  i  segui  espressi, 
Ond'argomento  l'innocenza  in  essi. 

50 
E  dirò  sol  ch'è  qui  coraun  sentenza 
Che  i  Cristiani  togliessero  l'imago: 
Ma  discord'io  da  voi;  né  però  senza 
Alta  ragion  del  mio  parer  m'appago. 
Fu  de  le  nostre  leggi  irriverenza 
Quell'opra  far,  che  persuase  '1  mago; 
Che  non  convien  ne' nostri  tempii  a  nui 
Gl'idoli  avere,  e  raen  gl'idoli  altrui. 

51 
Dunque  suso  a  Macon  recar  mi  giova 
Il  miracol  de  l'opra;  ed  ei  la  fece 
Per  dimostrar  ch'i  tempii  suoi  con  nova 
Religion  contaminar  non  lece.  [va. 

Faccia  Ismene  incantando  ogni  sua  pro- 
Egli  a  cui  le  malie  son  d'arme  in  vece; 
Trattiamo  il  ferro  pur  noi  cavalieri: 
Quest'arte  è  nostra,  e'n  questa  sol  si  speri. 

52 
Tacque,  ciò  detto;  e'lre,ben  ch'apietade 
L'irato  cor  difficilmente  pieghi, 
Pur  compiacer  la  volle;  e'I  persuade 
Ragione,  e  '1  move  autorità  di  preghi. 
Abbian  vita,  rispose,  e  libertade, 
E  nulla  a  tanto  intercessor  si  neghi. 
Siasi  questa  o  giustizia,  ovver  perdóno, 
Innocenti  gli  assolvo,  e  rei  gli  dono. 

53 
Cosi  furon  disciolti.  Avventuroso 
Ben  veramente  fu  d'Olindo  il  fato, 
Ch'atto  potè  mostrar,  che  'n  generoso 


accord.  a  cose.  —  6.  scettro:  comando,  cfr. 
e.  I  5,  5. 

49,  6.  ragione:  diritto,  giustizia. 

50,5.  de  le  nostre  leggi  irriverenza:  Per- 
ché i  maomettani  non  ammettono  rappre- 
sentazioni figurate  della  divinità  :  come 
esplica  nei  vv.  7-8. 

61,  1.  recar,  attribuire;  Dante,  Purg.  xvi 
67:  «Voi  che  vivete  ogni  cagion  recate  Pur 
suso  al  Cielo  >. 

62,  1.  pietade:  qui,  compassione. 

63,  1.  ÀvTentnroso  ecc.:  Avventurato  (fa- 
vorito dalla  fortuna)  fu  bene  il  destino  di 
Olindo;  perché  Olindo  potè  mostrare  tale 


Petto  al  fine  ha  d'amore  amor  destato. 
Va  dal  rogo  a  le  nozze,  ed  è  già  sposo 
Fatto  di  reo,  non  pur  d'amante  amato. 
Volse  con  lei  morire;  ella  non  schiva, 
Poi  che  seco  non  muor,  che  seco  viva. 
54 

Ma  il  sospettoso  re  stimò  perisrlio 
Tanta  virtù  congiunta  aver  vicina; 
Onde,  com'egli  volse,  arabo  in  esigilo 
Oltre  a  i  termini  andar  di  Palestina. 
Ei,  pur  segueudo  il  suo  crudel  consiglio, 
Bandisce  altri  fedeli,  altri  confina. 
Oh  come  lascian  mesti  i  pargoletti 
Figli,  e  gli  antichi  padri,  e  i  dolci  letti! 
55 

Dura  divis'ion!  scaccia  sol  quelli 
Di  forte  corpo  e  di  feroce  ingegno, 
Ma  il  mansueto  sesso,  e  gli  anni  imbelli 
Seco  ritien,  si  come  ostaggi,  in  pegno. 
Molti  n'andaro  errando,  altri  rubelli 
Férsi.  e  più  che'l  timor  potè  lo  sdegno. 
Questi  unirsi  co' Franchi,  e  gì  incontraro 
A  punto  il  di  che  in  Emàùs  entrare. 
56 

Emàùs  è  città  cui  breve  strada 
Da  la  regal  Gierusalem  disgiunge; 
Ed  uom  che  lento  a  suo  diporto  vada. 
Se  parte  mattutino,  a  nona  giunge. 


atto  d'amore,  che  al  fine  piegò  a  corri- 
sponderlo un  nobile  cuore  ;  cfr.  lo  sciogli- 
mento dell' A/ntnfa.  —  6.  non  pur:  non  solo, 
non  che. 

54,  6-8.  Gugl.  Tir.,  vii  24,  attribuendo  la 
cacciata  ai  Gerosolimitani  e  al  principe 
d'Egitto:  «  extortis  a  plebe  per  quaestio- 
nes  et  gravia  tormenta  bonis  omnibus,  ex- 
ceptis  solis  senibus  et  valetudinariis,  mu- 
iieribus  et  parvulis,  omnes  alios  urbe  depu- 
lerunt  ».  Cfr.  Gerus  Conquist.,  n  55  e  seg. 

65,  S.  Emaiis:  Questa  entrata  è  messa  dal 
T.  sulla  fede  di  Gugl.  Tir.,  il  quale  a  pro- 
posito di  Emaus,  scrive  vii  24:  «Est  Isico- 
polis  civitas  Palestinae;  hanc,  dura  vicus 
adhuc  esset,  sacer  Evangeliorum  liber  ap- 
pellavi! Emaus:  beatusque  Lucas  Evange- 
lista hanc  dicit  ab  Hierosohmis  distare  sta- 
diis  sexaginta»;  i  geografi  moderni  non 
credono  tuttavia  si  possa  identificare  Emaus 
con  Nicopoli,  perche  quella  era  molto  meno 
distante  da  Gerusalemme. 

66,  4.  mattutino...  nona:  segue  la  divi- 
sione del  giorno,  secondo  i  Romani  e  il  me- 
dio evo,  in  cinque  parti  dal  nascere  al  tra- 
montar del  sole:  mattutino,  terza,  sesta, 
nona,  vespro:  l'ora  variava,  variando  la 
stagione.  —  m.ittutino:  in  modo  avverbiale: 
nelle  ore  in  che  si  suona  il  mattutino.  *Più 
tosto  aggettivo  riferito  ad  uoin:  che  parte 
nelle  ore  del  mattino.  Cosi  intende  anche 
la  Crusca.  —  nona:   fra  le  tre  e  le  quattro 


CANTO  II 


25 


Oh  quanto  intender  questo  a  i  Franchi 

[aggrada! 
Oh  quanto  più  il  desio  gli  affretta  e  pun- 

[ge! 
Ma,  perch'oltra  il  meriggio  il  sol  già  scen- 
Qui  fa  spiegare  il  Cai)itan  le  tende,    [de, 
57 

L'avean  già  tese,  e  poco  era  remota 
L'alìna  luce  del  sol  da  Toceàno, 
Quando  duo  gran  baroni  in  veste  ignota 
Venir  aoii  visti,  e'n  ]»ortamento  estrano. 
Ogn'atto  lor  pacifico  dinota 
Che  vengon  come  amici  al  Capitano. 
Del  gran  re  de  l'Egitto  eran  messaggi, 
E  molti  intorno  avean  scudieri  e  paggi. 
58 

Alete  è  l'un  che  da  principio  indegno 
Tra  le  brutture  de  la  plebe  è  sorto; 
Ma  l'innalzaro  a  i  primi  onor  del  regno 
Parlar  facondo  e  lusinghiero  e  scòrto, 
Pieghevoli  costumi,  e  vario  ingegno 
Al  finger  pronto,  a  l'ingannare  accorto; 
Gran  fabro  di  calunnie,  adorne  in  modi 
Novi,  che  sono  accuse,  e  paion  lodi. 

59  [straniero 

L'altro  è  il  circasso  Argante,  uom  che 
Se'n  venne  a  la  regal  corte  d'Egitto; 
Ma  de'  satrapi  fatto  è  de  l'impero, 
E  in  sommi  gradi  a  la  milizia  ascritto; 
Impaziente,  inesorabil,  fero, 
Ne  l'arme  infaticabile  ed  invitto. 
D'ogni  Dio  sprezzatore,  e  che  ripone 
Ne  la  spada  sna  legge  e  sua  ragione. 
60 

Chieser  questi  udienza,  ed  al  cospetto 
Del  famoso  Gofì:"redo  ammessi  entraro; 
E  in  ìimil  seggio  e  in  un  vestire  schietto 


pomer.,  cfr  Raflf.  Fornaciari,  Novelle  scelte 
dal  Becamerone,  Introd.  16,  10. 

67,  3  e  seg.  L'ambasceria  ha  fondamento 
storico;  modificata  la  storia,  al  solito,  dal 
Poeta  al  suo  bisogno:  cfr.  Gugl.  Tir.  vii  19. 

68,  1.  Àlete:  personaggio  fittizio,  che  più 
non  compare  nella  Gerus.  —  2.  Tra  le  brut- 
ture de  la  plebe:  cioè  dall'infima  plebe  più 
dedita  ai  vizi.  —  4.  scòrto:  accorto.  —  5. 
vario:  versatile.  —  7.  fabro:  Dante,  Purg. 
xxvii  119:  «Fu  miglior  fabro  del  parlar 
moderno  >.  —  8.  Nori:  inusitati. 

69, 1.  Argante.  Personaggio  d'invenzione. 
Deriva  dall'Achille  omerico  come  fu  inter- 
pretato e  delineato  da  Orazio  uelV Arte  Poe- 
tica, 121:  «  Impiger,  iracundus,  inexorabi- 
lis,  acer,  Jura  neget  sibi  nata,  uihil  non 
arroget  armis  »;  e  come  fu  da  Virgilio  rap- 
presentato e  trasformato  in  Turno.  Vedi 
anche  il  Rodomonte  dell'Ariosto.  —  7.  D'ogni 
Dio  sprezzatore:  Virg.,  Aeìi.yinl:  «Contenip- 
torque  Deùm  Mezentius  ». 

69,  3.  schietto,  semplice;  Petrarca,  son. 


Fra' suoi  duci  sedendo  il  ritrovaro: 
Ma  verace  valor,  ben  che  negletto, 
È  di  se  stesso  a  sé  fregio  assai  chiaro. 
Picciol  segno  d'onor  gli  fece  Argante, 
In  guisa  pur  d'uom  grande  e  non  curante. 
61 

Ma  la  destra  si  pose  Alete  al  seno, 
E  chinò  il  capo,  e  piegò  a  terra  i  lumi, 
E  Tuonerò  con  ogni  modo  a  pieno, 
Che  di  sua  gente  portino  i  costumi. 
Cominciò  poscia,  e  di  sua  bocca  uscièno 
Più  che  mèi  dolci  d'eloquenza  i  fiumi: 
E,  perché  i  Franchi  han  già  il  sermone 

[appreso 
De  la  Seria,  fu  ciò  ch'ei  disse  inteso. 
62 

0  degno  sol  cui  d'ubbidire  or  degni 
Questa  adunanza  di  famosi  eroi, 
Che  per  l'addietro  ancor  le  palme  e  i  regni 
Da  te  conobbe  e  da  i  consigli  tuoi; 
Il  nome  tuo,  che  non  riman  tra  i  segni 
D'Alcide,  ornai  risuona  anco  fra  noi; 


Amor  che'ncend.  7:  *  Pur  come  donna  in 
un  vestire  schietto  «■.  —  4.  sedendo:  sedente. 
Frequente  negli  antichi  questo  uso  del  ge- 
rundio invece  del  participio  presente:  Pe- 
trarca, canz.  Ciliare,  fresche  e  dolc.  16: 
«Ch'Amor  quest'occhi  lagrimando  chiuda  ». 
—  6.  fregio:  ornamento:  cfr.  Dante,  Inf.  viii 
47:  <  Bontà  non  è  che  sua  memoria  fregi  ». 

61,  2.  piegò  a  terra  1  lumi:  è  il  «lumina 
fiexit  »  di  Virg.,  Aen.  iv  369.  —  4.  portino: 
richiedano;  Boccaccio,  Decamer.  nov.  96: 
«Vennero  le  due  giovanette...  con  due  gran- 
dissimi piattelli  d'argento  in  mano  pieni  di 
vari  frutti,  secondoché  la  stagione  porta- 
va ».  —5.  e  di  sua  bocca  uscièno  ecc.  Omero 
[11.  i):  «e  dalla  sua  bocca  scorreva  la  pa- 
rola più  dolce  che  miele»;  e  il  Petrarca, 
son.  Vive  faville  use.  4;  «  D'alta  eloquenza 
si  soavi  fiumi  ». 

62.  Galilei:  «L'orazione  di  Alete  mi  par 
tutta  buona  benché  vi  siano  sparsi  pel  mez- 
zo alcuni  scherzetti  di  madrigali  ».  Questo 
eloquentissimo  discorso  si  può  dividere  se- 
condo retorica  molto  acconciamente;  attri- 
buendo all'Esordio  le  due  prime  ottave; 
alla  Narrazione,  quelle  comprese  dalla  st. 
64  alla  70  inclus.;  alla  Confermazione,  l'altre 
sino  alla  77,  e  alla  Conclusione,  le  rimanenti 
del  discorso.—  1.0  degno  sol  ecc.:  Intendi: 
0  tu  che  solo  tra  tutti  sei  degno  di  essere 
spontaneamente  obbedito  da  questa  adu- 
nanza di  famosi  eroi  ecc.  —  4.  conobbe:  ri- 
conobbe: conoscere,  o,  più  comunemente, 
riconoscere  una  cosa  da  alcuno  vale  repu- 
tare 0  confessare  d'averla  o  che  ella  venga 
da  lui  0  mediante  lui.  Petrarca,  ball.  Vol- 
gendo gli  occhi  8:  «Da  lor  conosco  l'esser 
ov'io  sono  ».  —  5-6.  i   segni   D'Alcide:   lo 


26 


GERUSALEMME  LIBERATA 


E  la  fama  d' Egitto  in  ogni  parte 
Del  tuo  valor  chiare  novelle  ha  sparte. 
63 

Né  v'è  fra  tanti  alcun  che  non  le  ascolte, 
Come  egli  suol  le  meraviglie  estreme: 
Ma  dal  mio  re  con  istupore  accolte 
Sono  non  sol,  ma  con  diletto  insieme; 
E  s'appaga  in  narrarle  anco  a  le  volte, 
Amaudo  in  te  ciò  ch'altri  invidia  e  teme  : 
Ama  il  valore,  e  volontario  elegge 
Teco  unirsi  d'amor,  se  non  di  legge. 
61 

Da  si  bella  cagion  dunque  sospinto, 
L'amicizia  e  la  pace  a  te  richiede; 
E'i  mezzo,  onde  Tun  resti  a  l'altro  avvin- 
Sia  la  virtù  s'esser  non  può  la  fede.    [to. 
Ma,  perché  inteso  avea  che  t'eri  accinto 
Per  iscacciar  l'amico  suo  di  sede, 
Volse,  pria  ch'altro  male  ludi  seguisse, 
Ch"a  te  la  mente  sua  per  noi  s'aprisse. 
65 

E  la  sua  mente  è  tal:  che  s'appagarti 
Vorrai  di  quanto  hai  fatto  in  guerra  tuo, 
Né  Giudea  molestar,  né  l'altre  parti 
Che  ricopre  il  favor  del  reguo  suo, 
Ei  promette  a  l'incontro  assecurarti 
Il  non  ben  fermo  stato:  e  se  voi  duo 
Sarete  uniti,  or  quando  i  Turchi  e  i  Persi 
Potranno  unqua  sperar  di  riaversi? 

66  [fatte 

Signor,  gran  cose  in  picciol  tempo  hai 
Che  lunga  età  porre  in  oblio  non  puote: 
Eserciti,  città,  vinti  e  disfatte, 
Superati  disagi  e  strade  ignote; 
Si  ch'ai  grido  o  smarrite  o  stupefatte 
Son  le  Provincie  intorno  e  le  remote: 
E,  se  ben  acquistar  puoi  novi  imperi, 
Acquistar  nova  gloria  indarno  speri. 


stretto  di  Gibilterra  ove  Ercole  (detto  Al- 
cide da  Alceo  suo  avo)  piantò,  secondo  la 
favola,  le  colonne,  che  sono,  in  sostanza,  i 
due  promontori,  che  formano  lo  stretto. 

63,  2.  egli:  riferito  ad  alcuno.  —  5.  ale: 
Os.  lilù.  —  S.  legge:  religione. 

64,  4.  fede:  qui,  come  è  chiaro,  non  ha 
il  suo  significato  generico,  ma  vale  fede 
religiosa.  —  6,  l'amico  suo:  Aladino. 

66,  2. quanto  ecc.:  la  Siria,  che,  col  monte 
Libano,  ad  ovest  confinava  colla  Palestina. 
—  3-4.  Gugl.  Tir.  (IX  10)  narra  che  il  principe 
egizio  era  adirato  perché  «populus  barba- 
rus  (i  cristiani)  de  ultimis  egressus  terra- 
rum  finibus,  in  regnum  suura  introierat,  et 
provinciam  in  proprio  suo  subditam  occupa- 
verat  violentar  >. —5.  a  l'hicontro:  alla  sua 
volta.  —  8.  unqua:  mai  ;  cfr.  e.  i  5.  2  nota. 

66,3  Eserciti  vinti:  quelli  di  Solimano  e 
Carbone  [Corbatag).  —  città  disfatte:  Nico- 
roedia,  Nicèa  ecc. 


I  67  [l'inanzi 

I    Giunta  è  tua  gloria  al  sommo;  e  per 
;  Fuggir  le  dubbie  guerre  a  te  conviene: 
;  Ch'ove  tu  vinca,  sol  di  stato  avanzi, 
\  Né  tua  gloria  maggior  quinci  diviene; 
I  Ma  l'imperio  acquistato  e  preso  dianzi, 
j  E  l'onor  perdi,  se  '1  contrario  avviene. 
I  Ben  gioco  è  di  fortuna  audace  e  stolto 
i  Por  contra  il  poco  e  incerto,  il  certo  e  'l 
68  [molto 

Ma  il  consiglio  di  tal  cui  forse  pesa  [ve. 
Ch'altri  gli  acquisti  a  lungo  andar  conser-i 
E  l'aver  sempre  vinto  in  ogni  impresa, 
E  quella  voglia  naturai  che  ferve 
E  sempre  è  più  ne' cor  più  grandi  accesa 
D'aver  le  genti  tributarie  e  serve; 
Faran  per  avventura  a  te  la  pace 
Fuggir,  più  che  la  guerra  altri  non  face 
69 
T'esorteranno  a  seguitar  la  strada, 
Che  t'è  dal  fato  largamente  aperta, 
A  non  depor  questa  famosa  spada, 
Al  cui  valore  ogni  vittoria  è  certa, 
Sin  che  la  legge  di  Macon  non  cada, 
Sin  che  l'Asia  per  te  non  sia  deserta: 
Dolci  cose  ad  udire,  e  dolci  inganni 
Ond'escon  poi  sovente  estremi  danni. 

70 
Ma,  s'animosità  gli  occhi  non  benda, 
Né  il  lume  oscura  in  te  de  la  ragione, 
Scorgerai,  ch'ove  tu  la  guerra  prenda, 
Hai  di  temer,  non  di  sperar  cagione: 
Che  fortuna  qua  giù  varia  a  vicenda, 
Mandandoci  venture  or  triste  or  buone; 
Ed  a  i  voli  troppo  alti  e  repentini 
Sogliono  i  precipizii  esser  vicini. 

71 
Dimmi:  s'a' danni  tuoi  l'Egitto  move, 
D'oro  e  d'arme  potente  e  di  consiglio; 
E  s'avvien  che  la  guerra  anco  rinnove 
Il  Perso  e'I  Turco  e  di  Cassano  il  figlio; 
Quai  forze  opporre  a  si  gran  furia,  o  dove 
Ritrovar  potrai  scampo  al  tuo  periglio? 
T'affida  forse  il  re  malvagio  greco 
Il  qual  da  i  sacri  patti  unito  è  teco? 


67,  1.  l'inanzi:  l'avvenire.  —  2.  dubbie, 
:  incerte  nell'esito.  —  6.  se  *1  contrario:  cioè, 
,  che  tu  perda. 

;  68,  1.  tal:  taluno.  Allude,  forse,  ai  con- 
!  sigli  dei  principi  cristiani;  e  fa  credere  che 
i  non  ci  sia  da  fidarsene.  —  pesa:  incresce. 
!  Dante,  Inf.  vi  58:  «  Ciacco,  il  tuo  affanno  Mi 
:  pesa  si  che  a  lagrimar  m'invita  ». 
I  70.  1.  animosità:  passione  mossa  da  in- 
teresse. 
j  71,  4.  Cfissaiio:  già  re  di  Antiochia;  Ca- 
!  siaììo  lo  chiama  Paolo  Emilio,  ma  Gugi.  Tir. 
'  Acciailo:  VI  56. 


CANTO  II 


27 


72 

La  fede  greca  a  chi  non  è  palese?     [ra; 
Tu  da  un  sol  tradimento  ogni  altro  impa- 
Anzi  da  mille;  perché  mille  ha  tese 
Insidie  a  voi  la  gente  infida,  avara. 
Dunque  chi  dianzi  il  passo  a  voi  contese, 
Per  voi  la  vita  esporre  or  si  prepara? 
;  Chi  le  vie,  che  comuni  a  tutti  sono, 
!  Negò,  del  proprio  sangue  or  farà  dono? 

73 
I   Ma  forse  hai  tu  riposta  ogni  tua  speme 
1  In  queste  squadre,  oud'ora  cinto  siedi. 
i  Quei  che  sparsi  vincesti,  uniti  insieme 
I  Di  vincer  anco  agevolmente  credi; 

Se  ben  son  le  tue  schiere  or  molto  sceme 
i  Tra  le  guerre  e  i  disagi,  e  tu  te  '1  vedi; 
Se  ben  novo  nemico  a  te  s'accresce, 
E  co' Persi  e  co' Turchi  Egizii  mesce. 
!  74 

I    Or,  quando  pur  estimi  esser  fatale 
j  Che  non  ti  possa  il  ferro  vincer  mai, 
j  Siati  concesso:  e  siati  a  punto  tale 
Il  decreto  del  Ciel,  qual  tu  te'l  fai; 
Vinceratti  la  fame:  a  questo  male 
Che  rifugio,  per  Dio,  che  schermo  avrai  ? 
Vibra  coutra  costei  la  lancia,  e  stringi 
La  spada,  e  la  vittoria  anco  ti  fingi. 

75 
Ogni  campo  d'intorno  arso  e  distrutto 
Ha  la  provida  man  de  gli  abitanti, 
E  in  chiuse  mura  e  in  alte  torri  il  frutto 
Riposto,  al  tuo  venir  più  giorni  inanti. 
Tu,  ch'ardito  sin  qui  ti  sei  condutto. 
Onde  speri  nutrir  cavalli  e  fanti? 
Dirai:  L'armata  in  mar  cura  ne  prende. 
Da  i  venti  adunque  il  viver  tuo  dipende? 
70 
Comanda  forse  tua  fortuna  a  i  venti, 
E  gli  avvince  a  sua  voglia  e  gli  dislega? 
Il  mar  ch'a  i  preghi  è  sordo  ed  a  i  lamenti. 
Te  sol  udendo,  al  tuo  voler  si  piega? 
0  non  potranno  pur  le  nostre  genti, 
E  le  Perse  e  le  Turche  unite  in  lega, 
Cosi  potente  armata  in  un  raccòrrò, 
Ch'a  questi  legni  tuoi  si  possa  opporre? 


72,  2.  Virg.,  Aen.  ii65:  «crimine  ab  uno 
Disce  omnes  ».  —  7.  Chi  le  rie:  le  vie  del 
mare;  Virg.,  Aen.  vii  229  «  Dis  sedem  exi- 
guara  patriis  litusque  rogamus  Innocuum, 
et  cunctis  undamque  aiiramque  patentem  ». 

73,  S.  mesce:  unisce  gli  Egizi  co' Persi  e 
co'  Turchi. 

74,  I.  fatale  :  voluto  dal  fato.  —  8.  e  la  vit- 
toria anco  ti  fingi:  e  ti  immagina  la  vittoria 
anche  su  lei  ;  il  ti  fingi  è  un  imperativo, 
coordinato  agli   altri  due  vibra  e  stringi. 

76,  7.  iu  un:  insieme.  La  Crusca^  oltre 
a  quest'esempio,  ne  cita  altri  del  Boccac- 
cio, del  Villani  ecc. 


77 

Doppia  vittoria  a  te,  signor,  bisogna, 
S'hai  de  l'impresa  a  riportar  l'onore: 
Una  perdita  sola  alta  vergogna 
Può  cagionarti,  e  danno  anco  maggiore  : 
Ch'ove  la  nostra  armata  in  rotta  pogna 
La  tua,  qui  poi  di  fame  il  campo  more: 
E,  se  tu  sei  perdente,  indarno  poi 
Saran  vittoriosi  i  legni  tuoi. 
78 

Ora,  se  in  tale  stato  anco  rifiuti 
Co'l  gran  re  de  l'Egitto  e  pace  e  tregua 
(Diasi  licenza  al  ver),  l'altre  virtuti 
Questo  consiglio  tuo  non  bene  adegua. 
Ma  voglia  il  Ciel  che'l  tuo  pensiersimuti, 
S'a  guerra  evòlto,  e  che'l  contrario  segua; 
Si  che  l'Asia  respiri  ornai  da  i  lutti, 
E  goda  tu  de  la  vittoria  i  frutti. 
79 

Né  voi  che  del  periglio  e  de  gli  affanni 
E  de  la  gloria  a  lui  séte  consorti. 
Il  favor  di  fortuna  or  tanto  inganni 
Che  nove  guerre  a  provocar  v'esorti. 
Ma,  qual  nocchier  che  da  i  marini  inganni 
Ridutti  ha  i  legni  a  i  desiati  pòrti, 
Raccòr  dovreste  ornai  le  sparse  vele, 
Né  fidarvi  di  uovo  al  mar  crudele. 
80 

Qui  tacque  Alete:  e'I  suo  parlar  seguirò 
Con  basso  mormorar  que' forti  eroi; 
E  ben  ne  gli  atti  disdegnosi  aprirò 
Quanto  ciascun  quella  proposta  annoi. 
11  Capitan  rivolse  gli  occhi  in  giro 
Tre  volte  e  quattro,  e  mirò  in  fronte  i  suoi; 
E  poi  nel  vólto  di  colui  gli  affisse 
Ch'attendea  la  risposta,  e  cosi  disse: 
81 

Messaggier,  dolcemente  a  noi  sponesti 
Ora  cortese,  or  minaccioso  invito. 
Se'l  tuo  re  m'ama,  e  loda  i  nostri  gesti, 
È  sua  mercede,  e  m'è  l'amor  gradito. 
A  quella  parte  poi,  dove  protesti 
La  guerra  a  noi  del  paganesmo  unito, 
Risponderò,  come  da  me  si  suole, 
Liberi  sensi  in  semplici  parole. 


78,  3.  Diasi  licenza  al  Ter:  si  dia  luogo  al 
vero. 

SO.  Ctr,  la  nèta  alla  st.  57,  3  di  questo 
cant.:  Gugl.  Tir.,  dopo  le  proposte  dei  mes- 
saggieri  egiziani,  ségint;i:  *  Quod  verbum 
nostri  principes  prò  ludibrio  habentes,  prae- 
dictos  nuncios  redire  compulerunt  ecc.  ».— 
3.  aprirò:  fecero  manifesto.— t.  Quanto  quella 
proposta  rechi  noia,  disgusto,  a  ciascuno. 

81,  1.  dolcemente:  con  arte  soave,  con  bei 
modi.  —  2.  Cosi  pure  Cùnq.;  ma  Os.  Or  mi- 
naccioso et  or  cortese.  —  3.  pesti:  gesta, 
imprese.  —  5.  A  quella  parte:  Intendi  del 
discorso. 


28 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Sappi  che  tanto  abbiam  fin  or  sofferto 
In  mare,  in  terra,  a  Taria  chiara  e  scura, 
Solo  acciò  che  ne  foss'e  il  calle  aperto 
A  quelle  sacre  e  venerabil  mnra, 
Per  acquistar  appo  Dio  grazia  e  merto 
Togliendo  lor  di  servitù  si  dura; 
Né  mai  grave  ne  fia  per  fin  si  degno 
Esporre  onor  mondano  e  vita  e  regno: 
83 

Che  non  ambiziosi  avari  affetti 
Ne  spronaro  a  l'impresa  e  ne  fur  guida: 
(Sgombri  il  Padre  del  Ciel  da  inostri  petti 
Peste  si  rea,  s'in  alcun  pur  s'annida; 
Né  soffra  che  l'asperga,  e  che  l'infetti 
Di  veneu  dolce  che  piacendo  ancida): 
Ma  la  sua  man   ch'i  duri  cor  penetra 
Soavemente,  e  gli  ammollisce  e  spetra; 
84  [dutti, 

Questa  ha  noi  mossi,  e  questa  ha  noi  con- 
Tratti  d'ogni  periglio  e  d'ogni  impaccio  ; 
Questa  fa  piani  i  monti,  e  i  fiumi  asciutti, 
L'ardor  toglie  a  la  state,  al  verno  il  ghiac- 
Placa  del  mare  i  tempestosi  flutti,  [ciò  : 
Stringe  e  rallenta  questa  a  i  venti  il  lac- 

[cio: 
Quindi  8on  l'alte  mura  aperte  ed  arse, 
Quindi  Tarmate  schiere  uccise  e  sparse  ; 
85 

Quindi  l'ardir,  quindi  la  speme  nasce, 
Non  da  le  frali  nostre  forze  e  stanche. 
Non  da  l'armata,  e  non  da  quante  pasce 
Genti  la  Grecia,  e  non  da  l'arme  Franche. 
Pur  ch'ella  mai  non  ci  abbandoni  e  lasce. 
Poco  dobbiam  curar  ch'altri  ci  manche. 
Chi  sa  come  difende,  e  come  fere, 
Soccorso  a  i  suoi  perigli  altro  non  chere. 
86 

Ma  quando  di  sua  aita  ella  ne  privi 
Per  gli  error  nostri,  o  per  giudizi  occulti, 


j  Chi  fia  di  noi  ch'esser  sepulto  schivi 
I  Ov'i  membri  di  Dio  fur  già  sepulti? 
Noi  morirera,  né  invidia  avremo  a  i  vivi; 
Noi  morirera.  ma  non  morremo  inulti: 
Né  l'Asia  riderà  di  nostra  sorte, 
Né  pianta  fia  da  noi  la  nostra  morte. 
V  87 

Non  creder  già  che  noi  fuggiam  la  pace, 
Coinè  guerra  mortai  si  fugge  e  pavé; 
Che  l'amicizia  del  tuo  re  ne  piace, 
Né  l'unirsi  con  lui  ne  sarà  grave; 
Ma  s'al  suo  imperio  la  Giudea  soggiace, 
Tu  '1  sai  ;  perché  tal  cura  ei  dunque  n'ha- 

[ve? 
De'  regni  altrui  l'acquisto  eì  non  ci  vieti, 
E  regga  in  pace  i  suoi  tranquilli  e  lieti. 
88 
Cosi  rispose;  e  di  pungente  rabbia 
La  risposta  ad  Argante  il  cor  trafisse;     ; 
Né  '1  celò  già,  ma  con  enfiate  labbia         ] 
Si  trasse  avanti  al  Capitano  e  disse:         • 
Chi  la  pace  non  vuol,  la  guerra  s'abbia,   ] 
Che  penuria  già  mai  non  fu  di  risse; 
E  ben  la  pace  ricusar  tu  mostri, 
Se  non  t'acqueti  a  i  primi  detti  nostri. 
89 
Indi  il  suo  manto  per  lo  lembo  prese, 
Curvollo,  e  fenne  un  seno;  e'I  seno  spor- 
Cosi  pur  anco  a  ragionar  riprese         [to, 
Via  più  che  prima  dispettoso  e  torto: 
0  sprezzator  de  le  più  dubbie  imprese, 
E  guerra  e  pace  in  questo  sen  t'apporto; 


82,  5.  acquistar:  cosi  BoN.i-3;  ma  BON.- 
acquisturne,  eOs.  acquistarci.  —  6.  lor:  si 
riferisce  alle  sacre  e  venerabili  mura  del 
verso  4. 

83,  1.  avari  affetti:  successi  che  sodisfac- 
ciano la  nostra  ambizione  ed  avarizia.  — 7. 
Ma:  avversativa  che  ci  riporta  al  concetto 
espresso  nei  primi  due  v>er3i  Jella  ottava. 
—  Ift  saa  man  ecc.  Ricorda  il  Petrarca,  canz. 
Italia  mia  12:  «E  i  cuor  che  indura  e  serra 
Marte  superbo  e  fero,  Apri  tu,  Padre,  inte- 
nerisci e  snoda  ». 

84.2.  Tratti:  (questa  ha  noi]  tratti.  —  7-8. 
Quindi:  da  questa  mano. 

85,  7.  Chi  sa  come  questa  mano  difende 
e  ferisce.  — 8.  chere:  chiede,  dal  lat.  quae- 
vere:  voce  ogg'i  caduta  dalla  poesia. 

86,  2.  occulti:  in  tutto,  per  dirla  con  Dan- 
te, dall'accorger  nostro  scissi  [Purg.  vi  123). 


\ 


—  5.  Virg.,  Aen.  ii  670:  «  Nunquam  omnes 
hodie  moriemur  inulti  ».  —  7-8.  Claud.  in 
Riiff.,  I  2:  •<  Nec  mea  securus  ridebit  funera 
Victor  ».  E  il  Petrarca,  Tr.  Am.  ii  S3;  «S'A- 
;rica  pianse,  Italia  non  ne  rise  »'. 

87.  2.  pavé  :  paventa,  lat.  pavet.  Petrarca, 
canz.  Verdi  panni  sang.  26:  «e  quella  in 
cui  Tetade  Nostra  si  mira,  la  qual  piombo 
0  legno  Vedendo  è  chi  non  pavé  ». 

88.  3.  enfiate  labbia:  adirato  aspetto:  è  di 
Dante,  Inf.  vii  7:  «Poi  si  rivolse  a  queir  en- 
fiata labbia  ». 

89.  Floro,  De  Gest.  Roììx.  ii  6,  di  Fabio 
massimo  :  «  Tergiversantibus  Poenis,  dux 
legationis  Fabius:  Qwae,  iuquit,  rno'o  est? 
in  hoc  ego  sinii  bellum  offero  et  pacem.. 
Uiruìii  eligitisì  Utrura  p>lacet  sumite.  Cum- 
que  succlaraatum  esset,  utrum  vellet,  da- 
rei, Bellum  igituì\  inquit,  accipite;  et  ex- 
cusso in  media  curia  togae  gremio,  non 
sine  horrore,  quasi  piane  sinu  bellum  fer- 
rei, effudit  ».  Cfr.  Livio,  libr.  I,  cap.  5,  e  Silio 
Italico,  Puniche  ii  382.  —  4.  torto:  torcere 
implica  una  mala  tendenza  dell'animo,  co- 
me in  Dante, /n/.  xiv  47:  «giace  dispettoso 
e  torto  »;  e  VI  91  «  Li  diritti  occhi  torse  al- 
lora in  bieci  '. 


ì 


CANTO  II 


29 


Tua  sia  reiezione:  or  ti  consiglia 
Senz'altro  indugio,  e  qual  più  vuoi  ti  pi- 
90  [glia. 

L'atto  fòro  e'I  parlar  tutti  commosse 
A  chiamar  guerra  in  un  concorde  grido, 
Non  attendendo  che  risposto  fosse 
Dal  magnanimo  lor  duce  Goffrido. 
Spiegò  quel  crudo  il  seno,  e'I  manto  scos- 
Ed,  A  guerra  mortai,  disse,  vi  sfido:     [se, 
E'I  disse  in  atto  si  feroce  ed  empio. 
Che  parve  aprir  di  Giano  il  chiuso  tempio. 

91 
Parve,  ch'aprendo  il  seno,  indi  traesse 
li  furor  pazzo  e  la  discordia  fera; 
E  che,  ne  gli  occhi  orribili  gli  ardesse 
La  gran  face  d' Aletto  e  di  Megera. 
Quel  grande  già,  che 'n  centra  il  cielo  eres- 
L  alta  mole  d'error,  forse  tal  era:        [se 
E  in  cotal  atto  il  rimirò  Babelle 
Alzar  la  fronte  e  minacciar  le  stelle. 

92 
Soggiunse  allor  Goffredo:  Or  riportate 
Al  vostro  re  che  venga,  e  che  s'affretti, 
I  Che  la  guerra  accettiam  che  minacciate; 

E  s'ei  non  vien,  fra'l  Nilo  suo  n'aspetti. 
;  Accomiatò  lor  poscia  in  dolci  e  grate 
Maniere,  e  gli  onorò  di  doni  eletti. 
Ricchissimo  ad  Alete  un  elmo  diede 
Ch'a  Nicea  conquistò  fra  l'altre  prede. 

93  [gio 

Ebbe  Argante  una  spada;  e'I  fabro  egre- 
L'else  e'I  pomo  le  fé' gemmato  e  d'oro; 
Con  magistero  tal,  che  perde  il  pregio 
'  De  la  ricca  materia  appo  il  lavoro. 
Poi  che  la  tempra  e  la  ricchezza  e'I  fregio 
Sottilmente  da  lui  mirati  fòro,  [sto 

Disse  Argante  al  Buglion:  Vedrai  ben  to- 
Come  da  me  il  tuo  dono  in  uso  è  posto. 

94 
Indi  tolto  congedo,  è  da  lui  ditto 
Al  suo  compagno  :  Or  ce  n'andremo  ornai: 
Io  a  Gierusalem,  tu  verso  Egitto, 
Tu  co'l  sol  novo,  io  co' notturni  rai; 


90,  8.  Le  porte  di  Giano  si  aprivano  solo 
colla  guerra. 

91,  4.  Aletto,  Megera:  due  delle  furie.  — 
5.  Quel  graude  :  Nembrod.  —  6.  L'alta  mole 
d'error:  Petrarca,  Tr.  Fam.  ii  80:  «E  quel 
che  cominciò  già  la  gran  torre  Che  fu  si 
di  peccato  e  d'orror  carca  ». 

93,  3.  perde:  cfr.  i  52,  8. 
9i,  3.  lo  a  ecc.:   Petrarca,  son.   Quanto 
più  disios.  11:  «Egli  in  Gerusalem,  ed  io  in 


Ch'uopo  0  di  mia  presenza,  o  di  mio  scrit- 
Esser  non  può  colà  dove  tu  vai.  [to, 

Reca  tu  la  risposta,  io  dilungarmi 
Quinci  non  vuo',  dove  si  trattan  l'armi. 
95 

Cosi  di  messaggier  fatto  è  nemico, 
Sia  fretta  intempestiva  o  sia  matura: 
La  ragion  de  le  genti  e  l'uso  antico 
S'offenda  o  no,  né'l  pensa  egli  né'l  cura. 
Senza  risposta  aver,  va  per  l'amico 
Silenzio  de  le  stelle  a  l'alte  mura. 
D'indugio  impaziente,  ed  a  chi  resta 
Già  non  men  la  dimora  anco  è  molesta. 
96 

Era  la  notte  allor  ch'alto  riposo       [do  : 
Han  l'onde  e  i  venti,  e  parca  muto  il  mon- 
Gli  animai  lassi,  e  quei  che'l  mare  ondo- 
0  de' liquidi  laghi  alberga  il  fondo,     [so, 
E  chi  si  giace  in  tana  o  in  mandra  ascoso, 
E  i  pinti  augelli,  ne  l'oblio  profondo 
Sotto  il  silenzio  de' secreti  orrori 
Sopian  gli  affanni  e  raddolciano  i  cori. 
97 

Ma  né'l  campo  fedel,  né'l  franco  duca 
Si  discioglie  nel  sonno,  o  al  men  s'accheta; 
Tanta  in  lor  cupidigia  è  che  riluca 
Ornai  nel  ciel  l'alba  aspettata  e  lieta. 
Perché  il  camin  lor  mostri  e  li  conduca 
A  la  città  ch'ai  gran  passaggio  è  mèta: 
Mirano  ad  or  ad  or  se  raggio  alcuno 
Spunti,  0  si  schiari  de  la  notte  il  bruno. 


Egitto».  —  S.Qninci  non  tuo', dove:  Os.  Quin- 
ci non  voglio  ove. 

95,5-6.  amico  Silenzio  ecc.:  Yivg..,  Aen.  il 
25:  «tacitae  per  amica  silentia  lunae  >. 

96,  1.  Era  la  notte  ecc.:  cfr.  Virg,,  Aen.  iv 
522:  «  Nox  erat,  et  placidum  carpebant  fessa 
soporem  Corpora  per  terras;  silvaeque  et 
saeva  quierant  Aequora;  quum  medio  voi- 
vuntur  sidera  lapsu,  Quum  tacet  omnis 
ager,  pecudes  pictaeque  volucres,  Quaeque 
lacus  late  liquidos,  quaeque  aspera  dumis 
Rura  tenent  somuo,  positae  sub  nocte  si- 
lenti, Lenibant  curas  et  corda  oblila  labo- 
rum  ».  —  6.  profondo:  Cosi  ancora  la  Conq. 
e  Os.;  altri  leggono  giocondo.  —8  cori: 
affetti. 

97,  1.  Ma  né'l  campo  ecc.:  Rifa  Virgilio 
nel  punto  che  segue  ai  versi  riportati:  «  At 
non  infelix  animi  Phoenissa,  neque  unquam 
Solvitur  in  somnos  (sì  discioglie  nel  sonno), 
oculisve  aut  pectore  noctem  Accipit  ».  —  2. 
al  men:  cosi  pure  Conq.  ma  Os. pur.  —  S, 
si  schiari:  Os.  riscliiari. 


^■ 


CANTO  III. 

II  mattino  ii^  Gerusa- 
lemme agli  occhi  dei  cri- 
stiani -^  Aladtno  dà  or- 
dini per  la  difesa:  e  in- 
sieme con  Erminia  mira 
da  un*  alta  torre  la  zuffa 
i^  Erminia  addita  i  mi- 
gliori guerrieri  cristiani. 
"Ar  Clorinda  assale  e  rom- 
pe uno  stuolo  cristiano 
-^  Suo  ducilo  con  Tan- 
credi -y^r  Morte  di  Dudone 
^  Ira  di  Rinaldo  ^  Ge- 
rusalemme tAt  Goffredo 
dispone  1*  esercito  dalla 
parte  piana  della  città  -^^ 
Funerali  di  Dudone  ^Ar 
Preparativi  per  V  assedio. 


1 
Già  l'aura  messaggera  erasi  desta 
A  nuuziar  che  se  ne  vieu  l'aurora: 
Ella  in  tanto  s'adorna,  e  l'aurea  testa 
Di  rose  còlte  in  paradiso  infiora; 
Quando  il  campo,  ch'a  l'arme  ornai  s'ap- 

[presta, 
In  voce  mormorava  alta  e  sonora, 


1,  1.  aura  messasgiera:  il  vento  che  pre- 
cede il  sorgere  dell'alba  ;  imita  Dante,  Purg. 
XXIV  145:  «E  quale  annunziatrice  degli  al- 
bori, L'aura  di  maggio  muovesi  ed  olezza  »  ; 
e  l'azione  della  Gerus.  comincia  a  punto  in 
primavera. —  3.  Ella:  Personificazione  del- 
l'aurora. —  4,  Petrarca,  dell'aurora,  son. 
Quatid'io  vegg.  2:  «  Con  la  fronte  di  rose  e 
co'  crin  d'oro  ».  —  paradiso,  vale  anche  orto 
0  giardino;  qui,  giardino  celeste;  il  Petrar- 
ca, di  orto  terrestre,  son.:  »  Due  rose  fre- 
sche^ e  còlte  in  paradiso  ».  —  6.  mormorara: 


E  prevenia  le  trombe;  e  queste  poi 
Diér  più  lieti  e  canori  i  segni  suoi. 
2 

11  saggio  Capitan  con  dolce  morso 
I  desiderii  lor  guida  e  seconda; 
Che  più  facil  saria  svolgere  il  corso 
Presso  Cariddi  a  la  volubil  onda, 
0  tardar  Borea  allor  che  scote  i!  dorso 


Buona  questa  osservazione  del  Galilei:  «La 
voce  alta  e  sonora  non  è  del  mormorare, 
ma  piuttosto  la  bassa  e  placida  ».  Meglio 
nella  Gerusal.  Conquisi,  e.  iv  6:  *  Lunge 
in  voce  s'udiva  alta  e  sonora».  —  8.  suoi, 
per  loro. 

2,  \.  Il  saggio  Capitan  ecc.:  Vuol  dire  che 
il  capitano  non  si  oppone  ai  loro  desidèri, 
che  sarebbe  stato  impossibile,  come  impos- 
sibili sono  le  cose  che  il  P.  viene  enume- 
rando; ma  si  contenta  di  ordinare  e  raflfre- 
nare.  Quel   lor  del  verso  2  si  riferisce   al 


CANTO  III 


31 


e  rApennino,  e  i  legni  in  mare  affonda. 
Gli  ordina,  grincaininina,  e  in  suon  gli 
Rapido  si,  ma  rapido  con  legge,    [regge 
3 

Ali  ha  ciascuno  al  core  ed  ali  al  piede, 
Né  del  suo  ratto  andar  però  s'accorge: 
Ma,  quando  il  sol  gli  aridi  campi  fìede 
Con  raggi  assai  ferventi,  e  in  alto  sorge. 
Ecco  apparir  Gierusalem  si  vede, 
Ecco  additar  Gierusalem  si  scorge; 
Kcco  da  mille  voci  unitamente 
Gierusalemrae  salutar  si  sente. 
4 

Cosi  di  naviganti  audace  stuolo, 
Che  mova  a  ricercar  estranio  lido, 
E  in  mar  dubbioso  e  sotto  ignoto  polo 
Provi  l'onde  fallaci  e'I  vento  intido, 
S'al  fin  discopre  il  desiato  suolo. 
Il  saluta  da  lunge  in  lieto  grido; 
E  l'uno  a  l'altro  il  mostra,  e  in  tanto  oblia 
La  noia  e  '1  mal  de  la  passata  via. 
5 

AI  gran  piacer  che  quella  prima  vista 
Dolcemente  spirò  ne  l'altrui  petto, 
Alta  contriz'ion  successe,  mista 
Di  timoroso  e  riverente  affetto; 
Osano  a  pena  d'inalzar  la  vista 
Vèr'la  città,  di  Cristo  albergo  eletto, 
Dove  mori,  dove  sepolto  fue, 
Dove  poi  rivesti  le  membra  sue. 
G 

Sommessi  accenti  e  tacite  parole. 
Rotti  singulti  e  flebili  sospiri 


collettivo  campo  dell'ottava  precedente.  — 
7.  e  In  suon  ecc.,  *li  fa  marciare  ai  suono 
di  marce  rapide,  ma  ordinate.  Bon.  e  un 
sol  forse  per  errore. 

3,  3.  flede:  arcaismo,  ferisce.  —  5.  Ecco 
apparir  ecc.:  Virg.,  Aen.  iii  522  «  ....Quum 
procul  obscuros  colJes,  humilemque  vide- 
mus  Italiam  :  Italiam  primus  conclamat 
Achates,  Italiam  laeto  sodi  clamore  salu- 
taut  »,  L'esercito  cristiano  giunse  sotto  le 
mura  di  Gerusalemme  il  7  giugno  1099.  Il 
monaco  Roberto,  testimone  oculare,  scrive: 
«  0  buon  Gesù,  quando  i  cristiani  videro  la 
tua  santa  città....  oh  come  piangevano.». 

4,  3.  polo:  cielo.  —  7.  in  tanto  oblia  ecc.: 
Petrarca,  canz.  Nella  stagion  10:  «  ov'ella 
oblia  La  noia  e  il  mal  de  la  passata  via  ». 
Per  questa  ottava  cfr.  Omero,  Odiss.  xxiii 
233  (trad.  Pindemonte). 

6,  2.  ne  l'altrui  petto:  nel  petto  de'  cro- 
ciati. Gugl.  Tir.  vi: 25:  «progressi  pusillum 
e  vicino  urbem  sanctam  contemplantes,cum 
gemitu  et  suspiriis  prse  gaudio  fusis  spiri- 
tuali, pedites,  et  nudis  ex  plurima  parte 
vestigiis,  coepto  ferventius  insistentes  itineri, 
subito  ante  urbem  se  coustiterunt  ecc.  ►, 


He  la  gente  ch'in  un  s'allegra  e  duole, 
Fan  che  per  l'aria  un  mormorio  s'aggiri 
Qual  ne  le  folte  selve  udir  si  suole, 
S'avvien  che  tra  le  frondi  il  vento  spiri; 
O  quale  infra  gli  scogli,  o  presso  a  i  lidi 
Sibila  il  mar  percosso  in  rauchi  stridi. 
7 

Nudo  ciascun  il  pie  calca  il  sentiero; 
Che  l'esempio  de' duci  ogn'altro  move: 
Serico  fregio  o  d'or,  piuma  o  cimiero 
Superbo,  dal  suo  capo  ognun  rimove; 
Ed  insieme  del  cor  l'abito  altero 
Depone,  e  calde  e  pie  lagrime  piove: 
Pur,  quasi  al  pianto  abbia  la  via  rinchiu- 

[sa, 
Cosi  parlando  ognun  se  stesso  accusa: 
8 

Dunque  ove  tu,  Signor,  di  mille  rivi 
Sanguinoso  il  terren  lasciasti  asperso, 
D'amaro  pianto  almen  duo  fonti  vivi 
In  si  acerba  memoria  oggi  io  non  verso? 
Agghiacciato  mio  cor,  che  non  derivi 
Per  gli  occhi,  e  stilli  in  lagrime  conver- 

[so? 

Duro  mio  cor,  che  non  ti  spetri  e  frangi  ? 

Pianger  ben  merti  ognor,  s'ora  non  pian- 

9  [gi. 

Da  la  cittade  in  tanto  un  ch'a  la  guarda 
Sta  d'alta  torre,  e  scopre  i  monti  e  i  cam- 
[pi. 

6,  1.  s'aggiri:  è  il  dantesco  [Inf.  m  28): 
«  Facevan  un  tumulto  11  qual  s'aggira  Sem- 
pre in  quell'aria».  —  5-S.  Vedi  Virgilio  nel- 
VAen.x  97;  e  confronta  questo  passo  delle 
Georg,  iv  v;60,  dove  si  parla  delle  api:  «Tum 
sonus  auditur  gravior,  tractimque  susur- 
rant:  Frigidus  ut  quondam  silvis  immur- 
murat  auster,  Ut  mare  soUicitum  stridet  re- 
lluentibus  undis,  Aestuat  ut  clausis  rapidus 
fornacibus  ignis». 

7,1. Nudo  ecc.:  Costruisci:  Ciascuno, nudo 
il  pie,  calca  ecc.;  e  intendi  il  pie  come  un 
acc.  alla  greca.  È  storicamente  vero  ;  cfr. 
la  net.  alla  st.  5,  2.  —  6.  piove  è  coordinato 
a  depone,  e  usato  transitivamente.  —  7. 
quasi  al  pianto  ecc.:  quasi  che  il  pianto  che 
ora  ciascuno  spande,  per  quanto  largo,  sia 
un  nulla  in  paragone  di  quanto  se  ne  do- 
vrebbe versare  ecc. 

8,  2.  Sanguinoso:  Conq.  e  Os.  Sanguinosi. 

—  3.  duo  fonti  vivi:  contrapposto  a  mille  rivi. 

—  5-6.  che  non  derivi  Per  gli  occhi  :  Perché 
non  isgorghi  tutto,  in  forma  di  rivo,  per 
mezzo  degli  occhi?  —  7.  spetri,  BoN.2  e  Os.; 
ma  BoN.i  sjjezzi. 

9,  1.  guarda,  per  guardia.  *  «  La  voce 
guarda  per  guardia  ho  usata  alcuna  volta 
in  rima,  né  ve  n'ho  esempio.  Mi  pare  ben 
d'averla  vista,  ma  non  mi  ricordo  dove. 
Pur  la  licenza   per  se  stessa  mi  pnr  lecita. 


32 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Colà  giuso  la  polve  alzarsi  guarda, 
Si  che  par  che  gran  nube  in  aria  stampi; 
Par  che  baleni  quella  nube  ed  arda, 
Come  di  fiamme  gravida  e  di  lampi: 
Poi  lo  splendor  de' lucidi  metalli 
Distingue, e  scerne  gli  uomini  e  i  cavalli. 

10 
Allor  gridava:  Oh  qual  per  l'aria  stesa 
Polvere  l' veggio!  oh  come  par  che  splen- 
Su,  suso,  0  cittadini;  a  la  difesa         [da  ! 
S'armi  ciascun  veloce,  e  i  muri  ascenda: 
Già  presente  è  il  nemico.  E  poi,  ripresa 
La  voce:  ognun  s'affretti,  e  l'arme  pren- 

[da  : 
Ecco,  il  nemico  è  qui  :  mira  la  polve 
Che  sotto  orrida  nebbia  il  cielo  involve. 

11 
I  semplici  fanciulli,  e  i  vecchi  inermi, 
E'I  vulgo  de  le  donne  sbigottite. 
Che  non  sanno  ferir  né  fare  schermi, 
Traean  supplici  e  mesti  a  le  meschite: 
Gli  altri  di  membra  e  d'animo  più  fermi 
Già  frettolosi  l'arme  avean  rapite: 
Accorre  altri  a  le  porte,  altri  a  le  mura; 
Il  re  va  intorno,  e'I  tutto  vede  e  cura. 

12 
Gli  ordini  diede,  e  poscia  ei  si  ritrasse 
Ove  sorge  una  torre  in  fra  due  porte: 
Si  ch'è  presso  al  bisogno  ;  e  son  più  basse 


Quindi  le  piaggie  e  le  montagne  scor. .. 
Volle  che  quivi  seco  Erminia  andasse; 
Erminia  bella,  ch'ei  raccolse  in  corte 
Poi  ch'a  lei  fu  da  le  cristiane  squadre 
Presa  Antiochia,  e  morto  il  re  suo  padre. 

13  [è  gita: 
Clorinda  in  tanto  in  contra  a  i  Franchi 

Molti  van  seco,  ed  ella  a  tutti  è  inante; 
Ma  in  altra  parte,  ond'è  secreta  uscita, 
Sta  preparato  a  le  riscosse  Argante. 
La  generosa  i  suoi  seguaci  incita 
Co" detti  e  con  l'intrepido  sembiante; 
Ben  con  alto  principio  a  noi  conviene, 
Dicea,  fondar  de  l'Asia  oggi  la  spene, 

14  [se 
Mentre  ragiona  a  i  suoi,  non  lunge  scòr- 

Un  Franco  stuolo  addur  rustiche  prede, 
Che,  come  è  l'uso,  a  depredar  precorse; 
Or  con  greggie  ed  armenti  al  campo  riede. 
Ella  vèr'lor,  e  verso  lei  se'n  corse 
II  duce  lor,  ch'a  sé  venir  la  vede:        [sa, 
Gardo  il  duce  è  nomato,  uora  di  gran  pos- 


Me  ne  rimetto  .  {Leti,  i  87,  15  ottob.  1576). 
Si  citano  esempi  di  Francesco  da  Barbe- 
rino. —  3.  la  polre  alzarsi  ecc.:  Virg.,  Aen. 
IX  33:  «  Hic  subitala  nigro  glomerari  pul- 
vere  nubem  Prospiciunt  Teucri,  ac  tenebras 
insurgere  campis>.  —  5-6.  Virg.,  Aen.  viii 
622:  «qualis  cutn  caerula  nubes  Solis  inar- 
descit  radiis,  loogeque  refulget». 

10,  Il  Galilei  disse  troppo  male  di  questa 
strofa.  Certo  la  seconda  parte  è  superflua; 
ma  la  prima  è  bella.  —  1.  Allor  gridara  ecc.: 
Virg.,  Aen.  ix  35:  «  Primus  ab  adversa  con- 
clamai mole  Caicus:  Quis  globus,  o  cives, 
caligine  volvitur  atra!  Ferte  citi  ferrum, 
date  tela,  scandite  muros,  Hostis  adest,  eja!  ». 

—  7-8.  Cfr.  in  Virg.  i  versi  più  sopra  citati, 
Aen.  IX  33-34. 

11,  1.  I  semplici  fanelnlli  ecc.:  Virg.,  Aen. 
XII 131:  «Tum  studio  effusae  matres,  et  vul- 
gus  inermum,  Invalidique  senes,  turres,  et 
tecta  domorum  Obsédere:  alii  portis  subli- 
mibus  adstant».  Petrarca,  canz.  Spirto  gen- 
til 57:  «  Le  donne  lacrimose,  e  il  vulgo  iner- 
me De  la  tenera  etade,  e  i  vecchi  stanchi 
C'hanno  sé  in  odio  e  la  soverchia  vita  ecc.». 

—  4.  mescMte:  Cfr.  e.  ii  6,  3.  —  7.  Virg., 
Aen.  IX  38:  «  jier  omnes  Condunt  se  Teucri 
portas  et  moenia  complent  ». 

12,  3.  e  son  pia  basse  ecc.  Intendi:  e  di 
qui   sono   scorte  più  basse,  cioè  dominate, 


le  piagge  e  le  montagne.  —  5.  Tolle  :   Cosi 
Priamo  nel  iii  dell'/^.  si  fa  additare  da  Ele- 
na, dall'alto  di  una  torre,  i  principali  eroi 
dell'esercito   greco.  —  6.  Erminia:   Questo 
personaggio,  uno  de' più  originali  e  dei  più- 
belli  della  GéTWS.,  parve  al  Tasso,  finito  il' 
poema,  poco  storico;  ed  ai  Revisori  parve  f 
troppo  amoroso  e  poco  religioso:  e  il  Poeta/ 
volendo  che  Erminia  pure  avesse  maggior 
fondamento  nell'istorie  scriveva  fin  dall.^7ff 
[Lett.  57):    «Trovo  poi   ne  l'istoria,  che  la 
moglie  e  la  sorella  di  Solimano  in  Nicea-: 
rimasero   prigioni...   sarà  forse  meglio  di, 
fare  Erminia   sorella  di  Solimano  ».  E  se- 
guendo poi  più.  dappresso    questo  suo  con- 
cetto, nella  Conquisi,  (vii  36)  cangiò  il  nome 
di  Erminia,  che  gli  pareva  poco  adatto  ad 
una  saracina,  in  Nicsa;  e  la  disse   liglia  a 
Solimano.  Nicea  è  cosi  dal  P.  dipinta  nella; 
Conquisi.:  ¥  Sol   con   quattro   donzelle   ap- 
parve fora,  E  lagrime  spargea  de'  suoi  be- 
gli occhi,  Come  candida  rosa  in  su  l'aurora. 
In  cui  la  pioggia  e'I  sol  risplenda  e  fiocchi  », 
e  cosi  è  descritto  il  suo  comparire  davanti 
al  re  (vii  39)  :  «  Ma  come  giunta  fu,  levando 
il  velo  Da  gli  occhi  sparsi  d'amorose  stille, 
Scaldò  ne' vecchi  petti  il  pigro  gelo,  E  dcn-j 
ero  vi  destò  dolci  faville.  Tutti  dicean:  Mag- 
gior bellezze  il  cielo  Non  vide;  e  dura  vita, 
(oiuièl)  sortine.  Quando   ebber  mai  gli  an 
tichi  imperi  e  i  regni  D'amor  si  cari  e  pre 
z'iosi  pegni?  • .  Le  modificazioni,  a  che  il  T. 
assoggettò   nella   Conquisi.  Erminia   come 
donna  innamorata,  si  veggano  nelle  note  al 
e.  VII  1  e  XIX  103.  —  8.  morto,  ucciso.  —  suo 
padre:  Cassano  o  Acciano,cfr.  e.  vi  56,1-4. 
H,  7.  Gardo:  Gugl.  Tir.,  da  cui  il  T.  prese 


I 


CANTO  III 


33 


Ma  nou  già  tal  ch'a  lei  resister  possa. 

15 
Gardo  a  quel  fero  scontro  è  spinto  a  terra 
In  su  gli  occhi  de' Franchi  e  de' Pagani, 
Ch'allor  tutti  gridar,  di  quella  guerra 
Lieti  augùri  prendendo,  i  quai  fur  vani. 
Spronando  a  dosso  gli  altri  ella  si  serra; 
E  vai  la  destra  sua  per  cento  mani: 
Seguirla  i  suoi  guerrier  per  quella  strada 
Che  spianar  gli  urti, e  che  s'apri  la  spada. 

16 
Tosto  la  preda  al  predator  ritoglie; 
Cede  lo  stuol  de'  Franchi,  a  poco  a  poco, 
Tanto  ch'in  cima  a  un  colle  ei  si  racco- 
Ove  aiutate  son  l'arme  dal  loco.       [glie, 
Allor,  si  come  turbine  si  scioglie, 
E  cade  da  le  nubi  aereo  fuoco, 
Il  buon  Tancredi,  a  cui  Goffredo  accenna, 
Sua  squadra  mosse,  ed  arrestò  l'antenna. 

17 
Porta  si  salda  la  gran  lancia,  e  in  guisa 
Vien  feroce  e  leggiadro  il  giovenetto. 
Che  veggendolo  d'alto  il  re  s'avvisa 
Che  sia  guerriero  in  fra  gli  scelti  eletto; 
Onde  dice  a  colei  ch'è  seco  assisa, 
E  che  già  sente  palpitarsi  il  petto: 
Ben  conoscer  dèi  tu  per  si  lungo  uso 
Ogni  Cristian,  ben  che  ne  l'arme  chiuso. 

18 
Chi  è  dunque  costui,  che  cosi  bene 
S'adatta  in  giostra,  e  fero  in  vista  è  tanto? 
A  quella,  in  vece  di  risposta,  viene 
Su  le  labbra  un  sospir,  su  gli  occhi  il 

[pianto. 
Pur  gli  spirti  e  le  lagrime  ritiene. 
Ma  non  cosi,  che  lor  nou  mostri  alquanto  : 
Che  gli  occhi  pregni  un  bel  purpureo  giro 
Tinse,  e  roco  spuntò  mezzo  il  sospiro. 

19 
Poi  gli  dice  infìngevole,  e  nasconde 
Sotto  il  manto  de  l'odio  altro  desio: 
Ohimè!  bene  il  conosco,  ed  ho  ben  d'onde 
Fra  mille  riconoscerlo  deggia  io; 


l'ispirazione  di  questo  fatto  (vii  25),  lo  chia- 
ma Gistiis. 

16,  5-6.  Dante,  Purg.  xxxii  109:  «  Non  sce- 
se mai  con  si  veloce  moto.  Fuoco  rli  spessa 
nube  ».  —  8.  arrostò  l'antenna:  mise  la  lan- 
cia in  resta.  Ai'iosto,  0)-L  xxvi  77:  «Con 
molto  ardir  vien  Ricciardetto  appresso  E 
nel  venir  arresta  si  gran  lancia  ». 

17,  6.  Novara:  «Il  poeta  ci  prepara  al 
grand'episodio  d'Erminia,  che  è  contenuto 
nei  canti  vi,  vii  ». 

18,  7-8.  Boccaccio,  Filoc,  cap.  iv:  «  E  gli 
cui  occhi  aveano,  per  lo  molto  piangere, 
intorno  a  sé  un  purpureo  giro»;  e  Catullo: 
•  Flendo  turgiduli  rubent  ocelli». 

19,  1.  InAngoToIf»:  secondo  il  Guastavini, 


Che  spesso  il  vidi  i  campi  e  le  profonde 
Fòsse  del  sangue  empir  del  popol  mio. 
Ahi  quanto  è  crudo  nel  ferire!  a  piaga 
Ch'ei  faccia,  erba  non  giova  od  arte  maga. 

20 
Egli  è  il  prence  Tancredi:  oh  prigioniero 
Mio  fosse  un  giorno!  e  no  '1  vorrei  già 

[morto: 
Vivo  il  vorrei,  perch'in  me  desse  al  fero 
Desio  dolce  vendetta  alcun  conforto. 
Cosi  parlava:  e  de' suoi  detti  il  vero 
Da  chi  l'udiva  in  altro  senso  è  torto; 
E  fuor  n'uscì  con  le  sue  voci  estreme 
Misto  un  sospir  che  'ndarno  ella  già  pre- 

21  Ime. 
Clorinda  in  tanto  ad  incontrar  l'assalto 

Va  di  Tancredi,  e  pon  la  lancia  in  resta. 
Ferirsi  a  le  visiere,  e  i  tronchi  in  alto 
Volaro,  e  parte  nuda  ella  ne  resta; 
Che,  rotti  i  lacci  a  l'elmo  suo,  d'un  salto 
(Mirabil  colpo!)  ei  le  balzò  di  testa; 
E,  le  chiome  dorate  al  vento  sparse,  [se. 
Giovane  donna  in  mezzo '1  campo  appar- 

22  [sguardi, 
Lampeggiar  gli  occhi,  e  folgorar  gli 

Dolci  ne  l'ira;  or  che  sarian  nel  riso? 
Tancredi,  a  che  pur  pensi  ?  a  che  pur 
Non  riconosci  tu  l'altero  viso?     [guardi? 
Questo  è  pur  quel  bel  volto,  onde  tutt'ar- 

[di; 
Tuo  core  il  dica,  ov'è'I  suo  esempio  inci- 
[so; 

ha  il  valore  di  dissimulanter.  —  7.  a  pia- 
ga ecc.:  Valerio  Fiacco,  Argon,  vi  275:  «  vul- 
nus referens,  quod  Carmine  nullo  Sustineat, 
nullisque  levet  Medea  venenis»;  e  l'Ario- 
sto, Ori.  XXXI  5:  *  Questa  è  la  cruda  e  av- 
velenata piaga,  A  cui  non  vai  liquor,  non 
vale  impiastro. ..Né  quanta  esperienza  d'arte 
maga  Fece  mai  l'inventor  suo  Zoroastro  ». 

20,  5.  il  vero  :  sottintendi  senso.  —  6.  è 
torto:  è  vòlto. 

21,  Bellissima  tutta  questa  strofa.  Il  Ga- 
lilei la  paragona  allo  scopriinento  di  Bra- 
damante  al  trar  dell'elmo,  che  è  fn^ravU 
glioso  {Ori.  xxxn  79).  Il  Pulci,  Mor(j.  Magg. 
HI  17:  «Orlando  feri  lei  di  furia  pieno: 
Giunse  al  cimier,  ch'in  sull'elmetto  avea, 
E  cadde  col  pennacchio  in  sul  terreno: 
L'elmo  gli  usci:  la  treccia  si  vedea  Che 
raggia  come  stella  per  sereno;  Anzi  parea 
di  Venere  iddea.  Anzi  di  quella  ch'è  fatta 
un  alloro,  Anzi  parea  d'argento,  anzi  pur 
d'oro».  —  *1.  parte  nuda,  resta  nuda,  per 
questo  colpo,  in  una  parte  del  suo  corpo, 
cioè  nel  capo.  —  6.  ei,  l'olmo. 

22,  2.  Ariosto,  Ori.  xiv  52,  di  Doralice:  •  E 
c'ha  nel  pianto  (or  ch'esser  de'  nel  riso?) 
Tesa  d'Amor  l' inestricabil  ragna  ».  —  A.  al- 
tero: CoNQ.  e  Os.  amafOy  che  mi  par  meglio 
pel   suono.  —  0.  esempio,  qui  eflige;   nello 


Tasso,  (Jerusalemine  liberala. 


34 


GERUSALEMME  LIBERATA 


1 


Questa  è  colei,  che  rinfrescar  la  fronte     [ 

Vedesti  g-ià  nel  solitario  fonte.  i 

23  I 

Ei,  ch'ai  cimiero  ed  al  dipinto  scudo        | 
Non  badò  prima,  or  lei  veggendo,  impO-  | 

[tra  :  \ 
Ella,  quanto  può  meglio,  il  capo  ignudo    j 
Si  ricopre,  e  Tassale;  ed  ei  s'arretra. 
Va  contra  gli  altri,  e  rota  il  ferro  crudo  : 
Ma  però  da  lei  pace  non  impetra, 
Che  minacciosa  il  segue,  e,  Volgi,  grida: 
E  di  due  morti  in  un  punto  lo  sfida. 
24 

Percosso,  il  cavalier  non  ripercote; 
Né  si  dal  ferro  a  riguardarsi  attende. 
Come  a  guardar  i  begli  occhi  e  le  gote, 
Ond'Amor  l'arco  inevitabil  tende. 
Fra  sé  dicea:  Van  le  percosse  vote, 
Talor  che  la  sua  destra  armata  stende: 
Ma  colpo  mai  del  bello  ignudo  volto 
Non  cade  in  fallo,  e  sempre  il  cor  m'è 

25  [còlto. 

Risolve  al  fin,  ben  che  pietà  non  spere. 
Di  non  morir  tacendo  occulto  amante. 
Vuol  ch'ella  sappia  ch'un  prigion  suo  fere 
Già  inerme,  e  supplichevole  e  tremante: 


stesso  modo  che  esemplare  vale  ritrarre: 
Petrarca,  son.:  *■  In  qual  parte  del  cielo  in 
quale  idea  Era  resempio  onde  natura  tolse 
Quel  bel  viso  leggiadro  ecc.»,  *  ma  questo 
del  Petrarca  è  alquanto  diverso.  — 7-8.  Come 
il  poeta  ha  raccontato  nel  e.  i  46. 

23,  2.  impetra,  impietra  —8.  due  morti: 
una  morte  corporale,  amorosa  1'  altra.  — 
sfida:  sfidare  di  /nor^e  tt^ìo,  è  Procurare  di 
dargli  morte.  Petrarca,  son.  Se  il  dolce 
sguardo  7:  «si  che  di  morte  Là  dove  or 
m'assicura,  allor  mi  sfide?  »  —  Il  Beni  os- 
servando che  Clorinda,  non  avendo  notizia 
dell'amore  di  Tancredi,  non  poteva  minac- 
ciarlo di  morte  amorosa,  intende  che  la  se- 
conda morte  sia  quella  dell'onore.  Io  credo 
che  il  T.,  scrivendo  il  verso,  più  che  all'in- 
tenzione di  Clorinda,  pensasse  air  effetto 
che  la  donna  doveva  produrre  su  Tancredi, 
il  quale  realmente  si  vide  minacciato  in  un 
punto  dalla  spada  e  da  Amore.  ! 

24, 1.  Percosso  ecc.:  Si  vegga  nell'Ariosto  ; 
il  duello  di  Bradamante  con  Ruggero  da  j 
lei  creduto  Leone:  Ori.  xlv  76:  «  Ruggier 
sta  ne  l'avviso  e  si  difende  Con  gran  de- 
strezza, e  lei  mai  non  offende  ».  E  altrove 
(XXXVI  38):  «Cosi  lor  lance  van  d'effetto 
vuote...;  e  basta  ben  s'Amore  Con  Tun  gio- 
stra e  con  l'altro,  e  li  percote  D'un'amorosa 
lancia  in  mezzo  il  core».  —  4.  Sente  del  pe- 
trarchesco (son.  Quel  sempre  acerb.  Il): 
«  Ond'.\mor  l'arco  non  tendeva  in  fallo  ».  — 
*6.  Talor  ecc.  Talora,  quando  ella  stende 
il  braccio  armato  per  colpire.  i 


Onde  le  dice:  0  tu,  che  mostri  avere 
Per  nemico  me  sol  fra  turbe  tante, 
Usciam  di  questa  mischia,  ed  in  disparte 
I'  potrò  teco,  e  tu  meco  provarte. 
26 

Cosi  me' si  vedrà  s'al  tuo  s'agguaglia 
Il  mio  valore.  Ella  accettò  l'invito: 
E,  come  esser  senz'elmo  a  lei  non  caglia, 
Già  baldanzosa,  ed  ei  seguia  smarrito. 
Recata  s'era  in  atto  di  battaglia 
Già  la  guerriera,  e  già  l'avea  ferito: 
Quand'egli.  Or  ferma,  disse,  e  siano  fatti 
Anzi  la  pugna  de  la  pugna  i  patti. 
27 

Fermossi;  e  lui,  di  pauroso,  audace 
Rendè  in  quel  punto  il  disperato  amore  ; 

I  patti  sian,  dicea,  poi  che  tu  pace 
Meco  non  vuoi,  che  tu  mi  tragga  il  core: 

II  mio  cor,  non  più  mio,  s'a  te  dispiace 
Ch'egli  più  viva,  volontario  more: 

È  tuo  gran  tempo;  e  tempo  è  ben  che 

[trarlo 
Ornai  tu  debbia;  e  non  debb'io  vietarlo. 
28 

Ecco  io  chino  le  braccia,  e  t'appresento 
Senza  difesa  il  petto  :  or  che  no  'i  fiedi  ? 
Vuoi  ch'agevoli  l'opra?  i'son  contento 
Trarmi  l'usbergo  or  or,  se  nudo  il  chiedi. 
Distinguea  forse  in  più  duro  lamento 
I  suoi  dolori  il  misero  Tancredi, 
Ma  calca  l'impedisce  intempestiva 
De' Pagani  e  de' suoi  che  soprarriva. 
29 

Cedean  cacciati  da  lo  stuol  cristiano 
I  Palestini,  o  sia  temenza  od  arte. 
Un  de' persecutori,  uomo  inumano, 
Videle  sventolar  le  chiome  sparte, 
E  da  tergo  in  passando  alzò  la  mano 
Per  ferir  lei  ne  la  sua  ignuda  parte: 
Ma  Tancredi  gridò  (che  se  n'accòrse), 
E  con  la  spada  a  quel  gran  colpo  occórse. 


26,  8.  Anzi  :  qui  ha  valore  di  preposizione  ; 
intendi:  prima  della  pugna. 

27,  1.  e  lui,  di  pauroso  ecc.  Intendi  :  Il  di- 
sperato amore  cambiò  in  audace  lui  che 
prima  era  pauroso.  —  5.  Il  mio  cor,  non  pili 
mio:  perché  essendo  Tancredi  innamorato, 
il  suo  cuore  non  apparteneva  ornai  più  a^ 
lui,  ma  alla  donna  che  in  lui  destò  amore. 
Concetto  espresso  in  mille  modi  dai  poeti 
italiani. 

28,  2.  or  che  no '1  Aedi:  ora  a  che,  per- 
ché, non  lo  ferisci?  Cfr.  sopra,  3,  3.  —  4. 
or  or:  l'avv.  cosi  replicato  vale  subito,  in 
questo  punto.  —  nodo:  il  petto.  —  5.  Disi.: 
spiegava,  dimostrava  più  chiaramente.  La 
Crusca  porta  un  es.  di  Sennuccio. 

29,  S.  occ:  BoN.2  CoNQ.  e  Os.;  ma  Bon.ì-3 
accorse. 


CANTO  III 


35 


30 

Pur  non  gi  tutto  in  vano,  e,  ne' confini 
Del  bianco  collo,  il  bel  capo  ferille. 
Fu  Icvissima  piaga;  e  i  biondi  crini 
Rosseggiaron  cosi  d'alquante  stille, 
Come  rosseggia  l'or  che  di  rubini 
Per  man  d'illustre  artefice  sfaville. 
Ma  il  prence  infuriato  allor  si  spinse 
A  dosso  a  quel  villano,  e'I  ferro  strinse. 
31 

Quel  si  dilegua;  e  questi  acceso  d'ira 
Il  segue;  e  van  come  per  l'aria  strale. 
Ella  riman  sospesa,  ed  arabo  mira 
Lontani  molto,  né  seguir  le  cale, 
Ma  co' suoi  fuggitivi  si  ritira: 
Talor  mostra  la  fronte  e  i Franchi  assale; 
Or  si  volge,  or  rivolge:  or  fugge,  or  fuga; 
Né  si  può  dir  la  sua  caccia  né  fuga. 
32 

Tal  gran  tauro  talor  ne  l'ampio  agone, 
Se  volge  il  corno  a  i  cani  ond'è  seguito, 
S'arretran  essi;  e  s'a  fuggir  si  pone 
Ciascun  ritorna  a  seguitarlo  ardito. 
Clorinda  nel  fuggir  da  tergo  oppone 
Alto  lo  scudo,  e'I  capo  è  custodito: 
Cosi  coperti  van  ne'  giochi  mori 
Da  le  palle  lanciate  i  fuggitori. 
33 

Già  questi  seguitando  e  quei  fuggendo 
S'eran  a  l'alte  mura  avvicinati, 


30,  1.  Pur  non  gi  ecc.:  pur  non  andò 
tutto  invano  quel  gran  colpo.  —  6.  sfavine, 
sfavilli. 

32.  Ricorda  Omero  [II.  xvii)  ove  i  troiani 
inseguenti  Menelao  per  torgli  il  corpo  di 
Patroclo  sono  paragonati  a  cani  che  inse- 
guono un  cignale:  ed  Ovidio,  Met.  xii  102: 
«  Haud  secus  exarsit,  quam  circo  taurus 
aperto,  Cum  sua  terribili  petit  irritamina 
corna  »:  V ampio  agone  corrisponde  ap- 
punto al  circo.  —  2.  segnito.  Cosi  hanno 
BoN.2  e  Os.;  e  ho  creduto  si  debba  prefe- 
rire alla  st.  BoN.\  che  ha  fuggito.  —  7  gio- 
chi morì:  divertimento  guerresco,  venuto 
dai  mori,  in  uso  nel  Cinquecento.  Era  detto 
volgarmente  dei  caroselli.  In  questo  giuoco, 
alcune  schiere  di  cavalieri  movendosi  da  un 
dei  lati  dello  steccato,  inseguivano,  perco- 
tendole  con  palle  lanciate,  altre  schiere  che 
fuggivano:  e  queste  si  difendevano  dalle 
palle  ponendosi  lo  scudo  dietro:  giunti  al 
termine  dello  steccato  gli  inseguitori,  vol- 
tate le  spalle,  alle  quali  alla  lor  volta  met- 
tevano per  difesa  lo  scudo,  e  fatti  d'inse- 
guitori inseguiti,  ritornavano  al  punto  di 
partenza,  percossi  da  nuove  schiere  mosse 
dal  luogo  ove  essi  prima  erano  arrivati 
incalzando. 

33,  1.  Virg.,  Aen.  xi  621:  *Jamque   pro- 


Quando  alzaro  i  Pagani  un  grido  orrendo 

E  in  dietro  si  fur  subito  voltati; 

E  fecero  un  gran  giro,  e  poi  volgendo 

Ritornaro  a  ferir  le  sj)alle  e  i  lati. 

E  in  tanto  Argante  giù  movea  dal  monte 

La  schiera  sua  per  assalirgli  a  froute. 

34 
Il  feroce  Circasso  usci  di  stuolo; 
Ch'esser  vols'egli  il  feritor  primiero: 
E  quegli,  in  cui  feri,  fu  steso  al  suolo, 
E  sossopra  in  un  fascio  il  suo  destriero: 
E  pria  che  l'asta  in  tronchi  andasse  a  vo- 
Molti  cadendo  compagnia  gli  fero;      [Io, 
Poi  stringe  il  ferro;  e  quando  giunge  a 

[pieno 
Sempre  uccide,  od  abbatte,  o  piaga  alme- 

35  [no. 

Clorinda,  emula  sua,  tolse  di  vita 
Il  forte  Ardelio,  uom  già  d'età  matura, 
Ma  di  vecchiezza  indomita,  e  munita 
Di  duo  gran  figli,  e  pur  non  fu  secura; 
Ch'Alcandro,  il  maggior  figlio,  aspra  fe- 
Rimosso  avea  da  la  paterna  cura;     [rita 
E  Poliferno,  che  restògli  a  presso, 
A  gran  pena  salvar  potè  se  stesso. 

36 
Ma  Tancredi,  da  poi  ch'egli  non  giunge 
Quel  villan, che  destriero  hapiù  corrente, 
Si  mira  a  dietro,  e  vede  ben  che  lunge 
Troppo  è  trascorsa  la  sua  audace  gente; 
Vedela  intorniata,  e'I  corsier  punge 
Volgendo  il  freno,  e  là  s'invia  repente: 
Ned  egli  solo  i  suoi  guerrier  soccorre. 
Ma  quello  stuol  ch'a  tutt'i  rischi  accorre; 

37 
Quel  di  Dudon  avventurier  drappello, 
Fior  de  gli  eroi,  nerbo  e  vigor  del  campo. 
Rinaldo,  il  più  magnanimo  e  il  più  bello, 
Tutti  precorre,  ed  è  men  ratto  il  lampo. 
Ben  tosto  il  portamento  e  '1  bianco  augello 
Conosce  Erminia  nel  celeste  campo, 
E  dice  al  re,  che  in  lui  fisa  lo  sguardo: 
Eccoti  il  domator  d'ogni  gagliardo. 

38 
Questi  ha  nel  pregio  de  la  spada  eguali 
Pochi,  0  nessuno;  ed  è  fanciullo  ancora: 
Se  fosser  tra'  nemici  altri  sei  tali. 
Già  Soria  tutta  vinta  e  serva  fora; 


pinquabant  portis:  rursusque  Latini  Clamo- 
rem  toUunt  et  moUia  colla  reflectuut*. 

35,  4.  gran;  magnanimi,  —  *6.  Rimosso 
ecc.;  una  ferita  lo  aveva  allontanato  dal 
padre,  del  quale  non  poteva  aver  più  cura. 

37,5-6.  bianco  augello...  nel  celeste  campo: 
l'aquila  bianca  in  campo  azzurro,  stemma 
degli  Estensi. 

38, 3.  Virg.,  Aen.  XI 285  (parlando  di  Enea): 
«  Si  duo  praeterea  tales  Idaea  tulisset  Terra 
viros,  nitro  Inachias  venisset  ad  urbes  Dar- 
danus  ». 


36 


GERUSALEMME  LIBERATA 


E  già  dòmi  sarebbouo  i  più  australi  | 

Regni,  e  i  regni  più  prossimi  a  l'aurora; 
E  forse  il  Nilo  occulterebbe  in  vano 
Dal  giogo  il  capo  incognito  e  lontano. 
39 

Rinaldo  ha  nome;  e  la  sua  destra  irata 
Teman  più  d'ogni  raaechina  le  mura. 
Or  volgi  gli  occhi  ov'io  ti  mostro,  e  guata 
Colui  che  d'oro  e  verde  ha  l'armatura: 
Quegli  è  Dudone,  ed  è  da  lui  guidaca 
Questa  schiera,  che  schiera  è  di  ventura  : 
È  guerrier  d'alto  saugue,e  molto  esperto, 
Che  d'età  vince,  e  non  cede  di  raerto. 
40 

Mira  quel  grande,  ch'è  coperto  a  bruno  ; 
È  Gernando,  il  fratel  del  re  norvegio: 
Non  ha  la  terra  uom  più  superbo  alcuno  ; 
Questo  sol  de' suoi  fatti  oscurai)  pregio. 
È  son  que'duo  che  van  si  giunti  in  uno, 
E  c'hau  bianco  il  vestir, bianco  ogni  fregio, 
Gildippe  ed  Odoardo,  amanti  e  sposi, 
In  valor  d'arme  e  in  lealtà  famosi. 
41 

Cosi  parlava;  e  già  vedean  là  sotto 
Come  la  strage  più  e  più  s' ingrosse, 
Che  Tancredi  e  Rinaldo  il  cerchio  han 

[rotto 
Ben  che  d'uomini  denso  e  d'armi  fosse  : 
E  poi  lo  atuol,  ch'è  da  Dudon  condotto, 
Vi  giunse,  ed  aspramente  anco  il  percos- 

[se: 
Argante,  Argante  istesso,  ad  un  grand' 

[urto 
Di  Rinaldo  abbattuto,  a  pena  è  surto. 
42 

Né  sorgea  forse;  ma  in  quel  punto  stesso 
Al  figliuol  di  Bertoldo  il  destrier  cade: 
E,  restandogli  sotto  il  piede  oppresso, 
Convien  ch'indi  a  ritrarlo  alquanto  bade. 
Lo  stuol  pagan  fra  tanto,  in  rotta  messo. 
Si  ripara  fuggendo  a  la  cittade. 
Soli  Argante  e  Clorinda  argine  e  sponda 
Sono  al  furor  che  lor  da  tergo  inonda. 
43 

Ultimi  vauno,  e  l'impeto  seguente 
In  lor  s'arresta  alquanto,  e  si  reprime, 
Si  che  poteaii  raeu  perigliosaraente 
Quelle  genti  fuggir  che  fuggéan  prime. 
Segue  Dudon  ne  la  vittoria  ardente 


39,  2.  *  Teman,  cosi  le  B;  evale  debbono 
teriiere,  che  è  più  energico  del  temono.  — 
8.  vìnce  :  in  senso  assoluto,  è  ùiaggiore. 
—  non  cede:  pure  in  senso  assoL,  non  è 
inferiore. 

40,  6.  E  e'han:  Os.  Ed  han.  —  7.  Cfr.  e.  i 
56,6. 

41,  3.  11  cerchio,  dei  pagani.  —  8.  a  pena: 
a  mala  pena,  a  fatica. 

4S,  1.  seguente:  incalzante. 


I  fuggitivi,  e'I  fier  Tigrane  opprime 
Con  l'urto  del  cavallo,  e  con  la  spada 
Fa  che  scemo  del  capo  a  terra  cada. 

44 
Né  giova  ad  Algazzare  il  fino  usbergo, 
Ned  a  Corban  robusto  il  forte  elmetto; 
Che  in  guisa  lor  feri  la  nuca  e'I  tergo. 
Che  ne  passò  la  piaga  al  viso,  al  petto. 
E  per  s^a  mano  ancor  del  dolce  albergo 
L'alma  usci  d'Amurate,  e  di  Meemetto, 
E  del  crudo  Almansor;  né')  gran  Circasso 
Può  securo  da  lui  movere  un  passo. 

45 
Freme  in  sé  stesso  Argante,  e  pur  tal  volta 
Si  ferma,  e  volge,  e  poi  cede  pur  anco: 
Al  fin  cosi  improviso  a  lui  si  volta, 
E  di  tanto  rovescio  il  coglie  al  fianco, 
Che  dentro  il  ferro  vi  s'immerge,  e  tolta 
È  dal  colpo  la  vita  al  duce  franco. 
Cade;  e  gli  occhi, ch'a  pena  aprirsi ponno, 
Dura  quiete  preme  e  ferreo  sonno. 

46 
Gli  apri  tre  volte,  e  i  dolci  rai  del  cielo 
Cercò  friiire,  e  sovra  un  braccio  alzarsi; 
E  tre  volte  ricadde;  e  fosco  velo     ràrsi.  i 
Gli  occhi  adombrò,  che  stanchi  al  fin  ser- 
Si  dissolvono  i  membri,  e'I  mortai  gelo 
Irrigiditi  e  di  sudor  gli  ha  sparsi. 
Sovra  il  corpo  già  morto  il  fero  Argante 
Puuto  non  bada;  e  via  trascorre  inante. 

47 
Con  tutto  ciò,  se  ben  d'andar  non  cessa, 
Si  volge  a  i  Franchi,  e  grida  :  0  cavalieri , 
Questa  sanguigna  spada  è  quella  stessa 
Che  '1  signor  vostro  mi  donò  pur  ieri: 
Ditegli  come  in  uso  oggi  l'ho  messa, 
Ch'udirà  la  novella  ei  volentieri: 
E  caro  esser  gli  dee  che  '1  suo  bel  dono 
Sia  conosciuto  al  paragon  si  buono. 

48 
Ditegli  che  vederne  omai  s'aspetti 
Ne  le  viscere  sue  più  certa  prova; 
E,  quando  d'assalirne  ei  non  s'affretti, 
Verrò,  non  aspettato,  ove  si  trova. 
Irritati  i  Cristiani  a  i  feri  detti, 
Tutti  vèr'  lui  già  si  moveaiio  a  prova: 


45,  7-S.  Il  Guastavini  cita  Omero,  II.  xi: 
«  Cosi  egli  quivi  cadendo  dormi  un  sonno  di 
ferro  »;  Virg.,  Aen.  x  7-15;  «  Olii  dura  quies 
oculos  et  ferreus  urget  Somnus  ». 

46.  Il  Galilei  pure  ammirò  questa  ot- 
tava come  di  sentenza  e  di  locuzione  per- 
fettissima. Per  i  primi  quattro  versi,  Virg., 
Aen.  IV  6SS:  «Illa  {Dido)  graves  oculos  co- 
nata  attollere,rursus  Deficit;  infìxura  stridii 
sub  pectore  vulnus.  Ter  sese  attoìlens  cubi- 
toque  innixa  levavit;  Ter  revolut«i  toro  est; 
oculisque  errantibus  alto  Quaesivit  ccelo  lu- 
cem  ingemuitque  reperta  ». 


CANTO  III 


37 


Ma  con  gli  altri  esso  è  già  corso  in  securo 
Sotto  la  guardia  de  Taraico  muro. 
49 

I  difensori  a  grandinar  le  pietre 
Da  l'alte  mura  in  guisa  incominciaro, 
E  quasi  innumerabili  faretre 
Tante  saette  a  gli  archi  ministraro, 
Che  forza  è  pur  che'l  Franco  stuol  s'arre 
E  i  8aracin  ne  la  cittade  entrare,      [tre; 
Ma  già  Rinaldo,  avendo  il  pie  sottratto 
Al  giacente  destrier,  s'era  qui  tratto. 
50 

Venia  per  far  nel  barbaro  omicida 
De  l'estinto  Dudone  aspra  vendetta; 
E  fra'  suoi  giunto,  alteramente  grida: 
Or  quale  indugio  è  questo?  e  che  s'aspetta? 
Poi  eh' è  morto  il  signor  che  ne  fu  guida, 
Che  non  corriamo  a  vendicarlo  in  fretta  ? 
Dunque  in  si  grave  occasion  di  sdegno 
Esser  può  fragil  muro  a  noi  ritegno? 
51 

Non,  se  di  ferro  doppio,  o  d'adamante 
Questa  muraglia  impenetrabil  fosse, 
Colà  dentro  securo  il  fero  Argante 
S'appiatteria  da  le  vostr'alte  posse: 
Andiam  pure  a  l'assalto!  Ed  egli  iuante 
A  tutti  gli  altri  in  questo  dir  si  mosse; 
Che  nulla  teme  la  secura  testa 
0  di  sassi  0  di  strai  nembo  o  tempesta. 
52 

Ei,  crollando  il  gran  capo,  alza  la  faccia 
Piena  di  si  terribile  ardimento, 
Che  sin  dentro  a  le  mura  i  cori  agghiaccia 
A  i  difensor  d'insolito  spavento. 
Mentre  egli  altri  rincora,  altri  minaccia, 
Sopravien  chi  reprime  il  suo  talento; 
Che  Goffredo  lor  manda  il  buon  Siglerò 
De'  gravi  imperii  suoi  nunzio  severo. 
53 

Questi  sgrida  in  suo  nome  il  troppo  ardi- 
E  incontinente  il  ritornar  impone.  [re. 
Tornatene,  dicea,  ch'a  le  vostr'ire 


49,  1.  I  difensori  a  grandinar  ecc.:  Virg. 
Aen.  IX  509:  «  Telorum  eflfundere  centra 
Omne  genus  Teucri,  ac  duris  detrudere 
contis,.'.  Saxa  quoque  infesto  volvebaiit 
pendere  ».  —  2.  In  guisa:  Collegato  col  Che 
del  verso  5.  —  6.  Saracin:  detto  generica- 
mente per  Musulmani, 

61,  1.  Non,  se  di  ferro  ecc.:  Stazio,  The- 
baid.  Il  453:  «Non  si  te  ferreus  agger  Am- 
biai, aut  triplices  alio  tibi  Carmine  muros 
Amphion  auditus  agat;  nil  tela  nec  ignes 
Obstiterint  quin  ausa  luas,  notrisque  sub 
armis  Captivo  moribundus  humum  diade- 
mate pulsus  ». 

62,  1.  El:  leggono  le  tre  Bon.  e  Os.,  ma 
CoNQ.  E.  —  6.  talento:  desiderio,  intenzione. 


Non  è  '1  loco  opportuno  o  la  stagione: 
Goffredo  il  vi  comanda.  A  questo  dire 
Rinaldo  si  frenò,  ch'altrui  fu  sprone,  [gno 
Ben  che  dentro  ne  frema,  e  in  più  d'un  se- 
Dimostri  fuore  il  mal  celato  sdegno. 

54 
Tornar  le  schiere  in  dietro,  e  da  i  nemici 
Non  fu  il  ritorno  lor  punto  turbato; 
Né  in  parte  alcuna  de  gli  estremi  uffici 
Il  corpo  di  Dudon  restò  fraudato. 
Su  le  pietose  braccia  i  fidi  amici 
Portarlo,  caro  peso  ed  onorato. 
Mira  in  tanto  il  Buglion  d'eccelsa  parte 
De  la  forte  cittade  il  sito  e  l'arte. 

55 
Gierusalem  sovra  duo  colli  è  posta 
D'impari  altezza,  e  vòlti  fronte  a  fronte: 
Va  per  lo  mezzo  suo  valle  interposta, 
Che  lei  distingue,  e  l'un  da  l'altro  monte. 
Fuor  da  tre  lati  ha  malagevol  costa; 
Per  l'altro  vassi,  e  non  par  che  si  monte: 
Ma  d'altissime  mura  è  più  difesa 
La  parte  piana,  e  'n  centra  Borea  è  stesa. 

66 
La  città  dentro  ha  lochi  in  cui  si  serba 
L'acqua  che  piove,  e  laghi  e  fonti  vivi; 
Ma  fuor  la  terra  intorno  è  nuda  d'erba, 
E  di  fontane  sterile  e  di  rivi; 
Né  si  vede  fiorir  lieta  e  superba 
D'alberi,  e  fare  schermo  a  i  raggi  estivi, 
Se  non  se  in  quanto  oltrasei  migliaun  bo- 

[sco 

53,  4.  loco  opp.  o:  CoNQ.  loco  opp.  e.  — 
la  stagione:  l'era,  il  momento,  come  nel 
Petrarca,  son.  Già  fiamme gg.:  «E  gli  amanti 
pungea  quella  stagione  Che  per  usanza  a 
lagrimar  gli  appella».  —  6.  fu  sprone:  fu 
prima  d'incitamento  all'inseguire. 

65.  Descrizione  bella  e  minuziosa.  Il 
Tasso  cercava  sempre  di  attenersi  al  vero 
(Leu.  25):  «Nel  none  (libro)  io  ho  aggiunto 
alcune  cose  che  mi  parevano  necessarie,  e 
conformi  ad  una  mia  intenzione  che  ho, 
d'accompagnar  la  poesia,  quanto  sia  pos- 
sibile, con  passi  de  l'istoria  e  con  descri- 
zione de'  paesi  ».  E  da  altro  luogo  dell'Epi- 
stolario sappiamo  che  si  dava  gran  cura 
per  avere  una  tavola  di  Gerusalemme.  — 
1.  duo  colli,  il  Sion  da  occidente,  e  il  Mo- 
ria da  oriente.  —  4.  distingue:  divide.  — 
6.  monte,  monti,  salga.  —  8.  Borea  »:  cosi 
legge  anche  la  Conq.,  ma  Os.  Borea  stesa. 

66,  1.  lochi  ecc.:  Gugl.  Tir.  viii  4:  «Qui 
intus  erant,  praeter  aquarum  fluvialiura, 
quam  habebant,  ubertatem  maximam,  fon- 
tes  etiam  a  partibus  deductos  exterioribus 
et  aquae  ductus  invectos  ia  piscinas  duas 
maximae  quantitatis,  quae  circa  templi  am- 
bitura,  exterius  tamen,  sed  intra  urbom 
continentur,  rccipiebant  ».  —  7.  So  non  se 
in  q  :  ha  il  valore  di  eccetto  che.  —  un  bo- 


38 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Sorge  d'ombre  nocenti  orrido  e  fosco. 
57. 

Ha  da  quel  lato  donde  il  giorno  appare 
Del  felice  Giordan  le  nobil  onde; 
E  da  la  parte  occidental,  del  mare 
Mediterraneo  l'arenose  sponde. 
Verso  Borea  è  Betel,  ch'alzò  l'altare 
Al  bue  de  l'oro,  e  la  Samaria;  e  d'onde 
Austro  portar  le  suol  piovoso  nembo,  [bo. 
Betelèm  che  '1  gran  parto  ascose  in  grem- 
08 

Or  mentre  guarda  e  l'alte  mura  e  '1  sito 
De  la  città  Goffredo  e  del  paese, 
E  pensa  ove  s'accampi,  onde  assalito 
Sia  il  muro  osti!  più  facile  a  l'offese; 
Erminia  il  vide,  e  dimostrollo  a  dito 
Al  re  pagano,  e  cosi  a  dir  riprese: 
Goffredo  è  quel,  che  nel  purpureo  amman- 
Ha  di  regio  e  d'augusto  in  sé  cotanto,  [to 

Veramente  è  costui  nato  a  l'impero, 
Si  del  regnar,  del  com.andar  sa  l'arti; 
E  non  minor  che  duce,  è  cavaliero. 
Ma  del  doppio  valor  tutte  ha  le  parti: 
Né  fra  turba  si  grande  uom  più  guerriero 
O  più  saggio  di  lui  potrei  mostrarti. 
Sol  Raimondo  in  consiglio,  ed  inbattaglia 
Sol  Rinaldo  e  Tancredi  a  lui  s'agguaglia. 
60 

Risponde  il  re  pagan:  Ben  ho  di  lui 
Contezza,  e'I  vidi  a  la  gran  corte  in  Fran- 
Quand'io  d'Egitto  messaggier  vi  fui;  ■eia, 
E  '1  vidi  in  nobil  giostra  oprar  la  lancia: 
E,  se  ben  gli  anni  gioveuetti  sui 
Non  gli  vestian  di  piume  ancor  la  guancia, 
Pur  davaaidetti.a  Topre,  ale  sembianze, 
Presagio  omai  d'altissime  speranze; 
61 

Presagio  ahi  troppo  vero  !  E  qui  le  ciglia 
Turbate  inchina,  e  poi  le  inalza,  e  chiede: 


8C0:  anche  questo  bosco  è  messo  suU'auto- 
rità  degli  storici  ;  cfr.  st.  74,  3.  —  8.  Sorge 
ecc.  :  Vip.G.  Ae)i.  1 165:  «  horrentique  atrum 
nemus  imminet  umbra  ». 

57,  8.  il  gran  parto:  Gesù  Cristo. 

58,  3-4.  onde  ecc.  Da  qual  parte,  a  chi 
l'abbia  assalito,  il  muro  nemico  sia  più  fa- 
cile alle  offese. 

59,  3.  Petrarca,  Tr.  Fam.  i  99:  «Non  so 
se  miglior  duce  o  cavaliero  ».  —  4.  Ma  del 
doppio  ecc.  :  Intendi  :  E  ha  tutte  le  parti 
del  valore  che  deve  avere  un  duce  e  un 
cavaliero. 

60,  4.  oprar,  per  adoprare,  come  nel  Boc- 
caccio. Decam.  nov.  37:  «  non  potendo  com- 
prendere costei  in  questa  cosa  aver  operata 
malizia».  —  5-6.  Virg.  Aen.  viii  160:  *  Tum 
mihi  prima  genas  vestibat  flore  iuventa 
ecc.  ». 


Dimmi  chi  sia  colui  c'ha  pur  vermiglia 
La  sopravesta,  e  seco  a  par  si  vede: 
Oh  quanto  di  sembianti  a  lui  somiglia! 
Se  ben  alquanto  di  statura  cede. 
E  Baldovin,  risponde;  e  ben  si  scopre 
Nel  vólto  a  lui  fratel  ma  più  ne  l'opre. 
62 

Or  rimira  colui,  che,  quasi  in  modo 
D'uom  che  consigli,  sta  da  l'altro  fianco: 
Quegli  è  Raimondo,  il  qual  tanto  ti  lodo 
D'accorgimento,  uom  già  canuto  e  bianco: 
Non  è  chi  tesser  me'  bellico  frodo 
Di  lui  sapesse,  o  sia  Latino  o  Franco; 
Ma  quell'altro  più  in  là,  ch'orato  ha  l'elmo, 
Del  re  britanno  è  il  buon  figliuol  Gugliel- 
63  [mo. 

V'è  Guelfo  seco;  e  gli  è  d'opre  leggiadre 
Emulo,  e  d'alto  sangue,  e  d'alto  stato: 
Ben  il  conosco  a  le  sue  spalle  quadre. 
Ed  a  quel  petto  colmo  e  rilevato. 
Ma  'Igran  nemico  mio  tra  queste  squadre 
Già  riveder  non  posso,  e  pur  vi  guato; 
Io  dico  Boemondo  il  micidiale, 
Distruggitor  del  sangue  mio  reale. 
64 

Cosi  parlavan  questi:  e  '1  Capitano 
Poi  eh"  intorno  ha  mirato,  ai  suoi  discende: 
E,  per  che  crede  che  la  terra  in  vano 
S'oppuguaria  dov'il  più  erto  ascende. 
Centra  la  porta  Aquilonar.  nel  piano 
Che  con  lei  si  cougiunge,  alza  le  tende; 
E  quinci  procedendo  in  fra  la  torre, 
Che  chiamano  Angolar,  gli  altri  fa  porre. 


61,  6.  cede:  cfr.  39,  8. 

62,  5.  frodo,  lo  stesso  che  frode. 

63,  7.  Boemondo:  cfr.  e.  i  9,  5. 

61,  3.  e  seg-.:  Gugl.  Tir.  viii  5:  «  Post- 
quam  ad  urbem  accesserunt,  habito  dili- 
genti tractatu,  unde  facilius  et  commodius 
urbem  possent  impugnare,  cum  his  qui  lo- 
corum  habebant  peritiam,  videntes  quod 
neque  ab  oriente,  neque  ab  austro  propter 
vallium  profunditatem  possunt  proflcere,  a 
septentrione  eam  obsidere  decreverant.  Ab 
ea  igitur  porta,  quae  hodie  dicitur  Sancti 
Stephani,  quae  ad  aquilonem  respicit,  usque 
ad  eam  quae  turri  David  subiecta  est,  et  ab 
eodem  rege  cognominabatur,  sicuti  et  tur- 
ris  quae  in  parte  eiusdem  civitatis  sita  est 
occidentali,  nostri  principes  castrametati 
sunt».  —  4.  oppugnarla;  cosi  realmente  pare 
che  scrivesse  il  P.  e  non  oiypugneria^  ben- 
ché sia  regola  che  i  verbi  della  prima  co- 
niug.  mutino  la  vocale  tematica  a,  in  e 
quante  volte  l'accento  da  quella  vocale  te- 
matica si  trasporta  nella  seguente.  —  7.  in 
fra:  Os.  in  fin:  e  in  fin  era  scritto  ancora 
da  principio;  il  T.  cambiò,  credo,  per  pia- 
cere a  qualcuno  dei  Revisori.  {Lett.  30)  «  In 


CANTO  III 


39 


65 
Da  quel  giro  del  campo  è  contenuto 
De  la  cittade  il  terzo,  o  poco  meno; 
Che  d'ognintorno  non  avria  potuto 
(Cotanto  ella  volgea)  cingerla  a  pieno; 
Ma  le  vie  tutte,  oud'aver  puote  aiuto, 
Tenta  Goffredo  d'impedirle  almeno; 
Ed  occupar  fa  gli  opportuni  passi, 
Onde  da  lei  si  viene,  ed  a  lei  vassi. 

66 
Impon  che  sian  le  tende  indi  munite 
E  di  fosse  profonde  e  di  trinciere, 
Che  d'una  parte  a  cittadine  uscite, 
Da  l'altra  oppone  a  correrie  straniere. 
Ma,  poi  che  fur  quest'opere  fornite, 
Vols'egli  il  corpo  di  Dudon  vedere; 
E  colà  trasse  ove  il  buon  duce  estinto 
Da  mesta  turba  e  lagrimosa  è  cinto. 

67 
Di  nobll  pompa  i  fidi  amici  ornaro 
Il  gran  feretro  ove  sublime  ei  giace. 
Quando  Goffredo  entrò,  le  turbe  alzare 
La  voce  assai  più  flebile  e  loquace: 
Ma  con  vólto  né  torbido  né  chiaro 
Frena  il  suo  affetto  il  pio  Buglione,  e  tace; 
E,  poi  che  'n  lui  pensando  alquanto  fisse 
Le  luci  ebbe  tenute,  al  fin  si  disse: 

68 
Già  non  si  deve  a  te  doglia  né  pianto; 
Che,  se  mori  nel  mondo,  in  Ciel  rinasci; 
E  qui  dove  ti  spogli  il  mortai  manto 
Di  gloria  impresse  alte  vestigia  lasci. 
Vivesti  qual  guerrier  cristiano  e  santo, 
E  come  tal  sei  morto;  or  godi,  e  pasci 
In  Dio  gli  occhi  bramosi,  o  felice  alma; 
Ed  hai  del  bene  oprar  corona  e  palma. 

69 
Vivi  beata  pur,  che  nostra  sorte. 
Non  tua  sventura,  a  lacrimar  n'invita, 
Poscia  ch'ai  tuo  partir  si  degna  e  forte 
Parte  di  noi  fa  co  '1  tuo  pie  partita. 
Ma  se  questa,  che  '1  vulgo  appella  morte^ 
Privati  ha  noi  d'una  terrena  aita. 
Celeste  aita  ora  impetrar  ne  puoi, 
Che  '1  Ciel  t'accoglie  infra  gli  eletti  suoi. 


fin  la  torre  è  ben  detto,  senza  alcun  dub- 
bio. Dante,  Giovanni  Villani,  il  Boccaccio 
accompagnano  questa  particella  inflno  con 
l'accusativo,  senza  la  preposizione  a  ecc.  ». 

66,  1.  Impon  ecc.:  Virg.  Aen.  vii  157: 
<  Rumili  designai  moenia  fossa  Moliturque 
locum,  primasque  in  litore  sedes  Castrorum 
in  morem  pinnis  atque  aggere  ciugit  ». 

67,  A.  loquace:  aggiunto  censurato  dal 
Galilei  come  posto  quasi  per  far  rima;  né 
mi  pare  a  torto.  —  5.  né  torbido  nò  chiaro: 
perché  avente  compostezza  nella  mestizia. 

69,  4.  co  '1  tuo  pie:  metafor.  :  insieme 
con  te. 


70 

E  come  a  nostro  prò  veduto  abbiamo 
Ch'usavi,  uom  già  mortai,  l'arme  mortali. 
Cosi  vederti  oprare  anco  speriamo, 
Spirto  divin,  l'arme  del  Ciel  fatali: 
Impara  i  vóti  ornai,  ch'a  te  porgiamo, 
Raccórre,  e  dar  soccorso  a  i  nostri  mali  : 
Indi  vittoria  annunzio;  a  te  devoti 
Solverem  trionfando  al  tempio  i  vóti. 
71 

Cosi  diss'egli;  e  già  la  notte  oscura 
Avea  tutti  del  giorno  i  raggi  spenti, 
E  con  l'oblio  d'ogni  noiosa  cura 
Ponea  tregua  a  le  lagrime,  a  i  lamenti. 
Ma  il  Capitan,  ch'espugnar  mai  le  mura 
Non  crede  senza  i  bellici  tormenti. 
Pensa  ond'abbia  le  travi,  ed  in  qnai  forme 
Le  macchine  componga;  e  poco  dorme. 
72 

Sorse  a  pari  co  '1  sole;  ed  egli  stesso 
Seguir  la  pompa  funeral  poi  volle. 
A  Dudon  d'odorifero  cipresso  [colle 

Composto  hanno  un  sepolcro  a  pie  d'un 
Non  lunge  a  gli  steccati;  e  sovra  ad  esso 
Un'altissima  palma  i  rami  estolle. 
Or  qui  fu  posto;  e  i  sacerdoti  in  tanto 
Quiete  a  l'alma  gli  pregar  co  '1  canto. 
73 

Quinci  e  quindi  fra  i  rami  erano  appese 
Insegne  e  prigioniere  arme  diverse, 
Già  da  lui  tolte  in  più  felici  imprese 
A  le  genti  di  Siria  ed  a  le  Perse. 
De  la  corazza  sua,  de  l'altro  arnese. 
In  mezzo  il  grosso  tronco  si  coperse. 
Qui  (vi  fu  scritto  poi)  giace  Dudone: 
Onorate  l'altissimo  campione. 


70,  3.  yederti  oprare  anco  speriamo  ecc.: 
cfr.  e.  XVIII  95.  —  *6.  Raccorrò:  dipende  da 
impara. 

71,  6.  tormenti:  ma  B0N.1-^  stromenti. 
1-2,  1.  a  pari:  insieme;  cfr.  i,  15,  7.—  2. 

pomp.*;,  qui  vale  processione,  corteo.  —  4. 
nn  sepolcro:  Os.  il  sepolcro.  —  6.  palma: 
simbolo  (li  vittoria.  —  7-8.  Ariosto,  Ori.  xliii 
175:  *  Andavan  con  lungo  ordine  accoppiati. 
Per  ralma  del  defunto  Dio  pregando  Che 
gli  donasse  requie  tra'  beati  >*. 

73,  5.  de  l'altro  arnese:  intendi  della  ri- 
manente armatura.  La  parola  arnese  tal 
volta  è  usata  a  significare,  come  qui,  tutta 
l'armatura,  tal  altra  una  parte  precisa  di 
essa,  la  corazza.  «  Già  spezzato  Io  scudo  e 
l'elmo  infranto,  E  forato  e  sanguigno  avea 
l'arnese  >,  dice  il  Tasso  in  altro  luogo 
(vii  40).  —  6.  In  mezzo;  nella  parte  di  mezzo. 

Virg.   Aen.    xi   5.   «  Ingentem  quercum 

Constituit  tumulo,  fuigentiaque  induit  arma 
Mezentl  ducis  exuvins  ♦.  --  7-8  Bellissima 
iscrizione,  imitata  dal  iv  dell'/nA:  «Ono- 
rate l'altissimo  poeta  ». 


40 


GERUSALEMME  LIBERATA 


•:  74 

Ma  il  pietoso  Buglioli,  poi  che  da  questa 
Opra  si  tolse  dolorosa  e  pia, 
Tutti  i  fabri  del  campo  a  la  foresta 
Con  buona  scorta  di  soldati  invia. 
Ella  è  tra  valli  ascosa,  e  manifesta 
L'avea  fatta  a  i  Francesi  uom  di  Soria. 
Qui  per  troncar  le  macchine  n'andaro, 
A  cui  non  abbia  la  città  riparo. 
75 

L'un  l'altro  esorta  che  le  piante  atterri, 
E  faccia  al  bosco  inusitati  oltraggi. 
Caggion  recisi  da  i  taglienti  ferri 
Le  «acre  palme,  e  i  frassini  selvaggi  ; 
I  funebri  cipressi,  e  i  pini,  e  i  cerri, 


74,  3.  foresta.  Distava,  secondo  gli  storici, 
sei  mij^lia  da  Gerusalemme,  e  fu  veramente 
da  un  uomo  di  Scria  fatta  conoscere  ai  cri- 
stiani. Cfr.  Gugl.  Tir.  viri  6.  —  8.  A  cui: 
contro  le  quali. 

75-76.  Virg.  Aen.  vi  179:  «  Itur  in  anti- 
quain  silvam,  stabula  alta  ferarura;  Pro- 
cumbunt  piceae:  sonat  icta  securibus  ilex 
Fraxineaettue  trabes,  cuneis  et  fissile  robur 


L'elei  frondose,  e  gli  alti  abeti,  e  i  faggi, 
Gli  olmi  mariti,  a  cui  talor  s'appoggia 
La  vite,  e  conpiètortoal  ciel  se'n  poggia. 

76 
Altri  i  tassi,  e  le  guercie  altri  percote, 
Che  mille  volte  rinnovar  le  chiome. 
E  mille  volte  ad  ogni  incontro  immote 
L'ire  de'  venti  han  rintuzzate  e  dome;      j 
Ed  altri  impone  a  le  stridenti  rote  i 

D'orni  e  di  cedri  l'odorate  some. 
Lasciano  al  suon  de  l'arme,  al  vario  grido, 
E  le  fere  e  gli  augei  la  tana  e  '1  nido. 


Scinditur:  advolvunt  ingentes  montibus  or. 
nos  »  ;  e  ancora  (xi  13-4)  ;  *  Per  silvas  Teucri 
mixtique  impune  Latini  Erravere  iugis. 
Ferro  sonat  alta  bipenni  Fraxinus;  ever- 
tunt  actas  ad  sidera  pinus,  PvOboranec  cu- 
neis et  olentem  scindere  cedruni,  Nec  plau- 
stris  cessant  vectare  gementibus  brnos  »; 
cfr.  anche  Stazio,  Thebaid.  vi  ;  per  gii  ul- 
timi due  versi  dei  canto,  anche  l'Ariosto 
Ori.  XXVII  101,  3:  «  Rimbombò  il  suoii  sino 
alla  selva  Ardenna,  Si  che  lasciar  tutte  la 
fere  il  nido  ». 


CANTO   lY. 

Scena  nclf  Inferno:  conci- 
lio dei  demoni  ^  Idraòte 
-jAr  Armida  nel  campo 
cristiano  -^  Eustazio  ii^ 
Parlata  d' Armida  che 
chiede  soccorsi  i^  Rispo- 
sta del  Buglione,  che  nega 
di  aiutarla  prima  che  sia 
presa  Gerusalemme  -jAr 
Dolore  d'Armida  -k  Par- 
lata d'Eustajio  che  le 
ottiene  dieci  cavalieri  ^kr 
Arti  di  Armida  per  di- 
stornare dall'impresa  il 
maggior  numero  possi- 
bile di  cristiani. 


1.  Il  Tasso  in  una  nota  alla  Leti.  82  av- 
verte :  «  Da  questo  canto  (dal  quarto),  come 
da  fonte,  derivano  tutti  gli  episodi  »,  e  in 
fine  della  Lett.  cit.  *  Nei  tre  primi  canti  sé- 
guito l'istoria,  non  solo  ne  la  somma  del 
fatto,  ma  in  tutte  le  circostanze  ancora: 
nulla  vario  nulla  aggiungo,  se  non  che  al- 
cune poche  cose  di  Clorinda  e  d'Erminia. 
Fatto  questo  fondamento  di  verità,  comin- 
cio a  mescolare  il  vero  col  falso  verisimile. 
Ne  la  morte  del  principe  di  Dania,  nel  caldo, 
ne  la  sete  che  alHisse  i  fedeli,  ne  le  litanie 
cantate  da  loro,  ne  la  presa  de  la  colomba, 
ne  la  venuta  di  Guglielmo  il  ligure,  ne  la 
composizione  de  le  macchine,  ne'  due  as- 
salti dati  a  la  città,  ne  la  presa  di  essa,  e 
ne  la  espugnazione  del  tempio  di  Salomone, 

0  nulla  0  poco  mi  allontano  da  gli  storici. 

1  fatti  sono  aggranditi  da  me,  ma  per  altro 
passarono  cosi  ».  Il  cauto  s'apre  col  consi- 
glio dei  demòni,  che  il  Galilei  alla  st.  11 
giudica,:    «  tutto    benissimo  ».    Gli    antichi 


1 

Mentre  son  questi  a  le  bell'opre  inteuti, 
Perché  debbiauo  tosto  in  uso  pòrse; 
Il  gran  neraj.co  de  l'umane  genti 
Contra  i  Cristiani  i  lividi  occhi  torse: 
E  scorgendogli  ornai  lieti  e  contenti, 


commentatori  del  Tasso  additarono  i  poeti 
che  egli  imitò  nel  concilio  diabolico.  Il  Bi- 
rago,  per  citarne  uno,  scrive:  «Ila  gareg- 
giato in  questa  congregazione  infernale  il 
poeta  con-due  altri  grandi  poeti  latini,  con 
Claudiano  nel  primo  della  Rapita  Proser- 
pina^  e  col  Vida  nella  Cristiade,  nel  primo 
libro  ».  —  I.  Come  noi  legge  pure  la  Conq., 
ma  OS.  Mentre  fan  questi  i  bellici  instru- 
menti. —  3.  Il  gran  noiiiico  ecc.:  il  demo- 
nio. Dante,  Inf.  vi  15:  ••  Quivi  trovammo 
J.Juto  il  gran  nemico  ♦.  —  4.  torse:  Cfr.  ii 
8974./—  5.  Come  noi  legge  questo  verso  la 
CoN^I.;   ma  Os.  £  lor  veggendo  a  le  bel- 


42 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Ambo  le  labra  per  furor  si  morse; 
E,  qual  tauro  ferito,  il  suo  dolore 
Versò  mugghiaudo  e  sospirando  fuore. 
2 

Quinci,  avendo  pur  tutto  il  pensier  vòlto 
A  recar  ne'  Cristiani  ultima  doglia, 
Che  sia,  comanda,  il  popol  suo  raccolto 
(Concilio  orrendo  !)  entro  la  regia  soglia; 
Come  sia  pur  leggiera  impresa,  ahi  stolto!, 
Il  repuguare  a  la  divina  voglia: 
Stolto,ch'al  Ciels'agguaglia,  e  in  obliopo- 
Come  di  Dio  la  destra  irata  tuone.      [ne 
3 

Chiama  gli  abitator  de  l'ombre  eterne 
Il  rauco  suon  de  la  tartarea  tromba. 
Treman  le  spaziose  atre  caverne, 
E  l'aer  cieco  a  quel  romor  rimbomba: 
Né  si  stridendo  mai  da  le  superne 
Regioni  del  cielo  il  folgor  piomba, 
Né  si  scossa  giammai  trema  la  terra 
Quando  i  vapori  in  sen  gravida  serra. 
4 

Tosto  gli  dèi  d'Abisso  in  varie  torme 


l'opre  intenti.  —  6.  Dante,  Inf.  xxxiii  58: 
«  Ambo  le  mani  per  dolor  mi  morsi  ».  — 
7-8.  Virg.  Aen.  ii  223:  «  Qualis  mugitus  fugit 
cum  saucius  aram  Taurus,  et  incertam 
excussit  cervice  securim  ».  Frequente  nei 
nostri  scrittori  la  similitudine  del  toro  fe- 
rito: Cfr.  Dante,  Inf.  xii  22,  e  l'Ariosto  Ori. 
XI  42.  Qui  nel  Tasso  è  appena  accennata. 

2,  3-4.  Vida,  Christiados  i  133:  «  Proti- 
nus  acciri  diros  ad  rey:ia  fratres  Limina, 
concilium  horrendum.  et  genus  omne  suo 
rum  Imperat».  Virg.  Aen.ui  679:  «Conci- 
lium horrendum  >.  —  5.  Come  sia  pnr:  Cosi 
pure  la  CoxQ..  ma  Os.  Quasi  che  sia.  — 
6.  repugnare:  opporsi  ;  come  in  Dante,  Co/i- 
Vito  87:  *  Repugnaudo  a  questo,  commenda 
e  abbellisce  la  memoria  di  quella  gloriosa 
Beatrice  ».  —  7.  ch'ai  Ciel:  Os.cJi'a  Dio.  — 
7-8.  Vida,  loc.  cit.  130:  <  Demens.  qui  id 
propter  tantum  non  viderat  ipsum  Demis- 
sum  coeio  juvenem,  quo  sponte  piaret  Morte 
obita  veterum  culpam,  et  scelus  omne  pa- 
rentum  ». 

3,  1.  Chiama  ecc.  :  Vida,  loc.  cit.  135  : 
«Ecce  igitur  dedit  ingens  buccina  signum: 
Quo  subito  intouuit  caecis  domus  aita  ca- 
vernis  Undique  opaca  ingens  :  antra  into- 
nuere  profunda,  Atque  procul  gravido  tre- 
mefacta  est  corpore  tellus  ».  Virg.  Aen.  vii 
513:  «  cornuque  recurvo  Tartaream  intendit 
vocem,  qua  protinus  orane  Contremuit  ne- 
mus,  et  silvae  intonuere  profundae  ».  Poli- 
ziano {Stanze,  i  28)  :  ••  Con  tal  romor  qualor 
Paer  discorda,  Di  Giove  il  foco  d'alta  nube 
piomba....  Con  tale  orror  del  latin  sangue 
ingorda  Sonò  Megera  la  tartarea  tromba  ». 
—  5.  Os.  legge:  Xe  stridendo  cosi. 

4,  1.   Tosto  gli  dèi   ecc.:    Vida,   loc.   cit. 


Coucorron  d'ognintorno  a  l'alte  porte. 
Oh  come  strane,  oh  come  orribil  forme! 
Quaut'è  ne  gli  occhi  lor  terrore  e  morte! 
Stampano  alcuni  il  suol  di  ferine  orme, 
E  'n  fronte  umana  han  chiome  d'angui  at- 

[torte; 
E  lor  s'aggira  dietro  immensa  coda 
Che,  quasi  sferza,  si  ripiega  e  snoda. 

5 
Quimilleimmonde  Arpie  vedresti  e  mille 
Centauri  e  Sfingi  e  pallide  Gorgoni; 
Molte  e  molte  latrar  voraci  Scille, 
E  fischiar  Idre,  e  sibilar  Pitoni, 
E  vomitar  Chimere  atre  faville; 
E  Politemi  orrendi  e  'Jerioni; 
E  in  novi  mostri,  e  non  pili  intesi  o  visti, 
Diversi  aspetti  in  un  confusi  e  misti. 


139:  «  Continuo  ruit  ad  portas  gens  om.ìis:  ^ 
et  adsunt  Lucifugi  coetus  varia,  atque  bi- 
corpora  monstra;  Pube  tenus  hominum  fa- 
cies, verum  hispida  in  anguem  Desinit  in- 
genti sinuata  volumine  cauda».  —  6.  Vir- 
gilio,dellaDiscordia,  Aen. vi  281  :  «Vipereum 
crinem  vittis  innesa  cruentis  ».  Il  Vida,  loc- 
cit.  152:  «  Omnibus  intorti  pendent  prò  cri- 
nibus  angues*.  —  7-8.  Virg.,  Aen.  ii  207: 
«  pars  caetera  pontum  Pone  legit  sinuatque 
immensa  volumine  terga  ».  E  l'Ariosto,  delle 
arpie,  Ori.  xxxiii  120:  «  e  lunga  coda,  Come 
di  serpe  che  s'aggira  e  snoda  ». 

6,  1.  Qui  mille  immonde  ecc.  ;  Vida.  loc. 
Cit.  143:  «Gorgonas  hi,  Sphingasque  ob- 
scoeno  corpore  reddunt,  Centaurosque,  Hi- 
drasque  illi.  ignivomasque  Chimaeras,  Cen- 
tum  alii  Scyllas,  ac  foedificas  Harpyas,  Et 
quae  multa  homines  simulacra  horrentia 
fingunt  »,  Virg.,  Ae/7.  vi  285:  «Multaque 
praeterea  variarum  monstra  ferarum  Cen- 
tauri in  foribus  stabulant  Sc^llaeque  bifor- 
mes.  Et  centurageminus  Briareus,  ac  bellua 
Lernae  Horrendum  stridens,  flammisque 
armata  Chimaera,  Gorgoues  Harpyaeque 
et  forma  tricorporis  umbrae  ».  —  Arpie: 
uccelli  favolosi,  con  viso  e  collo  di  donzella. 
Cfr.  Virg.  Aen.  vi  zSl  :  Dante,  l7if.  xiii 
10-101.  —  2.  Centauri:  mostri  mezzo  uomini 
e  mezzo  cavalli.  Cfr.  Ovidio,  Met.  xii;  Dante, 
Inf.  xii  56,  XXV  17,  e  Purg.  xxxv  121.  — 
Sfingi:  animali  mostruosi.  Cfr.  Dante,  Purg. 
xxxiii  47.  —  Gorgoni:  Cfr.  Ovidio,  Met.  iv 
769  e  Dante,  Inf.  ix  f»6.  —  3.  Scilla:  mostro 
marino  a  sei  teste,  cinto  intorno  di  cani.  — 
4.  Idra:  serpente  favoloso  figurato  con  sette 
teste.  Cfr.  Dante,  Lnf.  ix  40.  —  Pitone:  ser- 
pente spaventevole,  che,  perseguitando  La- 
tona,  fu  ucciso  da  Apolline.  — •  5.  Chimera: 
mostro  parte  leone,  parte  capra,  e  parte 
drago.  —  6.  Poliremo:  gigante  antropofago 
con  un  solo  occhio  in  mezzo  alla  fronte. 
Cfr.  Omero  neWOdiss.  ix,  Virg.,  Aen.  in, 
641  segg.  —  Gerione,  Dante,  Inf.  xvu. 


CANTO  IV 


43 


D'essi  parte  a  sinistra  e  parte  a  destra 
A  seder  vanno  al  crudo  re  davaiite. 
Siede  Pluton  nel  mezzo,  e  con  la  destra 
Sostien  lo  scettro  ruvido  e  pesante; 
Né  tanto  scoglio  in  mar,  né  rupe  alpestra, 
Né  pur  Calpe  s'inalza,  o'I  magno  Atlante, 
Ch'anzi  lui  non  paresse  un  picciol  colle; 
Si  la  gran  fronte  e  le  gran  corna  estolle. 
7 

Orrida  maestà  nel  fero  aspetto 
Terrore  accresce,  e  più  superbo  il  rende; 
Rosseggian  gli  occhi,  e  di  veneno  infetto, 
Come  infausta  cometa,  il  guardo  splende; 
Gl'involve  il  mento,  e  su  l'irsuto  petto 
Ispida  e  folta  la  gran  barba  scende; 
E  in  guisa  di  voragine  profonda 
S'apre  la  bocca  d'atro  sangue  immonda. 
8 

Qual  i  fumi  sulfurei  ed  infiammati 
Escon  di  Mongibello,  e  '1  puzzo  e  '1  tuono  ; 
Tal  de  la  fera  bocca  i  negri  fiati, 
Tale  il  fetore  e  le  faville  sono. 
Mentre  ei  parlava,  Cerbero  i  latrati 
Ripresse,  e  l'Idra  si  fé'  muta  al  suono; 
Restò  Oocito,  e  ne  tremar  gli  abissi; 
E  in  questi  detti  il  gran  rimbombo  udissi  : 
9 

Tartarei  numi,  di  seder  piiì  degni 
Là  sovra  il  sole,  ond'è  l'origin  vostra, 
Che  meco  già  da  i  più  felici  regni 


6,3.  Siede  ecc.:  Claudiano,  De  Raptu 
Proser^nnae  i  79  (pur  di  Plutone)  :  «  Ipse 
rudi  fultus  solio,  nigraque  verendus  Maie- 
statesedet:  squalent  iixiinaniafoedo  Sceptra 
situ:  sublime  caput  maestissima  nubes  Aspe- 
rat,  et  dirae  riget  inclementia  formae:  Ter- 
rorem  dolor  augebat».  —  6.  Calpe:  il  pro- 
montorio di  Gibilterra.  —  7.  Ch'anzi:  che 
dinanzi  a  lui,  in  suo  paragone. 

7,  1-2.  Cfr.  i  versi  di  Claudiano  cit.  ulti- 
mamente. —  3.  Rosseggian  ecc.:  Virg.,  Aen. 
II  210:  «  Ardentisque  oculos  suffecti  san- 
guine et  igni».  —  infetto:  iniettato  [lo 
sguardo]. 

8,  5.  Mentre  ei  parlava  ecc.  :  Claudiano, 
loc.  cit.  84:  «  tremefacta  silent,  dicente  ty- 
ranno,  Atria;  latratum  triplicem  compe- 
scuit  ingens  lanitor,  et  presso  lacrimarura 
fonte  resedit  Cocytoa,  tacitisque  Acheron 
obmutuit  undis  ».  —  Cerbero,  cane  infernale 
con  tre  teste  ;  cfr.  Dante,  Inf.  vi  13-33.  — 
7.  Restò,  fermò  il  suo  córso.  —  Cocìto  : 
fiume  infernale;  cfr.  Dante,  Inf.  xiv  119, 
XXXI  123  e  XXXIV  f)2. 

9,  1.  Tartarei  numi  acc:  Vida,  loo.  cit. 
167:  «Tartarei  proceres,  caelo  gens  orta 
sereno,  Quos  olim  huc  superi,  mecuni  in- 
clementia regis  Aethere  disiectos  llagranti 
fulmine  adegit,  Dum  regno  cavet,  ac  sceptris 


Spinse  il  gran  caso  in  questa  orribil  chio- 

[stra; 
Gli  antichi  altrui  sospetti  e  i  fieri  sdegni 
Noti  son  troppa,  e  l'alta  impresa  nostra. 
Or  Colui  regge  a  suo  voler  le  stelle, 
E  noi  Siam  giudicate  alme  rubelle. 

10 
Ed  in  vece  del  di  sereno  e  puro, 
De  l'aureo  sol,  de  gli  stellati  giri, 
N'ha  qui  rinchiusi  in  questo  abisso  oscuro; 
Né  vuol  ch'ai  primo  onor  per  noi  s'aspiri: 
E  poscia  (ahi  quanto  a  ricordarlo  è  duro! 
Quest'è  quel  che  più  inaspra  i  miei  martiri) 
Ne'  bei  seggi  celesti  ha  l'uom  chiamato, 
L'uom  vile  e  di  vii  fango  in  terra  nato. 

11 
Né  ciò  gli  parve  assai;  ma  in  preda  amor- 
Sol  per  farne  più  danno,  il  figlio  diede,  [te, 
Ei  venne,  e  ruppe  le  tartaree  porte. 


multa  invidus  ille  Permetuit,  refugitque 
parem;  quae  praelia  toto  Egerimus  coelo, 
quibus  olim  denique  utrimque  Sit  certatum 
odiis,  notum,  et  meminisse  necesse  est.  Ille 
astris  potitur,  parte  et  plus  occupat  aequa 
Aetheris,  ac  poenas  inimica  a  gente  recepit 
Crudeles».  —  4.  il  gran  cago:  la  gran  ca- 
duta. Altri  credono  che  Lucifero,  nell'or- 
goglio suo,  chiami  gran  caso  la  forza  che 
lo  precipitò  nell'abisso.  —  chiostra.  Chio- 
stra 0  chiostro  (lat.  claustrum)  vale  luogo 
chiuso.  Dante,  Inf.  xxix  40:  «Quando  noi 
fummo  in  sull'  ultima  chiostra  Di  Male- 
bolge»,  e  Purg.  vii  21:  «Dimmi,  se  vien 
d'Inferno,  e  di  qual  chiostra  ».  —  8.  rubelle, 
per  ribelle  fu  già  della  lingua  poetica. 

10,  1.  Ed  in  vece  del  di  ecc.  :  Vida,  loc.  cit. 
176  :  «  ...  prò  sideribus  prò  luce  serena  No- 
bis  senta  situ  loca,  sole  carentia  tecta  Red- 
didit,  ac  tenebria  jussit  torquere  sub  imis 
Immites  animos  hominum.  Illaetabile  re- 
gnum.  Ilaud  superae  aspirare  poli  datur 
amplius  aulae:  Ingens  ingenti  claudit  nos 
obice  tellus  ;  In  partemque  homini  nostri 
data  regia  caeli  est».  —  5.  duro:  incresce- 
vole; Dante,  Inf.  i4:  «Ahi  quanto  a  dir 
qual  era  è  cosa  dura  ». 

11,  1.  Né  ciò  gli  parve  ecc.:  Vida,  loc. 
cit.  183:  «  Nec  satis  :  arma  iterura  molitur, 
et  altera  nobis  Bella  ciet,  regnisque  etiam 
nos  pellit  ab  imis.  Id  propter  iuvenem 
aetherea  demisit  ab  arce  Seu  natum,  sive 
alitibus  de  fratribus  unum,  lamque  aderit, 
fretusque  armis  caelestibus  ille  Sedibus  cxi- 
tium  vehet  bis,  et  regna  recludet  Infera, 
concessasque  animas  nostro  eximet  orbe. 
Fors  quoque  nos,  nisi  non  segnes  occurri- 
raus,  ipsos  Arcta  in  vincla  dabit,  vinctosque 
indticet  Olympo,  Victor,  ovans.  Superi  illu- 
dent  toto  aethere  captis  ».  —  3.  Petrarca, 
di  Cristo,  son.  Non  può  far  morte  6  ;  «  Che 


44 


GERUSALEMME  LIBERATA 


E  porre  osò  ne'  regni  nostri  il  piede, 
E  trarne  l'alme  a  noi  dovute  in  sorte, 
E  riportarne  al  Ciel  si  ricche  prede, 
Vincitor  trionfando,  e  in  nostro  scherno 
L'insegne  ivi  spiegar  del  vinto  Inferno. 
12 

Ma  che  rinnovo  i  miei  dolor  parlando? 
Chi  non  ha  già  l'ingiurie  nostre  intese? 
Ed  in  qual  parte  si  trovò,  né  quando, 
Ch'egli  cessasse  da  l'usate  imprese? 
Non  pili  dessi  a  l'antiche  andar  pensando, 
Pensar  dobbiamo  a  le  presenti  offese. 
Deh!  non  vedete  ornai  com'egli  tenti 
Tutte  al  suo  culto  richiamar  le  genti? 
13 

Noi  trarrem  neghittosi  i  giorni  e  l'ore, 
Né  degna  cura  fia  che  '1  cor  n'accenda? 
E  soffrirem  che  forza  ognor  maggiore 
Il  suo  popol  fedele  in  Asia  prenda? 
E  che  Giudea  soggioghi?  e  che  '1  suo  onore. 
Che  '1  nome  suo  più  si  dilati  e  stenda? 
Che  suoni  in  altre  lingue,  e  in  altri  carmi 
Si  scriva,  eincida  innovibronzie  marmi? 
14 

Che  sian  gl'idoli  nostri  a  terra  sparsi? 
Che  inostri  altari  il  raondoaluiconverta? 
Ch'a  lui  sospesi  i  vóti,  a  lui  sol  arsi 
Siano  gl'incensi,  ed  auro  e  mirra  offerta? 
Ch'ove  a  noi  tempio  non  solca  serrarsi. 
Or  via  non  resti  a  l'arti  nostre  aperta? 
Che  di  tant'alme  il  solito  tributo 
Ne  manchi,  e  in  vóto  regno  alberghi  Fiuto  ? 
15 

Ah!  non  fia  ver;  chénon  sono  anco  estinti 
Gli  spirti  in  voi  di  quel  valor  primiero, 
Quando  di  ferro  e  d'alte  fiamme  cinti 
Pugnammo  già  contra  il  celeste  impero. 
Fummo, io  no'l  nego,  in  quel  conflitto  vinti: 
Pur  non  mancò  virtute  al  gran  pensiero. 


col  pie  ruppe  le  tartaree  porte  ».  —  5-6. 
Dante,  Inf.  xii  3S-39:  «  Colui  che  la  gran 
preda  Levò  a  Dite  ».  —  8.  iri,  nel  cielo.  Qui 
insegne  significa  segyii,  indizi;  e  son  le 
anime  che  Cristo  strappò  al  Tartaro  e  che 
spiegate,  messe  in  mostra,  in  cielo,  atte- 
stano della  sua  vittoria  sull'inferno. 

12,  3.  né  quando:  e  quando:  il  né  ha  qui 
valore  di  semplice  congiunzione;  come  nel 
Petrarca,  canz.  Che  deòb' io  far  TI:  *  Se  gli 
occhi  suoi  ti  fur  dolci  né  cari  ». 

13,  5-6.  e  che  '1  sao  onore,  Che  '1  nome 
suo  ecc.:  Intendi:  che  l'onore,  cioè  il  culto, 
e  il  nome  del  Dio  cristiano  ecc.  Suo  si  ri- 
ferisce qui,  come  nel  verso  4,  a  Dio;  e  non 
a  popol  fedele,  che  pure  è  soggetto  di  sog- 
gioghi. —  8.  e  marmi:  Os.  e  in  marmi. 

16,  6.  Pnr  non  mancò  ecc.:  Intendi  che 
al  gran  pensiero  di  pugnare  contro  il  ce- 
leste impero  corrispose,  nell'atto,  la  virtù, 


Diede  che  che  si  fosse  a  lui  vittoria: 
Rimase  a  noi  d'invitto  ardir  la  gloria. 
16 

Ma  perché  più  v'indugio?  Itene,  o  miei 
Fidi  consorti,  o  mia  potenza  e  forze; 
Ite  veloci,  ed  opprimete  i  rei. 
Prima  ch'il  lor  poter  più  si  rinforze: 
Pria  che  tutt'arda  il  regno  de  gli  Ebrei. 
Questa  fiamma  crescente  omais'aramorze, 
Fra  loro  entrate;  e  in  ultimo  lor  danno 
Or  la  forza  s'adopri,  ed  or  l'inganno. 
17 

Siadestin  ciò  ch'io  voglio:  altri  disperso 
Se  'n  vada  errando  ;  altri  rimanga  ucciso  ; 
Altri,  in  cure  d'amor  lascive  immerso, 
Idol  si  faccia  un  dolce  sguardo  e  un  riso: 
Sia'l  ferro  in  contro  al  suo  rettor  converso 
Da  lo  stuol  ribellante  e  'n  sé  diviso: 
Péra  il  campo  e  riiini,  e  resti  in  tutto 
Ogni  vestigio  suo  con  lui  distrutto. 
18 

Non  aspettar  già  l'alme  a  Dio  rubelle 
Che  fosser  queste  voci  al  fin  condotte; 
Ma  fuor  volando  a  riveder  le  stelle 
Già  se  n'usciau  da  la  profonda  notte, 
Come  sonanti  e  torbide  procelle 
Che  vengan  fuor  de  le  natie  lor  grotte 
Ad  oscurar  il  cielo,  a  portar  guerra 
A  i  gran  regni  del  mar  e  de  la  terra. 
19 

Tosto,  spiegando  in  varii  lati  i  vanni. 
Si  furon  questi  per  lo  mondo  sparti, 
E  'ncominciaro  a  fabricar  inganni 
Diversi  e  novi,  ed  ad  usar  lor  arti. 
Ma  di'  tu,  Musa,  come  i  primi  danni 


ossia  il  valore.  —  Ovidio,  Met.  ix  5  ;  *  Nec 
tam  Turpe  fuit  vinci  quam  coutendisse  de- 
corum  est,  Magnaque  dat  nobis  tantus  so- 
latia Victor».  —  7.  che  che  sì  fosse:  una 
qualunque  potenza. 

16,  1.  t'  indugio  :  vi  trattengo  :  Virg.  Ae7i. 
XI  175  :  «  quid  iam  vos  demoror  armis?  Va- 
dite».  —  2.  Virg.,  Aen.  i  664:  «Nate,  meae 
vires,  mea  magna  potentia,  solus  *.  —  8. 
forza:  mischiandosi  nella  guerra,  infiam- 
mando i  pagani,  commovendo  le  tempeste. 
—  inganno:  le  arti  d'Armida,  la  violaz.  del 
patto  fra  Raimondo  ed  Argante,  il  sogno 
di  Arginano,  la  prigionia  di  Tancredi,  T in- 
cantamento del  bosco  ecc. 

17,  1.  Sia  destin  ciò  ch'io  TOglio  :  Clau- 
diano,  De  Rapt.  Proserp.  :  «  Sit  fatum  quod- 
cumque  velis  ►.  —  5-6.  Vuol  dire:  sia  uc- 
ciso Goffredo  da'  suoi,  e  i  ribelli  si  dividano 
le  cose  e  i  regni  acquistati;  e,  nel  fatto, 
mancò  poco  che  questo  avvenisse  per  la 
sedizione  di  Argillano,  nell'ottavo  canto. 

19,  1.  vanni:  voce  poetica  che  si  usa  solo 
nel  plurale,  e  vuol  dire  ali. 


CANTO  IV 


45 


Mandassero  a'  Cristiani,  e  di  quai  parti: 
Tu  'i  sai;  e  di  taiit'opra  a  noi  si  Innge 
Debil  aura  di  fama  a  i)ena  giunge. 

20 
Reggea  Damasco  e  le  città  vicine 
Idraote,  famoso  e  nobil  mago, 
Che  tin  da' suoi  prim'anni  a  l'indovine 
Arti  si  diede,  e  ne  fu  ognor  più  vago. 
Ma  che  giovar,  se  non  potè  dei  fine 
Di  quell'  incerta  guerra  esser  presago? 
Ned  aspetto  di  stelle  erranti  o  fìsse, 
Né  risposta  d'inferno  il  ver  predisse. 

21 
Giudicò  questi  (ahi,  cieca  umana  mente, 
Come  i  giudizi  tuoi  son  vani  e  torti!) 
Che  a  l'esercito  invitto  d'  Occidente 
Apparecchiasse  il  Ciel  mine  e  morti: 
Però,  credendo  che  l'egizia  gente 
La  palma  de  l'impresa  al  fin  riporti, 
Desia  che  '1  popol  suo  ne  la  vittoria 
Sia  de  l'acquisto  a  parte  e  de  la  gloria. 

22 
Ma  perché  il  valor  Franco  ha  in  grande 
Di  sanguigna  vittoria  i  danni  teme;  [stima, 
E  va  pensando  con  qual  arte  in  prima 
Il  poter  de'  Cristiani  in  parte  sceme, 
Si  che  pili  agevolmente  indi  s'opprima 
Da  le  sue  genti  e  da  l'Egizie  insieme: 
In  questo  suo  pensier  il  sovragiunge 
L'angelo  iniquo,  e  più  l'instiga  e  punge. 

23 
Esso  il  consiglia,  e  gli  ministra  i  modi 
Onde  l'impresa  agevolar  si  puote. 
Donna,  a  cui  di  beltà  le  prime  lodi 
Concedea  l'Oriente,  è  sua  nepote: 
Gli  accorgimenti  e  le  più  occulte  frodi, 
Ch'usi  0  femifia  o  maga,  a  lei  son  note: 
Questa  a  sé  chiama,  e  seco  i  suoi  consigli 
Comparte,  e  vuol  che  cura  ella  ne  pigli. 


20,  2.  Idraote:  pei  maghi  cfr.  la  nota  ad 
Isvneno,  cant.  ii  st.  1.  É  personaggio  fittizio 
e  non  è  vero  che  reggesse  Damasco.  Nella 
Conquisi,  v  20:  *  Reggea  Meraclea,  e  le 
città  vicine  De'  Fenici,  Idraote  occulto  ma- 
go ».  —  2-8.  Ricorda  AlTeo  nell'Ora.  Fu7\ 
xviii  174:  «Medico  e  mago  e  pien  d'astro- 
logia ;  Ma  poco  a  questa  volta  gli  sovvenne; 
Anzi  gli  disse  in  tutto  la  bugia  ». 

21,  1-2.  ahi  ecc.  Ariosto,  Ori.  i  7:  «Ecco 
il  giudicio  uman  come  spesso  erra!  ». 

23,  3-6.  Ritratto  d'Armida.  —  Gli  accor- 
gimenti ecc.:  Dante  fa  dire  a  Guido  da  Mon- 
tefelfro,  Inf.  xxvii  76  :  «Gli  accorgimenti 
e  le  coperte  vie  Io  seppi  tutte  ».  —  feniina 
0  maga:  Armida  è  ora  donna  ora  maga 
nella  Liber.;  ma  nella  Conquist.  la  parte 
umana  sparisce  quasi  interamente,  ed  ella 
è  contemplata  dal  poeta  solamente  nel  se- 
condo modo.  —  8.  Comparte:  partecipa. 


24 
Dice:  0  diletta  una,  elle  sotto  biondi 
Capelli,  e  fra  si  teucre  sembianze, 
Canuto  senno  e  cor  virile  ascondi, 
E  già  ne  l'arti  mie  me  stesso  avanza, 
Gran  pensier  volgo;  e,  se  tu  lui  secondi, 
Segiiiteran  gli  effetti  a  le  speranze. 
Tessi  la  tela  ch'io  ti  mostro  ordita, 
Di  cauto  vecchio  esecutrice  ardita. 

25 
Vanne  al  campo  nemico:  ivi  s'impieghi 
Ogn'arte  feminil  ch'amore  alletti; 
Bagna  di  pianto  e  fa'  melati  i  preghi; 
Tronca  e  confondi  co'  sospiri  i  detti: 
Beltà  dolente  e  raiserabii  pieghi 
Al  tuo  volere  i  più  ostinati  petti: 
Vela  il  soverchio  ardir  con  la  vergogna, 
E  fa'  manto  del  vero  a  la  menzogna. 

2G 
Prendi,  s'esser  potrà,  Goffredo  a  l'esca 
De'  dolci  sguardi  e  de'  be'  detti  adorni. 
Si  ch'a  l'uomo  invaghito  ornai  rincresca 
L'incominciata  guerra,  e  la  distorni. 
Se  ciò  non  puoi,  gli  altri  più  grandi  adesca: 
Menagli  in  parte  ond'alcnn  mai  non  torni. 
Poi  distingue  i  consigli;  al  fin  le  dice: 
Per  la  fé,  per  la  patria  il  tutto  lice. 

27 
La  bella  Armida,  di  sua  forma  altera, 
E  de'  doni  del  sesso  e  de  l'etate. 
L'impresa  prende;  e  in  su  la  prima  sera 
Parte,  e  tiene  sol  vie  chiuse  e  celate: 


24.  A  proposito  delle  urti  d'Armida  il  T. 
scrive  {Leu.  i;5):  «  Credo  che  in  molti  luoghi 
troveranno  forse  alquanto  di  vaghezza  so- 
verchia, ed  in  particolare  ne  l'arti  d'Ar- 
mida ».  E  ancora:  «  La  contenzione  (di  Ger- 
nando  e  Rinaldo)  in  se  stessa,  e  l'arti  d'Ar- 
mida sono  ex  arte,  come  quelle  che  procedono 
da  una  fonte,  cioè  dal  consiglio  infernale, 
e  tendono  ad  un  fine  medesimo  e  principa- 
lissimo,  eh' è  il  disturbo  de  l'impresa». 
Vedi  la  nota  alla  st.  1  di  questo  canto.—  3. 
Petrarca,  son.  Grazie  cWa  pochi  3:  «Sotto 
biondi  capei  canuta  mente  ».  —  ó.  Os.  legge  : 
Seguiranno  gli.  —  7-8.  Vuol  dire:  metti  in 
effetto  con  le  opere  quanto  io  ho  divisato 
nella  niente. 

26,  3.  melati:  aspersi  di  miele,  cioè  di 
dolcezza:  Boccaccio,  Decam.  nov.  7:  «i 
prieghi.  i  quali  io  nel  vero  non  seppi  ba- 
gnare di  lagrime  né  far  melati  ».  —  5. 
misorabil  ecc.:  compassionevole.  Ovidio, 
FAeg.  I  x  :  «  Ut  voto  potiare  tuo,  miserabilis 
esto».  —  7.  con  la  vergogna:  con  modi  ri- 
trosi e  pudichi.  Vedi  Sofronia  e.  ii  18. 

26,  7.  distìngue:  spiega.  AKialilei  questa 
frase  sapeva  di  pedantesco.  Cfr.  cant.  ni 
28,  5. 


46 


GERUSALEMME  LIBERATA 


E  'n  treccia  e  'n  gonna  feminile  spera 
Vincer  popoli  invitti  e  schiere  armate. 
Ma  son  del  suo  partir  tra  -1  vulgo  ad  arte 
Diverse  voci  poi  diffuse  e  sparte. 
28 

Dopo  non  molti  di  vien  la  donzella 
Dove  spiegate  i  Franchi  avean  le  tende. 
A  l'apparir  de  la  beltà  novella 
Nasce  un  bisbiglio  e'I  guardo  ognun  v'in- 
Si  come  là  dove  cometa  o  stella,    [tende, 
Non  più  vista  di  giorno,  in  ciel  risplende: 
E  traggon  tutti  per  veder  chi  sia 
Si  bella  peregrina,  e  chi  l'invia. 
29 

Argo  non  mai,  non  vide  Cipro  o  Delo 
D'abito  0  di  beltà  forme  si  care. 
D'auro  ha  la  chioma,  ed  or  dal  bianco  velo 
Traluce  involta,  or  discoperta  appare: 
Cosi,  qualor  si  rasserena  il  cielo, 
Or  da  candida  nube  il  sol  traspare, 
Or  da  la  nube  uscendo  i  raggi  intorno 
Più  chiari  spiega,  e  ueraddoppia  il  giorno. 
30 

Fa  nove  crespe  l'aura  al  crin  disciolto, 
Che  natura  per  sé  riucrespa  in  onde; 


27,  5.  Petrarca,  madr.  Or  vedi,  Amor  i: 
«Tu  se'  armato  ed  ella  è  in  treccia  e  in 
gonna  »•. 

28,  3.  Ricorda  un  po'  l'apparire  di  Elena 
{II.  m)  dinanzi  ai  vecchi  troiani  :  e  l'entrata 
di  Angelica  (a  cui  in  parte  è  simile  Armida, 
ancóra  pel  fine  che  è  di  portar  via  prigioni 
i  migliori  cavalieri)  nella  sala  di  Carloma- 
gno,  in  Boiardo,  Ori.  Inn.  i  20  e  segg.  — 
4.  e  '1  guardo  ecc.:  Boiardo,  Ori.  Inn.  i23: 
«  Ogni  barone  e  principe  cristiano  In  quella 
parte  ha  rivoltato  il  viso  ecc.  ».  —  5-S.  Il 
Guastavini  osserva  che  qui  pure  si  ricorda 
Claudiano  (De  Rapt.  Proserp.  i  230),  quando 
Venere,  Pallade  e  Diana  vanno,  per  comando 
di  Giove,  ad  ingannar  la  fanciulla  :  «  augu- 
rium  qualis  laturus  iniquum  Praepeps  san- 
guineo delabitur  igne  cometes  l'rodigiale 
rubens:  non  illam  navita  tuto.  Non  impune 
vident  populi  ;  sed  crine  minaci  Nunciat 
aut  ratibus  ventos,  aut  urbibus  hostes  ». 

29,  1.  Argo,  città  del  Peloponneso,  patria 
di  Eleua;  Cipro,  isola,  di  fronte  alle  coste 
della  Siria,  sacra  a  Venere  ;  Delo,  una  delie 
Gicladi,  sacra  a  Diana  e  ad  Apollo.  Il  poeta 
vuol  dire  che  Armida  era  più  bella  di  Elena, 
di  Venere  e  di  Diana.  —  5.  Cosi  ecc.:  Ovi- 
dio, Met.  v  570:  «  ut  sol  qui  tectus  aquosis 
Nubibus  ante  fuit,  victis  e  nubibus  exit». 
Cfr.  Ariosto  [Ori.  xi  65).  —  6.  candida  nube, 
risponde  al  bianco  velo. 

30, 1-2.  Petrarca,  son.:  «  Aura  che  quelle 
chioyne  bionde  e  crespe,  Circondi  e  movi, 
e  se'  mossa  da  loro  Soavemente  e  spargi 
quel  dolce  oro,  E  po'  il  raccogli   e  'n  bei 


Stassi  l'avaro  sguardo  in  sé  raccolto, 
E  i  tesori  d'Amore  e  i  suoi  nasconde. 
Dolce  color  di  rose  in  quel  bel  vólto 
Fra  l'avQrio  si  sparge  e  si  confonde: 
Ma  ne  la  bocca,  ond'esce  aura  amorosa. 
Sola  rosseggia  e  semplice  la  rosa. 
31 

Mostra  il  bel  petto  le  sue  nevi  ignude, 
Onde  il  foco  d'Amor  si  nutre  e  desta; 
Parte  appar  de  le  mamme  acerbe  e  crude, 
Parte  altrui  ne  ricopre  invida  vesta: 
Invida,  ma  s'a  gli  occhi  il  varco  chiude, 
L'amoroso  peusier  già  non  arresta, 
Che  non  ben  pago  di  bellezza  esterna, 
Ne  gli  occulti  secreti  anco  s'interna. 
32 

Come  per  acqua  o  per  cristallo  intiero 
Trapassa  il  raggio,  e  no  '1  divide  o  parte, 
Per  entro  il  chiuso  manto  osa  il  pensiero 
Si  penetrar  ne  la  vietata  parte: 
Ivi  si  spazia,  ivi  contempla  il  vero 
Di  tante  meraviglie  a  parte  a  parte; 
Poscia  al  desio  le  narra  e  le  descrive, 
E  ne  fa  le  sue  fiamme  in  lui  più  vive. 
33 

Lodata  passa  e  vagheggiata  Armida 
Fra  le  cupide  turbe;  e  se  n'avvede: 
No  'l  mostra  già,  benché  in  suo  cor  ne  rida, 
E  ne  disegni  alte  vittorie  e  prede. 
Mentre,  sospesa  alquanto,  alcuna  guida 
Che  la  conduca  al  Capitan  richiede, 
Eustazio  occorse  a  lei,  che  del  sovrano 
Principe  de  le  squadre  era  germano. 


nodi  il  rincrespe  ».  —  3.  Petrarca,  ball.  Las- 
sare il  vel.  10:  «  E  l'amoroso  sguardo  in 
sé  raccolto  »  ;  cfr.  e.  ti  IS,  3.  —  S.  semplice: 
senza  mescolanza,  pura. 

31,  1.  neri  ignude  ecc.:  Novara:  ♦  Il  Pe- 
trarca chiama  un  volto  candido  calda  neve; 
da  questa  antitesi  del  Petr.  par  derivata 
questa  del  T.  che  dalla  neve  fa  nascere  il 
fuoco  ». 

32,  La  maggior  parte  di  questa  strofa  può 
sembrar  condotta  con  troppa  sottigliezza 
d'analisi. 

33,  1.  Cfr.  e.  II  19,  1.  —  7.  Eustazio:  cfr, 
e.  I  54,  I.  Di  questo  sùbito  innamorarsi  di 
Eustazio  e  delle  fervide  parole  di  poi  ri- 
volte ad  Armida  [Donna  se  mai  tal  nome 
ecc.),  scrive  il  T.  {Lett.  31)  che  egli  ha  vo- 
luto descrivercelo  come  •<  giovinetto  incon- 
siderato *,  e  avverte:  •  Il  poeta  deve  espri- 
mere ed  imitare  in  Eustazio  il  costume  ed 
il  parlare  de'  giovani  o  amanti  o  proni  al- 
l'amore ;  a' quali  apparendo  nova  bellezza^ 
e  maravigliosa,  sono  rapiti  dall'affetto  a 
dir  cose  sovra  la  lor  credenza,  a  chiamare 

il  luogo,  dove  appare  la  donna,  paradiso, 
e  lei  dea  ecc.  ». 


1 


1 


CANTO  IV 


47 


34 

Come  al  lume  farfalla,  ei  si  rivolse 
A  lo  splendor  de  la  beltà  divina; 
E  rimirar  da  presso  i  lumi  volse, 
Che  dolcemente  atto  modesto  inchina; 
E  ne  trasse  gran  fiamma,  e  la  raccolse, 
Come  da  foco  suole  ésca  vicina; 
E  disse  verso  lei  (ch'audace  e  baldo 
Il  fea  de  gli  anni  e  de  l'amore  il  caldo): 
35 

Donna,  se  pur  tal  nome  a  te  conviensi; 
Che  non  simigli  tu  cosa  terrena, 
Né  v'è  figlia  d'Adamo  in  cui  dispensi 
Cotanto  il  Ciel  di  sua  luce  serena; 
Che  da  te  si  ricerca?  ed  onde  viensi? 
Qual  tua  ventura,  o  nostra,  or  qui  ti  mena  ? 
Fa'  che  sappia  chi  sei:  fa'  ch'io  non  erri 
Ne  l'onorarti;  e,  s'è  ragion,  m'atterri, 
36 

RiHponde:  II  tuo  lodar  troppo  alto  sale; 
Né  tanto  in  suso  il  raerto  nostro  arriva: 
Cosa  vedi,  signor,  non  pur  mortale, 
Ma  già  morta  a  i  diletti,  al  duol  sol  viva; 
Mia  sciagura  mi  spinge  in  loco  tale, 
Vergine  peregrina  e  fuggitiva: 
Ricovro  al  pio  Goffredo,  e  in  lui  confido; 
Tal  va  di  sua  bontate  intorno  il  grido. 
37 

Tu  l'adito  m'impetra  al  Capitano, 
S'hai,  come  pare,  alma  cortese  e  pia. 
Ed  egli:  È  ben  ragion  ch'a  l'un  germano 
L'altro  ti  guidi,  e  intercessor  ti  sia. 
Vergine  bella,  non  ricorri  in  vano; 
Non  è  vile  appo  lui  la  grazia  mia: 
Spender  tutto  potrai,  come  t'aggrada, 
Ciò  che  vaglia  il  suo  scettro,  o  la  mia  spada. 
38 

Tace;  e  la  guida  ove  tra  i  grandi  eroi 
Allor  dal  vulgo  il  pio  Bugliou  s'invola. 
Essa  inchinollo  riverente,  e  poi 


35,  1.  Donua:  In  Omero,  Odiss.  vi,  Ulisse 
a  Nausicaa:  «supplichevolmente  ti  prego, 
0  regina;  o  Dio  alcuno,  o  mortale  tu  ti 
sia  ».  Cfr.  Virg.,  Aen.  i  327.  —  3-4.  Petrarca, 
son.  Deh,  porgi  man  12.  «  Forma  tal  non 
fu  mai  dal  di  che  Adamo  Aperse  gli  occhi 
in  prima  ».  —  8.  atterrì.  Atterrarsi  per  pro- 
strarsi è  in  Dante,  Puyci.ix  129:  «Pur  che 
la  gente  a' piedi  mi  s'atterri»;  e  nel  Pe- 
trarca, son.  Più  di  me  lieta  3:  •  Quando  la 
gente  di  pietà  dipinta  Su  per  le  rive  a  rin- 
graziar s'atterra  *. 

36,  2.  Né  tanto  ecc.  :  Virg.,  Aen.  i  335  : 
«  Tum  Venus:  Haud  equidem  tali  me  dignor 
honore  ».  —  3.  Petrarca,  son.  Soleasi  nel 
m,io  cor.  3:  «  Or  son  fatt'io...  Non  pur  mor- 
tai, ma  morto,  ed  ella  è  diva». 

37,  6.  Non  è  poco  il  favore  che  io  godo 
presso  di  lui. 


Vergognosetta  non  facea  parola. 
Ma  quei  rossor,  ma  quei  timori  suoi 
Rassecura  il  guerriero  e  riconsola; 
Si  ch'i  pensati  inganni  al  fine  spiega 
In  suon  che  di  dolcezza  i  sensi  lega. 
39 

Principe  invitto,  disse,  il  cui  gran  nome 
Se  'u  vola  adorno  di  si  ricchi  fregi. 
Che  l'esser  da  te  vinte  e  in  guerra  dome 
Recansi  a  gloria  le'provincie  e  i  regi; 
Noto  per  tutto  è  il  tuo  valor:  e  come 
Sin  da  i  nemici  avvien  che  s'ami  e  pregi, 
Cosi  anco  i  tuoi  nemici  affida,  e  invita 
Di  ricercarti  e  d'impetrarne  aita. 
40 

Ed  io,  che  nacqui  in  si  diversa  fede 
Che  tu  abbassasti  e  ch'or  d'opprimer  tenti, 
Per  te  spero  acquistar  la  nobil  sede 
E  lo  scettro  regal  de'  miei  parenti: 
E  s'altri  aita  a  i  suoi  congiunti  chiede 
Centra  il  furor  de  le  straniere  genti. 
Io,  poi  che  'n  lor  non  ha  pietà  più  loco, 
Centra  il  mio  sangue  il  ferro  ostile  invoco. 
41 

Io  te  chiamo,  in  te  spero;  e  in  quell'altezza 
Puoi  tu  sol  pormi,  onde  sospinta  io  fui; 
Né  la  tua  destra  esser  dee  meno  avvezza 
Di  sollevar,  che  d'atterrar  altrui; 
Né  meno  il  vanto  di  pietà  si  prezza. 
Che  '1  trionfar  de  gl'inimici  sui: 
E  s'hai  potuto  a  molti  il  regno  torre, 
Fia  gloria  egual  nel  regno  or  me  riporre. 
42 

Ma  se  la  nostra  fé  varia  ti  move 
A  disprezzar  forse  i  miei  preghi  onesti, 


38,  7.  Cfr.  l'atteggiamento  e  la  parlata  di 
Angelica  nel  Boiardo  (Orì.Inn.  i23  esegg.). 
—  S.  Petrarca,  Son.  Quand'a^nor  i  begli  9: 
«  Ma  '1  suon  che  di  dolcezza  i  sensi  lega  ». 

39,  «  Questa  narrazione  d'Armida  è  tutta 
buona,  eccetto  alcune  poche  cosette  ».  Cosi 
il  Galilei,  giudice  non  certo  benevolo.  —  1. 
Principe  ecc.:  Boiardo,  Ori.  Inn.  i  24: 
«  Magnanimo  signor,  la  tua  virtute  E  le 
prodezze  de'  tuoi  paladini,  Che  sono  in  terra 
tanto  conosciute  Quanto  distende  il  mare  i 
suoi  confini,  Mi  dan  speranza  ecc.  ».  —  2. 
ricchi:  CoxQ.  e  Os.  chiari.  —  5-6.  Cicerone 
{i;i  Pisonem):  «  Habet  hoc  virtus,  ut  viros 
fortes  species  eius  ac  pulcritudo  etiara  in 
hoste  delectet  ».  —7.  affida:  rende  fiduciosi. 

40,  4.  parenti:  genitori,  alla  latina. 

41,  1.  Io  te  chiamo.  In  :  Cosi  pur  la  Conq.; 
ma  Os.  Te  chiamo  ed  in.  —  6.  iniinìci: 
«  La  parola  inimici  —  scriveva  il  T.  nel 
l.')7tì  {Leu.  87)  —  non  la  vorrei  per  niente  »; 
perciò  troviamo  nell'Os.  la  sostituzione  av- 
versarii,  ma  nella  Conq.  il  T.  tornò  all'an- 
tica lezione.  —  sul:  vale  proprii. 


48 


GERUSALEMME  LIBERATA 


La  fé,  c'ho  certa  in  tua  pietà,  mi  giove; 
Né  dritto  par  ch'ella  delusa  restì. 
Testimone  è  quel  Dio  ch'a  tutti  è  Giove, 
Ch'altrui  più  giusta  aita  uiiqua  non  desti. 
Ma  perché  il  tutto  a  pieno  intenda,  or  odi 
Le  mie  sventure  insieme  e  l'altrui  frodi. 
43 

Figlia  i'son  d'Arbilan,  che'l  regno  tenne 
Del  bel  Damasco,  e  in  minor  sorte  nacque: 
Ma  la  bella  Cariclia  in  sposa  ottenne, 
Cui  farlo  erede  del  suo  imperio  piacque. 
Costei  co  'I  suo  morir  quasi  prevenne 
Il  nascer  mio;  ch'in  tempo  estinta  giacque, 
Ch'io  fuori  uscia  de  l'alvo;  e  fu  il  fatale 
Giorno,  ch'a  lei  die  morte,  a  me  natale. 
44 

Ma  il  primo  lustro  a  pena  era  varcato 
Dal  di  ch'ella  spogliossi  il  mortai  velo, 
Quando  il  mio  genitor,  cedendo  al  fato, 
Forse  con  lei  si  ricongiunse  in  Cielo; 
Di  me  cura  lassando  e  de  lo  stato 
Al  fratel,  ch'egli  amò  con  tanto  zelo, 
Che,  se  in  petto  mortai  pietà  risiede, 
Esser  certo  dovea  de  la  sua  fede. 
45 

Preso  dunque  di  me  questi  il  governo. 
Vago  d'ogui  mio  ben  si  mostrò  tanto, 
Che  d'incorrotta  fé.  d'amor  paterno, 
E  d'immensa  pietade  ottenne  il  vanto: 
0  che  '1  maligno  suo  pensiero  interno 
Celasse  allor  sotto  contrario  manto; 


42,  5.  11  Gentile  annota:  «  sente  quella 
sentenza  d'Ennio  tolta  da  Euripide,  appo 
Cicerone,  De  nat.  Deor.:  -Aspice  hoc  su- 
blime candensquem  invocantomneslovem-. 
Perciocché  Giove  è  detto  dal  giovare,  ciò 
che  é  proprio  d'Iddio:  e  per  tale  è  adorato 
da  tutte  le  nazioni  della  terra  ».  Etimologia 
falsa  della  parola  Giove,  ma  accettata  per 
buona  dal  Tasso. 

43.  Ancora  Angelica  nel  Boiardo  {Ori. 
Inn.  loc.  cit.ì  chiede  aiuto  a  Carlo  Magno 
accampando  falsamente  d'essere  stata  cac- 
ciata dal  regno.  Gli  annotatori,  per  quanto 
concerne  la  persecuzione  d'Armida,  ricor- 
dano il  racconto  d'Olimpia  perseguitata  da 
Cimosco  perché  non  voleva  sposarne  il  fi-  ■ 
glio,  nell'Ariosto  {Ori.  ixi;  e  per  quanto  ri- j 
guarda  la  nascita,  causa  di  morte  alla  ma- 
dre, il  nascere  di  Marfisa  nello  stesso  poeta.  | 

—  1.  regno:  Cosi  pure  CoxQ.,  ma  Os.  freno.  ■ 

—  4.  imperio:  Os.  regno.  —  7.  fatale:  nel 
senso  di  funesto  :  il  fatale  giorno  diventò 
poi  nella  Conquisi,  (v  45]  Vemoia  fortuna.  \ 

44,3.  cedendo  al  fato:  morendo;  in  la- 1 
tino  cedere  o  concedere  fato  vale  appunto  j 
morire. 

45,  2.  Tago,   desideroso.   —  6.  Petrarca, 
son.  Cesare  poi  ch'il  9:  •  l'animo  ciascuna  1 


0  che  sincere  avesse  ancor  le  voglie, 
Perch'ai  figliuol  mi  destinava  in  moglie. 
46 

Io  crebbi,  e  crebbe  il  figlio;  e  mai  né  stile 
l'i  cavalier,  né  nobil  arte  apprese: 
Nulla  di  pellegrino  o  di  gentile 
Gli  piacque  mai,  né  mai  troppo  alto  intese; 
Sotto  diforme  aspetto  animo  vile, 
E  in  cor  superbo  avare  voglie  accese; 
Ruvido  in  atti,  ed  in  costumi  è  tale, 
Ch'è  sol  ne'  vizi  a  sé  medesmo  eguale. 
47 

Ora  il  mio  buon  custode  ad  uora  si  degno 
Unirmi  in  matrimonio  in  sé  prefìsse, 
E  farlo  del  mio  letto  e  del  mio  regno 
Consorte  :  e  chiaro  a  me  più  volte  il  disse. 
Usò  la  lingua  e  l'arte,  u?ò  l'ingegno, 
Perché  '1  bramato  effetto  indi  seguisse: 
Ma  promessa  da  me  non  trasse  mai; 
Anzi,  ritrosa  ognor,  tacqui  o  negai. 
48 

Partissi  al  fin  con  un  sembiante  oscuro, 
Onde  l'empio  suo  cor  chiaro  trasparve: 
E  ben  l'istoria  del  mio  mal  futuro 
Leggergli  scritta  in  fronte  allor  mi  parve. 
Quinci  i  notturni  miei  riposi  furo 
Turbati  ognor  da  strani  sogni  e  larve; 
Ed  un  fatale  orror  ne  l'alma  impresso 
M'era  presagio  de'  miei  danni  espresso. 
49 

Spesso  l'ombra  materna  a  me  s'oflfria, 
Pallida  imago  e  dolorosa  in  atto: 
Quanto  diversa,  oìmè,  da  quel  che  pria 
Visto  altrove  il  suo  vólto  avea  ritrattol 
Fuggi,  figlia,  dicea,  morte  si  ria 


Sua   passion 
copre 


sotto  '1  contrario   manto   Ri- 
sincere: pure  :  già  osservato. 
48,  3.  Petrarca,  canz.  QueW antiquo  129: 
«  Quanta  ha  del  pellegrino   e  del  gentile  ». 

—  4.  intese:  pose  la  mira.  Petrarca,  Tr. 
Fam.  II  160:  «  Il  buon  re  Sicilian  ch'in  alto 
intese».  —  6.  avare,  cupide,  bramose;  più 
sotto  dice  (58)  avara  fame;  e  nel  e.  i  55,  4, 
avare  prede;  e  altrove  ancora.  —  *Ai  versi 
5-6  deve  sottintendersi  il  verbo  ebbe  —  8, 
Intendi  :  Che  ne'  vizi  è  uguale  soltanto  a  sé 
medesimo,  cioè  non  ha  chi  lo  uguagli. 

48,  2.  chiaro:  avv.  chiaramente. 

49,  1.  Spesso  l'ombra  ecc.:  Aen.  i  353 
«  Ipsa  sed  in  somnis  inhumati  venit  imago 
Coniugis;  ora  modis  attollens  pallida  miris^ 
Crudeles  aras,  traiectaque  pectora  ferro 
Nudavit,  caecumque  domus  scelus  omne 
retexit.  Tum  celerare  fugam,  patriaque 
eccedere  suadet;  Auxiliumque  viae  ecc.». 

—  3.  Quanto  diversa  ecc.:  Virg.  Aen.  u  274: 
«  Hei  mihi,  quaiis  erat!   quantum  mutatus 
ab  ilio  ».  E  il  Petrarca,  son.  Già  fiarnmegg.^ 
12:    «Quanto   cangiata,    oimè,   da   quel   d; 


CANTO  IV 


49 


Che  ti  sovrasta  ornai;  partiti  ratto: 
Già  veggio  il  tòsco  e'I  ferro  in  tuo  sol  dan- 
Appurecchiar  dal  perfido  tiranno.        [no 
50 

Ma  che  giovava,  oimè!  che  del  periglio 
Vicino  ornai  fosse  presago  il  core, 
S' irresoluta  in  ritrovar  consiglio 
La  mia  tenera  età  rendea  il  timore? 
Prender,  fuggendo,  volontario  esiglio, 
E  ignuda  uscir  del  patrio  regno  fuore, 
Grave  era  si,  ch'io  fea  minore  stima 
Di  chiuder  gli  occhi  ove  gli  apersi  in  prima. 
51 

Temea,  lassa!  la  morte;  e  non  avea 
(Chi  '1  crederla?)  poi  di  fuggirla  ardire: 
E  scoprir  la  mia  téma  anco  temea, 
Per  non  affrettar  l'ore  al  mio  morire. 
Cosi  inquieta  e  torbida  traea 
La  vita  in  un  continuo  martire; 
Qual  uom  ch'aspetti  che  su'l  collo  ignudo 
Ad  or  ad  or  gli  caggia  il  ferro  crudo. 
52 

In  tal  mio  stato,  o  fosse  amica  sorte, 
O  ch'a  peggio  mi  serbi  il  mio  destino, 
Un  de'  ministri  de  la  regia  corte, 
Che  '1  re  mio  padre  s'allevò  bambino. 
Mi  scoperse  che  '1  tempo  a  la  mia  morte 
Dal  tiranno  prescritto  era  vicino; 
E  ch'egli  a  quel  crudele  avea  promesso 
Di  porgermi  il  venen  quel  giorno  stesso. 
53 

E  mi  soggiunse  poi,  ch'a  la  mia  vita, 
Sol  fuggendo,  allungar  poteva  il  córso: 
E,  poi  ch'altronde  io  non  sperava  aita, 
Pronto  offri  se  medesmo  al  mio  soccorso; 
E  confortando  mi  rendè  si  ardita. 
Che  del  timor  non  mi  ritenne  il  morso. 
Si,  ch'io  non  disponessi  a  l'aer  cieco, 
La  patria  e  '1  zio  fuggendo,  andarne  seco. 
54 

Sorse  la  notte  oltra  l'usato  oscura, 
Che  sotto  l'ombre  amiche  ne  coperse; 
Onde  con  due  donzelle  uscii  secura. 
Compagne  elette  a  le  fortune  avverse; 
Ma  pure  in  dietro  a  le  mie  patrie  mura 
Le  luci  io  rivolgea  di  pianto  asperse, 


pria».—  6.  ratto,  prestatnentc,  iu  modo  av- 
verbiale. 

60,  7.  minore  stima:  faceva  minor  conto, 
m'importava  meno;  cioè  m'era  menograve, 
doloroso.  —  8.  ore  gli  aporsi  In  prima,  ove 
gli  aprii  la  prima  volta,  cioè  ove  nacqui. 

61,  6.  eontiniio:  cosi  pure  legge  la  Conq., 
ma  Os.  continovo. 

63,  3.  altronde:  da  altro  che  non  fosse  la 
fuga.  —  6.  del  timor  il  morso:  Intendi  morso 
nel  senso  di  freno. 

64,  3.  Onde:  Cosi  pure  Conq.;  ma  Os.  Tal 
che.  —  5-6.  Lucano,  Phars.  ni  3  :    *  Oranis 


Né  de  la  vista  del  natio  terreno 
Potea,  partendo,  saziarle  a  pieno. 

55  [ro, 

Fea  ristesso  cammin  l'occhio  e'I  pensie- 
E  mal  suo  grado  il  piede  inanzi  giva; 
Si  come  nave  ch'improviso  e  fero 
Turbine  scioglia  da  l'amata  riva. 
La  notte  andammo  e  '1  di  seguente  intero 
Per  lochi  ov'orma  altrui  non  appariva: 
Ci  ricovraramo  in  un  castello  al  fine, 
Che  siede  del  mio  regno  in  su  'i  confine. 
56 

E  d'Aronte  il  Castel;  ch'Aronte  fue 
Quel  che  mi  trasse  di  periglio,  e  scòrse. 
Ma,  poi  che  me  fuggito  aver  le  sue 
Mortali  insidie  il  traditor  s'accòrse, 
Acceso  di  furor  contra  ambidue, 
Le  sue  colpe  medesme  in  noi  ritorse; 
Ed  ambo  fece  rei  di  quell'eccesso 
Che  commettere  in  me  vols'egli  stesso. 
57 

Disse  ch'Aronte  i'  avea  con  doni  spinto 
Fra  sue  bevande  a  mescolar  veneno. 
Per  non  aver,  poi  ch'egli  fosse  estinto, 
Chi  legge  mi  prescriva  o  tenga  a  freno; 
E  eh'  io,  seguendo  un  mio  lascivo  instinto, 
Volea  raccòrrai  a  mille  amanti  in  seno. 
Ahi,  che  fiamma  del  cielo  anzi  in  me  sceu- 

[da, 
Santa  onestà,  ch'io  le  tue  leggi  offenda! 
58 

Ch'avara  fame  d'oro  e  sete  insieme 
Delmio  sangue  innocenteil  crudo  avesse, 
Grave  m' è  si  ;  ma  via  più  il  cor  mi  preme 
Clie'l  miocandido  onor  macchiar  volesse. 
L'empio,  ch'i  popolari  impeti  teme, 
Cosi  le  sue  menzogne  adorna  e  tesse, 
Che  la  città,  del  ver  dubbia  e  sospesa, 
Sollevata  non  s'arma  a  mia  difesa. 

59  [fronte 

Né,  per  ch'or  sieda  nel  mio  seggio,  e  in 


in  loniosspectabat  navita  fluctus:  Solus  ab 
Hesperia  non  flexit  lumina  terra  Magnus  ». 
—  7-8.  Fu  osservato  che  il  Poeta  dimentica 
di  aver  detto  chela  notte  era  oltra  l'nsato 
oscura.  Ma  si  dovrà  intendere  che  la  donna 
teneva  gli  occhi  fissi  dalla  parte  ove  era  la 
patria. 

65,  ]-2.  Petrarca,  Trionf.  Am.  iv  166: 
«  Ohe  '1  pie  va  innanzi,  e  l'occhio  torna 
indietro  ». 

66,  2.  scòrse:  guidò.  —  8.  In  me:  con- 
tro me. 

67,  7-8.  Virg.,  Aen.  iv  2-1:  «  Sed  mihi  vel 
tellus  optera  prius  ima  dehiscat,  Vel  pater 
orauipotena  adigat  me  fulmine  ad  umbras, 
Pallentes  umbras  Èrebi  noctemque  profun- 
dam,  Ante,  Pudor,  quain  te  violo,  aut  tua 
jura  rosolvo  ». 


4  —  Tasso,  Qerumlemnic  liberata. 


50 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Giàgli  risplenda  la  regal  corona, 
Pone  alcun  fine  a  iniiei  gran  danni,  a  Tonte; 
Si  la  sua  feritale  oltra  lo  sprona. 
Arder  minaccia  entro  '1  castello  Aronte, 
Se  di  proprio  voler  non  s' imprigiona; 
Ed  a  me.  lassai  e  insieme  a  i  miei  consorti 
Guerra  annunzia  non  pur.  ma  strazii  e 

60  [morti. 

Ciò  dice  egli  di  far,  perché  dal  vólto 
Cosi  lavarsi  la  vergogna  crede, 
E  ritornar  nel  grado,  ond'io  Tho  tolto, 
L'onor  del  sangue  e  de  la  regia  sede  : 
Ma  il  timor  n"è  cagion,  che  non  ritolto 
Gli  sia  lo  scettro  ond'io  son  vera  erede; 
Che,  sol  s'io  caggio,  por  fermo  sostegno 
Con  le  ruine  mie  puote  al  suo  regno. 

E  ben  quel  fine  avrà  Tempio  desire 
Che  già  il  tiranno  ha  stabilito  in  mente; 
E  saran  nel  mio  sangue  estinte  Tire 
Che  dal  mio  lagrimar  non  fìano  spente, 
Se  tu  no  '1  vieti.  A  te  rifuggo  o  sire, 

10  misera  fanciulla,  orba,  innocente: 

E  questo  pianto  ond'  ho  i  tuoi  piedi  aspersi. 
Vagliami  si.che'l  sangueio  poi  non  versi, 

6-2 
Per  questi  piedi, onde  i  superbie  gli  erapi 
Calchi;  per  questa  man  che  '1  dritto  aita, 
Per  l'alte  tue  vittorie,  e  per  que'  temp' 
Sacri,  cui  desti  e  cui  dar  cerchi  aita; 

11  mio  desir,  tu  che  puoi  solo,  adempi 
E  in  un  col  regno  a  me  serbi  la  vita 
La  tua  pietà:  ma  pietà  nulla  giove, 
S'anco  te  il  dritto  e  la  ragion  non  mcve, 

63 
Tu,  cui  concesse  il  Cielo  e  dièlti  ìl  fato 
Voler  il  giusto  e  poter  ciò  che  vuoi, 
A  me  salvar  la  vita,  a  te  lo  stato 
(Che  tuofìa  s'io'l  ricovro)  acquistarpuoi. 
Fra  numero  si  grande  a  me  sia  dato 
Diece  coudur  de' tuoi  più  forti  eroi: 
Ch'avendo  i  padri  amici  e  "1  popol  fido, 
Bastan  questi  a  riporrai  entro  '1  raio  nido. 


64 

Anzi  un  de'  primi,  a  la  cui  fé  commessa 
È  la  custodia  di  secreta  porta, 
Promette  aprirla,  e  ne  la  reggia  stessa 
Pòrci  di  notte  tempo;  e  sol  m'esorta 
Ch'io  da  te  cerchi  alcuna  aita;  e  in  essa, 
Per  picciola  che  sia,  si  riconforta 
Più  che  s'altronde  avesse  un  grande  stuo- 
Tanto  l'insegne  estiraa  e'I  nome  solo,  [lo: 

65 
^iò  detto,  tace,  e  la  risposta  attende 
Con  atto  che  'n  silenzio  ha  voce  e  preghi. 
Goffredo  il  dubbio  cor  volve  e  sospende 
Fra  pensier  vari,  e  non  sa  dove  il  pieghi. 
Terae  i  barbari  inganni,  e  ben  comprende 
Che  non  è  fede  in  uora  ch'a  Dio  la  neghi. 
Ma  d'altra  parte  in  lui  pietoso  affetto 
Si  desta,  che  non  dorme  in  nobil  petto. 
66 

Né  pur  l'usata  sua  pietà  natia 
Vuol  che  costei  de  la  sua  grazia  degni; 
Ma  il  move  util  ancor;  ch'util  gli  fia 
Che  ne  l'imperio  di  Damasco  regni 
Chi  da  lui  dipendendo  apra  la  via 
Ed  agevoli  il  córso  a  i  suoi  disegni, 
E  genti  ed  arme  gli  ministri  ed  oro 
Centra  gli  Egizii  e  chi  sarà  con  lorO. 
67 

Mentre  ei  cosi  dubbioso  a  terra  vòlto 
Lo  sguardo  tiene,  e'I  pensier  volve  e  gira; 
La  donna  in  lui  s'affissa,  e  dal  suo  vólto 
Intenta  pende,  e  gli  atti  osserva  e  mira; 
E  per  che  tarda,  oltra  il  suo  creder,  molto 
La  risposta,  ne  terae  e  ne  sospira. 
Quegli  la  chiesta  grazia  al  fin  negolle, 
Ma  die  risposta  assai  cortese  e  molle: 


60,  1.  dal  volto  ecc.  Petrarca,  canz.  i'  ro 
pensando  86:  «  Signor  mio,  che  non  togli. 
Ornai  dui  volto  mio  questa  vergogna?  >•.  — 
3.  ritornar:  ricondurre,  come  tornare  per 
condurre:  Ariosto,  Ori.  xxxii  '2i):  «  0  tor- 
nami nel  grado  onde  m'hai  tolto  ». 

61,  5.  A  te  rifuggo:  Qui  con;incia  la  con- 
clusione dell'orazione.  —  6.  orba;  privata 
[dei  genitori]. 

62,  2.  dritto:  ragione  che  uno  ha  sopra 
qualche  cosa  o  contro  di  alcuno.  —  7.  ma 
pietà  ecc.  Intendi  :  ma  nulla  mi  giovi  la  tua 
pietà,  se  non  debbano  spingerti  ad  aiutarmi 
anche  il  diritto  e  la  ragione. 

63,  4.  ricorro,  ricupero.  —  7.  padri:  i  pa- 
trizi. —  8.  nido:  patria;  cfr.  e.  i  22  1. 


64,  1.  primi  :  riferiscilo  a  padri.  —  7. 
altronde:  da  altra  parte  o  da  altra  persona. 
Cfr.  53,  3. 

65,2.  Con  atto  ecc.  Derivato  dal  Petrarca, 
son.  In  nobil  sangue  il:  «  EJ  un  atto  che 
parla  con  silenzio».  —  6.  fede:  questa  pa- 
rola é  qui  adoperata  con  doppio  senso  : 
lealtà  e  credenza  religiosa.  Non  bene,  a 
mio  credere.  Cfr.  e.  i  31,  5-6,  nota.  —  7. 
pietoso  affetto:  affetto  che  spinge  a  soccor- 
rere i  miseri. 

66,  1.  pur:  solamente:  frequente  in  que- 
sto senso  negli  antichi. 

67,  1.  Mentre  ei  ecc.:  A  un  dipresso  come 
Latino,  udita  la  parlatt^di  Ilioneo,  in  Virg. 
Aen.  VII  249:  «  Talibus  Ilionei  dictis  defixa 
Latinus  Obtutu  tfenet  ora,  soloque  immo- 
bilis  haeret  ».  —  3.  e  dal  sno  rólto  Intenta 
pende  :  sta  attenta  ai  movimenti  di  Goffredo: 
cfr.  ancora  e.  i  10,  7.  —  8.  molle:  mite  e 
con  modi  piacevoli. 


CANTO  IV 


61 


68 

S'in  servigio  di  Dio,  cli'a  ciò  n'elesse, 
Non  s'impiegasse!"  qui  le  nostre  spade, 
Ben  tua  speme  fondar  potresti  in  esse 
E  soccorso  trovar,  non  che  pleiade; 
Ma  se  queste  sue  greggie,  e  queste  opprcs- 
Mura  non  torniam  prima  in  libertade,  [se 
Giusto  non  è,  con  iscemar  le  genti, 
Che  di  nostra  vittoria  il  corso  alienti. 
09 

Ben  ti  prometto  (e  tu  per  nobil  pegno 
Mia  fé  ne  prendi,  e  vivi  in  lei  secura) 
Che,  se  mai  sottrarremo  al  giogo  indegno 
Queste  sacre  e  dal  Ciel  dilette  mura, 
Di  ritornarti  al  tuo  perduto  regno. 
Come  pietà  n'esorta,  avrem  poi  cura. 
Or  mi  farebbe  la  pietà  men  pio, 
S'auzi  il  suo  dritto  io  non  rendessi  a  Dio. 
70 

A  quel  parlar  chinò  la  donna,  e  fisse 
Le  luci  a  terra,  e  stette  immota  alquanto; 
Poi  soUevolle  rugiadose,  e  disse, 
Accompagnando  i  flebil  atti  al  pianto: 
Misera!  ed  a  qual  altra  il  Ciel  prescrisse 
Vita  mai  grave  ed  immutabil  tanto. 
Che  si  cangia  in  altrui  mente  e  natura 
Pria  che  si  cangi  in  me  sorte  si  dura? 
71 

Nulla  speme  più  resta;  in  van  mi  doglio: 
Non  han  più  forza  in  uman  petto  i  preghi. 
Forse  lece  sperar  che  '1  mio  cordoglio 
Che  te  non  mosse,  il  reo  tiranno  pieghi? 
Né  già  te  d'inclemenza  accusar  voglio 
Perché  '1  picciol  soccorso  a  me  si  neghi  ; 
MailCieloaccuso,  ondeilmio  mal  discen- 
Che  'n  te  pietate  inesorabil  rende.       [de 
72 

Non  tu,  signor,  né  tna  bontade  è  tale. 
Ma  '1  mio  destino  è  che  mi  nega  aita. 


68,  5.  greggio:  metaforic.  i  fedeli.  —  6. 
torniam:  e  nella  st.  seg.  ritornarti:  cfr. 
sopra,  st.  60,  3. 

69,  7-8.  Qui  pure  pietà  e  pio  hanno  senso 
diverso,  e  dritto  serve  a  due  sensi,  donde 
nasce  il  gioco  di  parole.  L'amore  per  gli 
uomini  {pietà)  mi  distorrebbe  dall'amore 
divino  {mi  farebbe  tnen  pio),  se  io  prima 
(anzi)  di  rendere  il  tributo  {dritto)  che  a 
Dio  si  spetta,  rendessi  a  te  ciò  su  cui  hai 
diritto.  —  rendessi  :  nella  Conquist.  v  69,  8, 
cambiato  in  solvessi. 

70,  7.  Che  si  cangia  ecc.  Armida  attri- 
buisce a  sua  sventura,  che,  proprio  trattan- 
dosi di  lei,  Goffredo  (altrui)  cangi  in  con- 
trario il  solito  animo  e  la  solita  indole  ge- 
nerosa. 

72,  1.  Non  tu  ecc.:  nella  st.  70  Armida 
ha  già  detto  che  Goffredo  aveva  abbando- 
uato,  trattandosi  di  lei,  la  sua  solita  bontà. 


Crudo  destino,  empio  destin  fatale, 
Uccidi  omai  questa  odiosa  vita. 
L'avermi  priva,  oimè!,  fu  picciol  male, 
De'  dolci  padri  in  loro  età  fiorita. 
Se  non  mi  vedi  ancor  del  regno  priva, 
Qual  vittima  al  coltello  andar  cattiva. 
73 

Che,  poi  che  leggo  u  onestate  e  zelo 
Non  vuol  che  qui  si  lungamente  indugi, 
A  cui  ricovro  in  tanto?  ove  mi  celo? 
0  quai  centra  il  tiranno  avrò  rifugi? 
Nessun  loco  si  chiuso  è  sotto  il  cielo  [gi? 
Ch'a  l'or  non  s'apra:  or  perché  tanti  indù- 
Veggio  la  morte,  e  se  '1  fuggirla  è  vano 
In  contro  a  lei  n'andrò  con  questa  mano. 
74 

Qui  tacque;  e  parve  ch'un  regale  sdegno 
E  generoso  l'accendesse  in  vista: 
E  'I  pie  volgendo,  di  partir  fea  segno. 
Tutta  ne  gli  atti  dispettosa  e  trista. 
Il  pianto  si  spargea  senza  ritegno, 
Com'ira  suol  produrlo  a  dolor  mista; 
E  le  nascenti  lacrime  a  vederle 
Erano  a  i  rai  del  sol  cristallo  e  perle. 
75 

Le  guancie  asperse  di  que'  vivi  umori 
Che  giù  cadeau  sin  de  la  veste  al  lembo, 
Parean  vermigli  insieme  e  bianchi  fiori, 
Se  pur  gli  irriga  un  rugiadoso  nembo, 
Quaudo  su  l'apparir  de'  primi  albori 
Spiegano  a  l'aure  liete  il  chiuso  grembo; 
E  l'alba,  che  li  mira  e  se  n'appaga, 
D'adornarsene  il  crin  diventa  vaga. 
76 

Ma  il  chiaro  umor,  che  di  si  spesse  stille 


—  3.  fatale:  se  qui  non  istesse  nel  senso  di 
funesto,  più  che  ridondante,  sarebbe  addi- 
rittura fuor  d'ogni  ragione:  destino  voluto 
dal  destino!?;  cfr.  e.  ii  41,  7.  —  6.  padri: 
genitori.  —  fiorita:  giovanile.  Petrarca, 
son.  Tornami  a  'diente  3:  «  Com'io  la  vidi 
(Laura)  in  sull'età  fiorita».  —  8.  cattiva: 
prigioniera:  latinismo  della  lingua  poetica. 

73,  3.  A  cui  ecc.  Virg.,  Aen.  ii  69:  «  Heu! 
quae  uuuc  tellus,  inquit,  quae  me  aequora 
possunt  Accipere  ?  Aut  quid  iam  misero 
mihi  denique  restat?».  —  ricorro  :  cosi  an- 
cora legge  GONQ.,  ma  Os.  ricorro.  —  5.  si 
chiuso:  Cosi  Conq.  e  Os.r  invece,  e  può  es-' 
sere  err.,  rinchiuso  le  3  st.  Bon.  —  6.  a 
l'or:  ho  seguito  la  Conq.  e  Os. ;  le  3  st.  Bon. 
leggono:  a  lor. 

74,  7-8.  Per  le  imagini  di  questi  versi  e 
dell'ottava  seguente,  cfr.  Petrarca,  dove  del 
viso  di  Laura  piangente  dice  (son.  Quel 
sempre  acerb.  13):  «Perle  e  rose  vermi- 
glie, ove  l'accolto  Dolor  formava  ardenti 
voci  e  belle,  Fiamma  i  sospir,  le  lagrima» 
cristallo  » 


62 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Le  belle  gote  e  '1  seno  adorno  rende, 
Opra  effetto  di  foco,  il  qual  in  mille 
Petti  serpe  celato,  e  vi  s'apprende. 
0  miracol  d'Amor,  che  le  faville  [cende! 
Tragge  dal  pianto,  e  i  cor  ne  l'acqua  ac- 
Sempre  sovra  natura  egli  ha  possanza, 
Ma  in  virtù  di  costei  sé  stesso  avanza, 
77 

Questo  fìnto  dolor  da  molti  elice 
Lacrime  vere,  e  i  cor  più  duri  spetra. 
Ciascun  con  lei  s'atfligge.  e  tra  sé  dice: 
Se  mercé  da  Goffredo  or  non  impetra, 
Ben  fu  rabbiosa  tigre  a  lui  nutrice, 
E  '1  produsse  in  aspr'alpe  orrida  pietra. 
0  l'onda,  che  nel  mar  si  frange  e  spuma: 
Cradel,  che  tal  beltà  turba  e  consuma. 
78 

Ma  il  giovenetto  Eustazio,  in  cui  la  face 
Di  pietade  e  d'amore  è  più  fervente. 
Mentre  bisbiglia  ciascun  altro  o  tace. 
Si  tragge  avanti,  e  parla  audacemente: 
0  germano  e  signor,  troppo  tenace 
Del  suo  primo  i)ropo.sto  è  la  tua  mente, 
S'al  consenso  coraun,  che  brama  e  prega, 
Arrendevole  alquanto  or  non  si  piega. 
79 

Non  dico  io  già  che  i  principi,  che  a  cura 
Si  stanno  qui  de'  popoli  soggetti. 
Torcano  il  pie  da  l'oppugnate  mura, 
E  siau  gli  ufticii  lor  da  lor  negletti; 
Ma  fra  noi,  che  guerrier  slam  di  ventura, 
Senz'alcun  proprio  peso,  e  meno  astretti 
A  le  leggi  de  gli  altri,  elegger  diece 
Difensori  del  giusto  a  te  ben  lece; 
80 

Ch'ai  servigio  di  Dio  già  non  sì  toglie 
L'uom  ch'innocente  vergine  difende; 
Ed  assai  care  al  Ciel  son  quelle  spoglie 
Che  d'ucciso  tiranno  altri  gli  appende. 
Quando  dunque  a  l'impresa  or  non  m'invo- 
Quell'util  certo  che  da  lei  s  attende,  [glie 
Mi  ci  move  il  dover,  ch'a  dar  tenuto 
E  l'ordin  nostro  a  le  donzelle  aiuto. 


76,  5-6.  Solite  antitesi  concettose.  —  7-8. 
Sempre  ecc.:  Intendi:  Amore  (e^li)  sempre 
ha  impèro  sulla  natura,  ma  in  virtù  di  Ar- 
mida {di  costei)  egli  supera  questa  volta  il 
suo  solito  potere. 

77,  1.  elice:  lat.  elicit,  cava,  trae.  —  2. 
spetra:  rammollisce:  cfr.  e.  ii  83,  8.  —  5  e 
segg.  Virg.,  Aen.  iv  366:  «  duris  genuit  te 
cautibus  horrens  Caucasus  hyrcanaeque  ad- 
raorunt  ubera  tigres».  —8.  consuma  :  più 
tosto  che  nel  senso  di  distruggere  (come 
pure  può  intendersi),  spiegherei  consuma- 
re nel  senso  di  tormentare. 

80,  6.  otil:  la  presa  di  Damasco,  ove  poi 
segga  persona  amica.  —  8.  l'ordin  nostro: 


81 

Ah!  non  sia  ver,  per  Dio,  che  si  ridica 
In  Francia,  o  dove  in  pregio  è  cortesia, 
Che  si  fngga  da  noi  rischio  o  fatica 
Per  cagion  cosi  giusta  e  cosi  pia. 
Io  per  me  qui  depongo  elmo  e  lorica, 
Qui  mi  scingo  la  spada,  e  più  non  fia 
Ch'adopri  indegnamente  arme  o  destriero, 
0  '1  nome  usurpi  mai  di  cavaliere. 
82 

Cosi  favella;  e  seco  in  chiaro  suono 
Tutto  l'ordine  suo  concorde  freme, 
E  chiamando  il  consiglio  utile  e  bnono 
Co' preghi  il  Capitan  circonda  e  preme. 
Cedo  (egli  disse  allora^  e  vinto  sono 
Al  concorso  di  tanti  uniti  insieme: 
Abbia,  se  parvi,  il  chiesto  don  costei, 
Da  i  vostri  si,  non  da  i  consigli  miei. 
83 

ila  se  Goffredo  di  credenza  alquanto 
Pur  trova  in  voi,  temprate  i  vostri  affetti. 
Tanto  ei  sol  disse;  e  basta  lor  ben  tanto. 
Perché  ciascun  quel  che  concede  accetti. 
Or  che  non  può  di  bella  donna  il  pianto. 
Ed  in  lingua  amorosa  i  dolci  detti? 
Esce  da  vaghe  labra  aurea  catena 
Che  l'alme  a  suo  voler  prende  ed  affrena. 
84 

Eustazio  lei  richiama,  e  dice:  Ornai 
Cessi,  vaga  donzella,  il  tuo  dolore; 
Che  tal  da  noi  soccorso  in  breve  avrai, 
Qual  par  che  più '1  richieggia  il  tuo  timore, 
"serenò  allora  i  nubilosi  rai 
Armida,  e  si  ridente  apparve  fuore, 
Ch'innamorò  di  sue  bellezze  il  cielo 
Asciugandosi  gli  occhi  co  '1  bel  velo. 


la  cavalleria,  per  la  quale  si  dovea  giurare 
di  aiutare  i  deboli  e  le  donne. 

81,  2.  doTe  In  pregio  è:  Cosi  BoN.2  Conq. 
e  Os.  ;  solo  Bon.i  è  in  pregio. 

82,  2.  Virg.,  Aen.i  559:  «Talibus  Ilioneus; 
cuncti  simul  ore  fremebant  Dardanidae  ». 
—  4.  Co'  preghi...  circonda  e  preme:  No- 
vara: «Il  Galilei  invita  altri  a  mostrargli 
se  questa  locuzione  é  ciceroniana  o  virgi- 

I  liana.  Ma   se   non   Virgilio,   Orazio   disse: 
j  Ambii  sollicita  prece,  e  Cicerone  ha  verbo 
premere  ». 

83,  7.  Esce  da  vaghe  ecc.:  Gentile:  «  Al- 
lude a  quello  che  gli  antichi  finsero  di  Er- 
cole, che  cioè  dalla  sua  bocca  uscis^^ero 
molte  catene  d'oro  attaccate  alle  orecchie 
dei  popoli  barbari,  per  dimostrare  che  l'elo- 
quenza rende  gli  uomini  da  fieri  mansueti 
e  civili  ecc.  ».  ~  8.  affrena;  ritiene  col 
freno;  in  modo  figurato. 

81,  7-8.  Petrarca,  canz.  Chiare  fresche 
e  dolc.  38:  «  E  faccia  forza  al  cielo,  Asciu- 
gandosi gli  occhi  col  bel  velo  ». 


CANTO  IV 


63 


85 

Rendè  lor  poscia,  in  dolci  e  care  note, 
Grazie  per  l'alte  grazie  a  lei  concesse, 
Mostrando  che  sariano  al  mondo  note  [se: 
Mai  sempre,  e  sempre  nel  suo  core  impres- 
E  ciò  che  lingua  esprimer  ben  non  puote, 
Muta  eloquenza  ne'  suoi  gesti  espresse: 
E  celò  si  sotto  mentito  aspetto 
Il  suo  peusier,  ch'altrui  non  die  sospetto. 
86 

Quinci  vedendo  che  fortuna  arriso 
Al  gran  principio  di  sue  frodi  avea, 
Prima  che  '1  suo  pensier  le  sia  preci:o, 
Dispon  di  trarre  al  fin  opra  si  rea, 
E  far  con  gli  atti  dolci  e  co  '1  bel  viso, 
Più  che  con  l'arti  lor  Circe  o  Medea; 
E  in  voce  di  Sirena  a  i  suoi  concenti 
Addormentar  le  pili  svegliate  menti. 
87 

Usa  ogn'arte  la  donna,  onde  sia  còlto 
Ne  la  sua  rete  alcun  novello  amante: 
Né  con  tutti,  né  sempre  un  stesso  vólto 
Serba,  ma  cangia  a  tempo  atti  e  sembiante. 
Or  tien  pudica  il  guardo  in  sé  raccolto, 
Or  lo  rivolge  cupido  e  vagante: 
La  sferza  in  quelli,  il  freno  adopra  in  que- 
Come  lor  vede  in  amar  lenti  o  presti,  [sti, 
88 

Se  scorge  alcun  che  dal  suo  amor  ritiri 
L'alma,  e  i  pensier  per  diffidenza  afifrene, 
Gli  apre  un  benigno  riso,  e  in  dolci  giri 
Volge  le  luci  in  lui  liete  e  serene: 
E  cosi  i  pigri  e  timidi  desiri 
Sprona,  ed  affida  la  dubbiosa  spene; 
Ed  infiammando  l'amorose  voglie 
Sgombra  quel  gel  che  la  paura  accoglie. 


85,  2.  Grazie  ecc.:  la  parola  grazie  è  poco 
felicemente  adoperata  prima  nel  senso  di 
ringraziamento  e  poi  di  favori.  —  6.  Muta 
eloquenza  ecc.:  cfr.  sopra,  st.  65,  2. 

86,  Queste  arti  di  Armida  hanno  fonda- 
meato  storico,  al  dire  del  Tasso  (Lett.  82), 
perché  nelle  istorie  si  legge  che  «  le  donne 
Saracino  procurarono  di  allettare  i  cristiani 
nel  loro  amore  e  di  convertirli  alla  loro 
fede  ».  —  3.  preciso  :  lat.  jjraeciòus  tron- 
cato ;  e  qui,  più  propriamente,  interrotto: 
cfr.  Dante,  Par.  xxx  '28-30.  —  6.  Circe  o 
Medea,  maghe  —  7.  Sirena:  le  sirene  erano 
mostri  mitologicv,  mezzo  donne  e  mezzo 
pesci,  che  lusingavano  col  canto  e  traevano 
a  perdizione  i  naviganti. 

87,  6.  Or  io  rÌTOlge  :  Dante,  Purg.  xxxii 
VA:  "  Ma  perché  l'occhio  cupido  e  vagante, 
A  me  rivolse  ». 

SS,  0.  affida:  rendo  fiduciosa,  come  sopra 
alla  st.  39,  7.  —  S.  accoglie:  condensa  nel- 
l'animo ;  paura  è  soggetto. 


89 

Ad  altri  poi,  ch'audace  il  segno  varca 
Scòrto  da  cieco  e  temerario  duce, 
De'  cari  detti  e  de'  begli  occhi  è  parca, 
E  in  lui  timore  e  riverenza  induce. 
Ma  fra  lo  sdegno,  onde  la  fronte  è  carca, 
Pur  anco  un  raggio  di  pietà  riluce; 
Si  ch'altri  teme  ben,  ma  non  dispera; 
E  più  s'invoglia,  quanto  appar  più  altera. 
90 

Stassi  tal  volta  ella  in  disparte  alquanto, 
E  '1  vólto  e  gli  atti  suoi  compone  e  finge 
Quasi  dogliosa;  einfin  su  gli  occhili  pianto 
Tragge  sovente,  e  poi  dentro  il  respinge: 
E  con  quest'arti  a  lagrimar  in  tanto 
Seco  mill'alme  semplicette  astringe; 
E  in  foco  di  pietà  strali  d'amore 
Tempra,  onde  péra  a  si  fort'arme  il  core. 
91 

Poi,  si  come  ella  a  quel  pensier  s'invole, 
E  novella  speranza  in  lei  si  deste. 
Vèr' gli  amanti  il  pie  drizza  e  le  parole, 
E  di  gioia  la  fronte  adorna  e  veste  ; 
E  lampeggiar  fa,  quasi  un  doppio  sole, 
Il  chiaro  sguardo  e  '1  bel  riso  celeste 
Su  le  nebbie  del  duolo  oscure  e  folte, 
Ch'avea  lor  prima  intorno  al  petto  accolte. 
92 

Ma  mentre  dolce  parla  e  dolce  ride, 
E  di  doppia  dolcezza  inebria  i  sensi, 
Quasi  dal  petto  lor  l'alma  divide. 
Non  prima  usata  a  quei  diletti  immensi. 
Ahi  crudo  Amor,  ch'egualmente  n'ancide 
L'assenzio  e'I  mèi  che  tu  fra  noi  dispensi; 
E  d'ogni  tempo  egualmente  mortali 
Vengon  da  te  le  medicine  e  i  mali! 


89,  2.  duce:  Amore,  cieco  ed  audace.  — 
8.  E  pili  s'invoglia.  Il  soggetto  è  altri  del 
verso  precedeufe,  cioè  Vamatore. 

90,  2.  compone:  Cosi  CoNQ.  e  Os.  ;  credo 
perciò  che  la  lez.  comparte  delle  3  st.  Box. 
sia  una  svista.  —  8.  onde:  pei  quali:  se  pure 
non  ha  ragione  il  Casini  di  spiegare  af- 
finché: onde'^er  affinché  è  riprovato  dai 
custodi  del  ben  dire. 

91,  1-2.  Intendi  :  J'oi,  come  persona  che 
sia  riuscita  a  rimuovere  i  tristi  pensieri,  e 
senta  in  sé  destarsi  nuova  speranza,  ecc.  — 
deste:  verbo,  desti. 

92,  1.  dolce  parla  e  dolce  ride:  È  l'ora- 
ziano {Od.  I  xxii):  «Dulce  ridentem  Lalagen 
amabo,  Dulce  loquentem  ».  Petrarca,  son. 
lìi  qual  parte  14:  «<  E  come  dolce  parla  e 
dolce  ride».  —  5.  Ahi  crudo  ecc.:  1  lauto 
(Mostellaria)  :  «Narnque  ecastor  Amor,  et 
melle,  et  felle  est  foecundissimus:  Gustu 
dat  dulce,  amore m  ad  satietntem  usque 
aggerit  *.  —  ancide  :  uccide,  forma  poet.  da 
non  usarsi  oggi. 


54 


GERUSALEMME  LIBERATA 


93  [foco, 

Fra  si  contrarie  tempre,  in  ghiaecio  e  in 
In  riso  e  in  pianto,  e  fra  paura  e  spene, 
Inforsa  ogni  suo  stato;  e  di  lor  gioco 
L'ingannatrice  donna  a  prender  viene; 
E  s'alcun  mai  con  suon  tremante  e  fioco 
Osa,  parlando,  d'accennar  sue  pene. 
Finge,  quasi  in  amor  rozza  e  inesperta, 
Non  veder  l'alma  ne'  suoi  detti  aperta. 
94 
0  pur  le  luci  vergognose  e  chine 
Tenendo,  d'onestà  s'orna  e  colora; 
Si  che  viene  a  celar  le  fresche  brine 
Sotto  le  rose  onde  il  bel  viso  infiora; 
Qual  ne  l'ore  più  fresche  e  mattutine 
Del  primo  nascer  suo  veggiam  l'aurora: 
E  '1  rossor  de  lo  sdegno  insieme  n'esce 
Con  la  vergogna,  e  si  confonde  e  mesce. 

95 
Ma  se  prima  ne  gli  atti  ella  s'accorge 


93,  3.  Inforsa:  fa  dubbioso.  Petrarca,  son. 
Quest'uni  il  fera,  3:  «  In  riso  e  'n  pianto  fra 
paura  e  spene  Mi  rota  si  ch'ogni  mio  stato 
inforsa  ». 

M,  7-8.  Il  rossore  dunque  è  in  lei  dato 
dallo  sdegno  vero   e  dalla   vergogna  finta. 


D'nom  che  tenti  scoprir  l'accese  voglie, 
Or  gli  s'invola  e  fugge,  ed  or  gli  porge 
Modo  onde  parli,  e  in  un  tempo  il  ritoglie: 
Cosi  il  di  tutto  in  vano  error  lo  scorge; 
Stanco  e  deluso,  poi  di  speme  il  toglie. 
Ei  si  riman  qual  cacciator  ch'a  sera 
Perda  al  fin  l'orma  di  seguita  fera. 

96 
Queste  fur  l'arti  onde  mill'alme  e  mille 
Prender  furtivamente  ella  poteo  ; 
Anzi  pur  furon  Tarme  onde  rapille, 
Ed  a  forza  d'Amor  serve  le  feo. 
Qual  meraviglia  or  fia,  s'il  fero  Achille 
D'Amor  fu  preda,  ed  Ercole  e  Teseo, 
S'ancor  chi  per  Giesù  la  spada  cinge, 
L'empio  ne'  lacci  suoi  talora  stringe? 


95,  5.  Cosi  tutto  il  di  lo  guida,  lo  avvolge, 
in  un  vano  errore. 

96,  5.  Achille:  s'innamorò  di  Briseide, 
sua  schiava,  che  gli  fu  tolta  da  Agamen- 
none. —  6.  Ercole  :  mori  per  amore  di  Deia- 
nira.  —  Teseo:  s'invaghì  di  Arianna  figlia 
di  Minos  re  di  Creta,  poi  l'abbandonò  nel- 
l'isola di  Nasso.  —  7.  Petrarca,  son.  Il  suc- 
cessor   14:    «E  |>er   Gesù  cingete   ornai   la 

i  spada  •    —  8.  empio:  Amore. 


CANTO    V. 


Go-iffcdo  tenta  opporsi 
dirarti  d'Armida  il^  Con- 
tenzione fra  Rinaldo  e 
Gernando  ^  Ucciso  Ger- 
nando,  Rinaldo,  abban- 
donando il  campo  per 
consiglio  di  Tancredi  e 
di  Guelfo,  rende  vana  Tira 
di  Goffredo  ^  I  cam- 
pioni d'Armida  estratti 
a  sorte  ^  Partenza  d'Ar- 
mida e  de'  suoi  cavalieri 
■y^  Annunzio  cìie  arriva 
l'armata  d'Egitto  •  E- 
sortazioni  di  Goffredo. 


Mentre  in  tal  guisa  i  cavalieri  alletta 
Ne  ramor  suo  l' insidiosa  Armida, 
Né  solo  i  diece  a  lei  promessi  aspetta, 
Ma  di  furto  menarne  altri  confida; 
Volge  tra  sé  Goffredo  a  cui  commetta 
Ladu'bbiaìmpresa,ov'ella  esser  dèe  guida; 
Cile  de  gli  avventiirier  la  copia  e  '1  merto 
E  '1  desir  di  ciascuno  il  fanno  incerto. 
2 

Ma  con  provido  avviso  al  fin  dispone 
Ch'essi  un  di  loro  scelgano  a  sua  voglia, 
Che  succeda  al  magnanimo  Dudone 
E  quella  elezion  sovra  sé  toglia. 
Cosi  non  avverrà  ch'ei  dia  cagione 
Ad  alcun  d'essi  che  di  lui  si  doglia; 
E  insieme  mostrerà  d'aver  nel  pregio, 
In  cui  deve  a  ragion,  io  stuolo  egregio. 
3 

A  sé  dunque  li  chiama,  e  lor  favella; 


deve  :  sottint.  avere, 


Stata  è  da  voi  la  mia  sentenza  udita, 
Ch'era,  non  di  negare  a  la  donzella, 
Ma  di  darle,  in  stagion  matura,  aita. 
Di  uovo  or  la  propongo:  e  ben  puote  ella 
Esser  dal  parer  vostro  anco  seguita, 
Che  nel  mondo  mutabile  e  leggiero 
Costanza  è  spesso  il  variar  pensiero. 
4 
Ma,  se  stimate  ancor  che  mal  convegna 
Al  vostro  grado  il  rifintar  periglio; 
E  se  pur  generoso  ardire  sdegna 
Quel  che  troppo  gli  par  cauto  consiglio; 
Non  fia  ch'involoutarii  io  vi  ritegna; 


3,  4.  matura:  acconcia;  adopera  la  pa 
rola  -matura  perché  il  tempo  opportuno 
all'impresa  d'Armida  doveva  venir  dopo  la 
presa  di  Gerusalemme.  —  7-8.  Cicerone,  ad 
Attic.  *  Nemo  enim  doctus  mutationera 
consilii  inconstantiam  dixerit». 

4,  5.  Conquist.  V  4:  e  Non  avverrà  ch'a 
forza  io  vi  ritegua  »  *  il  qual  luogo  dà  ra- 


56 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Né  quel  che  già  vi  diedi,  or  mi  ripiglio: 
Ma  sia  con  esso  voi,  com'esser  deve, 
Il  fren  del  nostro  imperio  lento  e  lieve. 
5 

Dunqnelo  starne  o  '1  girne  i'  son  contento 
Che  dal  vostro  piacer  libero  penda. 
Ben  vo'  che  pria  facciate  al  duce  spento 
Successor  novo  e  di  voi  cura  ei  prenda; 
E  tra  voi  scelga  i  diece  a  suo  talento, 
Non  già  di  diece  il  numero  trascenda. 
Ch'in  questo  il  sommoimperio  ame  riser- 
Non  fia  l'arbitrio  suo  per  altro  servo,  [vo  : 
6 

Cosi  disse  Goffredo;  e  '1  suo  germano, 
Consentendo  ciascun,  risposta  diede: 
Si  come  a  te  conviensi,  o  Capitano, 
Questa  lenta  virtù  che  lunge  vede, 
Cosi  il  vigor  del  core  e  de  la  mano, 
Quasi  debito  a  noi,  da  noi  si  chiede. 
E  saria  la  matura  tarditate, 
Che  in  altri  è  previdenza,  in  noi  viltate. 
7 

E  poi  che  '1  rischio  è  di  si  lieve  danno 
Posto  iu  lance  co  '1  prò  che  '1  contrapesa, 
Te  permettente,  i  diece  eletti  andranno 
Con  la  donzella  a  l'onorata  impresa. 
Cosi  conclude;  e  con  si  adorno  inganno 
Cerca  di  ricoprir  la  mente  accesa 
Sotto  altro  zelo:  e  gli  altri  anco  d'onore 
Fingou  desio  quel  eh' è  desio  d'amore. 
8 

Ma  il  più  giovin  Buglione,  il  qual  rimira 
Con  geloso  occhio  il  figlio  di  Sofia, 


glene  del  fla  invece  del  sia  ritenuto  a  torto 
da  alcuni,  e  anche  dal  Solerti.  —  8.  lento: 
allentato:  contrario  di  stretto:  nel  e.  ii  str. 
40,2:  «Strinse  e  lento  d'un  corridore  il 
morso  ». 

B,  1.  Io  starne  ecc.:  Boccaccio,  Decam. 
nov.  92:  «da  quest'ora  innanzi  sia  e  l'an- 
dare e  lo  stare  nel  piacer  vostro  ».  —  o  '1; 
CoKQ.  e  Os.  e  7.  —  3.  duce:  Dudone.  —  4. 
Successor:  Il  Galilei  avverte  che,  sebbene 
Goffredo  dia  qui  l'ordine  di  eleggere  un 
successore,  non  se  ne  sa  poi  più  altro;  il 
poeta  se  ne  dimentica.  —  8.  per  altro:  in 
altra  cosa  che  non  sia  il  numero  fissato. 

C,  1.  germano:  Eustazio.  —  4.  lenta:  che 
procede  adagio:  la  lenta  virtù  di  questo 
vers.  è  la  matura  tarditate  del  vers.  7;  e 
fa  da  soggetto  a  conviensi.  —  5-6.  Intendi 
(se  pur  colgo  nel  segno):  Cosi  il  mondo  ri- 
chiede da  noi  vigore  di  cuore  e  di  mano, 
quasi  che  questo  vigore  debba  di  necessità 
trovarsi  in  noi;  sia,  il  possederlo,  un  ob- 
bligo che  abbiamo  verso  di  noi  [debito  a 
noi). 

7,  2.  lance:  è  detto  per  bilancia.  —  co  '1 
prò:  con  l'utile. 

8,  2.  figlio  di  Sofia:  Rinaldo:  cfr.  e.  i  59,  2. 


La  cui  virtute  invidiando  ammira, 
Che  'n  si  bel  corpo  più  cara  venia,       [ra 
No'l  vorrebbe  compagno,  e  al  cor  gli  inspi- 
Cauti  pensi er  l'astuta  gelosia; 
Onde,  tratto  il  rivale  a  sé  in  disparte, 
Ragiona  a  lui  con  lusinghevol  arte: 

9 
O  di  gran  genitor  maggior  figliuolo. 
Che  '1  sommo  pregio  in  arme  hai  giove- 
Or  chi  sarà  del  valoroso  stuolo,      [netto, 
Di  cui  parte  noi  siamo,  iu  duce  eletto? 
Io,  ch'a  Dndon  famoso,  a  pena,  e  solo 
Per  l'onor  de  l'età,  vivea  soggetto; 
Io,  fratel  di  Goffredo,  a  chi  più  deggio 
Cedere  ornai?  Se  tu  non  sei,  no  '1  veggio. 

10 
Te,  la  cui  nobiltà  tutt'altre  agguaglia, 
Gloria  e  merito  d'opre  a  me  prepone; 
Né  sdegnerebbe  in  pregio  di  battaglia  [ne: 
Minor  chiamarsi  anco  il  maggior  Biiglio- 
Te  dunque  in  duce  bramo,  ove  non  caglia 
A  te  di  questa  schiera  esser  campione: 
Né  già  cred'io  che  quell'onor  tu  curi 
Che  da'  fatti  verrà  notturni  e  scuri. 

U 
Né  mancherà  qui  loco  ove  s'impieghi 
Con  più  lucida  fama  il  tuo  valore: 
Or  io  procurerò,  se  tu  no  '1  ne.'hi, 
Ch'ate  concedan  gli  altri  il  sommo  onore. 
Ma  perché  non  so  ben  dove  si  pieghi 
L'irresoluto  mio  dubbioso  core, 
Impetro  or  io  da  te,  ch'a  voglia  mia 
0  segua  poscia  Armida,  o  teco  stia. 

12  [centi 

Qui  tacque  Eustazio;  e  questi  estremi  ac- 
Non  proferi  senza  arrossarsi  in  viso, 
E  i  mal  celati  suoi  pensier  ardenti 
L'altro  ben  vide,  e  mosse  ad  un  sorriso: 
Ma  per  ch'a  lui  colpi  d'amor  più  lenti 
Non  hanno  il  petto  oltra  la  scorza  inciso^ 
Né  molto  impaziente  è  di  rivale, 
Né  la  donzella  di  seguir  gli  cale; 


~  4.  Virg.,  Aen.  v  344  :  «  Gratior  et  pulchro 
veiiiens  in  corpore  virtus  ».  —  8.  lusin- 
gherol:  carezzevole,  ma  con  inganno. 

10,  4.  maggior  Buglione:  Goffredo.  —  6. 
schiera;  che  doveva  seguitare  Armida:  Os. 
legge  Sira  (Armida  sira  di  Damasco).  —  8. 
nott.:  Riprende  con  arte  la  parlata  di  Ar- 
mida, per  la  quale  la  reggia  di  Damasco 
sarebbe  stata  consegnata  ai  cristiani  di  notte 
e  ])er  tradimento:  fatti  perciò  scuri,  di  poca 
gloria  ;  cfr.  e.  iv  61. 

12,  8.  cale:  importa.  Le  stampe  moderne 
pongono  dopo  cale  un  punto  e  virgola,  in 
modo  che  il  senso  abbia  suo  compimento 
solo  nella  st.  seg.;  ma  le  stampe  antiche  e 
la  CONQ.  pongono  un  punto  fermo:  credo 
di  dover  seguire  le  moderne. 


CANTO  V 


67 


13 
Ben  altamente  ha  nel  pensier  tenace 
L'acerba  morte  di  Dudou  scolpita; 
E  si  reca  a  dìsnor,  ch'Argante  audace 
Gli  soprastia  lunga  station  in  vita: 
E  parte  di  sentire  anco  gli  piace 
Quel  parlar  ch'ai  dovuto  ouor  l'invita: 
E  '1  giovenetto  cor  s'appaga  e  gode 
Del  dolce  snon  de  la  verace  lode. 

14 
Onde  cosi  rispose:  I  gradi  primi 
Più  meritar  che  conseguir  desio; 
Né,  pur  che  me  la  mia  virtù  sublimi, 
Di  scettri  altezza  invidiar  degg'io: 
Ma  s'a  l'onor  mi  chiami,  e  che  lo  stimi 
Debito  a  me,  non  ci  verrò  restio: 
E  caro  esser  mi  dee  che  sia  dimostro 
Si  bel  segno  da  voi  del  valor  nostro. 

15  [quando 

Dunque  io  no  '1  chiedo  e  no  '1  rifiuto;  e 
Duce  io  pur  sia,  sarai  tu  de  gli  eletti. 
Allora  il  lascia  Eustazio,  e  va  piegando 
De'  suoi  compagni  al  suo  voler  gli  affetti; 
Ma  chiede  a  prova  il  principe  Geruando, 
Quel  grado;  e,  ben  ch'Armida  in  lui  saetti, 
Men  può  nel  cor  superbo  amor  di  donna 
Ch'avidità  d'onor  che  se  n'indonna. 

16 
Sceso  Gernando  è  da'  gran  re  norvegi. 
Che  di  molte  Provincie  ebber  l'impero; 
E  le  tante  corone  e  i  scettri  regi 
E  del  padre  e  de  gli  avi  il  fanno  altero. 
Altero  è  l'altro  de'  suoi  propri  pregi 
Più  che  de  l'opre  ch'i  passati  fero; 
Ancor  che  gli  avi  suoi  cento  e  più  lustri 
Statisian  chiari  inpace, e'nguerraillustri. 

17 
Ma  il  barbaro  signor,  che  sol  misura 
Quanto  l'oro  o  '1  domino  oltre  si  stenda, 
E  per  sé  stima  ogni  virtute  oscura, 
Cui  titolo  regal  chiara  non  renda, 
Non  può  soffrir  che  'n  ciò,  ch'egli  procura, 
Seco  di  merto  il  cavalier  contenda; 
E  se  ne  cruccia  si,  ch'oltra  ogni  segno 
Di  ragione  il  trasporta  ira  e  disdegno. 


14,  6.  Debito:  dovuto:  Petrarca,  Tr.Mort. 
I  139:  <  Debito  al  mondo  e  debito  allie- 
tate Cacciar  me  innauzi  ».  —  7.  che  sia 
dimostro;  cosi  pure  Conq.  ;  ma  Os.  che  ini 
sia  mostro.  —  8.  roi;  Conq.  te.  —  del  valor 
nostro:  cosi  Bon.2  Conq.  e  Os.;  ma  Bon.*-^ 
voler  vostro. 

IB,  6.  indonna:  insignorisce,  come  in 
Dante,  Par.  vii  13:  «Ma  quella  reverenza 
che  s'indonna  Di  tutto  me  ». 

10.  Questa  contenzione  è  figlia  delle  arti 
infernali  (cfr.  e.  iv  24,  in  nota).  —  1.  Sceso 
ecc.  :  cfr.  e.  ni  40,  1-4. 

17,  5.  procura:  cerca,  studia  di  ottenere. 


18 
Tal  che  '1  maligno  spirito  d'Averno, 
Ch'in  lui  strada  si  larga  aprir  si  vede. 
Tacito  in  sen  gli  serpe,  ed  al  governo 
De'  suoi  pensieri  lusingando  siede. 
E  qui  più  sempre  l'ira  e  l'odio  interno 
Inacerbisce,  e  '1  cor  stimola  e  fiede; 
E  fa  che  'n  mezzo  a  l'alma  ognor  risuona 
Una  voce,  ch'a  lui  cosi  ragiona: 

19 
Teco  giostra  Rinaldo:  or  tanto  vale 
Quel  suo  numero  van  d'antichi  eroi? 
Narri  costui,  ch'a  te  vuol  farsi  eguale, 
Le  genti  serve,  e  i  tributarli  suoi: 
Mostri  gli  scettri;  e  in  dignità  regale 
Paragoni  i  suoi  morti  a  i  vivi  tuoi. 
Ah  quanto  osa  un  signor  d'indegno  stato, 
Signor  che  ne  la  serva  Italia  è  nato. 

20 
Vinca  egli  o  perda  ornai,  che  vincitore 
Fu  in  sino  allor  ch'emulo  tuo  divenne, 
Che  diràil  mondo?  (e  ciò  fia sommo  onore): 
Questi  già  con  Geruando  in  gara  venne. 
Poteva  a  te  recar  gloria  e  splendore 
Il  nobil  grado  che  Dudon  pria  tenne; 
Ma  già  non  meno  esso  da  te  n'attese; 
Costui  scemò  suo  pregio  allor  che  '1  chiese. 

21 
E  se,  poi  ch'altri  più  non  parla  o  spira, 
De'  nostri  affari  alcuna  cosa  sente. 
Come  credi  che  'n  Ciel  di  nobil  ira 
Il  buon  vecchio  Dudon  si  mostri  ardente, 


18,  1.  maligno   spirito  d'Àverno  :  fa   qui 

l'ufficio  che  la  Discordia  nell'Ori.  dell'Ario- 
sto. —  7-8.  risuona...  ragiona;  Os  risuoni... 
ragioni. 

19,  1.  giostra:  figurat.  contende.  Intendi: 
Quel  numero  di  antichi  eroi  che  Rinaldo 
vanta,  numero  vano  perché  non  gli  ha  con- 
quistato regni  o  imperi,  è  adunque  di  tanto 
peso  da  poterlo  spingere  ad  agguagliarsi  a 
te?:  senso  che  è  giustificato  da  quanto  si 
dice  nei  versi  seguenti. 

20,  1-2.  che  vincitore  Fn  inflno  allor;  Os. 
fu  vincitore  Sin  da  quel  di.  *  Io  ho  resti- 
tuito la  punteggiatura  delle  B.,  tenuta  an- 
che  dal  Solerti,  ma  che  il  Ferravi  aveva 
cambiato,  per  cavarne  un  senso,  che  egli 
intendeva,  ma  che  non  resulta  dalla  lezione 
di  B.  —  Intendi:  vinca  egli  o  perda  (poiché 
in  ogni  modo  fu  vincitore  fin  da  quel  punto 
che  divenne  tuo  emulo)  il  mondo  dovrà 
dire,  con  sommo  onore  per  lui  :  Questi  ecc. 
—  7-S.  Intendi:  se  il  grado,  che  ebbe  Du- 
done,  avrebbe  illustrato  te,  tu  non  meno 
avresti  nobilitato  quello;  Rinaldo  invece, 
soltanto  chiedendolo,  lo  avvili. 

21,  1.  Intendi:  E  se  chi  è  morto  ha  tut- 
tavia interesse  alle   nostre  cose   (o,  ha  no- 


58 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Mentre  in  questo  superbo  i  lumi  gira, 
Ed  al  suo  temerario  ardir  pon  mente, 
Che  seco  ancor,  l'età  sprezzando  e 'Imerto, 
Fanciullo  osa  agguagliarsi  ed  inesperto? 

E  Tosa  pure,  e  U  tenta,  e  ne  riporta 
In  vece  di  castigo  onor  e  laude; 
E  v'è  chi  ne  '1  consiglia,  e  ne  l'esorta, 
(0  vergogna  comuuel)  e  chi  gli  applaude. 
Ma  se  Goffredo  il  vede,  e  gli  comporta 
Che  di  ciò,  ch'a  te  dessi,  egli  ti  fraude, 
No  '1  soffrir  tu:  né  già  soffrir  lo  dei, 
Ma  ciò  che  puoi  dimostra,  e  ciò  che  sei. 
23 

Al  suon  di  queste  voci  arde  lo  sdegno 
E  cresce  in  lui  quasi  commossa  face; 
Né  capendo  nel  cor  gonfiato  e  pregno, 
Per  glioccbi  n'esceeper  lalingna  audace 
Ciò  che  di  riprensibile  e  d'indegno 
Crede  in  Rinaldo,  a  suo  disnor  non  tace: 
Superbo  e  vano  il  finge,  e  '1  suo  valore 
Chiama  temerità  pazza  e  furore. 
24 

E  quanto  di  magnanimo  e  d'altero 
E  d'eccelso  e  d'illustre  in  lui  risplende, 
Tutto,  adombrando  con  mal  arte  il  vero, 
Pur  come  vizio  sia,  biasma  e  riprende; 
E  ne  ragiona  si  che  '1  cavaliero, 
Emulo  suo,  publico  il  suon  n'intende, 
Non  però  sfoga  l'ira,  o  si  raffrena 
Quel  cieco  impeto  in  lui  ch'a  morte  il  mena; 
25 

Ché'l  reo  demòn,  che  la  sua  lingua  move 
Di  spirto  in  vece,  e  forma  ogni  suo  detto, 
Fa  che  gl'ingiusti  oltraggi  ognor  rinnove, 
Esca  aggiungendo  a  rinfiammato  petto. 
Loco  è  nel  campo  assai  capace,  dove 
S'aduna  sempre  un  bel  drappello  eletto: 
E  quivi  insieme  in  torneameuti  e  in  lotte 
Rendon  le  membra  vigorose  e  dotte 
26 

Or  quivi,  allor  che  v'è  turba  più  folta, 
Pur,  com'è  suo  destin,  Rinaldo  accusa, 
E  quasi  acuto  strale  in  lui  rivolta 
La  lingua,  del  venen  d'Averno  infusa: 
E  vicino  è  Rinaldo,  e  i  detti  ascolta, 
Né  puote  l'ira  omai  tener  più  chiusa, 


tizia  delle  nostre  cose).  —  5.  questo  superbo: 
Rinaldo.  —  6.  pon  mente  ;  osserva  :  Petrarca, 
canz.  0  aspettata  in  del  81  :  ••  Pon'  mente 
al  temerario  ardir  di  Serse  >. 

23,  3.  Né  capendo  ecc.  Petrarca,  son.  Fu 
forse  un  terap.  13:  «il  duol  nell'alma  ac- 
colto, Per  la  lingua  e  per  gli  occhi  sfogo  e 
verso».  —  6.  disnor:  disonore.  Poet.  —  7. 
finge  :  rappresenta. 

25,  4.  a  l'infiammato  petto,    di    Rinaldo. 

26,  3.  rivolta:  3*  pers.  indie,  pres.  da  W- 
voltare. 


Ma  grida:  Menti;  eaddossoaluisìapingei 
E  nudo  ne  la  destra  il  ferro  stringe. 
27 

Parve  un  tuono  la  voce,  e '1  ferro  un  lampo] 
Che  di  folgor  cadente  annunzio  appòrte.l 
Tremò  colui,  né  vide  fuga  o  scampo 
Da  la  presente  irreparabil  morte: 
Pur,  tutto  essendo  testimonio  il  campo, 
Fa  sembianti  d'intrepido  e  di  forte: 
E  '1  gran  nemico  attende,  e  '1  ferro  tratto,; 
Fermo  si  reca  di  difesa  in  atto. 
28 

Quasi  in  quel  punto  mille  spade  ardenti 
Furon  vedute  fiammeggiar  insieme;    • 
Che  varia  turba  di  mal  caute  genti 
D'ogn' intorno  v'accórre  e  s'urta  e  preme. 
D'incerte  voci  e  di  confusi  accenU 
L'n  suon  per  l'aria  si  raggira  e  freme, 
Qual  s'ode  in  riva  al  mare,  ove  confonda 
11  vento  i  suoi  co'  mormorii  de  l'onda. 
29 

Ma  per  le  voci  altrui  già  non  s'allenta 
Ne  l'offeso  guerrier  l'impeto  e  l'ira: 
Sprezza  i  gridi  e  i  ripari  e  ciò  che  tenta 
Chiudergli  il  varco,  ed  a  vendetta  aspira; 
E  fra  gli  uomini  e  l'armi  oltre  s'avventa, 
E  la  fulminea  spada  in  cerchio  gira; 
Si  che  le  vie  si  sgombra,  e  solo,  ad  onta 
Di  mille  difensor,  Gernando  affronta. 
30 

E  con  la  man,  ne  l'ira  anco  maestra, 
Mille  colpi  vèr'  lui  drizza  e  comparte: 
Or  al  petto,  or  al  capo,  or  a  la  destra 
Tenta  ferirlo,  or  a  la  manca  parte; 
E  impetuosa  e  rapida  la  destra  [te; 

È  in  guisa  tal,  che  gli  occhi  inganna  el'ar- 
Tal  ch'improvisa  e  inaspettata  giunge 
Ove  manco  si  teme,  e  fere  e  punge. 
31 

Né  cessò  mai,  fin  che  nel  seno  immersa 


27,  8.  si  reca  di  difesa  in  atto:  Recarsi 
in  atto  di  difesa,  è  come  recarsi  in  guardia, 
cioè  accomodarsi  in  positura  di  star  coperto 
sulla  difesa.  Nella  Conquist.  e  vi  40:  «^ 
'1  gran  nemico  attese,  e  'I  ferro  tratto,  Si 
dimostrò  gran  difensore  in  atto  ». 

28,  6.  si  raggira:    Varia,    al   bisogno,    il 
paragone  che  ha  già  luogo  al  e.  iii  str. 
imitando  Dante  {Inf.  in  22).   —  7.  ore:  là 
ove;  ma  si  potrebbe  intendere  se,  quando. 

29,  6.  Virg.  Aen.  ix  44 1  :  «  ac  rotat  ensem 
Fulmineum  ».  x 

30,  1 .  ne  l' ira  anco  maestra:  T ira  non  ne 
scemava  la  maestria.  —  2.  Mille  colpi:  in- 
dica la  furia  e  Tira  di  Rinaldo,  poiché  a 
lui,  tanto  superiore  a  tutti  di  forza,  bastava 
poco  per  finirlo.  Dante,  di  Ercole  a  Caco 
(Inf,  XXV  2òj:  «Glie  ne  die  cento  e  non 
senti  le  diece  ». 


CANTO  V 


59 


Gli  ebbe  una  volta  e  due  la  fera  spada. 
Cade  il  meschin  su  la  ferita,  e  versa 
Gli  spirti  e  Talma  fuor  per  doppia  strada. 
L'arme  ripone  ancor  di  sangue  aspersa 
Il  vincitor,  né  sovra  lui  più  bada; 
Ma  si  rivolge  altrove,  e  insieme  spoglia 
L'animo  crudo  e  l'adirata  voglia. 

32 
Tratto  al  tumulto  il  pio  Goffredo  in  tanto, 
Vede  fero  spettacolo  improviso: 
Steso  Gernando,  il  crin  di  sangue e'I manto 
Sordido  e  molle,  e  pien  di  morte  il  viso: 
Ode  i  sospiri  e  le  querele  e  '1  pianto 
Che  molti  fan  sovra  il  guerrier  ucciso. 
Stupido  chiede:  or  qui,  dove  men  lece, 
Chi  fu  ch'ardi  cotanto  e  tanto  fece? 

33 
Arnaldo,  un  de' più  cari  al  prence  estinto. 
Narra  (e'I  caso  in  narrando  aggrava  mol- 
Che  Rinaldo  l'uccise,  e  che  fu  spinto  [to) 
Da  leggiera  cagion  d'impeto  stolto; 
E  che  quel  ferro,  che  per  Cristo  è  cinto, 
Ne'  campioni  di  Cristo  avea  rivolto; 
E  sprezzato  il  suo  impero,  e  quel  divieto 
Che  fé'  pur  dianzi,  e  che  non  è  secreto: 

34 
E  che  per  legge  è  reo  di  morte,  e  deve, 
Come  l'editto  impone,  esser  punito; 
Si  perché  il  fallo  in  sé  medesmo  è  greve. 
Si  perché  'n  loco  tale  egli  è  seguito; 
Che  se  de  l'error  suo  perdón  riceve, 
Fia  ciascun  altro  per  l'esempio  ardito; 
E  che  gli  offesi  poi  quella  vendetta 
Vorranno  far  ch'a  i  giùdici  s'aspetta: 

3.5 
Onde  per  tal  cagion  discordie  e  risse 
Germoglieraii  fra  quella  parte  e  questa. 
Rammentò  i  merti  de  l'estinto,  e  disse 
Tutto  ciò  eh'  0  pietate  o  sdegno  desta. 
Ma  s'oppose  Tancredi,  e  contradisse, 
E  la  causa  del  reo  dipinse  onesta. 
Goffredo  ascolta,  e  in  rigida  sembianza 
Porge  più  di  timor  che  di  speranza. 

36  [gna, 

Soggiunse  allor  Tancredi:  Or  ti  sovve- 


31,  3.  Cade  ecc.:  Virg.,  Aen.  ii  532:  «  Con- 
cidit,  ac  multo  vitam  cum  sanguine  fudit  ». 
—  4.  per  doppia  strada:  per  due  ferite  mor- 
tali. —  6.  bada:  sta  a  bada,  attende.  —  7-8. 
Ariosto,  di  Orlaii-^o,  Ori.  xLii  19,  5:  «Che 
dopo  il  fatto  nulla  di  maligno  In  sé  tenea, 
ma  tutto  era  clemente  ». 

32,  4.  Sordido:  bruttato,  sporco.  —  7.  Stu- 
pido: stupito. 

33,  7.  il  suo,  di  Goffredo, 

34,  7.  E  che.  Rileva  dal  contesto  e  sot- 
tintendi aggiunge  che  ecc. 

36,  4.  ch'o  piotate  o  sdegno:  Cosi  P.0N.--3  e 
Os.  ;  che  pietate  o  Conq.;  ma,  cA'a  piei.aie 
e  BON.i  —  6.  ouesta:  giusta. 


Sapgio  signor,  chi  sia  Rinaldo,  e  quale; 
Qual  per  sé  stesso  onor  gli  si  convegna, 
E  per  la  stirpe  sua  chiara  e  regaie, 
E  per  Guelfo  suo  zio.  Non  dee  chi  regna 
Nel  castigo  con  tutti  esser  eguale: 
Vario  è  l'istesso  error  ne'  gradi  vari; 
E  sol  l'egualità  giusta  è  co'  pari. 
37 

Risponde  il  Capitan:  Da  i  più  sublimi 
Ad  ubbidire  imparino  i  più  bassi. 
Mal,  Tancredi,  consigli;  e  male  stimi. 
Se  vuoi  eh'  i  grandi  in  sua  licenza  io  lassi. 
Qual  fora  imperio  il  mio,  s'a  vili  ed  imi, 
Sol  duce  de  la  plebe,  io  comandassi? 
Scettro  impotente,  e  vergognoso  impero: 
Se  con  tal  legge  è  dato,  io  più  no  '1  chero. 
38 

Ma  libero  fu  dato  e  venerando, 
Né  vo'  ch'alcun  d'autorità  lo  scemi. 
E  so  ben  io  come  si  deggia  e  quando 
Ora  diverse  impor  le  pene  e  i  premi, 
Ora,  tener  d'egualità  serbando, 
Non  separar  da  gl'infimi  i  supremi. 
Cosi  dicea;  né  rispondea  colui. 
Vinto  da  riverenza,  a  i  detti  sui. 
39 

Raimondo,  imitator  de  la  severa 
Rigida  antichità,  lodava  i  detti. 
Con  quest'arte,  dicea,  chi  bene  impera 
Si  rende  venerabile  a  i  soggetti; 
Che  già  non  è  la  disciplina  intera, 
Ov'uom  perdóno  e  non  castigo  aspetti. 
Cade  ogni  regno,  e  ruinosa  è  senza 
La  base  del  timor  ogni  clemenza. 
40 

Tal  ei  parlava;  e  le  parole  accolse 
Tancredi,  e  più  fra  lor  non  si  ritenne; 
Ma  vèr'  Rinaldo  immantinente  volse 
Un  suo  destrier,  che  parve  aver  le  penne. 
Rinaldo,  poi  ch'ai  fier  nemico  tolse 
L'orgoglio  e  l'alma,  al padiglion  se'n  ven- 
Qui  Tancredi  trovollo,  e  de  le  cose    [ne. 
Dette  e  risposte  a  pien  la  somma  espose. 


37,  4.  In  sna  licenza:  in  loro  licenza,  cosi 
che  ad  essi  sia  lecito  di  fare  ciò  che  agli 
altri  non  è  concesso.  —  5.  tìIì:  Non  ha  qui 
senso  cattivo,  e  vale  umili  di  grado.  —  8. 
chero:  chiedo.  Cfr.  e.  ii,  8,  in  nota. 

38,  6.  Non  separar:  non  distinguere  nel 
giudizio. 

39,  3.  qnest'arte:  Cosi  pure  Conq.,  ma 
OS.  quest'arti.  —  7-8.  Cicerone  {De  Ojfjlc): 
«  Keipublicae  causa  adhibenda  est  severitas 
clementiae,  siue  qua  administrari  recte  ci- 
vitas  non  potest  ». 

40,  8.  la  somma:  il  sunto,  la  sostanza; 
ma  potrebbe  anche  intendersi  che  Tancredi 
espose  appieno,  largamente,  nell'ordine  lorp 
tx{,tte  le  cose  dette  e  risposte. 


60 


GERUSALEMME  LIBERATA 


41  [esterna 

Soggiunse  poi:  Ben  ch'io  sembianza 
Del  cor  non  stimi  testimon  verace, 
Ché'n  parte  troppo  cupa  e  troppo  interna 
Il  pensier  de'  mortali  occulto  giace; 
Pur  ardisco  affermar,  a  quel  ch'io  scema 
Ne  '1  Capitan,  ch'in  tutto  anco  no  '1  tace. 
Ch'egli  ti  voglia  a  l'obligo  soggetto 
De'  rei  comune,  e  in  suo  poter  ristretto. 
42 

Sorrise  allor  Kinaldo;  e,  con  un  vólto 
In  cui  tra  "1  riso  lampeggiò  lo  sdegno  : 
Difenda  sua  ragion  ne'  ceppi  involto 
Chi  servo  è,  disse,  o  d'esser  servo  è  degno. 
Libero  i"  nacqui  e  vissi,  e  morrò  sciolto 
Pria  che  man  porga  o  piede  a  laccio  inde- 
Usa  a  la  spada  è  questa  destra,  ed  usa  [gno: 
A  le  palme,  e  vii  nodo  ella  ricusa. 
4.3 

Ma,  s'  a  i  meriti  miei  questa  mercede 
Goffredo  rende,  e  vuole  imprigionarme, 
Purcom'io  fossi  un  uom  del  vulgo,  e  erede 
A  carcere  plebeo  legato  trarme; 
Venga  egli  o  mande,  io  terrò  fermo  il  piede: 
Giùdici  fìan  tra  noi  la  sorte  e  l'arme; 
Fera  tragedia  vuol  che  s'appresenti 
Per  lor  diporto  a  le  nemiche  genti. 
44 

Ciò  detto,  l'armi  chiede;  e  ^1  capo  e  '1  busto 
Di  finissimo  acciaio  adorno  rende, 
E  fa  del  grande  scudo  il  braccio  onusto, 
E  la  fatale  spada  al  fianco  appende  ; 
E  in  sembiante  magnanimo  ed  augusto, 
Come  folgore  suol,  ne  l'arme  splende. 
Marte,  e'  rassembra  te,  qualor  dal  quinto 
Cielo  di  ferro  scendi  e  d'orror  cinto. 
45 

Tancredi  in  tanto  i  feri  spirti  e  '1  core 
Insuperbito  d'ammollir  procura. 
Giovene  invitto,  dice,  al  tuo  valore 


So  che  fia  piana  ogni  erta  impresa  e  dura; 
So  che  fra  l'arme  sempre  e  fra  '1  terrore 
La  tua  eccelsa  virtute  è  più  secura; 
Ma  non  consenta  Dio  ch'ella  si  mostri 
Oggi  si  crudelmente  a'  danni  nostri. 
46 
Dimmi,  che  pensi  far?  vorrai  le  mani 
Del  civil  sangue  tuo  dunque  bruttarte? 
E  con  le  piaghe  indegne  de'  Cristiani 
Trafigger  Cristo,  ond'eison  membra  e  par- 
Di  transitorio  onor  rispetti  vani         'te? 
Che,  qual  onda  del  mar,  se 'n  viene  e  parte, 
Potranno  in  te  più  che  la  fede  e  il  zelo 
Di  quella  gloria  che  n'  eterna  in  Cielo?    • 

Ahnon.perDio!  vinci  testesso,  espoglia 
Questa  feroce  tua  mente  superba; 
CediI  non  fia  timor,  ma  santa  voglia; 
Ch'  a  questo  ceder  tuo  palma  si  serba: 
E  se  pur  degna,  ond'altri  esempio  toglia, 
È  la  mia  giovanetta  etate  acerba, 
Anch'io  fui  provocato,  e  pur  non  venni 
Co'  Fedeli  in  contesa,  e  mi  contenni; 
48 

Ch'avend'io  preso  di  Cilicia  il  regno, 
E  l'insegne  spiegatevi  di  Cristo, 
BaMovin  sopraggiunse,  e  con  indegno 
Modo  occupollo.  e  ne  fé'  vile  acquisto: 
Che.  mostrandosi  amico  ad  ogni  segno, 
Del  suo  avaro  pensier  non  m'era  avvisto  : 
Ma  con  l'arme  però  di  ricovrarlo 
Non  tentai  poscia;  e  forse  i'  potea  farlo. 
49 

E  se  pur  anco  la  prigion  ricusi, 
E  i  lacci  schivi,  quasi  ignobil  pondo, 
E  seguir  vuoi  l'opinioni  e  gli  usi 


41,  1-4.  Geremia:  «  Pravum  est  cor  om- 
nium, et  inscrutabile  ».  —  5-6.  a  quel  ch'io 
scerna  ecc.  :  Mazz.  e  Pad.  :  «  A  quanto  scorgo 
nel  capitano  (Goffredo)  che  non  celò  ai  tutto 
quel  pensiero  ».  —  7-8.  Costruisci  e  intendi: 
Che  egli  ti  voglia  soggetto  al  comune  ob- 
bligo de'  rei  e  prigioniero. 

44,  1.  e  '1  capo  e  '1  busto  ecc.  :  Ariosto 
Ori.  XVII 11  :  «  ."Sta  su  la  porta  il  Re  d'Algier 
lucente  Di  chiaro  acciar  che  '1  capo  gli  orna 
e  '1  busto  ».  —  7-8.  Marte,  nel  sistema  tole- 
maico, dava  il  nome  al  quinto  pianeta. 
Ariosto  XXVI  20:  «  E  talor  si  credea  che 
r"  s-se  Marte  Sceso  dal  quinto  cielo  a  quella 
•  arte»:  e  la  stanza  deriva  da  Omero,  II. 
VII  (trad.  Guastavini  i  :  «  Ma  poi  che  tutte  in- 
torno al  corpo  s'ebbe  vestite  Tarme,  —  Si 
nios.se  poi  quale  va  '1  grande  Marte,  —  Che 
s' intromette  nella  guerra  degli  uomini  ecc.  ». 


46,  2,  bruttarti:  macchiarti.  —  5.  ri- 
■  spetti:  riguardi,  ragioni.  —  6.  Che:  relativo 
i  da  riferirsi  ad  onore.  —  S.  n'eterna:  ci  fa 
immortali:  Petrarca,  canz.  Poi  che  per  mio 
68:  «Simile  a  quella  che  nel  cielo  eterna 
j  47,  1.  spoglia  è  usato  transitivamente, 
j  come  sopra  alla  st.  3L  —2.  mente:  come  al- 
j  trove,  vale  animo.  —  5.  Storico  a  un  dipresso 
j  quanto  Tancredi  qui  imprende  a  raccon- 
;  tare.  Vedi  in  Gugl.  Tir.  il  cap.  24  del  libr. 
Ini  che  ha  per  titolo:  <  Balduinus,  Tarso 
I  capta,  Mamistram  venit.  Pugnant  ad  invi 
I  cem  ipse  et  Tancredus:  sed  mox  reconcl 
!  liantur  ». 

48,  6,    avaro:    mosso   da   cupidigia,  giè 

I  not.  —   7.  ricovrarlo:   recuperarlo;   come 

:  per  citare  un    esempio,  nel   Petrarca,  sor 

I  Quand'io  veggio  5:  «0  felice  Titon,  tu  sai 

!  ben  l'ora  Da  ricovrare  il  tuo  caro  tesoro  », 

Lo  storico  sopr.  cit.    (iii  24;   narra  ancóra 

come  Tancredi   conquista.sse  la   Cilicia,  Is 

quale   poi   ebbe  Baldovino  :   cfr.  ancóra  il 

Guel.  Tir.  libr.  x  10. 


CANTO  V 


61 


Che  per  leggi  d'onore  approva  il  mondo; 
Lascia  qui  me,  ch'ai  Capitan  ti  scusi; 
E  'n  Antiochia  tu  vanne  a  Bocmondo: 
Che  né  sopporti  in  questo  impeto  primo 
A'  suoi  giudizii  assai  securo  stimo. 
50 

Ben  tosto  fia,  se  pur  qui  contra  avremo 
L'arme  d'Egitto,  o  d'altro  stuol  pagano, 
Ch'assai  più  chiaro  il  tuo  valore  estremo 
N'apparirà,  mentre  sarai  lontano; 
E  senza  te  parranne  il  campo  scemo, 
Quasi  corpo  cui  tronco  è  braccio  o  mano. 
Qui  Guelfo  sopragiunge,  e  i  detti  approva, 
E  vuol  che  senza  indugio  indi  si  mova. 
51 

A  i  lor  consigli  la  sdegnosa  mente 
De  l'audace  garzon  si  volge  e  piega; 
Tal  ch'egli  di  partirsi  immantinente 
Fuor  di  quell'oste  a  i  fidi  suoi  non  nega. 
Molta  in  tanto  è  concorsa  amica  gente, 
E  seco  andarne  ognun  procura  e  prega: 
Egli  tutti  ringrazia,  e  seco  prende 
Sol  duo  scudieri,  e  su  '1  cavallo  ascende. 
52 

Parte,  e  porta  un  desio  d'eterna  ed  alma 
Gloria,  ch'a  nobil  core  è  sferza  e  sprone: 
A  magnanime  imprese  intenta  ha  l'alma; 
Ed  insolite  cose  oprar  dispone: 
Gir  fra  i  nemici;  ivi  o  cipresso  o  palma 
Acquistar  per  la  fede  ond'è  campione; 
Scorrer  l'Egitto,  e  penetrar  sin  dove 
Fuor  d'incognito  fonte  il  Nilo  move. 
53 

Ma  Guelfo,  poi  che  '1  giovene  feroce 
Affrettato  al  partir,  preso  ha  congedo, 
Quivi  non  bada,  e  se  ne  va  veloce 
Ove  egli  stima  ritrovar  Goffredo, 
Il  qual,  come  lui  vede,  alza  la  voce: 
Guelfo,  dicendo,  a  punto  or  te  richiedo, 
E  mandato  ho  pur  ora  in  varie  parti 
Alcun  de'  nostri  araldi  a  ricercarti. 


49,  7.  né  sopporti  :  neppure  sottoporti. 

60,  3.  estremo  :  sommo.  Cfr.  ii  63,  2  e  69, 
8.  —  5.  Si  è  già  notato  che  pe '1  Tasso  Gof- 
fredo era  il  capo  dell'impresa,  Rinaldo  la 
destra  esecutrice.  L'allontanamento  di  Ri- 
naldo è  dannoso  ai   cristiani  quasi   quanto 

,  ai  greci  quello  d'Achille. 

61,  Il  Tasso,  nel  Giudiz.  sovr.  Rifortn. 
■  dice  di  Riccardo  (Rinaldo)  opponendolo  ad 
I  Achille:  «  Riccardo  è  immagine  de  la  parte 
[irascibile  nella  quale  è  riposta  l'ambizione 

ed  il  desio  d'onore  ;  però  molta  contesa  fa 
colla  ragione,  ma  non  tanto  che   nieghi  di 
•prestarle  obbedienza». 

62,  5.  0  cipresso  o  palma:  o  morte  o 
:  trionfo. 

l      53,  3.  bada:  s'indugia:  cfr.  str.  3J  6. 


54 

Poi  fa  ritrarre  ogn'altro,  e  in  basse  note 
Ricomincia  con  lui  grave  sermone: 
Veracemente,  o  Guelfo,  il  tuo  nepote 
Troppo  trascorre,  ov'  ira  il  cor  gli  sprone  ; 
E  male  addursi,  a  mia  credenza,  or  puote 
Di  questo  fatto  suo  giusta  cagione; 
Ben  caro  avrò  ch'ella  ci  rechi  tale; 
Ma  Goffredo  con  tutti  è  duce  eguale; 
55 

E  sarà  del  legitìmo  e  del  dritto 
Custode  in  ogni  caso  e  difensore, 
Serbando  sempre  al  giudicare  invitto 
Da  le  tiranne  passioni  il  core. 
Or,  se  Rinaldo  a  violar  l'editto 
E  de  la  disciplina  il  sacro  onore 
Costretto  fu,  come  alcun  dice,  a  i  nostri 
Giudizii  venga  ad  inchinarsi,  e  'l  mostri. 
56 

A  sua  retenzion  libero  vegna: 
Questo,  ch'io  posso,  a  i  merti  suoi  consen- 
Ma  s'egli  sta  ritroso,  e  se  ne  sdegna,   [to. 
(Conosco  quel  suo  indomito  ardimento) 
Tu  di  condurlo  a  proveder  t'ingegna 
Ch'ei  non  isforzi  uom  mansueto  e  lento 
Ad  esser  de  le  leggi  e  de  l'impero 
Vendicator,  quanto  è  ragion,  severo. 
57 

Cosi  disse  egli;  e  Guelfo  a  lui  rispose: 
Anima  non  potea  d'infamia  schiva 
Voci  sentir  di  scorno  ingiuriose, 
E  non  farne  repulsa,  ove  l'udiva. 
E  se  l'oltraggiatore  a  morte  ei  pose, 
Chi  è  che  mèta  a  giust'ira  prescriva? 
Chi  conta  i  colpi,  o  la  dovuta  offesa 
Mentre  arde  la  tenzon  misura  e  pesa? 


64,  1.  basse  note:  contrapposto  all' a^^-a 
la  voce  della  str.  preced.  —  4.  or' ira: 
quando  ira.  —  7.  Avrò  caro  che  tu  ci  ap- 
porti che  egli  avesse  giusta  cagione  {tale). 
*  Le  B.  leggono  ch'ella.  Il  Solerti  non  reca 
a  questo  luogo  nessuna  variante  :  la  lezione 
dunque  par  certa.  Il  Ferrari  aveva  invece 
stampato  c?ie  la,  molto  più  chiaro,  ma  senza 
appoggi.  Dunque  ella  è  usato  come  com- 
plemento riferito  a  ca(/ione. 

66,  3-L  Intendi  che  Goffredo,  nel  giudi- 
care, non  lascerà  mai  vincersi  il  cuore  da 
tiranne  passioni.  —  8.  '1  mostri:  mostri  che 
fu  costretto. 

66,  1.  retenzion:  arresto;  venga  libera- 
mente, spontaneamente  a  porsi  in  arresto. 
La  Crusca  cita  un  esemp.  del  Guicciardini. 

67,  4.  E  non  farne;  cosi  BoN.2-3  Conq.  e 
Os.;  ma  BON.i  Ne'  farne  ivi  rep.  —  farne 
rep.  :  rigettarla.  —  7.  Chi  conta  i  colpi,  o  la: 
Cosi  legge  BoN.2-3  ;  Chi  conia  i  colpi  ?  o  la 
CoNQ.;  Chi  contrai  co:pi,  o  la  Bon.I;  Cì^l 
contra  i  colpi,  la  Oa- 


62 


GERUSALEMME  LIBERATA 


58 
Ma  quel  che  chiedi  tu,  ch'ai  tuo  soprano 
Arbitrio  il  garzon  veuga  a  sottoporse, 
Duolmi  ch'esser  non  può  ;  ch'egli  lontano 
Da  l'oste  immantinente  il  passo  tòrse. 
Ben  m'offro  io  di  provar  con  questa  mano 
A  lui  ch'a  torto  in  falsa  accusa  il  morse, 
0  s'altri  v'è  di  si  maligno  dente, 
Ch'ei  puni  Tonta  ingiusta  giustamente. 

Ò9 
A  ragion,  dico,  al  tumido  Gernando 
Fiaccò  le  corna  del  superbo  orgoglio: 
Sol,  s'egli  errò,  fu  ne  l'oblio  del  bando; 
Ciò  ben  mi  pesa,  ed  a  lodar  no  '1  toglio. 
Tacque,  e  disse  Goffredo:  Or  vada  errando, 
E  porti  risse  altrove:  io  qui  non  voglio 
Che  sparga  seme  tu  di  nove  liti: 
Deh.,  per  Dio,  siau  gli  sdegni  anco  forniti. 
60 
Di  procurare  il  suo  soccorso  in  tanto 
Non  cessò  mai  l'ingannatrice  rea. 
Pregava  il  giorno,  e  ponea  in  uso  quanto 
L'arte  e  l'ingegno  e  la  beltà  potea; 
Ma  poi,  quando  stendendo  il  fosco  manto 
La  notte  in  occidente  il  di  chiudea, 
Tra  duo  suoi  cavalieri  e  due  matrone 
Ricovrava  in  disparte  al  padiglione. 

61 
Ma  ben  che  sia  mastra  d'inganni,  e  i  suoi 
Modi  gentili,  e  le  maniere  accorte, 
E  bella  si,  che  '1  ciel  prima  né  poi 
Altrui  non  die  maggior  bellezza  in  sorte; 
Tal  che  del  campo  i  più  famosi  eroi 
Ha  presi  d'un  piacer  tenace  e  forte; 
Non  è  però  ch'a  l'esca  de'  diletti 
11  pio  Goft'redo  lusingando  alletti. 

62 
In  van  cerca  invaghirlo,  e  con  mortali 
Dolcezze  attrarlo  a  l'amorosa  vita; 
Che,  qual  saturo  augel,  che  non  si  cali 
Ove,  il  cibo  mostrando,  altri  l'invita. 
Tal  ei,  sazio  del  mondo,  i  piacer  frali 
Sprezza;  ese'npoggiaal  Ciel  per  via romi- 
E  quante  insidie  al  suo  belvolo  tende  fta 


L'infido  amor,  tutte  fallaci  rende. 

63 
Né  impedimento  alcun  torcer  da  l'orme 
Puote,  che  Dio  ne  segna,  i  peusier  santi. 
Tentò  ella  mill'arti,  e  in  mille  forme. 
Quasi  Proteo  novel.  gli  apparve  inanti; 
E  desto  Amor,  dove  più  freddo  ei  dorme, 
Avrian  gli  atti  dolcissimi  e  i  sembianti, 
Ma  qui  (grazie  divine)  ogni  sua  prova 
Vana  riesce  e  ritentar  non  giova. 

64 
La  bella  donna,  ch'ogni  cor  più  casto 
Arder  credeva  ad  un  girar  di  ciglia, 
Oh  come  perde  or  l'alterezza  e  '1  fasto! 
E  quale  ha  di  ciò  sdegno  e  meraviglia! 
Rivolger  le  sue  forze  ove  contrasto 
Men  duro  trovi  al  fin  si  ricousiglia; 
Qual  capitan  ch'inespugnabil  terra 
Stanco  abbandoni,  e  porti  altrove  guerra. 

65 
Ma  contra  l'arme  di  costei,  non  meno 
Si  mostrò  di  Tancredi  invitto  il  core. 
Però  ch'altro  desio  gli  ingombra  il  seno, 
Né  vi  può  loco  aver  novello  ardore: 
Che  si  come  da  l'un  l'altro  veneno 
Guardar  ne  suol,  tal  l'un  da  l'altro  amore. 
Questi  soli  non  vinse;  o  molto  o  poco 
Avvampò  ciascun  altro  al  suo  bel  foco. 
66 
Ella,  se  ben  si  duol  che  non  succeda 
Si  pienamente  il  suo  disegno  e  l'arte, 
Pur  fatto  avendo  cosi  nobil  preda 
Di  tanti  eroi,  si  riconsola  in  parte. 
E  pria  che  di  sue  frodi  altri  s'avveda, 
Pensa  condurgli  in  i.iù  secura  parte, 
Ove  gli  stringa  poi  d'altre  catene 
Che  non  son  quelle  ond'or  presi  li  tiene. 
67 
E  sendo  giunto  il  termine  che  fisse 
Il  Capitano  a  darle  alcun  soccorso, 
A  lui  se  'n  venne  riverente  e  disse: 
Sire,  il  di  stabilito  è  già  trascorso; 
E  se  per  sorte  il  reo  tiranno  udisse 


69,  1.  tumido:  superbo  o  gonfio  d'ira. 
Conquisi,  vi  91  :  «  A  ragion,  dico,  le  su- 
perbe corna  Fiaccò  del  folle  e  temerario 
orgoglio  ». 

60,  2.  l'ingannatrice:  Armida. 

61,  2.  maniere  :  Cosi  anc.  la  CoxQ.  :  ma 
Os.  parole  (forse  per  ovviare  la  ripet.  modi, 
manie-re).  —  7-S.  Angelica,  invece,  nel 
Boiardo  Ori.  Inn.{i  3^)  aveva  preso  ne'  lacci 
d'amore  persino  «  il  duca  Namo  eh'  è  ca- 
nuto e  bianco  »  e  •  anche  il  re  Carlone  >. 

62,  1.  mortali:  contrario  di  divine.  —  2. 
Dolcezze  ec:  Petrarca,  canz.  QuelVantiquo 
26:  <  Con  sua  falsa  dolcezza  La  qual  m'at- 
trasse a   l'amorosa   schiera».   —   7.    volo: 


cosi  anc.  Conq.;  ma  Os.  ro7?o.  S'intende  il 
volo  dell'anima  di  Goffredo  verso  il  cielo. 
63,  1-2.  Costruisci  :  Né  impedimento  al- 
cuno puote  torcere  i  pensier  santi  da  l'orme 

!  che  Dio  ne  segna. 

I  64,  3.  fasto:  orgoglio:  Ariosto,  Ori.  xix 
18:  «In  tanto  fasto  in  Tanto  orgoglio  crebbe». 

!  6.5,  5-6.  Un  po'  più  speditamente  nella 
Conquisi,  vi  97:  «  E  come  guarda  l'un  d'al- 
tro veneno,  Tal  antica  d'Amor  da  nuova 
fiamma  ». 

66,  2.  l'arte:  arte  d'amore.  —  7.  altre 
catene:  non  metaforiche,  d'amore,  ma  reali, 
di  ferro. 

67,  1.  E  sendo:  cosi,  Bon.2.3  e  Conq.,  ma 
Essendo,  Bon.i  e  Os.  —  5.  Armida  ricorda 


CANTO  V 


63 


Ch'i' abbia  fatto  a  l'arme  tue  ricorso, 
Prepareria  sue  forze  a  la  difesa, 
Né  cosi  agevol  poi  fora  l'impresa. 
68 

Dunque,  prima  cli'a  lui  tal  nova  apporti 
Voce  incerta  di  fama,  o  certa  spia, 
Scelga  la  tua  pietà  fra  i  tuoi  più  forti 
Alcuni  pochi,  e  meco  or  or  gì' invia: 
Che  se  non  mira  il  Ciel  con  occhi  torti 
L'opre  mortali,  o  l'innocenza  oblia, 
Sarò  riposta  in  regno;  e  la  mia  terra  [ra. 
Sempre  avrai  tributaria  in  pace  e  in  guer- 
69 

Cosi  diceva:  e  '1  Capitano  a  i  detti 
Quel  che  negar  non  si  potea,  concede; 
Se  ben,  ov'ella  il  suo  partir  affretti, 
In  sé  tornar  l'elezìon  ne  vede: 
Ma  nel  numero  ognun  de'  diece  eletti 
Con  insolita  instanza  esser  richiede; 
E  Temuiazion,  che  'n  lor  si  desta. 
Più  importuni  li  fa  ne  la  richiesta. 
70 

Ella,  che  'n  essi  mira  aperto  il  core, 
Prende,  vedendo  ciò,  novo  argomento, 
E  su  '1  lor  fianco  adopra  il  rio  timore 
Di  gelosia  per  ferza  e  per  tormento; 
Sapendo  ben  ch'ai  fin  s'invecchia  amore 
Senza  quest'arti  e  divien  pigro  e  lento; 
Quasi  destrier  che  men  veloce  corra 
Se  non  ha  chi  lui  segua,  o  chi  '1  precorra. 
71 

E  in  tal  modo  comparte  i  detti  sui 
E  '1  guardo  lusinghiero  e  '1  dolce  riso, 
Ch'alcun  non  è,  che  non  invidii  altrui. 
Né  il  timor  de  la  speme  è  in  lor  diviso. 


e  ripiglia  quanto  disse  nella  parlata  a  Gof- 
fredo del  canto  quarto.  —  6.  Ch'i' abbia: 
cosiBoN.2  e  Os.;  Che  s'aéèia,  invece,  BonJ--- 

68,  5.  con  occhi  torti:  in  modo  avverso, 
cfr.  e.  II  89,  4,  e  iv  1-4. 

69,  3-4.  «  Se  bene  comprenda  che,  affret- 
tando ella  la  sua  partenza,  ricadrà  in  lui  il 
carico  di  procedere  all'elezione  dei  dieci 
campioni  »  (Nota  delPediz.  dei  Classici,  Mi- 
lano 1823).  *É  un  luogo  ritenuto  general- 
mente oscuro,  —tornar:  cadere.  *Meg'lio: 
tornare  a  cadere,  perché  se  Armida  ritar- 
dasse, verrebbe  eletto  il  successore  di  Ger- 
naudo,  cui  spetterebbe  la  elezione  dei  dieci 
(Ar.  St.  5).  Se  Armida  affretta  la  partenza, 
questa  elezione  ritorna  a  cadere  su  Goffredo. 

70,  1.  aperto:  dalle  ferite  d'amore;  se 
pure  apeì'to  non  istà  per  apertamente, 
chiaratnente.  —  7.  men:  cosi  hanno  BON.2 
CoNQ.  e  Os.:  ma  BoN.2.3  non,  per  err.  di  st. 
forse. 

*  71,  4.  Os,  da  la  speme.  Ma  i  migliori 
testi  de  la.  *  lì  contesto  mostra  chiaro  che 
il  secondo  caso  qui  sta  invece  del  sesto  :  e 


La  folle  turba  de  gli  amanti,  a  cui 
Stimolo  è  l'arte  d'un  fallace  viso. 
Senza  fren  corre,  e  non  li  tien  vergogna; 
E  loro  indarno  il  Capitan  rampogna. 
72 

Ei,  ch'egualmente  satisfar  desira 
Ciascuna  de  le  parti,  e  in  nulla  pende; 
Se  ben  alquanto  or  di  vergogna  or  d'ira 
Al  vaneggiar  de'  cavalier  s'accende; 
Poi  ch'ostinati  in  quel  desio  li  mira, 
Novo  consiglio  in  accordargli  prende: 
Scrivansi  i  vostri  nomi,  ed  in  un  vaso 
Pongansi,  disse,  e  sia  giudice  il  caso. 
73 

Subito  il  nome  di  ciascun  si  scrisse, 
E  in  picciol'urna  posti  e  scossi  fòro, 
E  tratti  a  sorte:  e  '1  primo  che  n'uscisse 
Fu  il  conte  di  Pembrosia  Artemidoro; 
Legger  poi  di  Gherardo  il  nome  udisse; 
Ed  usci  Vincilao  dopo  costoro; 
Vincilao,  che,  si  grave  e  saggio  inante, 
Canuto  or  pargoleggia  e  vecchio  amante. 
74  [predai 

Oh  come  il  vólto  han  lieto,  e  gli  occhi 
Di  quel  piacer  che  dal  cor  pieno  inonda. 
Questi  tre  primi  eletti,  i  cui  disegni 
La  fortuna  in  amor  destra  seconda! 
D'incerto  cor,  di  gelosia  dan  segni 
Gli  altri,  il  cui  nome  avvien  che  l'urna 
E  da  la  bocca  pendon  di  colui    [asconda. 
Che  spiega  i  brevi,  e  legge  i  nomi  altrui. 
75 

Guasco  quarto  fuor  venne,  a  cui  successe 
Ridolfo,  ed  a  Ridolfo  indi  Olderico; 
Quinci  Guglielmo  Ronciglion  si  lesse, 
E  '1  Bavaro  Eberardo,  e  '1  Franco  Enrico; 
Rambaldo  ultimo  fu;  che  farsi  elesse. 
Poi  fé  cangiando,  di  Giesù  nemico;      [se 
(  Tanto  puote  Amor  dunque?)  e  questi  chiu- 
II  numero  de'  diece,  e  gli  altri  escluse. 
76 

D'ira,  di  gelosia,  d'invidia  ardenti, 


si  potrebbe  provare  anche  con  gli  autografi 
delle  rime  che  il  Tasso  si  piaceva,  all'oppor- 
tunità, di  cotale  costrutto  »  (Cavedoui).  — 
6.  arte:  BoN.2-3  Conq.  e  Os. ;  ma  Bon.^  aer. 

72,  2.  nulla:  sottint.  parte. 

73,  4.  *  Osan.  legge  Pembrozia.  —  8.  par- 
goleggia: fa  atti  da  fanciullo. 

74,  4,  seconda  :  favorisce.  —  5.  incerto 
cor:  cuore  che  sta  in  dubbio.  Conquisi,  vi 
94:  *  Fanno  di  gelosia  turbati  segni  *.  —  7. 
da  la  bocca  pendon:  frase  comune  nel  Tasso  : 
cfr.  e.  I,  str.  10.  —  8.  breyi:  Crusca:  «stri- 
scia di  carta  pergamena,  o  simile,  con  breve 
iscrizione  »• 

75,  5-6.  Due  versi  duri  di  suono  e  di  co- 
strutto. 

76,  1.  Petrarca  Tr.  Ani.  in  107:  *  D'amor 


64 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Chiaman  gli  altri  fortuna  ingiusta  e  ria; 
E  te  accusano.  Amor,  che  le  consenti 
Che  ne  l'imperio  tuo  giudice  sia. 
Ma  perché  iustiuto  è  de  l'umane  genti 
Che  ciò  che  pili  si  vieta,  uora  più  desia, 
Dispongon  molti  ad  onta  di  fortuna 
Seguir  la  donna  come  il  ciel  s'imbruna. 
77 

Voglion  sempre  seguirla  a  l'ombra  al  so- 
E  per  lei  combattendo  espor  la  vita.   [le. 
Ella  fanne  alcun  motto,  e  con  parole 
Tronche  e  dolci  sospiri  a  ciò  gli  invita; 
Ed  or  con  questo  ed  or  con  quel  si  duole 
Che  far  convienle  senza  lui  partita. 
S'erano  armati  in  tanto,  e  da  Goifredo 
Togliean  i  diece  cavalier  congedo. 

78  [te: 

Gli  ammonisce  quelsaggio  aparte  apar- 
Come  la  fé  pagana  è  incerta  e  leve. 
E  mal  securo  pegno  ;  e  con  qual  arte 
L'insidie  e  i  casi  avversi  uom  fuggir  deve: 
Ma  8on  le  sue  parole  al  vento  sparte; 
Né  consiglio  d'uom  sano  Amor  riceve: 
Lor  dà  commiato  al  fin,  e  la  donzella 
Non  aspetta  al  partir  l'alba  novella. 
79 

Parte  la  vincitrice;  e  quei  rivali, 
Quasi  prigioni  al  suo  trionfo  inanti, 
Seco  n'adduce,  e  tra  infiniti  mali 
Lascia  la  turba  poi  de  gli  altri  amanti. 
Ma  come  usci  la  notte,  e  sotto  Tali 
Menò  il  silenzio  e  i  levi  sogni  erranti, 
Secretamente.  com'Amor  gì' informa. 
Molti  d'Armida  seguitarou  l'orma. 
80 

Segue  Eustazio  il  primiero,  e  puote  a  pena 
Aspettar  l'ombre  che  la  notte  adduce; 
Vassene  frettoloso  ove  ne'l  mena 
Per  le  tenebre  cieche  un  cieco  duce. 
Errò  la  notte  tepida  e  serena  : 


di  gelosia,  d'invidia  ardente  ».  —  5.  genti; 
CoNQ.  e  Os.  menti. 

77,  1.  a  l'ombra  al  sole:  di  notte  e  di 
giorno.  Petrarca,  sest.  A  qualunque  anini. 
21  :  •  Come  costei  eh'  io  piango  a  l'ombra  e 
al  sole  ».  —  8.  Togliean  :  cosi  Box.-  e  Os.  ; 
Prendeano,  Conq.;  Togliono,  Bon.i-3 

79,  5-5.  Ovidio,  Fasti,  iv  661  :  «  Tnterea 
placidam  redimita  papavere  frontem  Nox 
venit,  et  secum  sorania  nigra  trahit  ».  —  7. 
informa:  ammaestra:  Petrarca,  canz.  Poi- 
ché per  mio  dest.  53.  «  Or  quinci,  or  quindi, 
com'Amor  m'informa». 

80,  4.  cieco  duce.  Amore.  Cfr.  e.  iv  89,  2. 
—  5.  Ecco  alcuni  raflFronti  del  Guastavini  : 
»  Il  Casa:  -  Vegghiar  le  notti  gelide  e  se- 
rene -  ;  e  si  deriva  da  Virgilio,  che  disse 
prima  -  nocte-j  vigilare  serenas  -.  Il  poeta 
dice  qui  -  tepida  -  perché  era  state  in  que- 
sto tempo  che  ei  finge  ». 


Ma  poi  ne  l'apparir  de  l'alma  luce  [pollo, 
Gli  apparse  insieme  Armida  e  '1  suo  drap- 
Dove  un  borgo  lor  fu  notturno  ostello. 

81 
Ratto  ei  vèr' lei  si  move;  ed  a  l'insegna 
Tosto  Rarabaldo  il  riconosce,  e  grida 
Che  ricerchi  fra  loro,  e  perché  vegna. 
Vengo,  risponde,  a  segaitarne  Armida; 
Xed  ella  avrà  da  me,  se  non  la  sdegna, 
Men  pronta  aita,  o  servitù  men  fida. 
Replica  l'altro:  Ed  a  cotanto  onore. 
Di',  chi  t'elesse?  Egli  soggiunge:  Amore. 

82 
Me  scelse  Amor,  te  la  Fortuna  :  or  quale 
Da  più  giusto  elettore  eletto  parti? 
Dice  Rambaldo  allor:  Nulla  ti  vale 
Titolo  falso;  ed  usi  inutil'arti: 
N(''  potrai  de  la  vergine  regale 
Fra  i  campioni  legitimi  meschiarti, 
Illegitimo  servo.  E  chi,  riprende 
Cruccioso  il  giovenetto,  a  me  il  contende? 

83 
Io  te  '1  difenderò,  colui  rispose. 
E  feglisi  a  l'incontro  in  questo  dire; 
E  con  voglie  egualmente  in  lui  sdegnose 
L'altro  8i  mosse,  e  con  eguale  ardire. 
Ma  qui  stese  la  mano,  e  si  frappose 
La  tiranna  de  l'alme  in  mezzo  a  l'ire; 
Ed  a  l'uno  dicea:  Deh!  non  t' incresca 
Ch'a  te  compagno,  a  me  campion  s'accre- 

84  |8ca. 

S'ami  che  salva  i'  sia,  perché  mi  privi 
In  si  grand" uopo  de  la  nova  aita? 
Dice  a  l'altro:  Opportuno  e  grato  arrivi 
Difensor  di  mia  fama  e  di  mia  vita: 
Né  vuol  ragion,  né  sarà  mai  ch'io  schivi 
Compagnia  nobil  tanto  e  si  gradita. 
Cosi  parlando,  ad  or  ad  or  tra  via 
Alcun  nuovo  campion  le  sorvenia. 

85 
Chi  di  là  giunge,  e  chi  di  qua:  né  l'uno 
Sapea  de  l'altro;  e  il  mira  bieco  e  torto. 
Essa  lieta  gli  accoglie,  ed  a  ciascuno 
;  Mostra  del  suo  venir  gioia  e  conforto. 
Ma  già  ne  lo  schiarir  de  l'aer  bruno 
S'era  del  lor  partir  Goflfredo  accorto; 
E  la  mente,  indovina  de'  lor  danni. 
D'alcun  futuro  mal  par  che  s'affanni. 


82,  "2.  partì  :  ti  pare. 

83,  1.  difenderò.  Difendere  ha.  q\ii  il  senso 
di  contendere,  vietare  ;  cosi  nell'Ariosto, 
Ori.  xxvii,  77:  «  Ma  più  chiaro  ti  dico  ora 
e  più  piano  Che  tu  non  faccia  in  quel  de- 
strier  disegno  Che  te  lo  difend'  io  tanto 
che  in  mano  Questa  vindice  mia  spada  so- 
stegno ». 

85,  7-8.  indovina  ecc.:  Nel  fatto  Armida 
li  rende  schiavi,  come  si  racconta  ai  e.  x 
50  e  segg. 


CANTO  V 


65 


8G 

Mentre  a  ciò  pur  ripensa,  un  messo  appare 
Polveroso,  anelante,  in  vista  afflitto, 
In  atto  d'uora  ch'altrui  novelle  amare 
Porti,  e  mostri  il  dolore  in  fronte  scritto. 
Disse  costui:  Signor,  tosto  nel  mare 
La  grande  armata  apparirà  d'Egitto; 
E  l'avviso  Guglielmo,  il  qual  comanda 
A  i  liguri  navigli,  a  te  ne  manda. 
87 

Soggiunse  a  questo  poi,  che,  da  le  navi 
Sendo  condotta  vettovaglia  al  campo, 

I  cavalli  e  i  caramelli  onusti  e  gravi 
Trovato  aveanoa  mezza  stradainciampo; 
E  che  i  lor  difensori  uccisi  o  schiavi 
Restar  pugnando,  e  nessun  fece  scampo, 
Da  i  ladroni  d'Arabia  in  una  valle 
Assaliti  a  la  fronte  ed  a  le  spaile. 

83 

E  che  rintano  ardire  e  la  licenza 
Di  que' barbari  erranti  è  omai  si  grande, 
Che  'n  guisa  d'un  diluvio  intorno  senza 
Alcun  contrasto  si  dilata  e  spande: 
Onde  convien  ch'a  porre  in  lor  temenza 
Alcuna  squadra  di  guerrier  si  mando, 
Ch'asseciiri  la  via  che  da  l'arene 
Del  mar  di  Palestina  al  campo  viene. 
89 

D'una  in  un'altra  lingua  in  un  momento 
Ne  trapassa  la  fama  e  si  distende; 
E  '1  vulgo  de'  soldati  alto  spavento 
Ha  de  la  fame  che  vicina  attende. 

II  saggio  Capitan,  che  l'ardimento 
Solito  loro  in  essi  or  non  comprende. 
Cerca  con  lieto  vólto  e  con  parole 
Come  li  rassecuri  e  riconsole: 


86,7.  Gnglielino:  Guglielmo  Embriaco, 
che  conduceva  la  flotta  ligure.  Cfr.  per  la 
notta,  e.  I  78-79. 


90 

0  per  mille  perigli  e  mille  affanni 
Meco  passati  in  quelle  parti  e  in  queste, 
Campion'di  Dio,  ch'a  ristorare  i  danni 
De  la  cristiana  sua  fede  nasceste; 
Voi,  chel'armedi  Persia  e  i greci  inganni, 
E  i  monti  e  i  mari  e  '1  verno  e  le  tempeste, 
De  la  fame  i  disagi  e  de  la  sete 
Superaste,  voi  dunque  ora  temete? 
91 

Dunque  il  Signor,  che  v'indirizza  e  move, 
Già  conosciuto  in  caso  assai  pili  rio. 
Non  v'assecura,  quasi  or  volga  altrove 
La  man  de  la  clemenza  e  '1  guardo  pio? 
Tosto  un  di  fia  che  rimembrar  vi  giove 
Gli  scorsi  affanni,  e  sciorre  i  voti  a  Dio. 
Or  durate  magnanimi,  e  voi  stessi 
Serbate,  prego,  a  i  prosperi  successi. 
92 

Con  questi  detti  le  smarrite  menti 
Consola,  e  con  sereno  e  lieto  aspetto; 
Ma  preme  mille  cure  egre  e  dolenti 
Altamente  riposte  in  mezzo  al  petto. 
Come  possa  nutrir  si  varie  genti 
Pensa  fra  la  penuria  e  fra  '1  difetto; 
Come  a  Tarmata  in  mar  s'opponga,  e  come 
Gli  Arabi  predatori  affreui  e  dome. 


90-92.  Virg.  Aen.  i  197:  «et  dictis  mae- 
reutia  pectora  mulcet:  O  socii  ...  O  passi 
graviora,  dabit  deus  bis  (malis)  quoque 
finem,  Vos  et  Scyllaeam  rabiem  penitusque 
sonantis  Accestis  scopulos,  vos  et  Cyclopia 
saxa  Experti,  revocate  animos  maestumque 
timorem  Mittite,  forsau  et  haec  olira  memi- 
nisse  iuvabit....  Durate  et  vosmet  rebus  ser» 
vate  secundis.  Talia  voce  refert,  curisque 
ingentibus  acger  Spera  viiltu  simuiat,  pre- 
mit  altum  corde  dolorem  >. 


5  —  Tasso,  Gerusalemme  liberata. 


CANTO  VI. 

Argante  propone  ad 
Aladino  di  terminare 
la  guerra  con  un  duello 
•^  Aladino  s^oppone: 
pur  gli  concede  di  af- 
frontarsi privato  cava- 
liere coi  cristiani  -^  Sua 
disfida  ^  Tancredi,  che 
gli  si  fa  incontro,  s'in- 
dugia a  un  tratto  esta- 
tico ad  ammirare  Clo- 
rinda :  allora  spingesi  in- 
nanzi Ottone  che  è  fatto 
prigioniero  ^Ar  Duello 
fra  Tancredi  ed  Ar- 
gante tAt  Sopravviene 
la  notte,  e  gli  araldi 
dividono  la  contesa  -^ 
Erminia  va,  sotto  le 
armi  di  Clorinda,  per 
curare  Tancredi  :Ar  Ag- 
guato di  Poliferno  -^ 
Erminia  inseguita. 


Ma  d'altra  parte  l'assediate  genti 
Speme  miglior  conforta  e  rasseciira; 
Ch'oltra  il  cibo  raccolto,  altri  alimenti 
Sou  lor  dentro  portati  a  notte  oscura: 
Ed  han  munite  d'armi  e  d'instruraenti 
Di  guerra  verso  Taquilou  le  mura: 
Che  d'altezzaaccresciiite,e  sode  e  grosse, 
Non  mostran  di  temer  d'urti  o  di  scosse. 
2 

E'I  re  pur  sempre  queste  parti  e  quelle 
Lor  fa  inalzare  e  rafforzare  i  fianchi, 
O  l'aureo  sol  rispleiida,  od  a  le  stelle 
Ed  a  la  luna  il  fosco  ciel  s'imbianchi; 
E  in  far  continuamente  arme  novelle 
Sudano  i  fabri  affaticati  e  stanchi. 


1,  6.  Terso  l'aqnilon:  poiché  da  questa 
prxrte  si  era  accampato  GofTredo,  e  di  qui 
Kf;io  'a  città  era  espugnabile.  Cfr.  e.  in  di. 


In  si  fatto  apparecchio,  intollerante 
A  lui  se  'n  venne,  e  ragionògli  Argante: 

3 
E  in  sino  a  quando  ci  terrai  prigioni 
Fra  queste  mura  in  vile  assedio  e  lento? 
Odo  ben  io  stridere  incuJi,  e  suoni 
D'elmi  e  di  scudi  e  di  corazze  sento; 
Ma  non  veggio  a  qual  uso:  e  quei  ladroni 
Scorrono  i  campi  e  i  borghi  a  lor  talento; 
Né  v'è  di  noi  chi  mai  lor  passi  arresti, 
Né  tromba  che  dal  sonno  almen  gli  desti. 


3.  Gentile:  -Questa  orazione  di  Argante 
al  re  Aladino  è  da  conferirsi  colla  storia 
di  quei  soldati  romani  appo  Livio  (Hist. 
XXII  14)  i  quali  non  altrimenti  rampognava- 
no Fabio  Massimo,  dal  quale  erano  sempre 
tirati  su  per  le  cime  dei  monti  altissimi; 
mentre  Annibale  scorreva  a  suo  talento  le 
pianure  e  le  ville  loro  avanti  i  loro  occhi  ». 


CANTO  VI 


67 


A  lor  né  i  prandi  mai  turbati  e  rotti, 
Né  molestate  son  le  cene  liete; 
Anzi  egualmente  i  di  lunghi  e  le  notti 
Traggon  con  securezza  e  con  quiete. 
Voi  da  i  disagi  e  da  la  fame  indótti 
A  darvi  vinti  a  lungo  andar  sarete; 
Od  a  morirne  qui  come  codardi, 
Quando  d'Egitto  pur  l'aiuto  tardi. 
5 

Io  per  me  non  vo'  già  eh'ignobil  morte 

I  giorni  miei  d'oscuro  oblio  ricopra; 
Né  vo'  ch'ai  novo  di  fra  queste  porte 
L'alma  luce  del  sol  chiuso  mi  scopra. 
Di  questo  viver  mio  faccia  la  sorte 
Quel  che  già  stabilito  è  là  di  sopra: 
Non  farà  già  che  senza  oprar  la  spada 
Inglorioso  e  invendicato  io  cada. 

6 

Ma  quando  pur  del  valor  vostro  usato 
Cosi  non  fosse  in  voi  spento  ogni  seme, 
Non  di  morir  pugnando  ed  onorato, 
Ma  di  vita  e  di  palma  anco  avrei  speme. 
A  incontrare  i  nemici  e  '1  nostro  fato 
Andianne  pur  deliberati  insieme; 
Che  spesso  avvien,  che  ne' maggior  perigli 
Sono  i  più  audaci  gli  ottimi  consigli. 
7 

Ma  se  nel  troppo  osar  tu  non  isperi, 
Né  sei  d'uscir  con  ogni  squadra  ardito, 
Procura  almen,  che  sia  per  duo  guerrieri 
Questo  tuo  gran  litigio  or  diftinito. 
E,  perch'accetti  ancor  più  volentieri 

II  capitan  de'  Franchi  il  nostro  invito, 
L'arme  egli  scelga,  e  '1  suo  vantaggio  to- 
E  le  condiz'ion  formi  a  sua  voglia,    [glia, 

8 
Che,  se  '1  nemico  avrà  due  mani,  ed  una 
Anima  solo,  ancor  ch'audace  e  fera, 
Temer  non  dèi,  per  isciagura  alcuna. 
Che  la  ragion  da  me  difesa  péra. 
Puote  in  vece  di  fato  e  di  fortuna 
Darti  la  destra  mia  vittoria  intera: 


4,  6.  a  lango  nndar:  per  quanto  é  detto, 
benché  in  persona  del  poeta,  sopra  alla  st. 
1,  1-4. 

6,  5-6, Guastavini:  «  Opinione  di  circasso, 
che  dal  cielo  ogni  cosa,  che  avviene,  imrau 
labilmente  e  necessariamente  dipenda  ».  — 
7.  Non  farà:  sottind.  lo  sorte:  secondo  il 
carattere  d'Argante  definito  dal  P.  al  e.  ii 
59,  7-8.  —  8.  invendicato:  cfr.  Virg.  Aen. 
II  670. 

6,  1.  Virg.  Aen.  xi  415:  «  Quamquam,  o, 
si  solitae  quidquam  virtutis  adSfeset...  «•. 

8,  1-2.  Virg.  Aen.  x  375:  «  mortali  urge- 
mur  ab  hoste  Mortales,  totidem  nobis  ani- 
macque,  manusque  ».  —  solo:  avv.  sola- 
mente. 


Ed  a  te  sé  medesma  or  porge  in  pegno 
Che,  se '1  confidi  in  lei,  salvo  è  il  tuo  regno. 
9 

Tacque;  e  rispose  il  re:  Giovene ardente, 
Se  ben  me  vedi  in  grave  età  senile. 
Non  sono  al  ferro  queste  man  si  lente, 
Né  si  quest'alma  è  neghittosa  e  vile 
Ch'anzi  morir  volesse  ignobilmente 
Che  di  morte  magnanima  e  gentile, 
Quaud'io  temenzaavessi,  odubbioalcuno 
De  i  disagi  ch'annunzi  e  del  digiuno. 

10  [te 

Cessi  Dio  tanta  infamia!  Or  quel  ch'ad  ar- 
Nascondo  altrui,  vo'  ch'a  te  sia  palese. 
Soliman  di  Nicea,  che  brama  in  parte 
Di  vendicar  le  ricevute  offese, 
De  gli  Arabi  le  schiere  erranti  e  s parte 
Raccolte  ha  fin  dal  libico  paese; 
E,  i  nemici  assalendo  a  l'aria  nera. 
Darne  soccorso  e  vettovaglia  spera. 
11 

Tosto  fia  che  qui  giunga:  or  se  fra  tanto 
Son  le  nostre  castella  oppresse  e  serve, 
Non  ce  ne  caglia,  pur  che  '1  regal  manto 
E  la  mia  nobil  reggia  io  mi  conserve. 
Tu  l'ardimento  e  questo  ardore  alquanto 
Tempra,  per  Dio,  ch'in  te  soverchio  ferve; 
Ed  opportuna  la  stagione  aspetta 
A  la  tua  gloria  ed  a  la  mia  vendetta. 
12 

Forte  sdegnossi  il  Saracino  audace. 
Ch'era  di  Solimano  emulo  antico; 
Si  amaramente  ora  d'udir  gli  spiace 
Che  tanto  se  'n  prometta  il  rege  amico. 
A  tuo  senno,  risponde,  e  guerra  e  pace 
Farai,  Signor:  nulla  di  ciò  più  dico. 
S'indugi  pure,  e  Soliman  s'attenda; 
Ei,  che  perde  il  suo  regno,  il  tuo  difenda. 
13 

Vengane  a  te,  quasi  celeste  messo, 


9,  1.  Giovene  ardente:  .Virg.  Aen.  xii  19 
di  Turno:  «  0  praestans  animi  iuvenis  ecc.  ». 

10,  I.  Cessi;  Os.  ha  taglia,  e  in  vero  qui 
cessi  vale  tolga,  come  nel  Boccaccio,  Fiam 
•inetta.,  lib.  iir.  •  Dio  cessi,  che  questo  av^ 
venga».  —  3.  Soliman:  soldano  di  Nicea 
poi  capo  delle  squadre  erranti  degli  Arabi. 
Veramente  costui  combattè  i  cristiani  per 
conto  proprio;  non  come  alleato  del  re 
d'Egitto.  —  4.  offese:  la  presa  di  Nicea,  la 
moglie  e  due  figli  prigionieri  ecc.,  come 
narra  Gugl.  Tir. 

11,  3.  regal  manto:  cioè  la  dignità  reale. 
—  6.  Tempra:  modera. 

12,  4.  amico:  alleato  di  Solimano.  —  8. 
perde:  Ariosto,  Ori.  xxxviii  52,  7:  •  Cbé 
poco  saggio  si  può  dir  colui  Che  perde  il 
suo  per  acquistar  l'altrui  ». 

13,  1.  coleste  messo.  Sa  d'ironia 


68 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Liberator  del  popolo  pagano;  j 

Ch'io, quanto  arac, bastar  credoamestes-  j 
E  sol  vo'  libertà  da  questa  mano.        [so, 
Or  nel  riposo  altrui  siami  concesso  | 

Ch'ionediscendaaguerreggiar  nelpiano:  ; 
Privato  cavalier,  non  tuo  campione,  | 

Verrò  co'  Franchi  a  singoiar  tenzone.       ! 

14  i 
Replica  il  re:  Se  ben  l'ire  e  la  spada       | 

Dovresti  riserbare  a  miglior  uso;  ] 

Che  tu  sfidi  però,  se  ciò  t'aggrada, 
Alcun  guerrier  nemico,  io  non  ricuso. 
Cosi  gli  disse:  ed  ei  punto  non  bada: 
Va',  dice  ad  un  araldo,  or  colà  giuso; 
Ed  al  duce  de'  Franchi,  udendo  Toste, 
Fa'  queste  mie  non  picciole  proposte; 

15  [sto 
Ch'nn  cavalier,  che  d'appiattarsi  in  que- 

Forte  cinto  di  muri  a  sdegno  prende, 
Brama  di  far  con  l'armi  or  manifesto 
Quanto  la  sua  possanza  oltra  si  stende; 
E  eli'a  duello  di  venirne  è  presto 
Nel  pian,  eh' è  fra  le  mura  e  l'alte  tende. 
Per  prova  di  valore,  e  che  disfida 
Qual  più  de' Franchi  in  sua  virtù  si  fida. 
16 

E  che  non  solo  è  di  pugnare  accinto 
E  con  uno  e  con  duo  del  campo  ostile: 
Ma  dopo  il  terzo,  il  quarto  accètta,  e '1  qui  n- 
Sia  di  vulgare  stirpe  o  di  gentile:      jto, 
Dia,  se  vuol, la  franchigia;  e  servail  vinto 
Al  vincitor,  come  di  guerra  è  stile. 
Cosi  gli  impose;  ed  ei  vestissi  allotta 
La  purpurea  de  Tarme  aurata  cotta. 
17 

E,  poi  che  giunse  a  la  regal  presenza 
Del  principe  Goffredo  e  de' baroni, 
Chiese:  0  signore,  a  i  messaggier  licenza 


16.  Coii  leggono  questa  slrofa  le  3  st.  del 
Box.;  e  cosi  Conq.  salvo  qualche  varietà; 
ma  Os.:«<  Che  un  cavaliero,  il  qual  si  sde- 
gna in  questo  Cerchio  ap2nattarsi  fra  ri- 
pari e  fòsse.  Vuol  far  con  Varrae  in  campo 
or  manifesto.  Ove  alcun  di  negarlo  ardito 
fosse.  Che  non  zelo  di  fede  o  d'altro  one- 
sto Titolo  i  Franchi  in  contra  l'Asia  mosse, 
Ma  solo  ambiziose  avare  ìjrame  E  del  re- 
gnare e  del  rapir  la  farne*. 

16.  3.  Ariosto,  Ori.  XLVi  106  7  :  «  Se  non 
basta  una  [persona  ,  e  quattro  e  sei  n'ac- 
cetto ».  —  5.  Dia,  se  vuol,  Goffredo,  fran- 
chigia, 0  securtà  (come  il  T.  cambiò  nella 
Conquisi.)  pel  duello;  e  il  patto  sia,  che  il 
vinto  serra  ecc.  —  7.  ed  ei:  cosi  le  3  st. 
BON.;  e  quel  Os.  —  8.  cotta:  sopravveste 
che  portavano  gli  araldi.  Ariosto,  OrZ.  xxvii 
52,  5:  «  Già,  con  la  cotta  d'arme  alla  divisa 
Del  re  Agramante,  in  campo  venut'  era 
L'araldo  ». 


Dassi  tra  voi  di  liberi  sermoni? 
Dassi,  rispose  il  Capitano;  e  senza 
Alcun  timor  la  tua  proposta  esponi. 
Riprese  quegli:  Or  si  parrà  se  grata 
0  formidabil  fia  l'alta  ambasciata. 

18 
E  segui  poscia,  e  la  disfida  espose 
^"ou  parole  magnifiche  ed  altere. 
Fremer  s'udirò,  e  si  mostrar  sdegnose 
Al  suo  parlar  quelle  feroci  schiere; 
E  senza  indugio  il  pio  Buglion  rispose: 
Dura  impresa  intraprende  il  cavaliere; 
E  tosto  io  creder  vo'  che  glie  ne  incresca 
Si,  che  d'uopo  non  fia  che  '1  quinto  n'esca. 
19  [traggio 

Ma  venga  in  prova  pur;  che  d'ogn'ol- 
Gli  offero  campo  libero  e  securo; 
E  seco  pugnerà  senza  vantaggio 
Alcun  de'  miei  campioni:  e  cosi  giuro. 
Tacque:  e  tornò  il  re  d'arme  al  suo  viaggio 
l'er  l'orme  ch'ai  venir  calcate  furo; 
E  non  ritenne  il  frettoloso  passo 
.^iu  che  non  die  risposta  al  fier  Circasso. 
20 
Armati,  dice,  alto  signor;  che  tardi? 
La  disfida  accettata  hanno  i  Cristiani; 
E  d'affrontarsi  teco  i  men  gagliardi 
Mostran  desio,  non  chei  guerrier  soprani. 
IC  mille  i'  vidi  minacciosi  sguardi, 
E  mille  al  ferro  apparecchiate  mani: 
Loco  securo  il  duce  a  te  concede. 
Cosi  gli  dice:  e  Tarme  esso  richiede. 

21 
E  se  ne  cinge  intorno,  e  impaziente 
Di  scenderne  s'affretta  a  la  campagna. 
Disse  a  Clorinda  il  re,  ch'era  presente: 
Giusto  non  è  ch'ei  vada  e  tu  rimagna. 
Mille  dunque  con  te  di  nostra  gente 
Prendi  in  sua  securezza,  e  l'accompagna; 
Ma  vada  inanzi  a  giusta  pugna  ei  solo; 
Tu  lunge  alquanto  a  lui  ritien  lo  stuolo. 
22 
Tacque  ciò  detto  ;  e,  poi  che  furo  armati. 
Quei  del  chiuso  n'uscivano  a  l'aperto: 
E  giva  inanzi  Argante,  e  de  gli  usati 
Arnesi  in  su  '1  cavallo  era  coperto. 
Loco  fu  tra  le  mura  e  gli  steccati. 
Che  nulla  avea  di  diseguale  e  d'erto. 
Ampio  e  capace;  e  parca  fatto  ad  arte, 
Perch'egli  fosse  altrui  campo  di  Marte. 

23 
Ivi  solo  discese,  ivi  fermosse 
In  vista  de'  nemici  il  fero  Argante, 


19,  5.  re  d'arme:  Taraldo. 

20,  7.  Loco  securo:    la   frayichigia   della 

str.  16. 

23.  Mella  (Torino  1831)  «Da  questo  e  da 
altri  duelli  cosi  ben  pennelleggiati,  scor- 
gesi    quanto    Torquato    fosse    perito    nella 


CANTO  VI 


69 


Per  gran  cor,  per  gran  corpo,  e  per  gran 

[posse 
Superbo  e  rainaccievole  in  sembiante; 
Qual  Encelado  i  n  Flegra,  o  qual  mostrosse 
Ne  rima  valle  il  filisteo  gigante: 
Ma  pur  molti  di  lui  tema  non  hanno, 
Ch'anco  quanto  sia  forte  a  pien  non  sanno. 

24 
Alcun  però  dal  pio  Goffredo  eletto, 
Come  il  migliore,  ancor  non  è  fra  molti. 
Ben  si  vedean  con  desioso  affetto 
Tutti  gli  occhi  in  Tancredi  esser  rivolti; 
E  dichiarato  in  fra  i  miglior  perfetto 
Dal  favor  manifesto  era  de'  vólti: 
E  s'udia  non  oscuro  anco  il  bisbiglio; 
E  l'approvava  il  Capitan  co '1  ciglio. 

25 
Già  cedea  ciascun  altro;  e  non  secreto 
Era  il  volere  ornai  del  pio  Buglione: 
Vanne,  a  lui  disse;  a  te  l'uscir  non  vieto; 
E  reprimi  il  furor  di  quel  fellone. 
E  tutto  in  vólto  baldanzoso  e  lieto, 
Per  si  alto  giudizio  il  fìer  garzone, 
A  lo  scudier  chiedea  l'elmo  e'I  cavallo; 
Poi,  seguito  da  molti,  uscia  del  vallo. 

26 
Ed  a  quel  largo  pian  fatto  vicino, 
Ove  Argante  l'attende,  anco  non  era, 
Quando  in  leggiadro  aspetto  e  pellegrino 
S'offerse  a  gli  occhi  suoi  l'alta  guerriera. 
Bianche  via  più  che  neve  in  giogo  alpino 


scherma.  Altri  dirà  leggiadramente,  poter 
il  suo  poema  pressoché  servire  di  scuola  a 
cólti  giovani  militari  in  quell'arte.  E  a  di- 
mostrar vera  questa  asserzione  leggasi  la 
Scuola  della  scherma  del  Rosaroli  e  del 
Grisetti,  due  bravi  ufficiali  italiani  al  tempo 
dell'Impero.  Inserirono  essi  nel  loro  trat- 
tato,illustrandoli,  passi  moltissimi  del  Tasso, 
e  con  essi  confermarono  le  loro  teorie  ecc. 
Vedi  pure  il  bell'opuscolo  del  Napione  sulla 
Scienza  Militare  del  Tasso  ».  —  5.  Encelado: 
gigante  fulminato  da  Giove  nei  campi  di 
Flegra;  e  Flejra,  secondo  Strabene,  è  il 
territorio  di  Cuma  nella  Campania.  —  6. 
filisteo  gigante:  Golia.  —  8.  Il  Galilei  dice 
il  concetto  di  questa  stanza,  snervato  e  ain- 
pollosatneyite  espresso  e  con  tnala  grazia, 
—  e  gli  contrappone  Valtiera  e  terribile 
positura  nella  quale  l'Ariosto  (Ori.  xvii  11) 
ci  descrive  Rodomonte. 

24,5-6.  Costruisci:  era  dichiarato  per- 
fetto infra  i  migliori  dal  favore  manifesto 
dei  vólti  (vólti  che  chiaramente  mostravano 
preferenza  per  lui).  —  7.  non  oscuro:  ri- 
chiama il  manifesto  del  verso  precedente. 

26,  6.  Cosi  leggono  il  v.  le  ò  st.  Bon.; 
Per  si  alto  giudicio.  Iddio  lodando  Conq.; 
Poiché  d'impresa  tal  fallo  e  campione  Os. 

26,  3.  pellegrino:    insolito,  raro.   —   5-8.  I 


Avea  le  sopraveste,  e  la  visiera 
Alta  tenea  dal  vólto,  e,  sovra  un'erta, 
Tutta,  quanto  ella  è  grande,  era  scoperta. 
27 

Già  non  mira  Tancredi  ove  il  Circasso 
La  spaventosa  fronte  al  cielo  estolle; 
Ma  move  il  suo  destrier  con  lento  passo, 
Volgendo  gli  occhi  ov'è  colei  su  '1  colle. 
Poscia  immobil  si  ferma,  e  pare  un  sasso; 
Gelido  tutto  fuor,  ma  dentro  bolle: 
Sol  di  mirar  s'appaga,  e  di  battaglia 
Sembiante  fa  che  poco  or  più  gli  caglia. 
28 

Argante,  che  non  vede  alcun  ch'in  atto 
Dia  segno  ancor  d'apparecchiarsi  in  gio- 
Da  desir  di  contesa  io  qui  fui  tratto,  [stra: 
Grida;  or  chi  viene  inanzi,  e  meco  gio- 
L'artro,  attonito  quasi  e  stupefatto,  [stra? 
Pur  là  s'affisa,  e  nulla  udir  ben  mostra. 
Ottone  inanzi  allor  spinse  il  destriero, 
E  ne  l'arringo  vóto  entrò  primiero. 
29 

Questi  un  fu  di  color  cui  dianzi  accese 
Di  gir  contra  il  Pagano  alto  desio: 
Pur  cedette  a  Tancredi,  e  'n  sella  ascese 


Nella  Conquisi. ,  vii  29,  meno  bene,  a  parer 
nostro:  «Bianche,  via  più  di  candido  ar- 
mellino.  Le  sopravveste  avea  con  pompa 
altera;  Su  l'elmo,  d'aureo  fior  quasi  co- 
rona; Al  fianco,  di  fin  òr  gemmata  zona.  - 
Parte  scopria  del  vólto  a  chi  più  basso  Ri- 
mira, quale  e  quanta  al  ciel  s'estolle  ». 

27.  Il  Galilei  berteggia  il  Tasso  perché 
impone  al  suo  eroe  questa  debolezza  amo- 
rosa. Al  sentimento  nostro  moderno  ciò 
pare  invece  bellissimo.  —  5.  L'Ariosto,  di 
Olimpia,  Ori.  x  34,  8:  *  Ké  men  d'un  vero 
sasso,  un  sasso  pare».  —  6.  Questa  nota  di 
un  contemporaneo  (il  Guastavini)  spiega  ciò 
che  il  Tasso  abbia  voluto  dire:  «Nell'in- 
coutrarsi  nella  cosa  amata,  per  la  riverenza 
che  ad  essa  si  porta,  e  per  la  paura,  che 
per  diverse  cagioni  può  nascer  nell'amante 
in  quel  tempo,  il  sangue  si  ritira  al  cuore: 
perché,  rimanendo  freddissime  le  parti  di 
fuori,  quelle  di  dentro  ardono  maggior- 
mente». Tasso,  Madriy.:  *  io  son  ghiaccio 
di  fóre,  E  '1  foco  ho  dentro  accòlto  ».  —  8. 
caglia:  importi. 

28,  7.  Ottone:  questi  è  il  medesimo  Ot- 
tone Visconti  ricordato  dal  Poeta  nella  ras- 
segna del  e.  1  55,  7-8;  la  sfida  del  Visconti 
è  storica.  —  8.  arringo  e  aringo,  luogo  dove 
si  corre  giostrando,  o  si  combatte.  Varchi 
(Ercotano):  «Aringo,  usato  più  volte  non 
solo  da  Dante  ma  dal  Boccaccio,  significa 
cosi  lo  spazio  dove  si  córre  giostrando,  o 
si  favella  orando,  comò  osso  córso  o  gio- 
stra, ed  esso  parlare  ovvero  orazione  ». 


70 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Fra  gli  altri  che  seguirlo,  e  seco  uscio,     j 
Or  veggendo  sue  voglie  altrove  intese,      \ 
E  starne  lui  quasi  al  pugnar  restio, 
Prende,  gioveue  audace  e  impaziente, 
L'occasione  offerta  avidamente; 
30 

E  veloce  cosi,  che  tigre  o  pardo 
Va  men  ratto  talor  per  la  foresta, 
Corre  a  ferire  il  Saracin  gagliardo, 
Che  d'altra  parte  la  gran  lancia  arresta. 
Si  scote  allor  Tancredi,  e  dal  suo  tardo 
Pcnsier,  quasi  da  un  sonno,  al  fin  si  desta; 
E  grida  ei  ben:  La  pugna  è  mia;  rimanti. 
Ma  troppo  Ottone  è  già  trascorso  inanti. 
31 

Onde  si  ferma;  e  d'ira  e  di  dispetto 
Avvampa  dentro,  e  fuor  qual  fiamma  è 
Perché  ad  onta  si  reca  ed  a  difetto,  [rosso; 
Ch'altri  si  sia  primiero  in  giostra  mosso. 
Maintauto  amezzo  ilcórso  insurelmetto 
Dal  giovin  forte  è  il  Saracin  percosso: 
Egli  a  l'incontro  a  lui  co  'l  ferro  nudo 
Fende  l'usbergo,  e  pria  rompe  lo  scudo. 
32 

Cade  il  Cristiano;  e  ben  è  il  colpo  acerbo. 
Poscia  ch'avvien  che  dal'arcion  lo  svella. 
Ma  il  Pagan  di  più  forza  e  di  più  nerbo 
Non  cade  già,  né  pur  si  torce  in  sella: 
Indi  con  dispettoso  atto  superbo 
Sovra  il  caduto  cavalier  favella: 
Renditi  vinto,  e  per  tua  gloria  basti 
Che  dir  potrai  che  contra  me  pugnasti. 
33 

No,  gli  risponde  Otton,  fra  noi  non  s'usa 
Cosi  tosto  depor  l'arme  e  l'ardire; 
Altri  del  mio  cader  farà  la  scusa; 
Io  vo'  far  la  vendetta,  o  qui  morire. 


29,  4.  segnirlo:  cosi  3  st.  Bon.  e  CONQ.  ; 
che  'l  segv.iro  Os. 

30,  1-2.  Orazio,  Od.  II  xvi:  «Odor  cer- 
vis,  et  agente  nimbos  Ocior  Euro  >.  —  4.  ar- 
resta, mette  in  resta. 

31,  1-2.  Virg.,  Aea.  iv  532:  «  magnoque 
irarum  fluctuat  aestu  ».  —  7.  a  l'incontro, 
alla  sua  volta.  —  nudo:  cosi  le  3  st,  BoN.  ; 
acuto  Os.  —  8.  Fende:  le  3  st.  del  Box.; 
FdraOs.  —  sondo:  le  3  st.  del  Box.;  ^cw^o  Os. 

■32,  2.  Poscia  che:  poiché,  con  valore  cau- 
sale, non  temporale.  —  7-8.  Virg.,  Aen.  x 
829:  «  Hoc  tamen,  infelix,  mi.seram  solabere 
mortem:  Aeneae  magni  dextra  cadis  ».  Ovi- 
dio, Met.  IX  5:  «  nec  tam  Turpe  fuit  vinci, 
quam  contendisse  decorum  est  ». 

33,  1-4.  Il  Gentile  osserva:  «Nota  che  il 
Tasso  mai  fa  che  un  cristiano,  per  vinto  che 
si  sia,  si  arrenda  o  supplichi  ad  un  pagano. 
Ciò  che  fece  ad  imitazione  d'Omero:  del 
cui  consiglio  parlando  Plutarco,  scrive,  che 
gli  è  cosa  dei  barbari  lo  esser  suppliche- 
vole nel  combattere,  o  avvolgersi  ai  piedi 


In  sembianza  d' Aletto  e  di  Medusa 
Fremeil  Circasso,  eparche  fiamma  spire; 
Conosci  or,  dice,  il  mio  valor  a  prova, 
Poi  che  la  cortesia  sprezzar  ti  giova. 
34 

Spinge  il  destrier  in  questo,  e  tutto  oblia 
Quanto  virtù  cavalleresca  chiede. 
Fugge  il  Franco  l'incontro,  e  si  desvia, 
E'I  destro  fianco  nel  passar  gli  fiede; 
Ed  è  si  grave  la  percossa  e  ria, 
Che '1  ferro  sanguinoso  indi  ne  riede; 
Ma  che  prò,  se  la  piaga  al  vincitore 
Forza  non  toglie,  e  giunge  ira  a  furore? 
35 

Argante  il  corridor  dal  córso  affrena, 
E  in  dietro  il  volge:  e  cosi  tosto  è  vòlto, 
Che  se  n'accorge  il  suo  nemico  a  pena, 
E  d'un  grand'urto  a  l'improviso  è  còlto. 
Tremar  le  gambe,  indebolir  la  lena. 
Sbigottir  Talraa.  e  im))allidir  il  vólto 
Fégli  l'aspra  percossa,  e  frale  e  stanco 
Sovra  il  duro  terren  battere  il  fianco. 
36 

Ne  Tira  Argante  infellonisce,  e  strada 
Sovra  il  petto  del  vinto  al  destrier  face; 
E:  Cosi,  grida,  ogni  superbo  vada, 
Come  costui  che  sotto  i  pie  mi  giace. 
Ma  l'invitto  Tancredi  allor  non  bada, 
Che  l'atto  crudelissimo  gli  sjiiace; 
E  vuol  che  '1  suo  valor  con  chiara  emenda 
Copra  il  suo  fallo,  e.  come  suol,  risplenda. 
37 

Fassi  inanzi  gridando:  Anima  vile, 


del  nimico:  ma  de'  Greci  è  il  vincere  com- 
battendo 0  morire  ...  Ma  questo  non  osservò 
già  Virgilio  :  perché  ugualmente  s'avea  pro- 
posto d'ingrandire  la  gente  troiana  e  la  la- 
tina, dalle  quali  doveva  uscire,  come  dice 
Dante,  il  gentil  seme  de'  romani  ».  —  5-6. 
Ariosto,  Ori.  xxxvi  55:  «  Una  furia  infernal 
quando  si- sferra,  Sembra  Marflsa  ».  — 
Aletto:  una  delle  Furie.  —  Med.:  una  delle 
Gorgoni.  —  spire:  spiri. 

34,  1.  in  questo:  frattanto,  mentre  cosi 
parla.  —  3.  si  desvia  ecc.:  Ottone  che  è  a 
terra  si  toglie  a  tempo  dalla  linea  tenuta 
dal  destriero  di  Argante,  cosi  che  questo 
non  incontrandolo  passa  oltre,  ed  esso  Ot- 
tone può  ferire  il  Saracino  al  fianco  destro. 
—  8.  ginnjje:  aggiunge.  —  *  ira  a  furore. 
Cosi  ros.  —  B  e  molti  altri  ira  e  furore, 
che  forse  non  è  lezione  disprezzabile,  per- 
ché  furore  è  più  che  ira. 

*  35,  7.  Fégli.  Os.   Gli  fé. 

36,  1-2.  Virg.  Aen.  x  495:  «  Et  laevo  pres- 
sit  pede,  talia  fatus,  Exanimem  ».  —  5.  bada  : 
sta  a  bada,  s'intrattiene  più  oltre. 

37.  Il  Galilei:  «  Inveisce  assai  nobilmente 
qui  Tancredi  contro  alla  fellonia  di  Ar- 
gante .     E  di  tutto    il  luogo  :    «  Non  si  può 


CANTO  VI 


71 


Che  ancor  ne  le  vittorie  infame  sei, 
Qual  titolo  di  lande  alto  e  gentile 
Da  modi  attendi  si  scortesi  e  rei? 
Fra  i  ladroni  d'Arabia,  o  fra  simile 
Barbara  tnrba  avvezzo  esser  tu  dei. 
Fuggi  la  luce,  e  va'  con  l'altre  belve 
A  incrudelir  ne'  monti  e  tra  le  selve. 
33 
Tacque;  e'I  Pagano,  al  sofiferir  poco  uso, 
Morde  le  labra,  e  di  furor  si  strugge: 
Risponder  vuol;  ma'l  suono  esce  confuso, 
Si  come  strido  d'animai  che  rugge; 

0  come  apre  le  nubi,  ond'egli  è  chiuso, 
Impetuoso  il  fulmine,  e  se  'n  fugge, 
Cosi  pareva  a  forza  ot,nn  suo  detto 
Tonando  uscir  da  rinfiammato  petto. 

39 

Ma,  poi  ch'in  ambo  il  minacciar  feroce 
A  vicenda  irritò  l'orgoglio  e  l'irà, 
L'un  come  l'altro  rapido  e  veloce, 
Spazioalcorsoprendendo,ildestriergira. 
Or  qui,  Musa,  rinforza  in  nae  la  voce, 
E  furor  pari  a  quel  furor  m'inspira, 
Si  che  non  sian  de  l'opre  indegni  i  carmi, 
Ed  esprima  il  mio  canto  il  suon  de  l'armi. 
40 

Posero  in  resta  e  dirizzare  in  alto 

1  duo  guerrier  le  noderose  antenne; 
Né  fu  di  córso  mai,  né  fu  di  salto, 
Né  fu  mai  tal  velocità  di  penne. 

Né  furia  eguale  a  quella,  ond'a  l'assalto 
Quinci  Tancredi,  e  quindi  Argante  venne. 
Rupper  l'aste  su  gli  elmi  e  volar  mille 
Tronconi  e  scheggie  e  lucide  faville. 

41 
Sol  dei  colpi  il  rimbombo  intorno  mosse 
L'immobil  terra,  e  risonarne  i  monti; 


veramente  negare  che  questo  duello  fra  Ar- 
gante e  Tancredi  non  sia  buono  e  che  in 
esso  l'autore  non  meriti  lode».  Vedi  Ario- 
sto, Ori.  XXXVI  8. 

38,  1.  e  '1  Pagano  ecc.:  Ariosto,  Fur. 
XXXVI  21,  5:  «  Marfisa  a  quel  parlar  fremer 
s'udia,  Come  un  vento  marino  in  uno  sco- 
glio. Grida,  ma  si  per  rabbia  si  confonde, 
Che  non  può  esprimer  fuor  quel  che  ri- 
sponde ». 

39,  5.  Dante,  Inf.  xxxii  10:  «Ma  quelle 
donne  aiutino  il  mio  verso  Ch'aiutaro  An- 
fione  a  chiuder  Tebe,  Si  che  dal  fatto  il 
dir  non  sia  diverso  ». 

40,  7.  Meglio  ne  gli  elmi,  come  disse 
nella  Conquist.  vii  61,  7,  altrimenti  par- 
rebbe (come  osservò  il  Galilei,  alla  st.  31), 
«  che  questi  campioni  non  si  ferissero  con 
le  lancia  incontrandosi,  ma  si  bastonassero 
sugli  elmetti  ».  —  8.  Tronconi:  le  3  st.  del 
BoN.  ;  E  tronchi  Os.  e  Conq. 

41,  1-2.  Virg.,  Aen.  ix  706,  e  xii  709.  Ario- 
sto, Oìi.  XIX  92,  7:  «Ecco  la  terra  e  l'aria 


Ma  l'impeto  e  '1  furor  de  le  percosse 
Nulla  piegò  de  le  superbe  fronti. 
L'uno  e  l'altro  cavallo  in  guisa  urtosse, 
Che  non  fur  poi  cadendo  a  sorger  pronti. 
Tratte  le  spade,  i  gran  mastri  di  guerra 
Lasciar  le  staffe,  e  i  i)iè  fermare  in  terra. 
42 

Cautamente  ciascuno  a  i  colpi  move 
La  destra,  a  i  guardi  l'occhio,  a  i  passi  il 
Si  reca  in  atti  varii,  in  guardie  nove;  [piede; 
Or  gira  intorno,  or  cresce  inaiizi,  or  cede; 
Or  qui  ferire  accenna,  e  poscia  altrove, 
Dove  non  minacciò,  ferir  si  vede; 
Or  di  sé  discoprire  alcuna  parte, 
E  tentar  di  schernir  l'arte  con  l'arte. 
43 

De  la  spada  Tancredi  e  de  lo  scudo 
Malguardato  al  Pagan  dimostrai!  fianco: 
Corre  egli  per  ferirlo,  e  in  tanto  nudo 
Di  riparo  si  lascia  il  lato  manco. 
Tancredi  con  un  colpo  il  ferro  crudo 
Del  nemico  ribatte,  e  lui  fere  anco: 
Né  poi,  ciò  fatto,  in  ritirarsi  tarda, 
Ma  si  raccoglie,  e  si  ristringe  in  guarda. 
44 

Il  fero  Argante,  che  se  atesso  mira 
Del  proprio  sangue  suo  macchiato  e  molle, 
Con  insolito  orror  freme  e  sospira, 
Di  cruccio  e  di  dolor  turbato  e  folle: 
E,  portato  da  l'impeto  e  da  l'ira, 
Con  la  voce  la  spada  insieme  estolle, 
E  torna  per  ferire;  ed  è  di  punta 
Piagato,  ov'è  la  spalla  al  braccio  giunta. 
45 

Qual  ne  le  alpestri  selve  orsa,  che  senta 
Duro  spiedo  nel  fianco,  in  rabbia  monta, 
E  centra  l'arme  sé  medesma  avventa, 
E  i  perigli  e  la  morte  audace  affronta; 


e  il  mar  rimbomba,  Nel  muover  loro  al 
primo  suon  di  tromba  »,  —  5.  Verso  del- 
rAriost'o  (Ori.  XXXI  '14,  1).  —  7-8.  Ariosto, 
Ori.  XXXI 14,  7:  «  Il  cavalier  che  '1  destrier 
morto  vede  Lascia  le  staffe  ed  è  sùbito  in 
piede  ». 

42,  8.  schernir;  Forse  il  Tasso  ebbe  l'oc- 
chio a  quel  di  Catone:  «  sic  ars  doluditur 
arte  ».  Boccaccio,  nov.  11:  «  Spesse  volte  av- 
viene che  l'arte  è  dall'arte  schernita». 

43,  1-2:  Costruisci:  Tancredi  dimostra  al 
Pagano  il  fianco  mal  guardato  (difeso)  dalla 
[de  la)  spada  e  dallo  [de  lo)  scudo.  —  8. 
guarda:  guardia. 

44,  8.  giunta:  congiunta. 

45,  1-4.  Virg.,  Aen.  xii  4  «  Poenorum  qua- 
lis  in  arvis  Saucius  ille  gravi  venantum 
vulnero  pectus,  Tum  demum  movet  arma 
leo,  gaudetque  comantes  Excutieus  cervice 
toros,  flxumque  latronis  Impavidus  frangit 
telum   et  fremii   ore  cruento  ».   Ed   anche 


72 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Tale  il  Circasso  indomito  diventa, 
Giunta  or  piaga  a  la  piaga,  ed  onta  al'onta; 
E  la  vendetta  far  tanto  desia, 
Che  sprezza  i  rischi,  e  le  difese  oblia. 
46 

E  congiungendo  a  temerario  ardire 
Estrema  forza  e  infaticabil  lena, 
Vien  che  si  impetuoso  il  ferro  gire, 
Che  ne  trema  la  terra,  e  '1  ciel  balena: 
Né  tempo  ha  l'altro,  oud'un  sol  colpo  tire, 
Onde  si  copra,  onde  respiri  a  pena; 
Né  schermo  v'è  ch'assecurar  il  possa 
Da  la  fretta  d'Argante  e  da  la  possa. 
47 

Tancredi, in  sé  raccolto,  attende  in  vano 
Che  de'  gran  colpi  la  tempesta  passi: 
Or  v'oppon  le  difese,  ed  or  lontano 
Se  'n  va  co'  giri  e  con  veloci  passi  ; 
Ma,  poi  che  non  s'allenta  il  fìer  Pagano, 
È  forza  al  fin  che  trasportar  si  lassi, 
E  cruccioso  egli  ancor  con  quanta  puote 
"Violenza  maggior  la  spada  rote. 
48 

Vinta  da  l'ira  è  la  ragione  e  l'arte, 
E  le  forze  il  furor  ministra  e  cresce. 
Sempre  che  scende  il  ferro,  o  torà  o  parte 
0  piastra  0  maglia;  e  colpo  in  van  non  esce. 
Sparsa  è  d'arme  la  terra,  e  l'arme  sparte 
Di  sangue,  e  '1  sangue  co  '1  sudor  si  mesce. 
Lampo  nelfiammeggiar,  nelromor  tuono, 
Fulmini  nel  ferir  le  spade  sono. 
49 

Questo  popolo  e  quello  incerto  pende 
Da  si  novo  spettacolo  ed  atroce; 
E  fra  tema  e  speranza  il  fin  n'attende, 
Mirando  or  ciò  che  giova,  orcio  che  nóce: 
E  non  si  vede  pur,  né  pur  s'intende 
Picciol  cenno  fra  tanti,  o  bassa  voce; 
Ma  se  ne  sta  ciascun  tacito  e  immoto, 
?e  non  se  in  quanto  ha  il  cor  tremante  in 

[moto. 

(IX  551):  «  Ut  fera,  quae  densa  venantum 
Baepta  corona,  Centra  tela  furit  seseque 
haud  nescia  morti  Inicit,  et  saltu  supra 
venabula  fertur  ». 

46,  3.  Vien:  avvieu.  —  gire:  giri. 

47,  4.  veloci:  le  3  st.  Box.  e  Conq.;  niae- 
stH  Os.  —  {>.  rote:  ruoti,  coordinato  a  si  lassi. 

48,  2.  Virg..  Aen.  i  150:  «  Furor  arma  mi- 
nistrai ».  —  cresce:  accresce:  usato  transi- 
tivamente, come  in  Dante,  Par.  xviii  61: 
«Si  m'accors'io  che  il  mio  girare  intorno 
Col  cielo  insieme  avea  cresciuto  l'arco  ».  — 
3.  parte:  divide. 

49,  5-8.  Ariosto,  Ori.  xix  93,  1:  «  Trar 
fiato,  bocca  aprir,  o  battere  occhi  Non  si 
vedea  de'  riguardanti  alcuno;  Tanto  a  mi- 
rare a  chi  la  palma  tocchi  Dei  due  cam- 
pioni, intento  era  ciascuno  ».  —  S.  Se  non 
se:  se  ne  togli;  eccetto  che. 


50 

Già  lassi  erano  entrambi,  e  giunti  forse 
Sarian  pugnando  ad  immaturo  fine; 
Ma  si  oscura  la  notte  in  tanto  sorse 
Ch'3  nascondea  le  cose  anco  vicine. 
Quinci  un  araldo,  e  quindi  un  altro  accórse 
Per  dipartirli,  e  li  partirò  al  fine. 
L'unoèilfranco  Arideo,  Pindoro  è  l'altro, 
Che  portò  ladisfida,  uomsaggio  e  scaltro. 
51 

I  pacifici  scettri  osar  costoro 
Fra  le  spade  interpor  de'  combattenti, 
Con  quella  securtà  che  porgea  loro 
L'antichissima  legge  de  le  genti. 
Séte,  0  guerrieri,  incominciò  Pindoro, 
Con  pari  cuor,  di  pari  ambo  possenti. 
Dunque  cessi  la  pugna,  e  non  sian  rotte 
Le  ragioni  e  '1  riposo  de  la  notte. 
52 

Tempoèda  travagliar  mentre  ilsoldura; 
Ma  ne  la  notte  ogni  animale  ha  pace: 
E  generoso  cor  non  molto  cura 
Notturno  pregio  che  s'asconde  e  tace. 
Risponde  Argante:  A  me  per  ombra  oscura 
La  mia  battaglia  abbandonar  non  piace: 
Ben  avrei  caro  il  testimon  del  giorno! 
Ma  che  giuri  costui  di  far  ritorno! 
53 

Soggiunse  l'altro  allora:  E  tu  prometti 
Di  tornar,  rimenando  il  tuo  prigione; 
Perch'altrimenti  non  tìa  mai  ch'aspetti 
Per  la  nostra  contesa  altra  stagione. 
Cosi  giuraro:  e  poi  gli  araldi,  eletti 
A  prescriver  il  tempo  a  la  tenzone, 
Per  dare  spazio  a  le  lor  piaglie  onesto, 
Stabilirò  il  mattin  del  giorno  sesto. 
54 

Lasciò  la  pugna  orribile  nel  core 


50,  5.  Scioglimento  imitato  da   Omero, 

II.   VII. 

61,  Guastavini:  «  Omero  loc-  cit.  -  Non 
più,  0  figliuol  cari,  contendete,  ne  fate  bat- 
taglia;- lerciocché  ambo  due  voi  ama, 
cougregator  delle  nubi.  Giove;  -  Ed  ambi 
sete  guerrieri;  e  questo  veramente  cono- 
sciamo tutti.  -  La  notte  è  oramai  presente: 
è  bene  alla  notte  ubbidire  >.  Si  avverta  che 
nei  versi  precedenti  ai  tradotti,  Omero  fa 
che  il  saggio  Ideo,  prima  di  dire  le  cose 
riportate,  ponga  fra  le  nude  spade  il  paci- 
fico scettro. 

62,  1.  travagliar:  operare:  Petrarca,  sest. 
«A  qualunque  animai  alberga  in  terra... 
Tempo  da  travagliare  è  quanto  è  il  giorno 
ecc.».—  3-1.  Orazio,  Od.  IV  ix:  «  Paulura 
sepultae  distat  inertiae  Celata  virtus  ».  — 
*  8.  Ma  clie  giuri.  Os.  Ma  che?  giuri. 

63,  4.  stagione:  tempo.  —7.  onesto:  con- 
veniente. 


CANTO  VI 


73 


De'  Saracini  e  de'  Fedeli  impressa 
Un'alta,  meraviglia  ed  un  orrore 
Che  per  lunga  stagione  in  lor  non  cessa. 
Sol  de  l'ardir  si  parla  e  del  valore 
Che  l'un  guerriero  e  l'altro  ha  mostro  in  es- 
Ma  qual  si  debbia  di  lor  due  preporre,  [sa; 
Vario  e  discorde  il  vulgo  in  sé  discorre: 
55 

E  sta  sospeso  in  aspettando  quale 
Avrà  la  fera  lite  avvenimento; 
E  se  U  furore  a  la  virtù  prevale, 
0  se  cede  l'audacia  a  l'ardimento. 
Ma  più  di  ciascun  altro,  a  cui  ne  cale, 
La  bella  Erminia  n'ha  cura  e  tormento, 
Che  da  i  giudizii  de  l'incerto  Marte 
Vede  pender  di  sé  la  miglior  parte. 
56 

Costei,  che  figlia  fu  del  re  Cassano, 
Che  d'Antiochia  già  l'imperio  tenne, 
Preso  il  suo  regno,  al  vincitor  cristiano, 
Fra  raltreprede,anch'ellain  poter  venne. 
Ma  fulle  in  guisa  allor  Tancredi  umano. 
Che  nulla  ingiuria  in  sua  balia  sostenne  ; 
Ed  onorata  fu,  ne  la  mina 
De  l'alta  patria  sua,  come  reina. 
57 

L'onorò,  la  servi,  di  libertate 
Dono  le  fece  il  cavaliero  egregio; 
E  le  furo  da  lui  tutte  lasciate 
Le  gemme  e  gli  ori  eciò  ch'aveadi  pregio. 
Ella  vedendo  in  giovanetta  etate 
E  in  leggiadri  sembianti  animo  regio. 
Restò  presa  d'Amor,  che  mai  non  strinse 
Laccio  di  quel  più  fermo  onde  lei  cinse. 


65,  2.  ayTenimento:  esito,  successo.  — 
3-4.  Il  furore  e  V audacia  Bono  in  Argante, 
la  virtù  e  Vardimento  in  Tancredi.  —  Pe- 
trarca, canz.  Italia  mia  93:  «Virtù  contra 
furory  Prenderà  l'armi  ». 

66.  AI  Galilei  questo  episodio  di  Erminia 
parve  difettoso,  perché  privo  specialmente 
di  decoro  e  di  verisimiglianza.  A  noi  no, 
sembrandoci  consentaneo  e  convenevole  al 
mite  carattere  di  Erminia  quale  il  poetala 
ideò.  Prima  che  il  Galilei,  altri  al  T.  ave- 
Vano  già  mosse  queste  accuse;  e  dotta  di- 
scolpa ne  fa  egli  in  una  lettera  [Epist.  61), 
ove  cita  anche  l'opinione  di  Aristotele  nella 
Poetica:  «  che  non  è  inverisimile  che  molte 
cose  avvengano  fuori  del  verisimile  »  :  cfr. 
la  nota  alla  st.  60  e  89.  —  1.  Cassano:  ho 
seguita  la  lez.  dell' Os.;  le  3  st.  Bon.  hanno 
Aciano  seguendo  il  nome  che  al  re  d'An- 
tiochia assegna  Gugl.  Tir.:  ma  altrove  il 
T.  l'ha  già  chiamato  Cassano:  cfr.  e.  ii 
71,  4.  —  6.  nulla:  nessuna.  —  in  sua  balia, 
essendo  in  potestà  di  lui.  —  sostenne:  soffri  ; 
come  in  Dante,  Pury.  xi  136:  «  E  li,  per 
trar  l'amico  suo  di  pena.  Che  sostenea  nella 
prigion  di  Carlo  ». 


58 

Cosi  se  '1  corpo  libertà  riebbe, 
Fu  l'alma  sempre  in  servitute  astretta. 
Heii  molto  a  lei  d'abbandonar  increbbe 
11  signor  caro  e  la  prigion  diletta: 
Ma  l'onestà  regal,  che  mai  non  debbe 
Da  magnanima  donna  esser  negletta, 
La  costrinse  a  partirsi,  e  con  l'antica 
Madre  a  ricoverarsi  in  terra  amica. 
59 

Venne  a  Gierusalemme;  e  quivi  accolta 
Fu  dal  tiranno  del  paese  ebreo: 
Ma  tosto  pianse  in  nere  spoglie  avvolta 
De  la  sua  genitrice  il  fato  reo. 
Pur  né  '1  duol  che  le  sia  per  morte  tolta, 
Né  l'esilio  infelice  unqua  poteo 
L'amoroso  desio  sveller  dal  core. 
Né  favilla  ammorzar  di  tanto  ardore. 
60 

Ama  ed  arde  la  misera;  e  si  poco 
In  tale  stato  che  sperar  le  avanza, 
Che  nudrìsce  nel  sen  l'occulto  foco 
Di  memoria  via  più,  che  di  speranza: 
E,  quanto  è  chiuso  in  più  secreto  loco. 
Tanto  ha  l'incendio  suo  maggior  pos- 

(sanz.i 
Tancredi  al  fine  a  risvegliar  sua  spene 
Sovra  Gierusalemme  ad  oste  viene. 
61 

Sbigottir  gli  altri  a  l'apparir  di  tante 
Nazioni  e  si  indomite  e  si  fere: 
Fé'  sereno  ella  il  torbido  sembiante, 
E  lieta  vagheggiò  le  squadre  altere; 
E  con  avidi  sguardi  il  caro  amante 


60.  Tasso  {Leti.  75):  <  Quanto  a  gli  amori 
e  a  gli  incanti,  quanto  più  vi  penso,  tanto 
più  mi  confermo  che  siano  materia  per  sé 
convenevolissima  al  poema  eroico;  parlo 
de  gli  amori  nobili,  non  di  quelli  de  la 
Fiammetta,  né  di  quelli  che  hanno  alquanto 
del  tragico.  Né  tragici  io  chiamo  solamente 
gli  infelici  di  fine  (sebbene  questi  maggior- 
mente son  tragici),  perché  la  infelicità  del 
fine,  come  testimonia  Aristotele,  non  è  ne- 
cessaria ne  la  tragedia;  ma  tragici  chiamo 
tutti  quelli  che  sono  perturbati  con  grandi 
e  maravigliosi  accidenti,  e  grandemente 
patetici;  e  tale  è  l'amore  di  Erminia,  de  la 
quale  accennerei  volentieri  nel  poema  il 
fine  {il  che  poi  non  fece),  e  '1  vorrei  santo 
e  religioso  »  —  1-4.  Ovidio,  3Iet.  ix  749: 
«  Spes  est,  quae  capiat,  spes  est,  quae  pa- 
scal amorem  »:  Petrarca,  canz.  Solea  della 
fontan.  6:  «  Di  memoria  e  di  speme  il  cor 
pascendo*,  e  poco  dopo:  «Sol  memoria 
m'avanza;  E  pasco  il  gran  desir  sol  di  que- 
st'una».  —  che  sperar,  da  sperare.  —  5-6. 
Ricorda  Ovidio,  Met.  iv  64:  «  Quoque  ma- 
gia tegitur,  tectua  magia  aeatuat  ignia  ». 


74 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Cercando  gio  fra  quelle  armate  schiere. 
Cercollo  iu  van  sovente,  ed  anco  spesso: 
Eccolo,  disse;  e '1  riconobbe  espresso. 
62 
Nel  palagio  regal  sublime  sorge 
Antica  torre  aSsai  presso  a  le  mura, 
Da  la  cui  sommità  tutta  si  scorge 
L'oste  cristiana,  e  '1  monte  e  la  pianura. 
Quivi,  da  che  il  suo  lume  il  sol  ne  porge, 
In  sin  che  pei  la  notte  il  mondo  oscura 


' 


Con  sollecito  moto  il  cor  le  scote; 
Ma  de  le  piaghe,  ch'egli  avea,  l'affanno 
È  cagion  che  quetar  l'alma  non  puote: 
E  i  fallaci  roraor,  ch'intorno  vanno, 
Crescou  le  cose  incognite  e  remote; 
Si  ch'ella  avvisa  che  vicino  a  morte 
Giaccia  oppresso  languendo  il  gnerrier 

67  ^    [foi'te. 

E  però  ch'ella  da  la  madre  apprese, 
Qual  più  secreta  sia  virtù  de  l'erbe, 


S'asside,  e  gli  occhi  verso  il  campo  gira,  i  e  con  quai  carmi  ne  le  membra  offese 
E  co' pensieri  suoi  parla  e  sospira. 

63 
Quinci  vide  la  pugna,  e  "1  cor  nel  petto 
Senti  tremarsi  in  quel  punto  si  forte, 
Che  parea  che  dicesse:  11  tuo  diletto 
È  quegli  là  ch'in  rischio  è  de  la  morte. 
Cosi  d'angoscia  piena  e  di  sospetto 
Mirò  i  successi  de  la  dubbia  sorte, 
E,  sempre  che  la  spada  il  Pagan  mosse. 
Senti  ne  l'alma  il  ferro  e  le  percosse. 

Ma,  poi  ch'il  vero  intese,  e  intese  ancora 
Che  dee  l'aspra  tenzon  rinovellarsi, 
Insolito  timor  cosi  l'accora 
Che  sente  il  sangue  suo  di  ghiaccio  farai. 
Talor  scerete  lagrime,  e  talora 
Sono  occulti  da  lei  gemiti  sparsi: 
Pallida,  esangue,  e  sbigottita  in  atto, 
Lo  spavento  e  '1  dolor  v'avea  ritratto. 
65 

Con  orribile  imago  il  suo  pensiero 
Ad  or  ad  or  la  turba  e  la  sgomenta; 
E,  via  più  che  la  morte,  il  sonno  è  fiero; 
Si  strane  larve  il  sogno  le  appresenta. 
Parie  veder  l'amato  cavaliero 
Lacero  e  sanguinoso  ;  e  par  che  senta 
Ch'egli  aita  le  chieda;  e,  desta  in  tanto. 
Si  trova  gli  occhi  e  '1  sen  molle  di  pianto. 
66 

Né  sol  la  tema  di  futuro  danno 


Sani  ogni  piaga,  e  il  duol  si  disacerbe, 
(Arte  che  per  usanza  in  quel  paese 
Ne  le  figlie  de  i  re  par  che  si  serbe), 
Vorria  di  sua  man  propria  a  le  ferute 
Del  suo  caro  signor  recar  salute. 

68 
Ella  l'amato  medicar  desia; 
E  curar  il  nemico  a  lei  conviene: 
Pensa  talor  d'erba  nocente  e  ria 
Succo  sparger  in  lui  che  l'avvelene; 
Ma  schiva  poi  la  man  vergine  e  pia 
Trattar  l'arti  maligne,  e  se  n'astiene. 
Brama  ella  al  men  ch'in  uso  tal  sia  vota 
Di  sua  virtude  ogn'erba  ed  ogni  nota. 

69 
I    Né  già  d'andar  fra  la  nemica  gente 
:  Temenza  avria:  che  peregrina  era  ita, 
j  ìjL  viste  guerre  e  stragi  avea  sovente, 
I  E  scorsa  dubbia  e  faticosa  vita; 
{  Si  che  per  l'uso  la  feminea  mente 
I 


61,  8.  Le  3  st.  Don.  e  Conq.  leggono  cosi 
il  verso;  ma  Os.  Rafflgv.rollo  e  disse:  Egli 
è  pur  desso. 

62.  Ovidio,  Met.  viii  14:  «Regia  turris 
erat...  Saepe  illuc  solita  est  ascendere  lilia 
Nisi...  be.lo  quoque  saepe  solebat  Spectare 
ex  illa  rigidi  certamina  Martis  »  —  8.  Pe- 
trarca, cauz.  Pùi  che  per  mio  destino  76; 

•  sento  già  stancar  la  penna  Del  lungo  e 
dolce  ragionar  con  lei,  Ma  non  di  parlar 
meco  i  pensier  miei  ». 

64,  3.  Insolito  timor  ecc.  Virg.,  AeM.ni29: 

•  mihi  frigidus  horror  Membra  quatit  ge- 
lidusque  coit  formidioe  sanguis  ».  E  ancóra: 
III  ì:59:  «  At  sociis  subita  gelidus  formidine 
sanguis  Diriguit  ».  —  8.  t'area  ritratto:  di. 
pinto.  Il  vi  si  riferisce  ad  atto. 

66,  1.  Petrarca,  Tr.  Mort.  ii  48:  «  Ma  più 


la  tema  dell'eterno  danno  ».  Ariosto.  Ori. 
xxvm  161:  *  Ma  più  è  la  tema  del  futuro 
danno  ». 

67.  Mella:  *  Tutti  i  romanzi  di  cavalle- 
ria, avverte  lo  Chateaubriand,  rammentano^ 
figlie  di  re  e  gentili  donne  istrutte  nell'arte 
di  medicare.  Queste  arcane  cognizioni  sulla 
virtù  dell'erbe  e  la  potenza  di  superstiziosi 
amuleti  facevan  parte  della  educazione  so- 
lita darsi  alle  donzelle  nobili  e  di  corte:  le 
une  alle  altre  si  trasmettevano  la  cono- 
scenza delle  virtù  delle  erbe  <»-  —  L'Ariosto, 
di  Angelica,  Ori.  xix21:  «E  rivocando  alla 
memoria  l'arte  Che  in  India  imparò  già  di 
chirurgia  (Che  par  che  questo  studio  in 
quella  parte  Nobile  e  degno  e  di  gran 
laude  sia;  E,  senza  molto  rivoltar  di  carte, 
Che  '1  padre  ai  figli  ereditario  il  dia).  Si  di 
spose  operar  con  succo  d'erbe  Ch'a  più  ma- 
tura vita  lo  riserbe  ».  —  7.  ferate,  per  fe- 
rite., già  usato  da  Dante;  e  si  troverà  spesso 
nel  Nostro. 

68,  2.  nemico  à^W amato.,  cioè  Argante. 
—  7.  ch'in  nso  tal  sia  ròta:  che  nell'uso  a 
che  deve  servire,  di  medicar  Argante,  sia 
priva  ecc.  —  8.  nota:  formula  magica:  cor- 
risponde alla  parola  carmi  della  st.  prece- 
dente. 


CANTO  VI 


75 


Sovra  la  sua  natura  è  fatta  ardita-, 
E  di  leggier  non  si  conturba  e  pavé 
Ad  ogni  imagin  di  terror  raen  grave. 

70 
Ma,  più  ch'altra  cagion,  dal  molle  seno 
S;?ombra  Amor  temerario  ogni  paura; 
E  crederla  fra  l'ugne  e  fra'l  veneno 
De  l'africane  belve  andar  secura: 
l'iir,  se  non  de  la  vita,  avere  al  meno 
De  la  sua  fama  dee  temenza  e  cura; 
E  fan  dubbia  contesa  entro  al  suo  core 
Duo  potenti  nemici,  Onore  e  Amore. 

71 
L'uD  cosi  le  ragiona:  0  verginella, 
Che  le  mie  leggi  in  sino  ad  or  serbasti, 
,     Io,  mentre  ch'eri  de'  nemici  ancella, 
i    Ti  conservai  la  mente  e  i  membri  casti; 
E  tu,  libera,  or  vuoi  perder  la  bella 
Verginità  ch'in  prigionia  guardasti? 
Ahi!  nel  tenero  cor  questi  pensieri 
Chi  svegliar  può?  che  pensi,  oimè?  che 

72  [speri? 

Dunque  il  titolo  tu  d'esser  pudica 
Si  poco  stimi,  e  d'onestate  il  pregio, 
Che  te  n'andrai  fra  nazì'on  nemica. 
Notturna  amante,  a  ricercar  dispregio? 
Onde  il  superbo  vincitor  ti  dica: 
Perdesti  il  regno,  e  in  un  l'animo  regio; 
Non  sei  di  me  tu  degna:  e  ti  conceda 
Vulgare  a  gli  altri  e  mal  gradita  preda. 

73 
Da  l'altra  parte,  il  consiglier  fallace 
Con  tai  lusinghe  al  suo  piacer  l'alletta: 
Nata  non  sei  tu  già  d'orsa  vorace. 
Né  d'aspro  e  freddo  scoglio, o  giovanetta; 
Ch'abbia  a  sprezzar  di  Amor  l'arco  e  la 
Ed  a  fuggir  ognor  quel  che  diletta;  [face, 
Né  petto  hai  tu  di  ferro  o  di  diamante, 
Che  vergogna  ti  sia  l'essere  amante. 

74 
Deh  !  vanne  omai  dove  il  desio  t' invoglia. 
Ma  qual  ti  fingi  vincitor  crudele? 
Non  sai  com'egli  al  tuo  doler  si  doglia, 
Come  compianga  al  pianto,  a  le  querele? 
Crudt'l  sei  tu,  che  con  si  pigra  voglia 
Movi  a  portar  salute  al  tuo  fedele. 
Langue,  o  fera  ed  ingrata,  il  pio  Tancredi  : 
E  tu  de  l'altrui  vita  a  cura  siedi! 


69,  7.  E  di  leggici-  non  si   conturba:    Né 

così  di  leggier  si  turba  Os.  —  pare:  s'inti- 
morisce. 

70,  7-8.  Ovidio,  Amor,  iii  Eleg.  x  27: 
*  Vidit  et  ut  teuerae  flammam  rapuere  me- 
duUae,  Hinc  Pudor,  ex  alia  parte  trahebat 
Amor  •. 

73,  3-6.  Cfr.  cant.  iv  77;  x,  4-8,  e  canto 
XVI  str.  56:  Ariosto,  Ori.  ii  32:  tE  costei, 
che  né  d'orso  né  di  Aero  Leone  usci,  non 
sdegnò  tal  amante  ». 


75 

Sana  tu  pure  Argante,  acciò  che  poi 
Il  tuo  liberator  sia  spinto  a  morte; 
Cosi  discioiti  avrai  gli  oblighi  tuoi, 
E  si  bel  premio  fia  ch'ei  ne  riporte. 
È  possibil  però  che  non  t'annoi 
Questo  empio  ministero  or  cosi  forte. 
Che  la  noia  non  basti  e  l'orror  solo 
A  far  che  tu  di  qua  te  'n  fugga  a  volo? 
76 

Deh!  ben  fora,  a  l'in  centra,  uffizio  umano, 
E  ben  ne  avresti  tu  gioia  e  diletto. 
Se  la  pietosa  tua  medica  mano 
Avvicinassi  al  valoroso  petto; 
Che  per  te  fatto  il  tuo  signor  poi  sano 
Colorirebbe  il  suo  smarrito  aspetto: 
E  le  bellezze  sue,  che  spente  or  sono, 
Vagheggiaresti  in  lui  quasi  tuo  dono. 
77 

Parte  ancor  poi  ne  le  sue  lodi  avresti, 
E  ne  l'opre  ch'ei  fésse  alte  e  famose; 
Ond'egli  te  d'abbracciamenti  onesti 
Faria  lieta,  e  di  nozze  avventurose. 
Poi  mostra  a  dito  ed  onorata  andresti 
Fra  le  madri  latine  e  fra  le  spose 
Là  ne  la  bella  Italia,  ov'è  la  sede 
Del  valor  vero  e  de  la  vera  fede. 
78 

Da  tai  speranze  lusingata  (ahi  stolta!) 
Somma  felicitate  a  sé  figura; 
Ma  pur  si  trova  in  mille  dubbi  avvolta 
Come  partir  si  possa  indi  secura;   [volta 
Perché  vegghian  le  guardie,  e  sempre  in 
Van  di  fuori  al  palagio  e  su  le  mura  ; 
Né  porta  alcuna,  in  tal  rischio  di  guerra, 
Senza  grave  cagion  mai  si  disserra. 
79 

Soleva  Erminia  in  compagnia  sovente 
De  la  guerriera  far  lunga  dimora. 
Seco  la  vide  il  sol  da  l'occidente,     \ 
Seco  la  vide  la  novella  aurora;  \ 

E  quando  son  del  di  le  luci  spente. 
Un  sol  letto  le  accolse  ambe  talora: 
E  nuU'altro  pensier,  che  l'amoroso, 
L'una  vergine  a  l'altra  avrebbe  ascoso. 
80 

Questo  sol  tiene  Erminia  a  lei  secreto, 
E  s'udita  da  lei  talor  si  lagna. 
Reca  ad  altra  cagion  del  cor  non  lieto 
Gli  affetti,  e  par  che  di  sua  sorte  piagna. 
Or,  in  tanta  amistà,  senza  divieto 
Venir  sempre  ne  puote  a  la  compagna; 
Né  stanza  al  giunger  suo  già  mai  si  serra, 
Siavi  Clorinda,  o  sia  in  consiglio,  o  'n  guer- 

[ra. 


*  75,  3-4.  Questi  due  versi  sono  ironici. 
Os.  legge:  ne  riporte? 

76,  8.  Yagiioggiarcsti:  vagheggeresti. 
80,  3.  Bccu:  riferisce. 


76 


GERUSALEMME  LIBERATA 


81 

Vennevi  un  giorno  ch'ella  in  altra  parte 
Si  ritrovava,  e  si  fermò  pensosa, 
Par  tra  sé  rivolgendo  i  modi  e  l'arte 
De  la  bramata  sua  partenza  ascosa. 
Mentre  in  varii  peusier  divide  e  parte 
L'incerto  animo  suo,  clie  non  lia  posa, 
Sospese  di  Clorinda  in  alto  mira 
L'arme  e  le  sopraveste  :  allor  sospira. 
62 

E  tra  sé  dice  sospirando:  0  quanto 
Beata  è  la  fortissima  donzella! 
Quant'io la  invidio!  euonle  invidioil  van- 
O  '1  feminil  ouor  de  l'esser  bella,  [to 

A  lei  non  tarda  i  passi  il  lungo  manto, 
Né'l  suo  valor  rinchiude  invidii  cella; 
Ma  veste  l'arme,  e  se  d'uscirne  agogna 
Vassene,  e  non  la  tien  tema  o  vergogna. 
83 

Ah  perché  forti  a  me  natura  e  '1  cielo 
Altrettanto  non  fèr  le  membra  e  '1  petto 
Onde  potessi  anch'io  la  gonna  e  '1  velo 
Cangiar  ne  la  corazza  e  ne  l'elmetto? 
Che  si  non  riterrebbe  arsura  o  gelo,  [fetto, 
Non  turbo  o  pioggia  il  mio  infiammato  af- 
Ch'al  sol  non  fossi  ed  al  notturno  lampo, 
Accompagnata  o  sola,  armata  in  campo. 
84 

Già  non  avresti,  o  dispietato  Argante, 
Co  '1  mio  signor  pugnato  tu  primiero; 
Ch'io  sarei  córsa  ad  incontrarlo  inante: 
E  forse  or  fora  qui  mio  prigioniero, 
E  sosterria  da  la  nemica  amante 
Giogo  di  servitù  dolce  e  leggiero; 
E  già  per  li  suoi  nodi  i'  sentirei 
Fatti  soavi  e  alleggeriti  i  miei. 
85 

0  vero  a  me  da  la  sua  destra  il  fianco 
Sendo  percosso,  e  riaperto  il  core, 
Pur  risanata  in  cotal  guisa  al  manco 
Colpo  di  ferro  avria  piaga  d'Amore: 
Ed  or  la  mente  in  pace  e  '1  corpo  stanco 
Riposariansi;  e  forse  il  vincitore 
Degnato  avrebbe  il  mio  cenere  e  l'ossa 
D'alcun  onor  di  lagrime  e  di  fossa. 
8»5 

Ma,  lassa!  i'  bramo  non  possibil  cosa, 
E  tra  folli  pensier  in  van  m'avvolgo: 
Io  mi  starò  qui  timida  e  dogliosa 


Com'una  pur  del  vii  femineo  vólgo. 
Ah!  non  starò:  cor  mio.  confida  ed  osa. 
Perch'nna  volta  anch'io  l'arme  non  tolgo? 
Perché  per  breve  spazio  non  potrolle 
Sostener,  ben  che  sia  debile  e  molle? 
87 

Si  potrò,  si:  che  mi  farà  possente 
A  tollerarne  il  peso  Amor  tiranno; 
Da  cui  spronati,  ancor  s'arman  sovente 
D'ardire  i  cervi  imbelli  e  guerra  fanno. 
i  Io  guerreggiar  non  già,  vuo'  solamente 
Far  con  quest'arme  un  ingegnoso  ingan- 
Finger  mi  vo' Clorinda;  e.  ricoperta  [no; 
Sotto  Timagin  sua,  d'uscir  sou  certa. 
83 

Non  ardirieno  a  lei  far  i  custodi 
De  l'alte  porte  resistenza  alcuna. 
Io  pur  ripenso,  e  non  veggio  altri  modi: 
Aperta  è,  credo,  questa  via  sol  una. 
Or  favorisca  l'innocenti  frodi 
Amor,  che  le  m'inspira,  e  la  fortuna. 
E  ben  al  mio  partir  comoda  è  l'ora, 
Mentre  co  '1  re  Clorinda  anco  dimora. 
89 

Cosi  risolve:  e,  stimolata  e  punta 
Da  le  furie  d'Amor,  più  non  aspetta: 
Ma  da  quella  a  la  sua  stanza  congiunta 
L'arme  involate  di  portar  s'afi"retta: 
E  far  lo  può;  che,  quando  ivi  fu  giunta, 
Die  loco  ogn'altro,  e  si  restò  soletta; 
E  la  notte  i  suoi  furti  ancor  copria, 
Ch'a  i  ladri  amica  ed  a  gli  amanti  uscia. 
90 

Essa  veggendo  il  ciel  d'alcuna  stella 
Già  sparso  intorno  divenir  più  nero, 
Senza  frapporvi  alcuno  indugio,  appella 
Secretameute  un  suo  fedel  scudiero 
Ed  una  sua  leal  diletta  ancella, 
E  parte  scopre  lor  del  suo  pensiero: 
Scopre  il  disegno  de  la  fuga,  e  finge 
Ch'altra  cagion  a  dipartir  l'astringe. 


81,  5-6.  Virgilio,  Aen.  iv  285:  «  Atque 
animum  nane  huc  celerem,  nuuc  dividit  11- 
luc:  In  partesque  rapit  varias  ». 

83,  7.  lampo:  raggio:  notturno  lampo:  la 
luna. 

85,  6.  Kipos.iriansi:  riposeriansi. 

86,  3.  Io  mi  starò:  cosi  leggono  le  3  st. 
BoN.  e  CONQ.,  e  mettono  punto  fermo  ove 
termina  il  vers.  seg.  ;  ma  Dunque  io  stxrò 
con  punto  interrog.  dopo  volgo  Os. 


87,  2.  A  sostenerne  il  peso  legge  Conq.; 
Amoi\  onde  alta  forza  i  raen  forti  hanm 
03.  —  3-4.  «Boccaccio,  Fiararixeita:  —  B 
ne'  boschi  timidi  cervi  fatti  fra  sé  feroci, 
quando  costui  {Amore)  gli  tocca,  perle  d( 
siderate  cerve  combattendo  ecc.  ».  (Guastai 
vini). 

89,  \.  Cosi  risolte  ecc.:  Il  T.  a  chi  pareva 
strano  che  Erminia  s'armi,  che  monti  a  ca- 
vallo, che  ésca  della  città,  opponeva  (Lett.  61 
già  cit.)  i  fatti  di  Scilla  che,  per  tradire  il 
padre,  uscita  dalla  città  andò  al  campo  ne- 
mico, e  di  Clelia,  che,  in  compagnia  delle 
vergini  date  in  ostaggio,  ingannò  le  guar- 
die, parti  dai  nemici  e  passò  a  nuoto  il 
Tevere  ;  aggiungendo  che  la  forza  che  spinse 
le  vergini,  cioè  l'emulazione  delle  civili 
virtù,  appar  meno  efficace  di  quella  che 
spinge  Erminia:  l'amore. 


CANTO  VI 


77 


91 
I.o  scudiero  fedel  sùbito  appresta 
Ciò  eli'al  lor  uopo  necessario  crede. 
Knuiuia  in  tanto  la  pomposa  vesta 
Si  spoglia,  clic  le  scende  in  sino  al  piede. 
E  in  ischietto  vestir  leggiadra  resta 
E  snella  si,  ch'ogni  credeiiza  eccede: 
Né,  trattane  colei  ch'a  la  partita 
Scelta  s'avca,  compagna  altra  l'aita. 

92 
Co  '1  durissimo  acciar  preme  ed  offende 
11  delicato  collo  e  Taurea  chioma; 
E  la  tenera  man  lo  scudo  prende, 
l'ur  troppo  grave  e  insopportabil  soma. 
Cosi  tutta  di  ferro  intorno  splende, 
E  in  atto  militar  sé  stessa  doma. 
(jode  Amor,  eh' è  presente,  e  tra  sé  rido, 
Cora'allorgià  ch'avvolse  in  gonna  Alcide. 

93 
Oh!  con  quanta  fatica  ella  sostiene 
L'inegual  peso,  e  move  lenti  i  passi; 
Ed  a  la  fida  compagnia  s'attiene, 
Clie  per  appoggio  andar  dinanzi  fassi. 
Ma  rinforzan  gli  spirti  Amore  e  spene, 
E  iiiinistran  vigore  a  i  membri  lassi; 
si  che  giungono  al  loco  ove  le  aspetta 
Lo  scudiero,  e  in  arcion  sagliouo  in  fretta. 

94 
Travestiti  ne  vanno,  e  la  più  ascosa 
E  più  riposta  via  prendono  ad  arte: 
Pur  s'avvengono  in  molti,  e  l'aria  ombrosa 
Veggion  lucer  di  ferro  in  ogni  parte; 
Ma  impedir  lor  viaggio  alcun  non  osa, 
E,  cedendo  il  sentier,  ne  va  in  disparte; 
Che  quel  candido  ammanto  e  la  temuta 
Insegna  anco  ne  l'ombra  è  conosciuta, 

95 
Erminia,  ben  che  quinci  alquanto  sceme 
Del  dubbio  suo,  non  va  però  secura; 
Che  d'essere  scoperta  a  la  fin  teme, 
E  del  suo  troppo  ardir  sente  or  paura: 
Ma  pur,  giunta  a  la  porta,  il  timor  preme, 
Ed  ingannò  colui  che  n'ha  la  cura. 
Io  son  Clorinda,  disse;  apri  la  porta; 
Ché'J  re  m'invia  dove  l'andare  importa. 

96 
La  voce  feminil  sembiante  a  quella 


91,  3-6.  Ariosto,  di  Marfisa,  Ori.  xxvi 
SO  5:  «  Trasse  la  gonna  ed  in  farsetto  uscio; 
E  le  belle  fattezze  e  il  ben  disposto  Corpo 
mostrò  ».  —  5.  {.schietto:  semplice. 

92,  6.  doma:  fa  violenza  a  se  stessa;  Pe- 
trarca, Tr.  Am.  HI  30:  «Or  in  atto  servii 
sé  stessa  doma  ». 

93,  2.  ine^nal;  sproporzionato  alle  forze 
di    ei. 

91,  7-8.  la  temuta  Insegna:  cioè  la  tigre 
Che  fiulVelmo  ha  per  cimiero^  cfr.  e.  ii  38,  5. 
95  1.  quinci.  Os.  quivi. 


De  la  guerriera,  agevola  l'inganno, 
(Chi  crederla  veder  armata  in  sella 
Una  de  l'altre,  ch'arme  oprar  non  sanno?)  : 
Si  che'l  portier  tosto  ubbidisce;  ed  ella 
N'esce  veloce,  e  i  duo  che  seco  vanno: 
E  per  lor  securezza  entro  le  valli 
Calando  prendon  lunghi  obliqui  calli. 
97 

Ma,  poi  ch'Erminia  in  solitaria  ed  ima 
Parte  si  vede,  alquanto  il  córso  allenta. 
Ch'i  primi  rischi  aver  passati  estima, 
Né  d'esser  ritenuta  omai  paventa. 
Or  pensa  a  quello  a  che  pensato  in  prima 
Non  bene  aveva;  ed  or  le  s'appresenta 
Difficil  più,  ch'a  lei  non  fu  mostrata 
Dal  frettoloso  suo  desir,  l'entrata. 
93 

Vede  or  che  sotto  il  militar  sembiante 
Ir  tra  feri  nemici  è  gran  follia; 
Né  d'altra  parte  palesarsi,  iiiante 
Ch'ai  suo  signor  giungesse,  altrui  vorria. 
A  lui  secreta  ed  improvisa  amante 
Con  secura  onestà  giunger  desia; 
Onde  si  ferma,  e  da  miglior  pensiero 
Eatta  più  cauta,  parla  al  suo  scudiero: 
99 

Essere,  o  mio  fedele,  a  te  conviene 
Mio  precursori  ma  sii  pronto  e  sagace. 
Vattene  al  campo,  e  fa'  ch'alcun  ti  mene 
E  t'introduca  ove  Tancredi  giace: 
A  cui  dirai  che  donna  a  lui  ne  viene, 
Che  gli  apporta  salute  e  chiede  pace: 
Pace;  poscia  ch'Amor  guerra  mi  move, 
Ond'ei  salute,  io  refrigerio  trove  : 
100 

E  ch'essa  ha  in  lui  si  certa  e  viva  fede, 
Ch'in  suo  poter  non  teme  onta  né  scorno. 
Di'sol  questo  a  lui  solo;  es'altro  ei  chiede 
Di'  non  saperlo;  e  affretta  il  tuo  ritorno. 
lo  (che  questa  mi  par  secura  sede) 
In  questo  mezzo  qui  farò  soggiorno. 
Cosi  disse  la  donna;  e  quel  leale 
Gin  veloce  cosi  come  avesse  ale. 
101 

E  'n  guisa  oprar  sapea,  ch'amicamente 
Entro  a  1  chiusi  ripari  era  raccolto, 
E  poi  condotto  al  cavalier  giacente, 
Che  l'ambasciata  udia  con  lieto  vólto: 
E  già  lasciando  ei  lui,  che  ne  la  mente 
Mille  dubbii  pensier  avea  rivolto, 
Ne  riportava  a  lei  dolce  risposta: 
Ch'entrar  potrà,  quanto  più  lice,  ascosta. 
102 

Ma  ella  in  tanto  impaziente,  a  cui 
Troppo  ogni  indugio  par  noioso  e  greve, 


0- 
101,  1.  E  'n   guisa  oprar   sapca:    cosi  le 
f5t.  BoN.  e  CoNQ.;   E  seppe  in  guisa  oprar 
OS.  —  *  4.  udi'a.  Os,  udì. 


73 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Numera  fra  se  stessa  i  passi  altrui, 
E  pensa: or  giunge,  or  entra,  or  tornar  de- 
E  già  le  sembra,  e  se  ne  duol,  colui    [ve. 
Men  del  solito  assai  spedito  e  leve. 
Spingesi  al  fine  inauti,  e  'n  parte  ascende 
Onde  comincia  a  discoprir  le  tende. 
10  i 

Era  la  notte,  e  '1  suo  stellato  velo 
Chiaro  spiegava  e  senza  nube  alcuna; 
E  già  spargea  rai  lumino-?!  e  gelo 
Di  vive  perle  la  sorgente  luna. 
L'innamorata  donna  iva  co  '1  cielo 
Le  sue  fiamme  sfogando  ad  una  ad  una; 
E  secretarli  del  suo  amore  antico 
Fea  i  muti  campi  e  quel  silenzio  amico. 
104 

Poi,  rimirando  il  campo,  ella  dicea: 
0  belle  a  gli  occhi  miei  tende  latine! 
Aura  spira  da  voi  che  mi  ricrea, 
E  mi  conforta  pur  che  m'avvicina: 
Cosi  a  mia  vita  combattuta  e  rea 
Qualche  onesto  riposo  il  ciel  destine, 
Come  in  voi  solo  il  cerco,  e  solo  parmi 
Che  trovar  pace  io  possa  in  mezzo  a  Tarmi. 

105 

Raccogliete  me  dunque:  e  in  voi  si  trove 
Quella  pietà  che  mi  promise  Amore, 
E  ch'io  già  vidi,  prigioniera  altrovje, 
Nel  mansueto  mio  dolce  signore: 
Né  già  desio  di  racquistar  mi  move 
Co '1  favor  vostro  il  mio  regale  onore: 
Quando  ciò  non  avvenga,  assai  felice 
lo  mi  terrò,  se  "n  voi  servir  mi  lice. 
lOG 

Cosi  parla  costei;  che  non  prevede 
Qual  dolente  fortuna  a  lei  s'ajìpreste. 
Ella  era  in  i)nrte  ove  per  dritto  tìede. 
L'armi  sue  terse  il  bel  raggio  celeste; 
Si  che  da  lunge  il  lampo  lor  si  vede 
Co'l  bel  candor  che  le  circonda  e  veste; 
E  la  gran  tigre  ne  l'argento  impressa 
Fiammeggia  si,  ch'ognun  direbbe:  E  des- 
io? [sa. 

Come  volle  sua  sorte,  assai  vicini 


102,  3-6.  L'Ariosto,  di  Ruggiero,  Ori.  va 
25, 5:  «  Tra  sé  dicea  sovente  :  or  si  part'ella, 
E  cominciava  a  noverar  i  passi  Ch'esser, 
potean  da  la  sua  stanza  a  quella,  Donde 
aspettando  sta  ch'Alcina  passi  ». 

103,  5-8.  Petrarca,  son.  Quaìido  '/  sol  ba- 
gna 3:  '  Col  cielo  e  con  le  stelle  e  con  la 
luna  Un'angosciosa  e  dura  notte  innarro. 
Poi,  lasso,  a  tal  che  non  m'ascolta  narro 
Tutte  le  mie  fatiche  ad  una  ad  una  »• 

105,  8.  se  'n  voi:  se  accolta  entro  di  voi. 

106,  3.  per  dritto  flede:  dirittamente  feri- 
sce. Vijg.,  Aen.  IX  373:  »^t  galea  Euryalum 
Bublustri  noctis  in  umbra  ProdiJit  imme- 
morem,  radiisque  adversa  refulsit  >. 


Molti  guerrier  disposti  avean  gli  agguati; 
E  n'eran  duci  duo  fratei  latini, 
.Meandro  e  Poliferno;  e  fiir  mandati 
Per  impedir  che  dentro  a  i  Saracini 
Greggenonsiano,  enonsian  buoi  menati: 
E  se  '1  servo  passò,  fu  perché  torse 
Più  lunge  il  passo,  e  rapido  trascorse. 
108 

Al  giovin  Poliferno,  a  cui  fu  il  padre 
Su  gli  occhi  suoi  già  da  Clorinda  ucciso, 
Viste  le  spoglie  candide  e  leggiadre, 
Fu  di  veder  l'alta  guerriera  avviso -. 
E  contra  le  irritò  le  occulte  squadre; 
Né  frenando  del  cor  moto  iniproviso 
(Come  era  in  suo  furor  sùbito  e  folle) 
Gridò:  Sei  morta,  e  l'asta  in  van  lanciolle. 
109 

Si  come  cerva,  ch'assetata  il  passo 
ilOva  a  cercar  d'acque  lucenti  e  vive, 
Ove  un  bel  fonte  distillar  d'un  sasso, 
0  vide  un  fiume  tra  frondose  rive, 
Se  incontra  i  cani  allor  che  '1  corpo  lasso 
Ivistorar  crede  a  l'onde,  a  l'ombre  estive, 
Volge  in  dietro  fuggendo,  e  la  paura 
La  stanchezza  obliar  face  e  l'arsura; 
HO 

Cosi  costei,  che  de  l'amor  la  séte. 
Onde  l'infermo  core  è  sempre  ardente, 
Spegner  ne  Taccoglienze  oneste  e  liete 
Credeva,  e  riposar  la  stanca  mente; 
Or  che  contra  lei'vien  chi  gliel  diviete, 
E  '1  suon  del  ferro  e  le  minacele  sente, 
Sé  stessa  e  '1  suo  desir  primo  abbandona, 
E  '1  veloce  destrier  timida  sprona. 
Ili 

Fugge  Erminia  infelice;  e'isuodestriero 
Con  prontissimo  piede  il  'suol  calpesta. 
Fugge  ancor  l'altra  donna  ;  e  lor  quel  fero 
Con  molti  armati  di  seguir  non  resta. 
Ecco  che  da  le  tende  il  buon  scudiero 
Con  la  tarda  novella  arriva  in  questa, 
E  l'altrui  fuga  ancor  dubbio  accompagna, 
E  gli  sparge  il  timor  per  la  campagna. 
112  ^     ' 

Ma  il  più  saggio  fratello,  il  quale  anch'es- 
La  non  vera  Clorinda  avea  veduto,     [so 
Non  la  volle  seguir,  ch'era  men  presso; 
;Ma  ne  l'insidie  sue  s'è  ritenuto: 
E  mandò  con  l'avviso  al  campo  un  messo, 
Che  non  armento  od  animai  lanuto. 
Né  preda  altra  sirail,  ma  eh' è  seguita 


109.  Cfr.  la  fuga  d'Angelica  nell'Ariosto, 
Ori.  I  13  e  segg. 

110,  3.  Cfr.  Dante,  Purg.  vii  1.  —  5.  Sé- 
guito la  lez.  della  Conq.;  le  3  st.  Bonn.  Or 
che  contra  gli  v.  *  Solerti,  con  l'Os.,  legge: 

!  Or  che  vien  contra  lei. 

I       111,  6.  in  qnesta:  in  questo  tempo.  —  8. 

I  sparge:  sbanda.  ' 


CANTO  VI 


79 


Dal  suo  german  Clorinda  impaurita: 
113 

E  ch'ei  non  crede  già,  né  '1  vuol  ragione, 
Ch'ella,  ch'è  duce,  e  non  è  sol  guerriera, 
Elegga  a  l*Trscir  suo  tale  stagione, 
Per  opportunità  che  sia  leggiera: 
Ma  giudichi  e  comandi  il  pio  Buglione; 
Egli  farà  ciò  che  da  lui  s'impera. 
Giunge  al  campo  tal  nova,  e  se  n'intende 
Il  primo  suon  ne  le  latine  tende. 
114 

Tancredi  cui  dinanzi  il  cor  sospese 


114,  1.  cui  dinanzi:  cosi  leggono  le  3 


Quell'avviso  primiero,  udendo  or  questo, 
Pensa:  Deh!  forse  a  me  venia  cortese, 
E  'n  periglio  è  per  me,  né  pensa  al  resto. 
E  parte  prende  sol  del  grave  arnese. 
Monta  a  cavallo,  e  tacito  esce  e  presto; 
E  seguendo  gli  indizi  e  l'orme  nove, 
Kapidaraente  a  tutto  córso  il  move. 


Box.;  a  cui  diami  Conq.;  cui  già  il  nun- 
cio  Os.  —  sospese:  rese  dubbioso;  Dante, 
Par.  xxxii:  ♦<  Che  quantunque  [iutlo  quello 
che]  io  avea  visto  davaute,  Di  tanta  amrni- 
razion  non  mi  sospese  <*.  —  5. 
matura,  già  nof,. 


arnc8e:   ar- 


1 

In  tanto  Erminia  in  fra  l'ombrose  piante 
D'antica  selva  dal  cavallo  è  scórta; 
Né  più  governa  il  fren  la  man  tremante, 
E  mezza  quasi  par  tra  viva  e  morta. 


1.  Tasso  (Leu.  25)  :  «  potrà  forse  parer  ... 
che  nel  principio  del  settimo  canto  ne  g-li 
errori  di  Erminia  e  di  Tancredi  io  mi  slar- 
ghi troppo  da  la  favoia;  ma  in  questa  parte 
io  ho  apparecchiate  gagliardissime  difese... 
Insomma  mi  è  parato,  sin  che  le  machine 
non  erano  fatte,  né  v'era  che  fare,  ch'io 
mi  potessi  slargare  alquanto,  senza  però 
perdere  di  mira  il  fine  del  tutto  *  Nella 
Conquisi..,  e.  viii,  riduce  l'episodio  a  poche 
ottave,  stralciando  tutta  la  parte  che  ri- 
guarda il  pastore:  cfr.  sotto,  str.  6  nota. 
—  1.  fra  l' ombrose  piante  ecc.  Ariosto, 
d'Angelica,  Ori.  i  3H,  1:  «Fugge  tra  selve 
spaventose  e  scure  Per  lochi  inabitati, 
ermi  e  selva^rgi  ».  —  2.  scòrta:  condotta.  — 


CANTO  VII. 

Fuga  d' Erminia,  e  sua 
vita  tra  i  pastori  -^^  Tan 
credi  inseguc  la  creduta 
Clorinda,  poi,  volendo  ri- 
tornare al  campo,  capita 
nel  castello  incantato  sul 
mar  morto,  dove  pugna 
con  Rambaldo  ;  e  resta 
prigioniero  d'Armida  V^ 
Argante  nel  giorno  stabi- 
lito esce  per  combattere 
Tancredi  ^  Sgomento  dei 
cristiani  :  Goffredo  vuol 
andargli  contro -^kr  È  ratte- 
nuto  ^  Raimondo,  tratto 
a  sorte,  combatte  con  Ar 
gante  -^  L'inferno  fa  si  che 
Gradino  turbi  il  duellò 
-k  Ziiilà  generale  dei  due 
eserciti  TÉr  Temporale 
mosso  dai  demòni  -^  I 
cristiani  hanno  la  peggio* 


Per  tante  strade  si  raggira  e  tante 
Il  corridor  ch'in  sua  balia  la  porta, 
Ch'ai  fin  da  gli  occhi  altrui  pur  si  dilegua: 
Ed  è  soverchio  omai  ch'altri  la  segua. 
2 
Qual  dopo  lunga  e  faticosa  caccia 
Tornansi  mesti  ed  anelanti  i  cani, 
Che  la  fera  perduta  abbian  di  traccia, 


7.  Ch'ai  fin  ecc.:  Il  sogg.  di  questa  proposiz, 
consequenziale  non  è  il  corridore,  ma  Er- 
minia, come  dimostra  il  verso  successivo, 
—  8.  soverchio:  inutile. 

2.  Ariosto,  Ori.  XXXIX  69,  di  Bradamanttì 
e  Marfisa:  «Come  due  belle  e  genero 
pavde,  Che  fuor  del  lascio  sien  di  pari 
uscite.  Poscia  che  i  cervi  o  le  capre  ga- 
gliarde Indarno  aver  si  veggono  seguite. 
Vergognandosi  quasi  che  fur  tarde.  Sde- 
gnose se  ne  tornano  e  pentite;  Cosi  tornàfi 
le  due  donzelle,  quando  Videro  il  pagani 
salvo,  sospirando  »;  cfr.  il  Nostro  e.  iv  95,  * 


il 


CANTO  VII 


81 


Nascosa  in  selva  da  gli  aperti  piani; 
Tal  pieni  d'ira  e  di  vergogna  in  faccia 
Riedono  stanchi  i  cavalier  cristiani. 
Ella  pur  fugge,  e  timida  e  smarrita 
Non  si  volge  a  mirar  s'anco  è  seguita. 
3 

Fuggi  tutta  la  notte,  e  tutto  il  giorno 
Errò  senza  consiglio  e  senza  guida. 
Non  udendo  o  vedendo  altro  d'intorno, 
Che  le  lagrime  sue,  che  le  sue  strida. 
Me  ne  l'ora  che  '1  sol  dal  carro  adorno 
Scioglie  i  corsieri,  e  in  grembo  al  mar  s'an- 

[nida, 
Giunse  delbelGiordanoalechiare  acque, 
E  scese  in  riva  al  fiume,  e  qui  ai  giacque, 
4 

Cibo  non  prende  già;  che  de'  suoi  mali 
Solo  si  pasc«,  e  sol  di  pianto  ha  séte: 
Ma  '1  sonno,  che  de'  miseri  mortali 
È  co  '1  suo  dolce  oblio  posa  e  quiete, 
Sopi  co'  sensi  i  suoi  dolori,  e  l'ali 
Dispiegò  sovra  lei  placide  e  chete; 
Né  però  cessa  Amor  con  varie  forme 
La  sua  pace  turbar  mentre  ella  dorme. 

5 

Non  si  destò  sin  che  garririgli  augelli 
Non  senti  lieti  e  salutar  gli  albori, 
E  mormorar  il  fiume  e  gli  arboscelli, 
E  con  l'onda  scherzar  l'aiira  e  co  i  fiori. 
Apre  i  laug^uidi  lumi,  e  guarda  quelli 
Alberghi  solitarii  de'  pastori; 
E  parie  voce  udir  tra  l'acqua  e  i  rami, 
Ch'a  i  sospiri  ed  al  pianto  la  richiami. 


7-8.  —  4.  da  gli  aperti  plani:  sott.  fuggendo 
dagli  ecc.  —  8.  s'anco  :  se  tuttora. 

3,  1-2.  Ariosto,  di  Angelica,  Orl.i  35,  1: 
«  Quel  di  e  la  notte  e  mezzo  l'altro  giorno 
S'andò  aggirando,  e  non  sapeva  dove  », 

4,  1-2.  Ovidio,  di  Clizia,  Met.  iv  262: 
«  Perque  novem  luces  expers  undaeque  ci- 
bique,  Rore  mero  lacrimJsque  suis  ieiunia 
pascit»;  e  d'Orfeo  (x  73):  «  Septera  tamen 
ille  diebus  Squallidus  in  ripa,  Cereris  siue 
munere,  sedit:  Cura,  dolorque  animi  lacri- 
maeque  alimenta  fuere  ».  E  il  Petrarca, 
son.  Poi  che  il  cammin  5;  «  l'asco  '1  cor  di 
sospir  ch'altro  non  chiede,  E  di  lagrime 
vivo  >.  —  3-6.  Ovidio  Met.  xi  625:  «  Somne, 
quies  rerum,  placidissime,  Somne,  deorura, 
i'ax  animi  quo.m  cura  fugit,  qui  corpora 
duris  Fessa  ministeriis  mulces  reparasque 
labori  !  ». 

6,  1-4.  Virg.  Aen.  viii  455:  «  Evandrum 
ex  humili  tecto  lux  suscitai  alma  Et  matu- 
tini  volucrum  sub  culmine  cantus  ».  —  7. 
parie  roce  udir.  1  romori  delle  acque  e  dei 
rami,  richiamando  Ern\inia  alla  realtàdella 
vita,  la  richiamano  al  pianto.  —  Bonn. 2 
legge  uscir,  ma  udir  Bonn. 1-3  e  Conq. 


Ma  son,  mentr'ella  piange,  i  suoi  lamenti 
Rotti  da  un  chiaro  suon  ch'a  lei  ne  viene, 
Che  sembra,  ed  è,  di  pastorali  accenti 
Misto  e  di  boscareccie  inculte  avene. 
Risorge,  e  là  s' indrizza  a  passi  lenti, 
E  vede  un  uom  canuto  a  l'ombre  amene 
Tesser  fiscelle  a  la  sua  greggia  a  canto, 
Ed  ascoltar  di  tre  fanciulli  il  canto. 
7 

Vedendo  quivi  comparir  repente 
L'insolite  arme,  sbigottir  costoro; 
Ma  gli  saluta  Erminia,  e  dolcemente  [ro: 
Gli  affida,  e  gli  occhi  scopre  eibei  crind'o- 
Seguite,  dice,  avventurosa  gente 
Al  Ciel  diletta,  il  bel  vostro  lavoro; 
Che  non  portano  già  guerra  quest'armi 
A  l'opre  vostre,  a  i  vostri  dolci  carmi. 

8  [torno 

Soggiunse  poscia:  0  padre,  or  che  d'iu- 
D'alto  incendio  di  guerra  arde  il  paese. 
Come  qui  state  in  placido  soggiorno 
Senza  temer  le  militari  ofì:ese? 
Figlio,  ei  rispose,  d'ogni  oltraggio  e  scorno 
La  mia  famiglia  e  la  mia  greggia  illese 
Sempre  qui  fur;  né  strepito  di  Marte 
Ancor  turbò  questa  remota  parte. 

9 
0  sia  grazia  del  Ciel,  che  l'umiltade 
D'innocente  pastor  salvi  e  sublime; 
0  che,  si  come  il  folgore  non  cade 
In  basso  pian  ma  su  l'eccelse  cime, 


6,  Nella  Conquisi,  volendo,  come  si  è 
detto,  togliere  l'episodio  del  pastore,  riunì 
la  stanza  6  con  la  22  in  questo  modo  e.  vii  6: 
«  Piange  e  sospira;  e  quando  i  caldi  raggi 
Fuggon  le  greggie,  a  la  dolce  ombra  as- 
sise. Ne  la  scorza  de'  pini,  o  pur  de'  faggi 
Segnò  l'amato  nome  in  mille  guise:  E  de  la 
sua  fortuna  i  gravi  oltraggi,  E  i  vari  casi 
in  dura  scorza  incise:  E  'n  rileggendo  poi 
le  proprie  note  Spargea  di  pianto  le  ver- 
miglie gote  ».  —  i  boscareccie:  boscherec- 
cie. —  inculte  avene:  rozze  zampogne.  — 
7.  fiscelle:  cestelle,  zane   tessute  di  vinchi. 

7,  4.  Gli  affida:  li  assicura:  cfr.  e.  iv39,  7. 

8,  4.  le  militari:  cosi  leggono  BON.^-^^  e 
Os. ;  de  gl'inimici  Bon.^,  e  certo  in  questo 
idtirao  modo  scrisse  da  primo  il  T.,  ma  tìn 
dal  1576  avvertiva  (come  si  è  già  not.,  e. 
IV  41)  che  la  parola  inimici  non  ^M  gar- 
bava. ~  5.  Con  qualche  ragione  il  Galilei: 
«  Questo  è  un  pastore  da  recitar  in  Arcadia 
in  qualche  tragedia  pastorale,  e  non  da 
parlare  in  un'epica  poesia;  cosi  ragiona  in 
punta  di  forchetta  ».  Pure  è  da  notarsi  che 
il  pastore  era  stato  lungamente  a  corte,  in 
Menfi:  cfr.  sotto,  st.  12. 

9,  3-4.  Seneca,  Octavia,  Act.  v  895:  «  Qua- 
tiunt  altaa  saepe  procellae.  Aiit  evertit  For- 


6  —  Tasso,  Ocrusalemme  liberata. 


82 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Cosi  il  furor  di  peregrine  spade 
Sol  de'  gran  re  l'altere  teste  opprime; 
Né  gli  avidi  soldati  a  preda  alletta 
La  nostra  povertà  vile  e  negletta: 
10 

Altrui  vile  e  negletta,  a  me  si  cara, 
Che  non  bramo  tesor  né  regal  verga; 
Né  cura  o  voglia  ambiziosa  o  avara 
Mai  nel  tranquillo  del  mio  petto  alberga. 
Spengo  la  séte  mia  ne  l'acqua  chiara, 
Che  non  tem'io  che  di  venen  s'asperga; 
E  questa  greggia  e  Torti cel  dispensa 
Cibi  non  compri  a  la  mia  parca  mensa. 
11 

Che  poco  è  il  desiderio,  e  poco  è  il  nostro 
Bisogno,  onde  la  vita  si  conservi. 
Son  figli  miei  questi  ch'addito  e  mostro, 
Custodi  de  la  mandra,  e  non  ho  servi. 
Cosi  me  'n  vivo  in  solitario  chiostro, 
Saltar  veggendo  i  capri  snelli  e  i  cervi, 
Ed  i  pesci  guizzar  di  questo  fiume, 
E  spiegar  gli  augelletti  al  ciel  le  piume. 
12 

Tempo  giàfu,  quando  più  l'uora  vaneggia 
Ne  l'età  prima,  ch'ebbi  altro  desio, 
E  disdegnai  di  pasturar  la  greggia, 
E  fuggii  dal  paese  a  me  natio: 
E  vissi  in  Mentì  un  tempo,  e  ne  la  reggia 
Fra  i  ministri  del  re  fui  posto  anch'io; 
E,  ben  che  fossi  guardian  de  gli  orti, 
Vidi  e  conobbi  pur  l'inique  corti. 


tuna  domos  ».  E  Claadiano,  Epist.  i  39: 
-  Nec  parvi  frutices  iram  raeruere  Toaan- 
tis:  Ingentes  quercus,  annosas  fulgurat  or- 
nos  '.  —  7-S.  Lucano,  Phars.  v  526,  del  pe- 
scatore Amicla  parlante  a  Cesare:  «Securus 
belli  praedam  civilibus  armis  Scit  non  esse 
casas  >. 

10,  2.  regal  verga:  scettro.  —  3.  arara: 
bramosa  di  ricchezze  cfr.  e.  ii  83,  1.  —7-8. 
Orazio,  Epod.  ii  47:  «Et  horna  dulci  vina 
promens  dolio,  Dapes   inemptas  apparet  ». 

11,  3.  Sembra  al  Galilei  inopportuno  che 
il  pastore  insista  a  mostrare  ed  additare  i 
propri  figliuoli  quando  altri  non  v' è  in  quel 
luogo.  —  5.  chiostro,  o  chiostra,  che  pro- 
priamente significa  liiogo  chiuso  (cfr.  e.  iv 
9,  7),  prende  vari  significati  a  seconda  degli 
aggettivi  che  l'accompagnano:  qui  solitario 
chiostro  vale  luogo  appartato  e  solitario;  e 
solitudine  secreta  è  chiamato  questo  luogo 
alla  st.  14.  6. 

12,  5.  Henfl:  ove,  secondo  il  T.  era  la 
corte  del  re  di  Egi:to  ;  il  che,  come  osserva 
giustamente  il  Mella,  é  contrario  alla  sto- 
ria, perché  Menfi  era  stata  distrutta  fin  dal 
650  dalle  orde  devastatrici  di  Ebnas,  gene- 
rale del  tremendo  Omar.  Al  tempo  della 
prima  crocirtta    la   capitale  dell'Egitto  era 


13 
Pur  lusingato  da  speranza  ardita 
Soffrii  lunga  stagion  ciò  che  più  spiace; 
Ma  poi  ch'insieme  con  l'età  fiorita 
Mancò  la  speme  e  la  baldanza  audace 
Piansi  i  riposi  di  quest'umil  vita 
E  sospirai  la  mia  perduta  pace; 
E  dissi:  0  corte,  addio.  Cosi,  a  gli  amici 
Boschi  tornando,  ho  tratto  i  di  felici. 

14 
Mentr'ei  cosi  ragiona,  Erminia  pende 
Da  la  soave  bocca  intenta  e  cheta; 
E  quel  saggio  parlar,  ch'ai  cor  le  scende, 
De' sensi  in  parte  le  procelle  acqueta. 
j  Dopo  molto  pensar,  consiglio  prende 
In  quella  solitudine  secreta 
In  sino  a  tanto  almen  farne  soggiorno, 
Ch'agevoli  fortuna  il  suo  ritorno. 

15 
Onde  al  buon  vecchio  dice:  0  fortunato, 
Ch'un  tempo  conoscesti  il  male  a  prova. 
Se  non  t'invidi  il  Ciel  si  dolce  stato, 
De  le  miserie  mie  pietà  ti  mova; 
E  me  teco  raccogli  in  cosi  grato 
Albergo,  ch'abitar  teco  mi  giova. 
Forse  tìa  che'l  mio  core  in  fra  quest'ombre 
Del  suo  peso  mortai  parte  disgombre. 

16 
Che  se  di  gemme  e  d'or,  che  '1  vulgo  adora 
Si  come  idoli  suoi,  tu  fossi  vago. 
Potresti  ben,  tante  n'ho  meco  ancora, 
Renderne  il  tuo  desio  contento  e  pago. 
Quinci,  versando  da'  begli  occhi  fora 


E1  Caira  {la  vittoriosa),  che  é  l'odierno 
Cairo. 

13,  1.  Par;  ma  Os.  E.  —  laslngato:  qui 
pure  usato  nel  suo  vero  senso:  allettato  in- 
gannevolmente. 

U,  1.  pende:  Virg.  Aen.  iv  79:  «pendetque 
iterum  narrantis  ab  ore  »:  cfr.  e.  i  10,  7. 

15,  3.  Se:  deprecativo,  lat.  sic;  d'uso  fre- 
quente nei  nostri  classici.  Dante,  Purg.  v 
85:  <  Deh,  se  quel  disio  Si  compia  che  ti 
tragge  all'alto  monte.  Con  buona  p'ietate 
aiuta  il  mio  ».  Boccaccio,  Decani,  nov.  76: 
«Se  io  non  sia  impiccato  per  la  gola,  che 
egli  m'è  stato  imbolato».  —  invidi:  tolga. 
—  5.  cosi;  Os.  questo.  —  6.  giova:  giovare 
per  piacere,  esser  caro.  Poliziano  [Stanze 
I  18):  «Quanto  giova  a  mirar  pender  da 
un'erta  Le  capre,  e  pascer  questo  e  quel 
virgulto  ». 

16,  1-4.  Lucano,  nella  Phars,  v  532,  fa 
che  Cesare  cosi  induca  il  povero  pescatore 
Amicla  a  traghettarlo  in  Italia:  «  Expecta 
votis  malora  modestis,  Spesque  tuas  laxa, 
iuvenis:  si  lussa  secutus,  Me  vehis  Hespe- 
riam,  non  ultra  cuncta  carinae  Debebis, 
raanibusque    inopem    duxisse    sonecta?:^  ». 


CANTO  VII 


83 


Umor  di  doglia  cristallino  e  vago, 
Parte  narrò  di  sue  fortunq;  e  in  tanto 
Il  pietoso  pastor  pianse  al  suo  pianto. 
17 

Poi  dolce  la  consola,  e  si  l'accoglie, 
Come  tutt'arda  di  paterno  zelo; 
E  la  conduce  ov'  è  l'antica  moglie, 
Che  di  conforme  cor  gli  ha  data  il  Cielo. 
La  fanciulla  regal  di  rozze  spoglie 
S'ammanta,  e  cinge  al  crin  ruvido  velo; 
Ma  nel  moto  de  gli  occhi  e  de  le  membra 
Non  già  di  boschi  abitatrice  sembra. 
18 

Non  copre  abito  vii  la  nobil  luce, 
E  quanto  è  in  lei  d'altero  e  di  gentile; 
E  fuor  la  maestà  regia  traluce 
Per  gli  atti  ancor  de  l'esercizio  umile. 
Guida  la  greggia  a  i  paschi  e  la  riduce 
Con  la  povera  verga  al  chiuso  ovile; 
E  da  l'irsute  mamme  il  latte  preme, 
E'n  giro  accolto  poi  lo  stringe  insieme. 
19 

Sovente,  allor  che  su  gli  estivi  ardori 
Giacean  le  pecorelle  a  l'ombra  assise, 
Ne  la  scorza  de'  faggi  e  de  gli  allori 
Segnò  l'amato  nome  in  mille  guise: 
E  de'  suoi  strani  ed  infelici  amori 
Gli  aspri  successi  in  mille  piante  incise; 
E  in  rileggendo  poi  le  proprie  note 
Rigò  di  belle  lagrime  le  gote. 


—  6.  doglia:  ha  qui  significato  di  dolor  mo- 
rale. 

17,  5.  di  rozze  spoglie  ecc.:  Ariosto,  di 
Angelica,  Ori.  xi  10:  «  In  certi  drappi  rozzi 
avviluppossi.  Dissiinil  troppo  ai  portamenti 
suoi ...  Non  le  può  tòr  però  tant'uniil  gonna, 
Che  bella  non  rassembri  e  nobil  donna  ». 

18,  1.  Non  copre  ecc.:  Guastavini:  «da 
Lucano,  Phars.  v  538  -  ...  quamquam  ple- 
beio  tectus  amictu  indocilis  privata  loqiii  - 
e  da  Eliodoro  nel  v  dell'/scoria  Etioj)ìca 
in  discrivendo  la  bellezza  di  Oarichia  ve 
stita  da  naendica  in  questo  modo:  -  E  quan 
tunque  fusse  già  tutto  caldo  e  ripieno  de 
la  bellezza  di  Carichia  (appariva  Io  splen- 
dor della  bellezza  sua  in  quell'abito  villesco, 
non  altrimenti  che  soglia  la  luna  fra  le  nu- 
vole risplendere)  non  di  meno  ecc.  -  ».  — 
8,  E'n  givo  ecc.  Guastavini:  «Con  meravi- 
gliosa felicità  et  energia,  apportando  mi- 
nute circostanze,  senza  discendere  a  bas- 
sezza alcuna,  descrive  bassissimo  effetto, 
com'è  il  far  del  formaggio  ». 

19,  1.  Sovente  ecc.  Ariosto  Ori.  Kix  108: 
•  ovunque  un  arbor  dritto  Vedesse  ombrare, 
0  fonte  0  rivo  puro;  V'avea  spillo  o  coltel 
sùbito  fitto;  Cosi  se  v'era  alcun  sasso  meu 
duro.  Ed  era  fuori  in  mille  luoghi  scritto, 
E  cosi  in  casa  in  altri  tanti  il  muro,  Ange- 


20 

Indi  dicea  piangendo:  In  voi  serbate 
Questa  dolente  istoria,  amiche  piante; 
Perché,  se  fia  ch'a  le  vostr'ombrc  grate 
Giammai  soggiorni  alcun  fedele  amante, 
Senta  svegliarsi  al  cor  dolce  piotate 
De  le  sventure  mie  si  varie  e  tante; 
E  dica:  Ah  troppo  ingiusta  empia  mercede 
Die  fortuna  ed  amore  a  si  gran  fede! 
21 

Forse  avverrà,  se  '1  Ciel  benigno  ascolta 
Affettuoso  alcun  prego  mortale, 
Che  venga  in  queste  selve  anco  tal  volta 
Quegli  a  cui  di  me  forse  or  nulla  cale; 
E,  rivolgendo  gli  occhi  ove  sepolta 
Giacerà  questa  spoglia  inferma  e  frale. 
Tardo  premio  conceda  a'  miei  martiri 
Di  poche  lagrimette  e  di  sospiri: 
22 

Onde,  se  in  vita  il  cor  misero  fue, 
Sia  lo  spirito  in  morte  almen  felice, 
E  '1  cener  freddo  de  le  fiamme  sue 
Goda  quel  ch'or  godere  a  me  non  lice. 
Cosi  ragiona  a  i  sordi  tronchi;  e  due 
Fonti  di  pianto  da'  begli  occhi  elice. 
Tancredi  in  tanto,  ove  fortuna  il  tira 
Lunge  da  lei,  per  lei  seguir,  s'aggira. 
23 

Egli,  seguendo  le  vestigia  impresse, 
Rivolse  il  córso  a  la  selva  vicina; 
Ma  quivi  da  le  piante  orride  e  spesse 
Nera  e  folta  cosi  l'omhra  dechina. 
Che  più  non  può  raffigurar  tra  esse 
L'orme  novelle,  e  'u  dubbio  oltre  cammi  na, 
Porgendo  intorno  pur  l'orecchie  intente 
Se  calpestio,  se  romor  d'armi  sente. 
24 

E  se  pur  la  notturna  aura  percote 
Tenera  fronde  mai  d'olmo  o  di  faggio, 
0  se  fera  od  augello  un  ramo  scote, 


lica  e  Medoro  in  vari  modi  Legati  insieme 
di  diversi  nodi  ». 

20,  1.  Indi:  OS.  poscia;  forse  per  isfug- 
gire  la  ripetiz.  del  suono  Indi  dicea.  —  7, 
E  dica  ecc.:  Imitato  da  Teocrito  cosi  tra- 
dotto dal  Gentile:  «  Amor  m'uccise,  o  vian- 
dante; resta,  E  di',  restando:  empio  com- 
pagno avesti  ». 

21,  8.  Petrarca,  son.  Avventicroso  più  13: 
«  Prega,  Sennuccio  mio,  quando  '1  vedrai, 
Di  qualche  lagrimetta  o  d'un  sospiro  ». 
Tutta  la  stanza,  nella  sua  intonazione,  ci 
richiama  a  un  altro  luogo  del  Petrarca,  alle 
strofe  2-3  della  canz.  Chiare  fresche  e  dolci 
acque. 

22,  4.  quel  ch'or  godere  ecc.:  cioè  d'es- 
sere corrisposto  da  Tancredi.  —  6.  elico; 
tragge,  spreme:  cfr.  e.  iv  77,  1. 

*  24,   2.  fronde.  Cosi  leggono  le  tre  B  o 


84 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Tosto  a  quel  picciol  suon  drizza  il  viaggio. 
Esce  al  fin  de  la  selva;  e  per  iguote 
Strade  il  conduce  de  la  luna  il  raggio 
Verso  un  romor  che  di  lontano  udiva. 
In  sin  che  giunse  al  loco  ond'egli  usciva. 
25 

Giunse  dove  sorgean  da  vivo  sasso 
In  molta  copia  chiare  e  lucide  onde; 
E  fattosene  un  rio  volgeva  a  basso 
Lo  strepitoso  pie  tra  verdi  sponde. 
Quivi  egli  ferma  addolorato  il  passo, 
E  chiama;  e  sola  a  i  gridi  Eco  risponde: 
E  vede  in  tanto  con  serene  ciglia 
Sorger  l'aurora  candida  e  vermiglia. 

26  _       _  [gna 

Geme  cruccioso,  e  'n  contra  il  ciel  si  sde- 
Che  sperata  gli  neghi  alta  ventura; 
Ma  de  la  donna  sua,  quand'ella  vegna 
Offesa  pur,  far  la  vendetta  giura. 
Di  rivolgersi  al  campo  al  fiu  disegna, 
Che  la  via  ritrovar  non  s'asseciira; 
Che  gli  sovvien  che  presso  è  il  di  prescritto 
Che  pugnar  dee  col  cavalier  d'Egitto. 
27 

Partesi;  e  mentre  va  per  dubbio  calle, 
Odeun  córso  appressar  ch'ognor  s'avanza: 
Ed  al  fine  spuntar  d'angusta  valle 
Vede  uom  che  di  corriere  avea  sembianza. 
Scotea  mobile  sferza,  e  da  le  spalle 
Pendea  il  corno  su'l  fianco  a  nostra  usanza. 
Chiede  Tancredi  a  lui,  per  quale  strada 
Al  campo  de' Cristiani  indi  si  vada. 
23 

Quegli  italico  parla:  Or  là  m'invio 
Dove  m'ha  Boemoudo  in  fretta  spinto. 


Os.  Il  Solerti  tace  di   queste  fonti   e  legge 
froyicla. 

25,  8.  Ariosto,  Ori.  iv  68:  -Poi  che  la 
luce  candida  e  vermiglia  De  l'altro  giorno 
aperse  l'emispero  ». 

26,  6.  Che  la  ria  ritrorar;  BoN.^  e  Os. 
leggono:  Benché  la  via,  trovar, 

27,  Tancredi  che  per  inganno  e  per  in- 
canti è  distornato  dal  trovarsi  nel  giorno 
prefisso  alla  pugna,  ricorda  (se  bene  il  Tasso 
cerchi  di  riaccostarsi  più  al  verosimile)  Ri- 
naldo nel  Boiardo,  parte  lev  dt-UOrZ. 
I/in.,  tolto  al  duello  con  Gradasso  per  arte 
di  Malagigi;  il  castello  in  che  Tancredi 
riman  prigione,  ne  riconduce,  e  alla  nave 
sulla  quale  neU'OW.  Inn.  arrivano  i  due 
combattenti,  ed  al  palazzo  d'Atlante  ove 
arrivano  neirAriosto  (Ori.  xn  e  xiii)  Or- 
lando, Ruggero  e  Bradamante;  il  messag- 
gero in  fine  (trattone  sempre  che  qui  è 
reale  e  là  finzione),  è  una  sostituzione  di 
Draghignazzo,  e  delle  larve  mosse  da  Atlante, 
che  nei  due  poeti  romanzeschi  sono  d'occa- 
sione e  di  guida  all' imprigionamonto. 


Segue  Tancredi  lui  che  del  gran  zio 
Messaggio  stima,  e  crede  al  parlar  finto. 
Giungono  al  fin  là  dove  un  sozzo  e  rio 
Lago  impaluda,  ed  un  Castel  n'è  cinto, 
Ne  la  stagion  che  '1  sol  par  che  s'immerga 
Ne  l'ampio  nido  ove  la  notte  alberga. 
29 

Suona  il  corriero,  in  arrivando,  il  corno, 
E  tosto  giù  calar  si  vede  un  ponte: 
Quando  latin  sia  tu,  qui  far  soggiorno 
Potrai,  gli  dice,  in  fin  che'l  sol  rimonte; 
Che  questo  loco,  e  non  è  il  terzo  giorno, 
Tolse  a  i  Pagani  di  Cosenza  il  conte. 
Mira  il  loco  il  guerrier,  che  d'ogni  parte 
Inespugnabil  fanno  il  sito  e  l'arte. 
30 

Dubita  alquanto  poi,  ch'entro  si  forte 
Magione  alcuno  inganno  occulto  giaccia. 
Ma  come  avvezzo  a  i  rischi  de  la  morte, 
Motto  non  fanne,  e  no '1  dimostra  in  faccia; 
Ch'ovunque  il  guidi  elezione  o  sorte, 
Vuol  che  sicuro  la  sua  destra  il  faccia. 
Pur  l'obligo  ch'egli  ha  d'altra  battaglia 
Fa  che  di  nova  impresa  or  non  gli  caglia. 
31 

Si  ch'in  contraal  castello, ovein  uaprato 
Il  curvo  ponte  si  distende  e  posa, 
Ritiene  alquanto  il  passo,  ed  invitato 
Non  segue  la  sua  scorta  insidiosa. 
Su  '1  ponte  in  tanto  un  cavaliero  armato 
Con  sembianza  apparia  fera  e  sdegnosa, 
Ch'avendo  ne  la  destra  il  ferro  ignudo 
In  suon  parlava  minaccioso  e  crudo: 
32 

0  tn,  che  (siasi  tua  fortuna  o  voglia) 
Al  paese  fatai  d'Armida  arrive, 
Pensi  indarno  al  fuggir:  or  l'arme  spoglia 
E  porgi  a  i  lacci  suoi  le  man  cattive; 
Ed  entra  pur  ne  la  guardata  soglia 
Con  queste  leggi  ch'ella  altrui  prescrive: 
Né  più  sperar  di  riveder  il  cielo 
Per  volger  d'anni  o  per  cangiar  di  pelo, 
33 

Se  non  giuri  d'andar  con  gli  altri  sui 
Contra  ciascun  che  da  Giesù  s'appella. 
S'aflìsa  a  quel  {)arlar  Tancredi  in  lui 
E  riconosce  l'arme  e  la  favella. 
Rambaldo  di  Guascogna  era  costui 
Che  parti  con  Armida,  e  sol  per  ella 
Pagan  si  fece,  e  difeusor  divenne 
Di  quell'usanza  rea  ch'ivi  si  tenne. 


28,  6.  Lago:  il  mar  morto:  cfr.  cant.  x 
61.  —  7.  Xe  la  stagion:  nell'ora. 

30,  7.  altra  battaglia:  Quella  del  giorno 
sesto  con  Argante. 

3-2,  4.  cattire:  prigioniere.  —  5.  Ed  entra 
par  ne:  Cosi  anche  Conq.;  ma  Os.  Entra 
pur  dentro  a.  —  7.  Dante,  Inf.  xxx  S5: 
«  Non  i.sperate  mai  veder  lo  cielo  ». 


CANTO  VII 


85 


34 

Di  Banto  sdegno  il  pio  prnerrier  si  tinse 
Nel  vólto,  e  gli  rispose:  Empio  fellone, 
Quel  Tancredi  son  io  che  '1  ferro  cinse 
Per  Cristo  sempre,  e  fui  di  lui  campione; 
E  in  sua  virtute  i  suoi  rubelli  vinse, 
Come  vo'  che  tu  vegga  al  paragone; 
Che  de  l'ira  del  Ciel  ministra  eletta 
È  questa  destra  a  far  in  te  vendetta. 
35 

Turbossi,  udendo  il  glorioso  nome, 
L'empio  guerriero  e  scolorissi  in  viso. 
Pur  celando  il  timor,  gli  disse:  Or  corno, 
Misero,  vieni  ove  rimanga  ucciso? 
Qui  saran  le  tue  forze  oppresse  e  dome, 
E  questo  altero  tuo  capo  reciso; 
E  manderollo  a  i  duci  Franchi  in  dono, 
S'altro  da  quel  che  soglio  oggi  non  sono. 
36 

Cosi  dicea  il  Pagano;  e,  perché  il  giorno 
Spento  era  ornai,  si  che  vedeasi  a  pena, 
Apparir  tante  lampade  d'intorno, 
Che  ne  fu  l'aria  lucida  e  serena. 
Splende  il  Castel  come  in  teatro  adorno 
8aol  fra  notturne  pompe  altera  scena  ; 
Ed  in  eccelsa  parte  Armida  siede. 
Onde,  senz'esser  vista,  ed  ode  e  vede. 
37 

lì  magnanimo  eroe  fra  tanto  appresta 
A  la  fera  tenzon  l'arme  e  l'ardire; 
Né  su  '1  debil  cavallo  assiso  resta, 
Già  veggendo  il  nemico  a  pie  venire. 
Vien  chiuso  ne  lo  scudo,  e  l'elmo  ha  in  te- 
La  spada  nuda,  e  in  atto  è  di  ferire,  [sta, 
Gli  move  in  centra  il  Principe  feroce 
Con  occhi  torvi  e  con  terribil  voce. 
38 

Quegli  con  larghe  ruote  aggira  i  passi 
Stretto  ne  l'armi,  e  colpi  accenna  e  finge; 
Questi,  se  ben  ha  i  membri  infermi  e  lassi. 
Va  risoluto,  e  gli  s'appressa  e  stringe; 
E  là  donde  Rambaklo  a  dietro  tassi 
Velocissimamente  egli  si  spinge; 
E  s'avanza,  e  l'incalzn,  e  fulminando 
Spesso  a  la  vista  gli  dirizza  il  brando. 
39 

E  più  ch'altrove,  impetuoso  fere 
Ove  più  di  vital  formò  natura, 


34,  5.  rubelU:  ribelli;  già  visto. 

37,  5.  cUinso:  tutto  nascosto  dietro  lo 
scudo,  che,  essendo  curvo,  quasi  lo  chiude 
dentro  di  sé. 

38,  1.  aggira  ì  passi:  nel  senso  di  muove 
in  giro  i  passi,  non  ha  esempi  nel  Vocab.; 
né  so  se  sia  bello.  —  *  L'Ariosto,  Ori.  xii 
18,  H;  xxvii  23,  5  ha  aggirare  gli  occhi; 
xxiv  106,  2  aggirare  la  spada  (Durindana;. 
—  8    a  la  vista:   fra  gli   occhi. 

89,  2.  formò;  Cosi  Conq.  e  Os.;  ma  le  st. 


A  le  percosse  le  raiuaccie  altere 
Accompagnando,  e'I  danno  a  la  paura. 
Di  qua  di  là  si  volge,  e  sue  leggiere 
Membra  il  presto  Guascone  ai  colpi  fura: 
E  cerca  or  con  lo  scudo,  or  con  la  spada, 
Che  '1  nemico  furore  indarno  cada. 

40 
Ma  veloce  a  lo  schermo  ei  non  è  tanto, 
Che  più  l'altro  non  sia  pronto  a  l'oiTese; 
Già  spezzato  lo  scudo  e  l'elmo  infranto 
E  forato  e  sanguigno  avea  l'arnese; 
E  colpo  alcun  de' suoi,  chetante  o  quanto 
Impiagasse  il  nemico,  anco  non  scese: 
E  teme,  e  gli  rimorde  insieme  il  core 
Sdegno,  vergogna,  conscienza,  amore. 

41 
Dispensi  al  fin  con  disperata  guerra 
Far  prova  ornai  de  l'ultima  fortuna; 
Getta  lo  scudo,  ed  a  due  mani  aiferra 
La  spada  eh' è  di  sangue  ancor  digiuna; 
E  co  '1  nemico  suo  si  stringe  e  serra, 
E  cala  un  colpo  ;  e  non  v'^è  piastra  alcuna 
Che  gli  resista  si,- che  grave  angoscia 
Non  dia,  piagando,  a  la  sinistra  coscia. 

42 
E  poi  su  l'ampia  fronte  il  ripercote  [la: 
Si  ch'il  picchio  rimbomba  in  suon  di  squil- 
L'elmo  non  fende  già;  ma  lui  ben  scote, 
Tal  ch'egli  si  rannicchia  e  ne  vacilla. 
Infiamma  d'ira  il  Principe  le  gote, 
E  ne  gli  occhi  di  foco  arde  e  sfavilla; 
E  fuor  de  la  visiera  escono  ardenti 
Gli  sguardi,  e  insieme  lo  stridor  de'  denti. 

43 
Il  perfido  Pagan  già  non  sostiene 
La  vista  pur  di  si  feroce  aspetto. 
Sente  fischiare  il  ferro,  e  tra  le  vene 
Già  gli  sembra  d'averlo  e  in  mezzo  il  petto. 
Fugge  da  'l  colpo,  e  'l  colpo  a  cader  viene 
Dove  un  pilastro  è  centra  il  ponte  eretto: 
Ne  van  le  scheggio  e  le  scintille  al  cielo, 
E  passa  al  cor  del  traditor  un  gelo. 


BoN.  fornio,  che  può  certo  difendersi,  ma 
può  essere  ancóra  err.  di  st.  —  6.  fura:  to- 
glie; ed  è  ancora  del  Petrarca. 

40,  4.  arnese:  Cfr.  m  73,  5  in  nota.  —  5. 
tanto  0  quanto:  pur  un  poco  ;  ve  n'  ha  esem- 
pio nel  l'etrarca. 

42,  4.  si  rannicchia:  si  ristringe  in  sé 
stesso,  si  raccorcia  quasi.  —  5-8.  (Jentile: 
«  Osserva  tanti  segni  di  un  grandemente 
adirato,  i  quali  cosi  espresse  Seneca:  -  Fla- 
grant  et  micant  oculi;  multus  ore  toto  ru- 
bor  aestuante  ab  imis  praecordiis  sanguine; 
labra  quatiuntur,  dentes  comprimuntur  *; 
e  Virg.,  Aen.  xu  101:  «  totoque  ariientis  ab 
ore  Scintillae  absiatunt,  oculis  micat  acri- 
bus  iguis  ♦. 


86 


GERUSALEMME  LIBERATA 


44 
Onde  al  ponte  rifugge,  e  sol  nel  córso 
De  la  salute  sua  poue  ogni  speme. 
Ma  '1  seguita  Tancredi,  e  già  su  '1  dorso 
La  man  gli  stende  e '1  pie  co '1  pie  gii  preme: 
Quando  ecco  (al  fuggitivo  alto  soccorso; 
Sparir  le  faci,  ed  ogni  stella  insieme, 
Né  rimaner  a  l'orba  notte  alcuna. 
Sotto  povero  ciel,  luce  di  luna. 

45 
Fra  l'ombre  de  la  notte  e  de  gli  incanti 
Il  vincitor  no  '1  segue  più,  né  U  vede: 
Né  può  cosa  vedersi  a  lato  o  inanti, 
E  muove  dubbio  e  mal  securo  il  piede. 
Su  l'entrare  d'un  uscio  i  passi  erranti 
A  caso  mette,  né  d'entrar  s'avvede; 
Ma  sente  poi,  che  suona  a  lui  di  dietro 
La  porta,  e  'u  luogo  il  serra  oscuro  e  tetro. 

46 
Come  il  pesce  colà  dove  impaluda 
Ne  i  seni  di  Comaccliio  il  nostro  mare, 
Fugge  da  l'onda  impetuosa  e  cruda 
Cercando  in  placide  acque  ove  ripare; 
E  vien  che  da  se  stesso  ei  si  rinchiuda 
In  palustre  prigion,  né  può  tornare. 
Che  quel  serraglio  è  con  mirabil  uso 
Sempre  a  l'entrar  aperto,  a  l'uscir  chiuso: 

47 
Cosi  Tancredi  allor,  qual  che  si  fosse 
De  l'estrania  prigion  l'ordigno  e  l'arte, 
Entrò  per  sé  raedesmo,  e  ritrovosse 
Poilà  rinchiuso,  ov'uompersé  non  parte. 
Ben  con  robusta  man  la  porta  scosse; 
Ma  fur  le  sue  fatiche  indarno  sparte; 
E  voce  in  tanto  udi,  che.  Indarno,  grida, 
Uscir  procuri,  o  prigionier  d'Armida. 

48 
Qui  menerai  (non  temer  già  di  morte) 


44,  3.  Ma '1  segnila  ecc.  Virg.,  Aen.  II  530: 
«Illum  ardens  infesto  vulnere  Pyrrus  Inse- 
quitur,  iam  iamque  raauu  tenet  et  premit 
basta»;  e  xii  748:  «  Insequitur,  trepidique 
pedem  pede  fervidus  urget  >  —  S.  povero 
ciel:  Tasso  (Lett.  22):  «  Purpurei  tiranni, 
Pjcero  cieU  son  miei  capricci;  ma  però 
prima  che  miei,  faron  d'Orazio  (Od.  Ixxxv) 
Tuno,  l'altro  di  Dante  {Purg.  xvi  2)  ». 

45,  5.  Su  l'entrare;  E  su  l'entrar.  Conq.; 
roa  Os.  Su  'Z  limitar. 

46,  Gentile:  <  La  medesima  considera- 
zione usò  Silio  Italico,  se  non  che  egli  dice 
di  una  nassa  (v  47 1:  -  Non  secus  ac  vitreas 
sollers  piscator  ad  undas  Ore  levem  patulo 
texens  de  vimine  nassam,  Cautius  interiora 
ligat,  mediamque  per  alvum  Sensim  fasti- 
gans,  compressa  cacumiua  nectit:  Ac  frau- 
dem  ardati  remeareforaminisarcetlntroitu 
faciiem,  quem  traxit  ab  aequore  piscem  ». 

47,  4.  per  sé:  senz'aiuto  d'alcuno. 


Nel  sepolcro  de'  vivi  i  giorni  e  gli  anni. 
Non  risponde,  ma  preme  il  guerrier  forte 
Nel  3or  profondo  i  gemiti  e  gli  affanni; 
E  fra  se  stesso  accusa  Amor,  la  sorte. 
La  sua  sciocchezza  e  gli  altrui  feri  inganni; 
E  talor  dice  in  tacite  parole: 
Leve  perdita  fia  perdere  il  sole; 
49 

Ma  di  più  vago  sol  più  dolce  vista 
Misero!  i'  perdo:  e  non  so  già  se  mai 
In  loco  tornerò  che  l'alma  trista 
Si  rassereni  a  gli  amorosi  rai. 
Poi  gli  sovvien  d'Argante,  e  più  s'attrista: 
E,  troppo,  dice,  al  mio  dover  mancai; 
Ed  è  ragion  ch'ei  mi  disprezzi  e  schema! 
0  mia  gran  colpa!  o  mia  vergogna  eterna! 
50 

Cosi  d'amor,  d'onor  cura  mordace 
Quinci  e  quindi  al  suerrier  l'animo  rode. 
Or  mentre  egli  s'affligge,  Argante  audace 
Le  molli  piume  di  calcar  non  gode: 
Tanto  è  nel  crudo  petto  odio  di  pace, 
Cupidigia  di  sangue,  amor  di  lode, 
Che,  de  le  piaghe  sue  non  sano  ancora, 
Brama  che  il  sesto  di  porti  l'aurora. 
51 

La  notte  che  precede,  il  Fagan  fero 
A  pena  inchina  per  dormir  la  fronte; 
E  sorge  poi  che  '1  cielo  anco  è  si  nero, 
Che  non  dà  luce  in  su  la  cima  al  monte. 
Recami,  grida,  l'armi,  al  suo  scudiero: 
Ed  esso  aveale  apparecchiate  e  pronte: 
Non  le  solite  sue,  ma  dal  re  sono 
Dategli  queste;  e  prezioso  è  il  dono. 
52 

Senza  molto  mirarle  egli  le  prende 
Né  dal  gran  peso  è  la  persona  onusta; 
E  la  solita  spada  al  fianco  appende, 
Ch'è  di  tempra  finissima  e  vetusta. 
Qual  con  le  chiome  sanguinose  orrende 
Splender  cometa  suol  per  l'aria  adusta, 
Che  i  regni  muta  e  i  feri  morbi  adduce, 
A  i  purpurei  tiranni  infausta  luce; 
53 

Tal  ne  l'arme  ei  fiammeggia,  e  bieche  e 

[torte 


48,  3.  preme  ecc.  Virg.,  Aen.  i  209:  «  pre- 
mit altum  corde  dolorem  ». 

I        61,  5.    Recami,    grida,    l'armi;    Portami, 
griclaJ'armeCoscì.; Recami  Var'tne (grida). 

I  Os.  —  6.  Ed  esso;   E  quello  Conq.;  E  que- 
gli OS. 

62,  5.  Qnal  ecc.  Virgilio,  di  Turno  pure 
armato,  Aen.  x  272:  •  Non  secus  ac  liquida 
si  quando  nocte  cometae  Sanguinei  lugubre 
rubent,  aut  Sirius  ardor,  Ille  sitim,  morbos- 
que  ferens  mortalibus  aegris,  Nascitur  et 
laevo  contristai  lumina  caclum  ».  —  8.  Ora- 
zio, Od.  I  XXXV  12:  «  Purpurei  metuunt  ty- 
ranni  •  ;  cfr.  str.  14  8,  in  nota. 


CANTO  VII 


87 


Volge  le  luci  ebre  di  sanjjue  e  d'ira. 
Spirano  gli  atti  fòri  orror  di  morte, 
E  minaccio  di  morte  il  vólto  spira. 
Alma  non  è  cosi  seciira  e  forte 
Che  non  paventi,  ove  un  sol  guardo  gira. 
Nuda  ha  la  spada,  e  la  solleva  e  scote 
Gridando;  e  l'aria  e  l'ombre  in  vanpercote. 
54 

Ben  tosto,  dice,  il  predator  cristiano, 
Ch'audace  è  si  ch'a  me  vuole  agguagliarsi, 
Caderà  vinto  e  sanguinoso  2I  piano, 
Bruttando  uè  la  polve  i  crini  sparsi; 
E  vedrà,  vivo  ancor,  da  questa  mano 
Ad  onta  del  suo  Dio  l'arme  spogliarsi. 
Né  morendo  impetrar  potrà  co'  preghi 
Che  in  pasto  a'  cani  le  sue  membra  i'  neghi. 
55 

Non  altramente  il  tauro,  ove  l'irriti 
Geloso  amor  co'stimuli  pungenti, 
Orribilmente  mugge,  e  co'  muggiti 
Gli  spirti  in  sé  risveglia  e  l' ire  ardenti  ; 
E  '1  corno  aguzza  a  i  tronchi,  e  par  ch'inviti 
Con  vani  colpi  a  la  battaglia  i  venti; 
Sparge  co  '1  pie  l'arena,  e  '1  suo  rivale 
Da  lunge  sfida  a  guerra  aspra  e  mortale. 
56 

Da  si  fatto  furor  commosso  appella 
L'araldo,  e  con  parlar  tronco  gì' impone: 
Vattene  al  campo,  e  la  battaglia  fella 
Nunzia  a  colui  eh' è  di  Giesù  campione. 
Quinci  alcun  nonaspetta,  e  monta  insella, 
E  fa  condursi  inauzi  il  suo  prigione; 
Esce  fuor  de  la  terra,  e  per  lo  colle 
In  córso  vien  precipitoso  e  folle. 


6*5,  6.  ove:  se,  quando  ;  ma  in  questo  senso 
condizionale  e  temporale  più  spesso  col  con- 
giuntivo. Altri  potrebbe  intènderlo  come 
avverbio  di  luogo:  là  ove.  —  7.  e  la  solleva 
ecc.  ;  Qui  rifa  Virgilio  Aen.  xii  93,  ove  dice 
di  Turno:  «  ...validam  vi  corripit  hastam, 
Actoris  Aurunci  spoliura,  quassatque  tre- 
mentem,  Vociferans:  Nunc,  0  nunquam  fru- 
strata vocatus,  Ilasta,  raeos,  nunc  tempus 
adest:  te  maximus  Actor,  Te  Turni  nunc 
dextra  gerit:  da  steruere  corpus  Loricam- 
que  manu  valida  lacerare  revulsam  Semi- 
viri  Phrygis,  et  foedare  in  pulvere  crines  »; 
l'imit.  seguita  nella  st.  seg. 

65.  Il  Guasta  vini  riportò  giài  luoghi  imifc. 
dal  T.:  Virg.,  Aen.  xii  103:  «  Mugitus  veluti 
cum  prima  in  proelia  taurus  Terrificos  ciet, 
atque  irasci  in  cornua  tentat  Arboris  ob- 
nixus  trunco,  ventosque  lacessit  Ictibus,  aut 
sparsa  ad  pugnata  proludit  arena  »  ;  e  le 
Georg,  (iii,  23^-^34).  E  Lucano,  Phars.  11, 
601:  «Pulsus  ut  armentis  primo  certamine 
taurus  Silvarum  secreta  petit,  vacuosque 
per  agros  Exul  in  adversis  explorat  coriiua 
truncis  ». 


57 

Dà  fiato  in  tanto  al  corno;  e  n'esce  un  suo- 
Ohe  d'ogn'intorno  orribile  s'intende,  [no 
E  'n  guisa  pur  di  strepitoso  tuono 
Gli  orecchi  e '1  cor  de  gli  ascoltanti  offende. 
Già  i  principi  cristiani  accolti  sono 
Ne  la  tenda  maggior  de  l'altre  tende: 
Qui  fé' l'araldo  sue  disfide,  e  incluse 
Tancredi  pria,  né  però  gli  altri  escluse. 
58 

Goffredo  intorno  gli  occhi  gravi  e  tardi 
Volge  con  mente  allor  dubbia  e  sospesa; 
Né,  perché  molto  pensi  e  molto  guardi, 
Atto  gli  s'offre  alcuno  a  tanta  impresa. 
Vi  manca  il  fior  de'  suoi  guerrier  gagliardi; 
Di  Tancredi  non  s'è  novella  intesa; 
E  lunge  è  Boemondo;  ed  ito  è  in  bando 
L'invitto  eroe  eh'  uccise  il  fier  Gernaudo. 
59 

Ed  oltre  i  diece  che  fur  tratti  a  sorte, 
I  migliori  del  campo  e  i  più  famosi 
Seguir  d'Armida  le  fallaci  scorte, 
Sotto  il  silenzio  de  la  notte  ascosi. 
Gli  altri  di  mano  e  d'animo  men  forte 
Taciti  se  ne  stanno  e  vergognosi  ; 
Né  v' è  chi  cerchi  in  si  gran  rischio  onore; 
Che  vinta  la  vergogna  è  dal  timore. 
60 

Al  silenzio,  a  l'aspetto,  ad  ogni  segno, 
Di  lor  temenza  il  Capitan  s'accòrse: 
E  tutto  pien  di  generoso  sdegno 
Dal  loco,  ove  sedea,  repente  sorse, 
E  disse:  Ben  sarei  di  vita  indegno, 
Se  la  vita  negassi  or  porre  in  forse, 
Lasciando  ch'un  Pagan  cosi  vilmente 
Calpestasse  l'onor  di  nostra  gente! 
61 

Sieda  in  pace  il  mio  campo,  e  da  secura 
Parte  miri  ozioso  il  mio  periglio. 
Su  su,  datemi  l'arme:  e  l'armatura 
Gli  fu  recata  in  un  girar  di  ciglio. 
Ma  il  buon  Raimondo,  che  in  età  matura 
Parimente  maturo  avea  il  consiglio, 
E  verdi  ancor  le  forze  al  par  di  quanti 
Erano  quivi,  allor  si  trasse  avanti, 
62 

E  disse  a  lui  rivolto:  Ah  non  sia  vero 
Ch'in  un  capo  s'arrischi  il  campo  tutto! 


60,  5.  Ben;  ma  Bon,^  e  Os.  Ah  ben. 

61,  5.  Ma  il  buon  Raimondo  ecc.:  «  Questa 
riprensione  di  Raimondo  a'  cavalieri  cri- 
stiani (osserva  il  Guastavini),  che,  provocati 
da  Argante,  non  ardivano  d'offerirsi  alla 
battaglia,  come  anche  molte  altre  cose  per- 
tinenti a  questo  duello,  è  tolta  da  Omero 
nel  VII  dell'i/,  ecc.»  dove  Nestore  rimpro- 
vera e  spinge  i  greci  ad  accettare  la  distida 
di  Ettore.  Se  non  clie  il  cinquecentista  giu- 
dica il  Tasso  più  giudizioso  di  Omero. 


88 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Duce  sei  tu,  non  semplice  guerriero; 
Publico  fora,  e  non  privato  il  lutto. 
In  te  la  fé  3'appoggia  e  '1  santo  impero: 
Per  te  fia  il  regno  di  Babèl  distrutto. 
Tu  il  senno  sol,  lo  scettro  solo  adopra; 
Ponga  altri  poi  Tardire  e  '1  ferro  in  opra. 
63 

Ed  io,  ben  ch'a  gir  curvo  mi  condanni 
La  grave  età,  non  fia  che  ciò  ricusi. 
Schivino  gli  altri  i  marziali  affanni: 
Me  non  vuo'giàche  la  vecchiezza  scusi. 
Oli  I  fo.?s'io  pur  su  '1  mio  vigor  de  gli  anni, 
Qual  séte  or  voi,  che  qui  temendo  chiusi 
Vi  state,  e  non  vi  move  ira  o  vergogna 
Contra  lui  che  vi  sgrida  e  vi  rampogna, 
64 

E  quale  allora  fui,  quando  al  cospetto 
Di  tutta  la  Germania,  a  la  gran  corte 
Del  secondo  Corrado,  apersi  il  petto 
Al  feroce  Leopoldo  e  '1  posi  a  morte! 
E  fu  d'alto  valor  più  chiaro  effetto 
Le  .spoglie  riportar  d'uom  cosi  forte, 
Che  s'aìcun  or  fugasse  inerme  e  solo 
Di  questa  iguobil  turba  un  grande  stuolo. 
65 

Se  fosse  in  me  quella  virtù,  quel  sangue. 
Di  questo  alter  l'orgoglio  avrei  già  spento. 
Ma,  qualunque  io  mi  sia,  non  peròiangue 
Il  core  in  me,  né  vecchio  anco  pavento. 
E.  s'io  pur  rimarrò  nel  campo  esangue, 
Né  il  Pagan  di  vittoria  andrà  contento; 
Armarmi  i' vuo';  sia  questo  il  di  ch'illustri 
Con  novo  onor  tutti  i  miei  scorsi  lustri. 
66 

Cosi  parla  il  gran  vecchio  :  e  sproni  acuti 
Son  le  parole,  onde  virtù  si  desta. 
Quei  che  fur  prima  timorosi  e  muti 
Hanno  la  lingua  or  baldanzosa  e  presta. 
Né  sol  non  v'è  chi  la  tenzon  rifiuti, 


Ma  ella  ornai  da  molti  a  prova  è  chiesta; 
Buldovin  la  domanda;  e  con  Ruggiero 
Guelfo,  i  due  Guidi,  e  Stefano,  e  Gerniero, 

67 
E  Pirro,  quel  che  fé' il  lodato  inganno, 
Dando  Antiochia  presa  a  Boemondo; 
Ed  a  prova  richiesta  anco  ne  fanno 
Eberardo,  Ridolfo,  e  -1  prò'  Rosmondo, 
Un  di  Scozia,  un  d'Irlanda,  ed  un  Britanno, 
Terre  che  parte  il  mar  dal  nostro  mondo; 
'  E  ne  son  parimente  anco  bramosi 

Gildippe  ed  Odonrdo,  amanti  e  sposi. 
I  68 

I    Ma  sovra  tutti  gli  altri  il  fero  vecchio 
■  Se  ne  dimostra  cupido  ed  ardente. 
,  Armato  è  già:  sol  manca  a  l'apparecchio 
j  Uè  gli  altri  arnesi  il  fino  elmo  lucente. 
A  cui  dice  Goffredo:  0  vivo  specchio 
Del  valor  prisco,  in  te  la  nostra  gente 
Miri,  e  virtù  n'apprenda:  in  te  di  Marte 
Splende  Tonor,  la  disciplina  e  l'arte. 

69 
Oh!  pur  avessi  fra  l'etade  acerba 
Diece  altri  di  valor  al  tuo  simile. 
Come  ardirei  vincer  Babèl  superba, 
E  la  Croce  spiegar  da  Battro  a  Tile. 
Ma  cedi  or,  prego,  e  te  medesmo  serba 
A  maggior  opre  e  di  virtù  senile; 
Pongansi  poi  tutti  i  nomi  in  un  vaso, 
Come  è  l'usanza,  e  sia  giudice  il  caso; 

70 
Anzi  giudice  Dio,  de  le  cui  voglie 
Ministra  e  serva  è  la  fortuna  e  '1  fato. 
Ma  non  però  dal  suo  pensier  si  toglie 


62,  5.  Babèl  :  Mella  :  *  Da  Bagdad,  la  nuova 
Babilonia,  era  co.si  chiamata  nel  medio  evo 
la  Siria,  e  imperator  di  Babilonia  quel  Ca- 
liffo ». 

63,  5.  Ohi  foss'io  ecc.:  Evandro  in  Virg., 
Aeìi.  V  III  550  «  Oh  mihi  praeteritos  referat 
8i  luppiter  annos  !  Qualis  eram  cum  primam 
aciem  Praeneste  sub  ipsa  Stravi,  scutorum- 
que  incendi  victor  acerros,  Et  regem  hac 
Herilum  dextra  sub  Tartara  misi  ». 

6i,  1.  E  quale  allora  fai  ecc.:  Pare  che 
sia  invenzione  poetica  del  Tasso,  perché 
Raimondo  IV  di  Tolosa,  Marchese  di  I  ro- 
venza  visse  dal  1024  al  1110;  e  Corrado  II, 
detto  il  Salico,  mori  nell'anno  1039. 

65,  1.  Se  fosse  ecc.:  Virg.,  .4cn.  v  397,  in 
persona  di  Entello:  «  Si  mihi  quae  quondam 
fuerat,  quaque  improbus  iste  Ex'dtat  fi- 
4ens,  si  nunc  foret  illa  iuventas  ecc,  ». 


68,  6.  a  prora:  Cosi  ancóra  Conq.;  ma 
Os    a  gara. 

67,  1.  Pirro:  Mella:  «  Pirro,  da  altri 
detto  Piroo,  é  quel  rinnegato  armeno  che 
apri  '1098)  ai  crociati  le  tre  torri  alla  sua 
custodia  affidate,  spinto  dalle  larghe  pro- 
messe del  principe  di  Taranto  ecc.  >.  Vedi 
Gugl.  Tir.  V  11,  che  cita  il  fatto  e  dice  che 
il  traditore  aveva  nome  Erairferro;  ma  Ro- 
berto Monaco  pure  lo  chiama  Pirro. 

6S  7.  Marte:  il  dio  della  guerra,  per  la 
guerra  stessa. 

69,  5-8.  Guastavini:  «Omero  nel  ii  del- 
VII..  in  persona  di  Agamennone:  -In  vero 
tu  pur  nel  consigliar  vinci,  o  vecchio,  i  fi- 
gliuoli dei  Greci:  -  Ed,  oh  Giove  padre,  e 
Minerva  ed  Apolline!  -  Tali  diece  consi- 
glieri a  me  fossero  de'  Greci,  -  Che  ben 
tosto  crollerebbe  la  città  di  l'riarao  e  il  re  ». 
—  7-8.  Cosi  legge  pure  questi  due  versi, 
salvo  leggiera  trasposizione  nei  primo  {Pon- 
gansi i  nomi  poi  tutti),  la  Conq.;  ma  Os. 
E  lascia  che  de  gli  altri  in  picciol  vaso 
Pongansi  i  fiomi:  e  si  >.  giudici  il  caso  ^. 
Cfr.  e.  V  7%,  7-8 


CAJNTO   VII 


89 


Raimondo,  e  vuol  aiich'egli  esser  notato. 
Ne  relmo  suo  Goffredo  i  brevi  accoglie; 
E,  poi  che  l'ebbe  scosso  ed  agitato, 
Nel  primo  breve  che  di  là  traesse, 
Del  conte  di  Tolosa  il  nome  lesse. 
71 

Fu  il  nome  suo  con  lieto  grido  accolto, 
Né  di  biasraar  la  sorte  alcuno  ardisce. 
Ei  di  fresco  vigor  la  fronte  e  '1  vólto 
Riempie;  e  cosi  allor  ringiovenisce, 
Qualserpefieiche  innovespoglie  avvolto 
D'oro  fiammeggi,  e'n  contrail  sol  si  lisce. 
Mapiùd'ogn'altro  il  Capitan  gliapplaude, 
E  gli  annunzia  vittoria,  e  gli  dà  laude. 
72 

E  la  spada  togliendosi  dal  fianco, 
E  porgendola  a  lui,  cosi  dìcea: 
Questa  è  la  spada  che  'u  battaglia  il  franco 
Rubello  di  Sassonia  oprar  solca, 
Ch'  io  già  gli  tolsi  a  forza  ;  e  gli  tolsi  anco 
La  vita  allor  di  mille  colpe  rea: 
Questa,  che  meco  ognor  fu  vincitrice, 
Prendi,  e  sia  cosi  teco  ora  felice. 
73 

Di  loro  indugio  in  tanto  è  quell'altero 
Impaziente,  e  li  minaccia  e  grida: 
0  gente  invitta,  o  popolo  guerriero 
D' Europa,  un  uomo  solo  è  che  vi  sfida. 
Venga  Tancredi  omaì,  che  par  si  fero. 
Se  ne  la  sua  virtù  tanto  si  fida; 
0  vuol,  giacendo  in  piume,  aspettar  forse 
La  notte  ch'altre  volte  a  lui  soccorse? 
74 

Vengaaltri,  s'egli  teme;  a  stuolo  a  stuolo 
Venite  insieme,  o  cavalieri,  o  f:inti; 
Poi  che  di  pugnar  meco  a  solo  a  solo 
Non  v'èfra  mille  schiere  uom  che  si  vanti. 
Vedete  là  il  sepolcro,  ove  il  figliuolo 
Di  Maria  giacque;  or  che  non  gite  avanti? 
Che  non  sciogliete  i  vóti?  ecco  la  strada: 
A  qual  serbate  uopo  maggior  la  spada? 
75 

Con  tali  scherni  il  Saracino  atroce 


70.  4-8.  Cfr.  Ariosto,  Ori.  xxx  23-24.  — 
5,  breri:  cfr.  e.  v  74,  8  in  nota.  —  8.  conte 
di  T.  Raimondo. 

71.  5.  (Jual  serpe  ecc.  Comparazione  vir- 
giliana Aen.  Il  471:  «Qualis  ubi  in  lucem 
coluber...  Nunc  po.sitis  novus  exuviis,  niti- 
dusque  iuveuta  Lubrica  couvolvit,  sublato 
pectore,  terga  Arduus  ad  solem,  et  lingua 
micat  ore  trisulci»;  cfr.  Ariosto,  di  Rodo- 
monte, Ori.  XVII  11. 

72.  4.  rubello:  ribelle:  Rodolfo  duca  di 
Svevia  eletto  a  succedere  ad  Arrigo  IV,  il 
quale  era  stato  deposto  da  Gregorio  VII,  fu 
ucciso  dal  Buglione  che  lo  passò  da  parte 
a  parte  con  lo  stendardo:    cfr.  e.  i  1,   1  in 

QOtiì. 


Quasi  con  dura  sferza  altrui  percote: 
Ma,  più  ch'altri,  Raimondo  a  quella  voce 
S'accende,  e  l'onte  sofferir  non  puote. 
La  virtù  stimolata  è  più  feroce, 
E  s'aguzza  de  Tira  a  l'aspra  cote; 
Si  che  tronca  gli  indugi,  e  preme  il  dorso 
Del  suo  Aquilino, a  cuidiè'l  nome  il  córso. 
76 

Questo  su  '1  Tago  nacque,  ove  talora 
L'avida  madre  del  guerriero  armento, 
Quando  l'alma  stagion,  che  n'innamora. 
Nel  cor  le  instiga  il  naturai  talento, 
Volta  l'aperta  bocca  in  coutra  l'ora, 
Raccoglie  i  semi  del  fecondo  vento; 
E  de'  tepidi  fiati  (oh  meraviglia!) 
Cupidamente  ella  concipe  e  figlia. 
77 

E  ben  questo  Aquilin  nato  diresti 
Di  qual  aura  del  ciel  più  lieve  spiri; 
0  se  veloce  si,  ch'orma  non  resti, 
Stendere  il  córso  per  l'arena  il  miri; 
0  se  '1  vedi  addoppiar  leggieri  e  presti 
A  destra  ed  a  sinistra  angusti  giri. 
Sovra  tal  corridore  il  Conte  assiso 
Move  a  l'assalto,  e  volge  al  Cielo  il  viso: 
78 

Signor,  tu  che  drizzasti  in  contra  l'empio 
Golia  l'armi  inesperte  in  Terebinto, 
Si  ch'ei  ne  fu,  che  d'Israel  fea  scempio, 
Al  primo  sasso  d'un  garzone  estinto; 
Tu  fa'  ch'or  giaccia  (e  fia  pari  l'esempio) 


76,  8.  Aquilino  a  cui  die  '1  nome  ecc.:  il 
córso  veloce  come  quello  del  vento  aquilone 
gli  dette  il  nome.  É  l'unico  cavallo  nella 
Gerus.  che  abbia  un  nome  e  su  cui  il  T.  si 
soffermi. 

76,  1.  Quest*  sa  '1  Tago:  Cosi  le  3  st.  BON. 
e  CoNQ.:  invece  Su  'l  Tago  il  destrier  Os. 
—  talora  ecc.:  Tolto  da  Virgilio,  se  non  che 
disse  ciò  delle  vacche  (Georg,  in  271):  «Con- 
tinuoque,  avidis  ubi  subdita  fiamma  me- 
dullis  Vere  magis,  quia  vere  calor  redit 
ossibus,illaeOre  omnes  versaein  Zephyrum 
stant  rupibus  altis,  Exceptantque  leves  auras; 
et  saepe  sine  ullis  Coniugiis  vento  gravidae 
(mirabile  dictu)  Saxa  per  et  scopulos  et  de- 
pressas  convalles  Diffugiunt  ».  *  Ma  princi- 
palmente ebbe  presente  Plinio,  S.  N.:  «  Con- 
stat  in  Lusitania  circa  Ulissiponem  oppidum 
et  Tagum  amnem  equas  favonio  flauti  ob- 
versas  animalera  concipere  spiritum,  idque 
partura  fieri  et  gigni  pernicissimura  ». — 8. 
Dante,  Purg.  xxviii  112:  «  E  l'alta  terra  se- 
condo eh' è  degno,  Per  sé,  o  per  suo  cieJ 
concepe  e  figlia  ». 

78,  1-4.  Petrarca,  Tr.  Cast.  100:  -Né 
giacque  si  smarrito  ne  la  valle  Di  Terebinto 
quel  gran  Filisteo  A  cui  tutto  Israel  dava 
le  spalle,  Col  primo  sasso  del  garzon  ebreo  *■ 


90 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Questo  fellon  da  me  percosso  e  vinto: 
E  debil  vecchio  or  la  superbia  opprima, 
Come  debil  fanciul  l'oppresse  iu  prima. 
79 

Cosi  pregava  il  Conte;  e  le  preghiere, 
Mosse  da  la  speranza  in  Dio  secura, 
S'alzar  volando  a  le  celesti  spere, 
Come  va  foco  ai  ciel  per  sua  natura. 
L'accolse  il  Padre  eterno,  e  fra  le  schiere 
De  l'esercito  suo  tolse  a  la  cura 
Un  che  '1  difenda,  e  sano  e  vincitore 
Da  le  man  di  ouell'empio  il  tragga  fuore. 
80 

L'angelo,  che  fu  già  custode  eletto 
Da  l'alta  Providenza  al  buon  Raimondo 
In  sin  dal  primo  di  che  pargoletto 
Se  'n  venne  a  farsi  peregrin  del  mondo, 
Or  che  di  novo  il  Re  del  Ciel  gli  ha  detto 
Che  prenda  in  sé  de  la  difesa  il  pondo. 
Ne  l'alta  ròcca  ascende,  ove  de  l'oste 
Divina  tutte  son  l'arme  riposte. 
81 

Qui  l'asta  si  conserva,  onde  il  serpente 
Percosso  giacque,  e  i  gran  fulminei  strali, 
E  quegli  ch'invisibili  a  la  gente 
Portan  l'orride  pesti  e  gli  altri  mali; 
E  qui  sospeso  è  in  alto  il  gran  tridente, 
Primo  terror  de'  miseri  mortali, 
Quando  egli  avvien  che  i  fondamenti  scota 
De  l'ampia  terra,  e  le  città  percota. 
82 

Si  vedea  fiammeggiar  fra  gli  altri  arnesi 
Scudo  di  lucidissimo  diamante, 
Grande  che  può  coprir  genti  e  paesi 
Quanti  ve  n'ha  fra  il  Caucaso  e  l'Atlante; 
E  sogliono  da  questo  esser  difesi 
Principi  giusti,  e  città  caste  e  sante. 
Questo  l'angelo  prende,  e  vien  con  esso 
Occultamente  al  suo  Raimondo  appresso. 
83 

Piene  in  tanto  le  mura  erau  già  tutte 
Di  varia  turba;  e  "1  barbaro  tiranno 
Manda  Clorinda  e  molte  genti  instrutte, 
Che.  ferme  a  mezzo  ilcolle,  oltre  non  van- 
Da  l'altro  lato  in  ordine  ridutte  [no. 

Alcune  schiere  de'  Cristiani  stanno: 
E  largamente  a'  duo  campioni  il  campo 
Vóto  riman  fra  l'uno  e  l'altro  campo. 
84 

Mirava  Argante,  e  non  vedea  Tancredi 
Ma  d'ignoto  campion  sembianze  nove. 
Fecesi  il  conte  inanzi  ;  e,  Quel  che  chiedi. 
È,  disse  a  lui,  per  tua  ventura  altrove. 


79,  4.  Seguita  la  scienza  medievale,  che 
metteva  la  sede  del  fuoco  nella  sfera  al  di 
sopra  dell'aria.  Cosi  Dante  dice  che  la  fol- 
gore scendendo  a  terra,  va  contro  sua  na- 
tura- 


Non  superbir  però,  che  me  qui  vedi 
Apparecchiato  a  riprovar  tue  prove, 
Chio  di  lui  posso  sostener  la  vice, 
O  venir  come  quinto  a  me  qui  lice. 
85 

Ne  sorride  il  superbo,  e  gli  risponde: 
Che  fa  dunque  Tancredi?  e  dove  stassi? 
Minaccia  il  ciel  con  Tarmi,  e  poi  s'asconda 
Fidando  sol  ne'  suoi  fugaci  passi: 
Ma  fugga  pur  nel  centro,  e'nmezzol'onde; 
Che  non  fia  loco,  ove  securo  il  lassi. 
Ménti,  replica  l'altro,  a  dir  ch'uora  tale 
Fugga  da  te,  ch'assai  di  te  più  vale. 
86 

Fremeil  Circasso  irato,edice:  Or  prendi 
Del  campo  tu.  ch'in  vece  sua  t'accetto; 
E  tosto  e'  si  parrà  come  difendi 
L'alta  follia  del  temerario  detto. 
Cosi  mossero  in  giostra,  e  i  colpi  orrendi 
Parimente  drizzaro  ambi  a  l'elmetto: 
E  '1  buon  Raimondo,  ove  mirò,  scontrollo, 
Né  dar  gli  fece  ne  l'arcion  pur  crollo. 
87 

Da  l'altra  parte  il  fero  Argante  corse 
(Fallo  insolito  a  lui)  l'arringo  in  vano; 
Che  '1  difensor  celeste  il  colpo  torse 
Dal  custodito  cavalier  cristiano. 
Le  labra  il  crudo  per  furor  si  morse, 
E  ruppe  l'asta  bestemmiando  al  piano. 
Poi  tragge  il  ferro,  e  va  contra  Raimondo 
Impetuoso  al  paragon  secondo. 
83 

E'I  possente  corsiero  urta  per  dritto, 
Quasiraonton  ch'ai cozzoil  capo  abbassa. 
Schiva  Raimondo  l'urto,  al  lato  dritto 
Piegando  il  córso,  e'I  fere  in  fronte,  e  passa: 
Torna  di  nuovo  il  cavalier  d'Egitto, 
Ma  quegli  pur  di  novo  a  destra  il  lassa: 
E  pur  su  l'elmo  il  coglie,e'ndarno  sempre 
Che  l'elmo  adamantine  avea  le  tempre. 
89 

Ma  il  feroce  Pagan,  che  seco  vuole 
Più  stretta  zuffa,  a  lui  s'avventa  e  serra. 
L'altro,  ch'ai  peso  di  si  vasta  mole 
Teme  d'andar  co  '1  suo  destriero  a  terra, 
Qui  cede,  ed  indi  assale,  e  par  che  vole, 
Intorniando  con  girevol  guerra; 
E  i  lievi  imperii  il  rapido  cavallo 
Segue  del  freno,  e  non  pone  orma  in  fallo. 


Si,  S.  quinto;  Os.  terzo.  Ed  è  in  vero  il 
terzo;  ma  forse  il  P.  volle  riprendere  con 
ironia  la  prima  disfida  d'Argante  del  e.  vi 
st.  13  e  18,  ove  invita  non  solo  uno  dei  cri- 
stiani ma  il  quarto  e  il  quinto. 

85,  3.  Minaccia  ecc.:  Virg  .  Am.  xi  350; 
«  dura  Troia  tentat  Castra,  fugae  fidens,  et 
caelum  territat  arrais  ».  —  5.  centro:  della 
terra.  Cfr.  xvi  31,  8. 


CANTO  VII 


91 


90 

Qual  Capitan,  ch'oppugni  eccelsa  torre 
In  fra  paludi  posta  o  in  alto  monte, 
Mille  aditi  ritenta,  e  tutte  scorre 
L'arti  e  le  vie;  cotal  s'aggira  il  Conte: 
E,  poi  che  non  può  scaglia  d'arme  torre 
Ch'armano  il  petto  e  la  superba  fronte, 
Fere  i  men  forti  arnesi,  ed  a  la  spada 
Cerca  tra  ferro  e  ferro  aprir  la  strada. 
91 

Ed  in  due  parti  o  in  tre  forate,  e  fatte 
L'arme  nemiche  ha  già  tepide  e  rosse; 
Ed  egli  ancor  le  sue  conserva  intatte. 
Né  di  cimier,  né  d'un  sol  fregio  scosse. 
Argante  indarno  arrabbia,  a  vóto  batte, 
E  spande  senza  prò  l'ire  e  le  posse: 
Non  si  stanca  però;  ma  raddoppiando 
Va  tagli  e  punte,  e  si  rinforza  errando. 
92 

Al  fin  tra  mille  colpi  il  Saracino 
Cala  un  fendente;  e  '1  Conte  è  cosi  presso, 
Che  forse  il  velocissimo  Aquilino 
Non  sottraggeasi,  e  rimaneane  oppresso  : 
Ma  l'aiuto  invisibile  vicino 
Non  mancò  lui  di  quel  superno  Messo, 
Che  stese  il  braccio,  e  tolse  il  ferro  crudo 
Sovra  il  diamante  del  celeste  scudo. 
93 

Fragile  è  il  ferro  allor  (che  non  resiste 
Di  fucina  mortai  tempra  terrena 
Ad  armi  incorrottibili  ed  imraiste 
D'eterno  fabro)  e  cade  in  su  l'arena. 
11  Circasso,  ch'andarne  a  terra  ha  viste 
Minutissime  parti,  il  crede  a  pena; 
Stupisce  poi,  scorta  la  mano  inerme, 
Ch'arme  il  campion  nemico  abbiasi  ferme: 


90,  1-4.  Ariosto,  Ori.  XLV  75:  «  Come  chi 
assedia  una  città  che  forte  Sia  di  buon 
fianchi  e  a  maraviglia  grossa,  Spesso  l'as- 
salta ...  Né  via  sa  ritrovar  ch'entrar  vi  possa  ; 
Cosi  molto  s'affanna  e  si  travaglia,  Né  può 
la  donna  aprir  piastra  né  maglia  ».  —  5. 
d'arme;  Os.  a  l'arme. 

91,  8.  e  si  rinforza  errando:  Guastavini: 
«  E  non  cogliendo  ove  avea  disegnato,  rin- 
fresca e  rinnuova  i  colpi  ». 

92,  1.  Al  fin  ecc.:  Imitato  da  Virg.,  Aen. 
IX  743:  «  Ille  rudem  nodis  et  cortice  crudo 
Inr.orquet,  summisaduixus  viribus,  hastam; 
Excepere  aui-ae  vulnus;  Saturnia  luno  De- 
torsit  veniens,  portaeque  infigitur  basta  ». 

93,  1.  Fragile  è  il:  Cosi  ancora  la  Conq. 
ma  Os.  Frangesi  il.  —  1-1.  Virg.,  Aen.  xii 
731:  «  at  perfidus  ensis  Frangitur,  in  me- 
dioque  ardentem  deserit  ictu...  postquara 
arma  dei  ad  Vulcania  ventura  est,  Mortalis 
mucro  glacies  ceu  futilis,  ictu  Dissiluit; 
fulva  resplendent  fragmina  hìirena  ». 


94 
E  ben  rotta  la  spada  aver  si  crede 
Su  l'altro  scudo,  ond'è  colui  difeso; 
E  '1  buon  Kaimondo  ha  la  med(  sma  fedo, 
Che  non  sa  già  chi  sia  dal  Ciel  disceso. 
Ma,  però  ch'egli  disarmata  vede 
La  man  nemica,  si  riman  sospeso; 
Che  sti  ma  ignobil  palma  e  vili  spoglie  [glie. 
Quelle  ch'altrui  contai  vantaggio uom  to- 

95 
Prendi,  volea  già  dirgli,  un'altra  spada; 
Quando  novo  pensier  nacque  nel  core. 
Ch'alto  scorno  è  de'  suoi,  dove  egli  cada, 
Che  di  publica  causa  è  difensore. 
Cosi  né  indegna  a  lui  vittoria  aggrada, 
Né  in  dubbio  vuol  porre  il  comune  onore. 
Mentre  egli  dubbio  stassi,  Argante  lancia 
Il  pomo  e  l'else  a  la  nemica  guancia; 

96 
Einquel tempo  medesmo  ildestrier  pun- 
E  per  venirne  a  lotta  oltra  si  caccia,   [gè 
La  percossa  lanciata  a  l'elmo  giunge, 
Si  che  ne  pesta  al  Tolosan  la  faccia: 
Ma  però  nulla  sbigottisce,  e  lungo 
Ratto  si  svia  da  le  robuste  braccia; 
Ed  impiaga  la  man  ch'a  dar  di  piglio 
Venia  più  fera  che  ferino  artiglio. 

97 
Poscia  gira  da  questa  a  quella  parte, 
E  raggirasi  a  questa  indi  da  quella: 
E  sempre,  e  dove  riede,  e  donde  parte. 
Fere  il  Fagan  d'aspra  percossa  e  fella. 
Quanto  avea  di  vigor,  quanto  avea  d'arte, 
Quanto  può  sdegno  antico,  ira  novella, 
A  danno  del  Circasso  or  tutto  aduna; 
E  seco  il  Ciel  congiura  e  la  fortuna. 

98 
Quei  di  fine  arme  e  di  se  stesso  armato, 
A  i  gran  colpi  resiste,  e  nulla  pavé; 
E  par  senza  governo  in  mar  turbato. 
Rotte  vele  ed  antenne,  eccelsa  nave, 
Che  pur  contesto  avendo  ogni  suo  lato 
Tenacemente  di  robusta  trave. 
Sdruciti  i  fianchi  al  tempestoso  flutto 
Non  mostra  ancor,  né  si  dispera  in  tutto. 


94,  8.  noni:  è  in  Os. ;  manca  questa  pa- 
rola nelle  st.  Bon. 

96,  2.  venirne:  Cosi  ancóra  Conq.;  ma 
Os.  venire.  —  5.  nulla  sbigottisce:  Cosi  an- 
che la  Conq.;  ma  Os.  nulla  ei  sbigottisce. 

97,  3.  e  dorè  riede,  e  donde  parte:  Come 
pur  Conq.;  ma  Os.  e  quando  riede  e  quando 
parte. 

98,  1.  e  di  sé  stesso:  Intendi  del  proprio 
valore.  —  3-8.  Imit.  dall'Ariosto,  Ori.  xxxii 
62:  «Come  nave  che  vento  dalla  riva,  O 
qualch'altro  accidente  abbia  disciolta.  Va 
di  nocchiero  o  di  governo  priva.  Ove  la 
porti  0  meni  il  fiume  in  volta  » 


92 


GERUSALEMME  LIBERATA 


99  I 

Argante,  il  tuo  periglio^  aìlor  tal  era, 
Quando  aiutarti  Belzebù  dispose. 
Questi  di  cava  nube  ombra  leggiera  I 

(Mirabil  mostro)  in  forma  d'uom  compose: 
E  la  sembianza  di  Clorinda  nltera 
Gli  finse,  e  l'armi  ricche  e  luminose: 
Diègli  il  parlare,  e  senza  mente  il  noto 
Suon  della  voce,  e'I  portamento  e  '1  moto. 
100 

Il  simulacro  ad  Oradin  esperto 
Sagittario  famoso  andonne  e  disse: 
O  famoso  Oradin,  ch'a  segno  certo, 
Come  a  te  piace,  le  qnadrella  affisse, 
Ah!  gran  danno  saria,  s'uom  di  tal  merto, 
Difeusor  di  Giudea,  cosi  morisse; 
E  di  sue  spoglie  il  suo  nemico  adorno 
Securo  ne  facesse  a  i  suoi  ritorno. 
101 

Qui  fa'  prova  de  l'arte,  e  le  saette 
Tingi  nel  sangue  del  ladron  francese;  [te 
Ch'oltrail perpetuo  onor,vo' chen'aspet- 
Premio  al  gran  fatto  egual  dal  re  cortese. 
Cosi  parlò,  né  quegli  in  dubbio  stette, 
Tosto  che  '1  suon  de  le  promesse  intese: 
Da  la  grave  faretra  un  quadrel  prende, 
E  su  l'arco  l'adatta,  e  l'arco  tende. 
102 

Sibila  il  teso  nervo,  e  fuore  spinto 
Vola  il  pennuto  strai  per  l'aria,  e  stride  ; 
Ed  a  percoter  va  dove  del  cinto 
Si  congiungon  le  fibbie,  e  le  divide: 
Passa  l'usbergo,  e  in  sangue  a  pena  tinto 
Qui  su  ai  ferma,  e  sol  la  pelle  incide; 


99,  2.  Quando  ecc.:  scioglimento  per  mac- 
china imitato  da  Omero,  II.  ni,  nel  duello 
fra  Paride  e  Menelao.  In  Virg.  Giunone  cosi 
salva  Turno:  Aen.  x  636  <Tum  Dea  nube 
cava  tenuem  sine  viribus  urabram  In  fa- 
ciem  Aeneae(vi3u  mirabile  monstrura)  Dar- 
daniis  oruat  telis,  clipeumque  iubasque  Di- 
vini adsimulat  capitis;  dat  inauia  verba; 
Dat  sine  mente  sonum,  gressusque  effingit 
euntis  ».  —  7.  mente:  conoscenza,  cioè 
anima.  —  Dopo  questa  stanza  in  Os.  ne  se- 
guita un'altra  che  già  era  comparsa  nella 
stampa  in  quarto  del  Viotto  15S1:  ma  nelle 
stampe  Bon.  manca,  e  manca  nella  Conq. 
(Comincia;  E  perch'acquisti  il  simulacro 
fede  »). 

109,  1-2.  Cosi  ancora  la  Conq.;  ma  Os. 
Ad  Oradin  {che  tal  nomos.ii)  esperto  E 
buon  arder  la  finta  itnago  disse.  —  A.  af- 
fisse: affissi,  figgi. 

102,  1-2.  Virg.,  Aen.  xii  267:  «  Sonitum 
dat  stridula  cornus  et  auras  Certa  secat». 
—  3-6.  Imitato  dal  iv  dell'//.,  dove  Pandaro 
ferisce  Menelao.  —  6.  Qui  su  ;  Os.  Quivi  ; 
Conq.  ivi. 


Che  '1  celeste  gnerrier  soffrir  non  volse 
Ch'oltra  passasse,  e  forza  al  colpo  tolse. 

103 
Da  l'usbergo  lo  strai  si  tragge  il  Conte, 
Ed  ispicciarne  fuori  il  sangue  vede; 
E  con  parlar  pien  di  minacele  ed  onte 
Rimprovera  al  Pagan  la  rotta  fede. 
Il  Caiìitan,  che  non  torcea  la  fronte 
Da  l'amato  Raimondo,  allor  s'avvede 
Che  violato  è  il  patto;  e,  perché  grave 
Stima  la  piaga,  ne  sospira  e  pavé; 

104 
E  con  la  fronte  le  sue  genti  altere, 
E  con  la  lingua  a  vendicarlo  desta. 
Vedi  tosto  inchinar  giti  le  visiere, 
Lentare  i  freni,  e  por  le  lancie  in  resta, 
E  quasi  in  un  sol  punto  alcune  schiere 
Da  quella  parte  moversi  e  da  questa. 
Sparisce  il  campo;  e  la  minuta  polve 
Con  densi  globi  al  ciel  s'inalza  e  volve.    ; 
105 
D'elmi  e  scudi  percossi  e  d'aste  infrante 
Ne'  primi  scontri  un  gran  romor  s'aggira. 
Là  giacere  un  cavallo,  e  girne  errante 
Un  altro  là  senza  rettor  si  mira: 
Qui  giace  un  guerrier  morto  e  q  ni  spirante 
Altri  singhiozza  e  geme,  altri  sospira. 
Fera  è  la  pugna;  e,  quanto  più  si  mesce 
E  stringe  insieme,  più  s'inaspra  e  cresce. 
106 
Salta  Argante  nel  mezzo  agile  e  sciolto, 
E  toglie  ad  un  guerrier  ferrata  mazza; 
E  rompendo  lo  stuol  calcato  e  folto. 
La  ruota  intorno,  e  si  fa  larga  piazza. 
E  sol  cerca  Raimondo,  e  in  lui  sol  vòlto 
Ha  il  ferro  e  l'ira  impetiiosa  e  pazza; 
E,  quasi  avido  lupo,  ei  par  che  brame 
Ne  le  viscere  sue  pascer  la  fame. 

107 

Ma  duro  ad  impedir  vìengli  il  sentiero 

E  fero  intoppo,  acciò  che  '1  córso  ei  tardi. 

SitrovaincontraOrmanno,  e  con  Ruggie- 

[ro 
Di  Balnavilla,  un  Guido  e  duo  Gherardi. 
Non  cessa,  non  s'allenta,  anzi  è  più  fero, 
Quanto  ristretto  è  più  da  que'  gagliardi; 
:Si  come  a  forza  da  rinchiuso  loco 
Se  n'esce,  e  move  alte  ruine,  il  foco. 

108 

Uccide  Ormanno,  piaga  Guido,  atterra 

Ruggiero  in  fra  gli  estinti  egro  e  languen- 

[te, 

103,  8.  pare:  paventa,  teme:  visto  altra 
volta. 

104,  3.  Vedi  ecc.  Virg.,  Aen.  xn  27J<: 
*  Pars  gladios  stringunt  manibus,  pars  mis- 
sile ferrum  Corripiunt,  caecique  ruunt: 
quosagmina  centra  l'rocurrnnt  I.aurentum. 
Ilinc  densi  rursua  inundant  Troes  .\gyUi- 
nique  *, 


CANTO  VII 


93 


M:i  contra  lui  crescon  le  turbe,  e  '1  serra 
D'uomini  e  d'arme  cerchio  aspro  e  puugeu- 
Meutre,  in  virtù  di  lui  pari  la  guerra  [te. 
Si  inanteuea  fra  l'uua  e  l'altra  gente, 
Il  l)Uon  duce  Buglioli  chiama  il  fratello, 
Ed  a  lui  dice;  Or  movi  il  tuo  drappello; 
109 

E  là,  dove  battaglia  è  più  mortale, 
Vattene  ad  investir  nel  lato  manco. 
,   Quegli  si  mosse;  e  fu  lo  scontro  tale, 
,   Oud'egli  urtò  de  gli  nemici  al  fianco, 
i  Che  parve  il  popol  d'Asia  imbelle  e  frale; 
Né  potè  sostener  l'impeto  Franco, 
Che  gli  ordini  disperde,  e  co'  destrieri 
L'insegne  insieme  abbatte  e  i  cavalieri. 
110 

Da  l'impeto  medesmo  in  fuga  è  vòlto 
Il  destro  corno;  e  non  v'è  alcunché  faccia, 
Fuor  ch'Argante,  difesa:  a  freno  sciolto 
Cosi  il  timor  precipiti  gli  caccia. 
E.i(li  sol  ferma  il  passo,  e  mostra  il  vólto  ; 
Né  chi  cou  mani  cento  e  cento  braccia 
Cinquanta  scudi  insieme  ed  altrettante 
Spade  movesse,  or  più  faria  d'Argante. 
Ili 

Ei  gli  stocchi  e  le  mazze,  egli  e  de  l'aste 
E  de'  corsieri  l'impeto  sostenta; 
E  solo  par  che  'u  contra  tutti  baste, 
Ed  ora  a  questo,  ed  ora  a  quel  s'avventa. 
Péste  ha  le  membra,  e  rotte  l'arme  e  guaste 
E  sudor  versa  e  sangue,  e  par  no  '1  senta. 
Ma  cosi  l'urta  il  popol  denso  e  '1  preme 
Ch'ai  fin  lo  svolge,  e  seco  il  porta  insieme. 
112 

Volge  il  tergo  a  la  forza  ed  al  furore 
Di  quel  diluvio  che  '1  rapisce  e  '1  tira: 
Ma  non  già  d'uom  che  fugga  ha  i  passi  e  '1 
S'a  l'opre  de  la  mano  il  cor  si  mira,  [core, 
E  serbano  ancor  gli  occhi  il  lor  terrore 
E  le  minaccie  de  la  solita  ira; 
E  cerca  ritener  con  ogni  prova 
La  fuggitiva  turba;  e  nulla  giova. 
113 

Non  può  far  quel  magnanimo  ch'almeno 
Sia  lor  fuga  più  tarda  o  più  raccolta; 
Che  non  ha  la  paura  arte  né  freno, 
Né  pregar  qui,  né  comandar  s'ascolta. 
Il  pio  Buglion,  ch'i  suoi  pensieri  a  pieno 
Vede  fortuna  a  favorir  rivolta, 


lOS,  7.  fratello:  Baldovino. 

109,  4.  de  gli  nemici;  Conq.  de''  suoi  ne- 
mici ;  ma  Os.  degli  avversari.  *  Os.  il  fianco. 
—  8.  L'insegne  insieme  abbatte  e  1:  ma  Os. 
L'insegne  abbatte  e  insietne  i. 

Ili,  l.  egli  e:  cosi  Bon.i  Os.  egli  —  6.  e 
sador  ecc.:  Virg.  Aen.  ix  812:  «tote  cor- 
pore  sudor  Liquitur,  et  piceum  (nec  respi- 
rare potestas)  Flumen  a<jit  ». 


Segue  de  la  vittoria  il  lieto  córso, 
E  invia  novello  a  i  vincitor  aoccorso. 
lU 

E,  se  non  che  non  era  il  di  che  scritto 
Dio  ne  gli  eterni  suoi  decreti  avea. 
Quest'era  forse  il  di  che  '1  campo  invitto 
De  le  sante  fatiche  al  fin  giungea. 
Ma  la  schiera  iufernal,  ch'in  quel  conflitto 
La  tirannide  sua  cader  vedea, 
Sendole  ciò  permesso,  in  un  momento 
L'aria  in  nubi  restrinse,  e  mosse  il  vento. 
115 

Da  gli  occhi  de' mortali  un  negro  velo 
Rapisce  il  giorno  e'I  sole,  e  par  ch'avvampi 
Negro  via  più  ch'orror  d'inferno  il  cielo. 
Cosi  fiammeggia  in  fra  baleni  e  lampi. 
Fremono!  tuoni;  e  pioggia  accolta  in  gelo 
Si  versa,  e  i  paschi  abbatte,  e  inonda  i  cam- 

Ipi. 
Schianta  i  rami  il  gran  turbo,  e  par  che 

[crolli 
Non  pur  le  querele,  ma  le  ròcche  e  i  colli. 

116  [sta 
L'acqua  in  un  teinpo,  il  vento  e  la  tempe- 

Ne  gli  occhi  a  i  Franchi  impetuosa  fere; 
E  l'improvisa  violenza  arresta 
Con  un  terror  quasi  fatai  le  schiere. 
La  minor  parte  d'esse  accolta  resta 
(Che  veder  non  le  puote)  a  le  bandiere. 
MaClorinda,che  quindi  alquanto  è  lunga, 
Prende  opportuno  il  tempo,  e  '1  destrier 

117  [puuge. 
Ella  gridava  a'  suoi:  Per  noi  combatte 

Compagni,  il  Cielo,  e  la  giustizia  aita: 
Da  l'ira  sua  le  faccie  nostre  intatte 
Sono,  e  non  è  la  destra  indi  impedita; 
E  ne  la  fronte  solo  irato  ei  batte 
De  la  nemica  gente  impaurita. 


114,  1.  E,  so  non  ecc.:  Virg.,  Aen.  ix  757: 
«  Et,  si  continuo  victorem  ea  cura  subissai, 
Ramperà  claustra  raanu,  sociosque  immit- 
tere  portis,  Ultinius  ille  dies  bello  gentique 
fuisset  ».  E  l'Ariosto,  Ori.  viii  69:  «  E  se 
non  cne  li  vóti  il  Ciel  placorno,  Che  dilagò 
di  pioggia  oscura  il  piano,  Cadea  quel  di 
per  l'atlricana  lancia  II  santo  imperio  e  '1 
gran  nome  di  Francia  ».  —  7.  Sendole  ciò 
permesso:  Iddio  non  impedi  ai  diavoli  di 
adoperare  la  lor  potestà  sull'atmosfera.  Cfr. 
Dante  l'epis.  di  Buonconte  {Purg.  v).  —  8. 
Dante,  loc.  cit.  W^:  «e  mosse  il  fumo  e  il 
vento  ». 

115, 1.  Da  gli  occhi  ecc.:  Virg.,  Aen.  i  88: 
«  Eripiunt  subito  nubes  caelumque  diemque 
Teucrorum  ex  oculis;  ponto  nox  incubai 
atra.  Intonuere  poli,  et  crebris  micat  igni- 
bus  aether  ».  —  7.  crolli:  usato  transitiva- 
mente. —  S    par:   solamente. 


94 


GERUSALEMME  LIBERATA 


'[ 


E  la  scote  de  l'arme,  e  de  la  luce 
La  priva:  andianue  pur,  che '1  fato  edace. 
118 

Cosi  spinge  le  greiiti:  e,  ricevendo 
Sol  ne  le  spalle  T  impeto  d' inferno, 
Urta  i  Francesi  con  assalto  orrendo, 
E  i  vani  colpi  lor  si  prende  a  scherno. 
Ed  in  quel  tempo  Argante  anco  volgendo 
Fa  de' già  vincitor  aspro  governo. 
E  quei  lasciando  il  campo  a  tutto  córso 
Volgono  al  ferro,  a  le  procelle  il  dorso. 
119 

Percotono  le  spalle  a  i  fuggitivi 
L'ire  immortali  e  le  mortali  spade; 
E  '1  sangue  corre,  e  fa,  commisto  a  i  rivi 
De  la  gran  pioggia,  rosseggiar  le-strade. 
Qui  tra  '1  vulgo  de'  morti  e  de'  mal  vivi 
E  Pirro  e'I  buon  Ridolfo  estinto  cade; 
E  toglie  a  questo  il  tìer  Circasso  l'alma, 
E  Clorinda  di  quello  ha  nobil  palma. 
120 

Cosi  fuggiano  i  Franchi;  e  di  lor  caccia 
Non  rimaueano  i  Siri  anco  o  i  demòni: 
Sol  contra  l'armi  e  contra  ogni  minaccia 


117,  7.  scote:  priva;  Petrarca,  son.  Or 
hai  fatto  Vestrem.  5:  «Orbai  spogliata 
nostra  vita  e  scossa  D'ogni  ornamento  ».  E 
il  Tasso  neJl'Aminta  (i,  2):  «Ed  altrettante 
{volte)  il  verno  ha  scosso  i  boschi  De  le  lor 
verdi  chiome  •. 

118,  5.  Tolgendo:  tornando  indietro. 
120,  1-2.  Intendi:  E  i  siri  o  i  demòni  non 

ristavano  ancora  dal  dar  loro  la  caccia.  — 


Di  gragnuole,  di  turbini  e  di  tuoni 
Volgea  Goffredo  la  secura  faccia, 
Rampognando  aspramente  i  suoi  baroni; 
E,  fermo  anzi  la  porta  il  gran  cavallo, 
Le  genti  sparse  raccogliea  nel  vallo. 

121 
E  ben  due  volte  il  corridor  sospinse 
Contra  il  feroce  Argante,  e  lui  ripresse; 
Ed  altrettante  il  nudo  ferro  spinse 
Dove  le  turbe  ostili  erau  più  spesse; 
Al  fin  con  gli  altri  insieme  ei  si  ristrinse 
Dentro  a  i  ripari  e  la  vittoria  cesse. 
Tornano  allora  i  Saracini;  e  stanchi 
Kestan  nel  vallo  e  sbigottiti  i  Franchi. 

122 
Né  quivi  ancor  de  l'orride  procelle 
Ponno  a  pieno  schivar  la  forza  e  l'ira; 
Ma  sono  estinte  or  queste  faci,  or  quelle, 
E  per  tutto  entra  l'acqua,  e'I  vento  spira: 
Squarcia  le  tele,  e  spezza  i  pali,  e  svelle 
Le  tende  intere,  e  lunge  indi  le  gira; 
La  pioggia  a  i  gridi,  a  i  venti  a  i  tuon  s'ac- 

[corda 
D'orribile  armonia  che  '1  mondo  assorda. 


7.  fermo  anzi  la  porta:  avendo  fermato  in- 
nanzi alla  porta  ecc. 

121,  1-4.  Virg.,  Ae;i.  IX  799:  <  Quin  etiam 
bis  tum  medios  invaserac  hostes,  Bis  con- 
fusa fuga  per  muros  agmina  vertit  ».  —  6. 
cesse:  cedette. 

122,  6.  e  lunge  indi  le  gira:  e  avvolgen- 
dole nella  sua  rapina  le  spinge  lontano 
di  li. 


CANTO  vili. 

Un  cavaliere  racconta  la 
strage  de'  cristiani  danesi 
e  la  morte  del  lor  duce 
Sveno;  e  porta  la  spada 
di  quell'eroe  perché  sia  af- 
fidata a  Rinaldo  ^  Si  ac- 
cende vivo  desiderio  nel 
campo  cristiano  ài  riaver 
Rinaldo  ^  False  notizie 
sulla  di  lui  morte  -^  Ar- 
gillano  ha  un  sogno  pel 
quale  desta  tumulti  contro 
Goffredo  e  i  francesi  cre- 
duti autori  di  quest'  omi- 
cidio ^  Goffredo  seda  il 
tumulto:  fa  porre  in  cateac 
Argiiiano. 


1 

Già  cheti  erano  i  tuoni  e  le  tempeste, 
E  cessato  il  soffiai*  d'austro  e  di  coro  : 
E  Talba  uscia  de  la  magion  celeste 
Con  la  fronte  di  rose  e  co'  pie  d'oro. 
Ma  quei  che  le  procelle  avean  già  deste, 
Non  rimaneansi  ancor  da  l'arti  loro; 
Anzi  l'un  d'essi,  ch'Astagorre  è  detto, 
Cosi  parlava  a  la  compagna  Aletto: 
2 

Mira,  Aletto,  venirne  (ed  impedito 
Esser  non  può  da  noi)  quel  cavaliere 
Che  da  le  fere  mani  è  vivo  uscito 
Del  sovran  difensor  del  nostro  impero. 


1,  2.  coro:  vento  tra  ponente  e  maestro. 
—  4.  Petrarca,  deir Aurora,  son.  Quand'io 
veggio  2:  «  Con  la  fronte  di  rosa  e  coi  crin 
d'oro».  —  5.  quei:  i  demòni.  —  8.  Aletto; 
una  delle  Furie,  come  si  è  già  osservato, 

2,  4.  difensor:  Solimano.  II  fatto,  che  qui 
si  accenna,  è  raccontato  più  sotto  dal  ca- 
valiere che  qui  i  demòni  vedono  venire. 


Questi,  narrando  del  suo  duce  ardito 
E  de'  compagni  a  i  Franchi  il  caso  fero, 
Paleserà  gran  cose;  onde  è  periglio, 
Che  si  richiami  di  Bertoldo  il  figlio. 
3 

Sai  quanto  ciò  rilevi,  e  se  conviene 
A  i  gran  principii  oppor  forza  ed  inganno. 
Scendi  tra  i  Franchi  adunque,  e  ciò  ch'a  be- 
Colui  dirà,  tutto  rivolgi  in  danno:       [ne 
Spargi  le  tìamme  e  '1  tòsco  entro  le  vene 
Del  Latin,  de  l'EIvezio,  e  del  Britanno; 
Movi  l'ire  e  i  tumulti  e  fa'  tal  opra 
Che  tutto  vada  il  campo  al  fin  sossopra. 
4 

L'opra  è  degna  di  te:  tu  nobil  vanto 


3,  1.  rilevi:  importi;  come  nel  Petrarca 
canz.  Mai  non  vo'  più  cantar  4:  «  Il  sem- 
pre sospirar  nulla  rileva».  —  6.  Latin:  in- 
tende gli  italiani:  e  in  questa  enumerazione 
esclude  i  francesi  perché  contro  di  essi  ai 
accende  il  tumulto:  cfr.  str.  72. 


96 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Te'n  desti  già  dinanzi  al  signor  nostro. 
Cosi  le  parla;  e  basta  ben  sol  tanto 
Perché  prenda  l'impresa  il  fero  mostro. 
Giunto  è  su  '1  vallo  de'  Cristiani  in  tanto 
Qnel  cavaliero.  il  cui  venir  fu  mostro; 
E  disse  lor:  Deh,  sia  chi  m'introduca 
Per  mercede,  o  guerrieri,  al  sommo  duca. 
5 

Molti  scorta  gli  furo  al  Capitano, 
Vaghi  d'udir  del  peregrin  novelle. 
Egli  inchinollo,  e  l'onorata  mano 
Volea  baciar  che  fa  tremar  Babelle; 
Signor,  poi  dice,  che  con  l'oceano 
Termini  la  tua  fama  e  con  le  stelle. 
Venirne  a  te  vorrei  più  lieto  messo. 
Qui  sospirava;  e  soggiungeva  appresso: 
6 

Sveno,  del  re  de'  Dani  unico  figlio, 


4,  2.  signor:  il  re  dell' In  "erno.  —  3.  sol 
tanto:  solamente  questo. 

5,  1.  foro;  Os.  fero.  —  3.  Egli:  cosi  le 
st.  BON.  e  CONQ.;  ma  Quegli  Os.  —  5-6.  Virg., 
Aen.  1  287:  «Imperium  oceano,  famam  qui 
terminet  astri*  ».  La  tua  fama  non  ha  altri 
confini  che  quelli  del  mondo. 

6,  Sul  passaggio  di  Sveno  scrive  il  Tasso 
yLett.  2D):  «Il  passaggio  e  la  morte  di  Dano 
(in  tal  modo  lo  aveva  prima  denominato)  è 
vero  quasi  in   quel   modo   ch'é   scritto  da 
me:   e  ne  parla  Guglielmo   Arcivescovo  di 
Tiro  nel  iv  libro.  Ben  è  vero  che  non  Dano 
ma  Sueno    aveva  nome  il   Cavaliero:   non 
mi  piaceva  il  nome  vero,  né  il  ritrovato  mi 
piace  =•.  E  veramente  tutto  l'episodio  non  è 
che  una  larga  e  solenne  e  mrtgniflca  rifio-  j 
ritura  di  quanto  al    cap.  20  del   lib.   citato  I 
scrive  Gugl.  Tir.,  fuor  che  lo  storico  pone  ' 
il  fatto  come  successo  due  anni  prima.   Si  j 
confronti:  «de  partibus  Romaniae,  rumor 
quidam  moerore   plenus  et   anxietate   uni-  ! 
versorum  corda  perculerat,  et  praesentibus  ' 
miseriis  adiecerat  cumulum  tristiorem.  Di- 
cebatur  enim,    et  vere  sic  erat,   quod  qui- 
dam homo  nobilis  et  potens,  Danorum  regis 
qHus,  Sueno  nomine,   vir  genere,   fama  et 
moribus  conspicuus  et  illustris,  eiusdem  pe-  , 
regrinationis  accensiis  desiderio,  mille  qui- , 
gentos   optime    armatos   eiusdem   nationisj 
iuvenes  secum  trahens  in  subsidiura  nostris,  \ 
st  ad  praesentem  properabat   obsidionem.  ! 
Hic  de  regno  patris  tardior  egressus,  più-  j 
rimum  acceleraverat,  ut  se  praecedentibus 
cum  omni  suo  comitatu   adiungeret  legio- 
nibus:  sed  causis  praepeditus  familiaribus, 
non  potuit  as.?equi   quod    optaverat.   Seor- 
sùm  igitur   trahens  agmina,   solua   absque 
alicuius  aliorum  consortio   principum  iter  ' 
arripuit,  et  viam  aliorum  secutus,  Gonstan- 1  lecitudine 
tinopolim   pervenerat,  ubi   ab   imperatore 
aatis  honeste   tractatus  fuerat:   et  cum  in- 


Gloria  e  sostegno  a  la  cadente  etade. 
Esser  tra  quei  bramò  che, '1  tuo  consiglio 
Seguendo,  han  cinto  per  Giesù  le  spade; 
Né  timor  di  fatica  o  di  periglio. 
Né  vaghezza  del  regno,  né  pietade 
Del  vecchio  genitor,  si  degno  afifetto 
Intepidir  nel  generoso  petto. 
7 

Lo  spingeva  un  desio  d'apprender  l'arte 
De  la  milizia  faticosa  e  dura 
Da  te,  si  nobil  mastro;  e  sentia  in  parte 
Sdegno  e  vergogna  di  sua  fama  oscura; 
Già  di  Rinaldo  il  nome  in  ogni  parte 
Con  gloria  udendo  in  verdi  anni  matura: 
Ma,  più  ch'altra  cagione,  il  mo.sse  il  zelo 
Non  del  terren  ma  de  l'onor  del  Cielo. 
8 

Precipitò  dunque  gli  indugi,  e  tolse 
Str.ol  di  scelti  compagni  audace  e  fero; 
E  dritto  in  vèr'  la  Tracia  il  cammin  volse 
A  la  città  che  sede  è  de  l'impero,  [colse; 
Qui  il  greco  Augusto  in  sua  magion  l'ac- 
Quipoi  giunse  in  tuo  nome  un  messaggie- 

[ro; 


columitate  Nicaeam  perveniens,  in  partea 
Romaniae  ad  exercitura  properans,  cum 
omni  suo  comitatu  descenderat.  Dumque 
inter  urbes  Finimuris  et  Termam  castra- 
metatus  esset,  et  minus  provide  se  haberet 
aliquantulum,  irruentibus  super  eum  clam 
et  de  nocte  Turcorum  ingentibus  copiis,  in 
ipsis  castris  gladio  perempti  sunt:  tamen 
advenientium  strepitu  praecognito,  sed  e 
vicino,  ad  arma  convolant,  ubi  antequam 
plenius  instructi  hostes  possent  excipere, 
ab  improvisa  oppressi  multitudine,  pene 
oranes  ceciderunt,  sed  tamen  diu  et  viriliter 
resistentes,  ne  gratis  animas  viderentur  im- 
peudisse,  cruentam  post  se  hostibus  reli- 
querunt  victoriam  ».  L'episodio  del  T.  si 
può  confrontare  in  Omero  con  quello  di 
Reso,  ucciso  da  Diomede  prima  che  potesse 
recare  aiuto  ad  Ettore.  [11.  x).  —  2.  a  la 
cadente  etade,  del  vecchio  padre.  —  4.Cfr. 
e.  IV,  C6,  7.  —  6-7.  Dante,  Inf.  xxvi  94:  <  Né 
dolcezza  di  figlio  né  la  pietà  Del  vecchio 
padre  ....  Vincer  poterò  dentro  a  me  l'ar- 
dore ». 

7. 1-3.  Virg.,  Aen.  viii  515;  «sub  te  tolerare 
magistro  Militiam  et  grave  Martis  opus, 
tua  cernere  facta  Assuescat  ».  —  2.  faticosa 
e  dura:  riferiscilo  ad  arU.  —  t.  Intendi; 
zelo  non  della  terrena  gloria  ma  della  ce- 
leste. 

8,    1.    Precipitò:    Precipitar   gli   indugi 

{PrecijJitate  raoras.  dice  Vulcano  ai  Ciclopi 

in  Virgilio)  vale:  affrettarsi  con  somma  sol- 

4.  A  la  città  ecc.  Costantino- 

j  poli,  poiché  qui  si  paria  dell'impero  greco. 

I  —  6.  un  messagglero  :  quello  di  cui  si  parla 


CANTO  Vili 


97 


Questi  a  pien  gli  narrò  come  già  presa 
Fosse  Antiochia,  e  come  poi  difesa; 
9 

Difesa  in  contraili  Perso,  il  qual  con  tanti 
Uomini  armati  ad  assediarvi  mosse. 
Che  sembrava,  che  d'arme  e  d'abitanti 
Vóto  il  gran  regno  sno  rimase  fosse. 
Di  te  gli  disse,  e  poi  narrò  d'alquanti, 
Sin  ch'a  Rinaldo  giunse,  e  qui  ferraosse: 
Contò  l'ardita  fuga,  e  ciò  che  poi 
Fatto  di  glorioso  avea  tra  voi. 
10 

Soggiunse  al  fin  comegicà  ilpopol Franco 
Veniva  a  dar  l'assalto  a  queste  porte; 
E  invitò  lui  ch'egli  volesse  al  manco 
De  l'ultima  vittoria  esser  consorte. 
Questo  parlare  al  giovenetto  fianco 
Del  fero  Sveno  è  stimolo  si  forte, 
Ch'ogni  ora  un  lustro  pargli  in  fra  Pagani 
Rotar  il  ferro  e  insanguinar  le  mani. 
Il 

Par  che  la  sua  viltà  rimproverarsi 
Senta  ne  l'altrui  gloria,  e  se  ne  rode; 
E  ch'il  consiglia  e  ch'il  prega  a  fermarsi, 

0  che  non  l'esaudisce  o  che  non  l'ode. 
Rischio  non  teme,  fuor  che  '1  non  trovarsi 
De'  tuoi  gran  rischi  a  parte  e  di  tua  lode: 
Questo  gli  sembra  sol  periglio  grave; 
De  gli  altri  o  nulla  intende,  o  nulla  pavé. 

12 
Egli  medesmo  sua  fortuna  affretta; 
Fortuna  che  noi  traggo,  e  lui  conduce: 
Però  ch'a  pena  al  suo  partire  aspetta 

1  primi  rai  de  la  novella  luce. 


nella  st.  68  del  primo  canto,  quando  Gof- 
fredo sospettando  di  aver  contrario  l'impe- 
ratore, gli  manda  Enrico. 

9,  Della  difesa  di  Antiochia  si  fa  cenno 
ancóra  nel  cant.  i  3.  Dicono  gli  storici  che, 
dopo  che  i  crociati  ebbero  preso  Antiochia, 
sopraggiunse  un  generale  dell'Imperatore 
di  Persia  e  vi  rinchiuse  i  cristiani,  fatti 
cosi  di  assediatori  assediati.  Ma  i  cristiani 
riuscirono  a  sortire  dalla  città  ed  a  fugare 
i  nemici,  che  lasciarono,  dicesi,  centomila 
morti  sul  terreno.  Gugi.  Tir.  ne  parla  lun- 
gamente. —  7.  l'ardita  fuga:  narrata  nel 
cant.  I  60. 

10,  7.  Ch'ogni  ora  uu  lustro  pargli:  Parer 
ogni  ora  un  lustro,  vale  (come  i  modi  più 
frequenti  parer  milV  anni,  e  ogni  ora 
"mille)  aspettare  con  grande  ansietà  che 
una  cosa  accada,  non  veder  l'ora  che  ella 
sia. 

11,  4.  l'esaudisce...  l'ode:  Cosi  anc.  Conq.  ; 
ma  Os.  esaudisce. . .  ode, 

12,  2.  Il  detto  di  Seneca:  «  Fata  volentes 
ducuut  nolentes  trahunt»,  rende  ragione 
del  tragge  e  del  conduce. 


E  per  miglior  la  via  pili  breve  eletta; 
Tale  ei  la  stima,  eh' è  signor  e  duce: 
Né  i  passi  pili  difiicili  o  i  paesi 
Schivar  si  cerca  de'  nemici  offesi. 
13 

Or  difetto  di  cibo,  or  cammin  duro 
Trovammo,  or  violenza  ed  or  agguati; 
iMa  tutti  fur  vinti  i  disagi,  e  furo 
Or  uccisi  i  nemici  ed  or  fugati. 
Fatto  avean  ne'  perigli  ogn'uom  securo 
Le  vittorie,  e  insolenti  i  fortunati; 
Quando  un  di  ci  accampammo  ove  i  confini 
Non  lungo  erano  ornai  de'  Palestini. 
14 

Quivi  da  i  precursori  a  noi  vien  detto 
Ch'alto  strepito  d'arme  avean  sentito, 
E  visteinsegneeindi/Jiondehansospetto 
Che  sia  vicino  esercito  infinito.  [to. 

Non  pensier,  non  color,  non  cangia  aspet- 
Non  muta  voce  il  signor  nostro  ardito; 
Ben  che  molti  vi  sian  ch'ai  fero  avviso 
Tingan  di  bianca  pallidezza  il  viso. 
15 

Ma  dice:  Oh  quale  omai  vicina  abbiamo 
Corona  o  di  martirio  o  di  vittoria! 
L'unaspcroio  beupiii:  manonmen  bramo 
L'altra  ov'  è  maggior  raerto  e  pari  gloria. 
Questo  campo,  0  fratelli,  ove  or  noi  siamo, 
Fia  tempio  sacro  ad  immortai  memoria, 
In  cui  l'età  futura  additi  e  mostri 
Le  nostre  sepolture,  e  i  trofei  nostri. 
16 

Cosi  parla;  e  le  guardie  indi  dispone, 
E  gli  uffici  comparte  e  la  fatica.  [ne 

Vuol  ch'armato  ognun  giaccia;  e  non  depo- 
Ei  medesmo  gli  arnesi  o  la  lorica. 
Era  la  notte  ancor  ne  la  stagione 
Ch'è  pili  del  sonno  e  del  silenzio  amica, 
Allor  che  d'urli  barbareschi  udissi 
Roraor  che  giunse  al  cielo  ed  a  gli  abissi. 
17  [volto 

Si  grida:  A  l'arme,  a  l'arme:  e  Sveno,  in- 
Ne  l'armi,  inanzi  a  tutti  oltre  si  spinge: 
E  magnanimamente  i  lumi  e  '1  vólto 
Di  color  d'ardimento  infiamma  e  tinge. 


11,  5-6.  Dante,  di  Farinata,  Inf.  x  74: 
«  non  mutò  aspetto,  Né  mosse  collo,  né 
piegò  sua  costa».  —  8.  Tingan  ecc.:  Pe- 
trarca, son.  L'aura  celeste  13:  «  E  di  bianca 
paura  il  viso  tinge  ». 

15,  5-8.  Ennio,  Annal.  lib.  xiv:  «  Nunc 
est  ille  dies,  quum  gloria  maxuma  se  se 
Ostendit  nobis,  si  vivimus,  sive  morimur  ». 

16,  4.  gli  arnesi:  Cfr.  cant.  in  73,  nota. 
—  5.  stagione:  punto,  momento;  dalla  str.  18 
(vv.  4-8)  si  capisce  ancora  meglio  che  il  P. 
vuole  accennare  qui  alle  ore  più  buie  della 
notte.  —  Si  confronti  per  la  realtà  storica 
la  nota  alla  str.  6. 


Tasso,  Gerusalemme  liberata. 


98 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Ecco  siamo  assaliti;  e  un  cerchio  folto 
Da  tutti  i  lati  ne  circonda  e  stringe; 
Eintorno  un  bosco  abl)iam  d'aste  e  di  spa- 
E  sovra  noi  di  strali  un  nembo  cade,  [de 

18 
Ne  la  pugna  inegual  (però  che  venti 
Gli  assalitori  sono  in  contra  ad  uno) 
Molti  d'essi  piagati  e  molti  spenti 
Son  da  cieche  ferite  a  Taer  bruno. 
Ma  il  numero  de  gli  egri  e  de'  cadenti 
Fra  rombre  oscure  non  discerne  alcuno: 
Copre  la  notte  i  nostri  danni,  e  Topre 
De  la  nostra  virtute  insieme  copre. 

19 
Pur  si  fra  gli  altri  Sveno  alza  la  fronte 
Ch'agevol  cosa  è  che  veder  si  possa; 
E  nel  buio  le  prove  anco  son  conte 
A  chi  vi  mira,  e  l'incredibil  possa. 
Di  sangueuu  rio,  d'uomini  uccisi  un  monte 
D'ogni  intorno  gli  fanno  argine  e  fossa; 
E  dovunque  ne  va,  sembra  che  porte 
Lo  spavento  ne  gli  occhi,  e  in  man  la  morte. 

20 
Cosi  pugnato  fu  sin  che  l'albore 
Rosseggiando  nel  ciel  già  h'apparia. 
Ma,  poi  che  sco.sso  fu  il  notturno  orrore 
Che  l'orror  de  le  morti  in  sé  copria. 
La  desiata  luce  a  noi  terrore 
Con  vista  accrebbe  dolorosa  e  ria; 
Che  pien  d'estinti  il  campo,  e  quasi  tutta 
Nostra  gente  vedemmo  omai  distrutta. 

21  [quau 

Duo  mila  fummo,  e  non  siam  cento 
Tanto  sangue  egli  mira  e  tante  morti, 
Non  so  se  '1  cor  feroce  al  miserando 
Spettacolo  si  turbi  e  si  sconforti; 
Magia  no'l  mostra;  anzi  lavoce  alzando: 
Seguiam,  ne  grida,  quei  compagni  forti 
Ch'ai  Ciel  lunge  da  i  laghi  averni  e  stigi 
N'hau  segnati  col  sangue  alti  vestigi. 


22 

Disse;  e  lieto,  credo  io,  de  la  vicina 
Morte  cosi  nel  cor  come  al  sembiante, 
In  contra  a  la  barbarica  mina 
Portonne  il  petto  intrepido  e  costante. 
Tempra  non  sosterrebbe,  ancor  che  fina 
Fosse,  e  d'acciaio  no,  ma  di  diamante, 
I  feri  colpi:  onde  egli  il  campo  allaga, 
E  fatto  è  il  corpo  suo  solo  una  piaga. 
23 

La  vita  no,  ma  la  virtù  sostenta 
Quel  cadavero  indomito  e  feroce. 
Kipercote  percosso,  e  non  s'allenta, 
Ma  quanto  offeso  è  più,  tanto  più  nóce. 
Quando  ecco  furiando  a  lui  s'avventa 
Uom  grande  c'ha  sembiante  e  guardo 
E,  dopo  lunga  ed  ostinata  guerra,  [atroce; 
Con  l'aita  di  molti  al  fin  l'atterra. 
24 

Cade  il  garzoneinvitto  (ahi  casoamaro!) 
Né  v'è  fra  noi  chi  vendicare  il  possa. 
Voi  chiamo  in  testimonio,  o  del  mio  caro 
Signor  sangue  ben  sparso  e  nobil  ossa, 
Ch'allor  non  fui  de  la  mia  vita  avaro, 
Né  schivai  ferro  né  schivai  percossa: 
E,  se  piaciuto  pur  fosse  là  sopra 
Ch'io  vi  morissi,  il  meritai  con  l'opra. 
25 

Fra  gli  estinti  compagni  io  sol  cadei 
Vivo;  né  vivo  forse  è  chi  mi  pensi: 
Né  de'  nemici  più  cosa  saprei 
[j(Jq jliidir,  si  tutti  avea  sopiti  i  sensi. 
Qj.  ^^la,  poi  che  tornò  il  lume  a  gli  occhi  miei 
^Ch'eran  d'atra  caligine  condensi, 
Notte  mi  parve;  ed  a  lo  sguardo  fioco 
S'offerse  il  vacillar  d'un  picciol  foco. 


18,  4.  cieche:  perché  date  a  l'aer  bruno, 
Ovidio  delle  figliuole  di  lelia,  quando  in- 
gannate da  Medea,  di  notte,  e  con  la  faccia 
voltata  indietro,  uccisero  il  padre,  dice 
(Met.  VII  342):  «  Caecaque  dant  saevis  aver- 
sae  vulnera  dextris  ». 

19,  3.  conte:  manifeste.  —  6.  argine  e 
fossa:  corrispondono  l'uno  diVrionte,  l'altra 
a  no.  —  7.  porte:  porti. 

20,  3.  scosso:  rimosso,  allontanato.  —  6. 
Con  rista...  dolorosa  e  ria;  è  da  intendere 
come  complemento  strumentale. 

21,  3.  feroce:  non  ha  qui  il  suo  significato 
più  comune,  e  vale  animoso.,  forte  al  com- 
battere. Boccaccio,  Decam.  nov.  41:  «  Nelle 
cose  belliche,  cosi  marine,  come  di  terra, 
espertissimo  e  feroce  divenne  ».  Alla  str.  37, 
3.  occorre  ardir  feroce\  dove  pure  feroce 
è  preso  in  buon  senso. 


22,  3.  barbarica  mina:  l'astratto  pel  con- 
creto: barbari  rovinosi,  che  apportano  ro-^ 
vina,  danno.  —  3-4.  Virg.,  Aen.  ii  407:  «  Non' 
tulit  hanc  spem  furiata  mente  Coroebus,  Et 
sese  medium  iniecit  moriturus  in  agmen  ». 
—  S.  E  fatto  ecc.:  Ovidio,  Met.  xv  528:  ■•  nul- 
lasque  in  corpore  partes  Noscere  quas  pos- 
ses:  unumque  erat  omnia  vulnus». 

23,  1-2.  Intendi:  Non  gli  spiriti  vitali,  ma 
la  sola  virtù  dell'animo  sostenta  quel  corpo, 
che,  quantunque  sia  ormai  quasi  un  cada- 
vere, pure  resta  indomito  e  animoso.  —  6. 
Uom  grande:  Solimano:  come  è  in  séguito 
rivelato  dagli  eremiti  l'str.  36). 

24,  3-8.  Virg.,  Aen.  ii  431.  «  Iliaci  ciueres, 
et  damma  extrema  meorum  Testor  in  oc- 
casu  vestro,  nec  tela  nec  uUas  Vitavisse 
vices  Danaum;  et,  si  fata  fuissent  Ut  cade 
rem,  meruisse  manu  ». 

25,  5.  lume:  qui,  senso  della  vista.  —  7. 
fioco:  debole:  con  metafora  che  richiama 
il  dantesco  [Inf.  iii  75):  «  Com'io  discerno 
per  lo  fioco  lume  ». 


CANTO  Vili 


99 


26 
Non  rimaneva  in  me  tanta  virtude 
Cli'a  diseerner  le  cose  io  fossi  presto; 
Ma  vedea  come  quei  ch'or  apre  or  chiude 
Gli  occhi, mezzo  tra'l  sonno el'esser  desto; 
E  '1  duolo  ornai  de  le  ferite  crude 
Pili  cominciava  a  farmisi  molesto, 
Che  rinaspria  l'aura  notturna  e  '1  gelo 
In  terra  nuda  e  sotto  aperto  cielo. 

27 
Più  e  più  ognor  s'avvicinava  in  tanto 
Quel  lume,  e  insieme  un  tacito  bisbiglio, 
Si  ch'a  me  giunse  e  mi  si  pose  a  canto. 
Alzo  allor,  ben  che  a  pena,  il  debil  ciglio. 
E  veggio  due  vestiti  in  lungo  manto 
Tener  due  faci;  e  dirmi  sento:  O  figlio, 
Confida  in  quel  Signor  ch'a'  pii  sovviene, 
E  con  la  grazia  i  preghi  altrui  previene. 

28 
In  tal  guisa  parlommi:  indi  la  mano, 
Benedicendo,  sovra  me  distese; 
E  susurrò  con  suon  devoto  e  piano 
Voci  allor  poco  udite  e  meno  intese. 
Sorgi,  poi  disse:  ed  io  leggiero  e  sano 
Sorgo,  e  non  sento  le  nemiche  offese; 
(Oh  miracol  gentile!)  anzi  mi  sembra 
Piene  di  vigor  novo  aver  le  membra. 

29 
Stupido  lor  riguardo,  e  non  ben  crede 
L'anima  sbigottita  il  certo  e  il  vero; 
Onde  l'un  d'essi  a  me  :  Di  poca  fede,  [ro? 
Chedubbii?  o  che  vaneggiali  tuo  pensie- 
Verace  corpo  è  quel  che  'n  noi  si  vede: 
Servi  Siam  di  Giesù,  che  '1  lusinghiero 
Mondo  e'I  suo  falso  dolce  abbiam  fuggito; 
E  qui  viviamo  in  loco  erto  e  romito. 

30 
Me  per  ministro  a  tua  salute  eletto 
Ha  quel  Signor  che 'n  ogni  parte  regna; 
Che  per  ignobil  mezzo  oprar  effetto 
Meraviglioso  ed  alto  egli  non  sdegna: 
Né  men  vorrà  che  si  resti  negletto 
Quel  corpo  in  cui  già  visse  alma  si  degna; 
Lo  qual  con  essa  ancor,  lucido  e  leve 


27,  3.  Si  che:  fino  a  che:  in  questo  senso 
si  è  d'uso  frequente  negli  antichi.  Nella 
CONQ.  il  T.  pose  Sin. 

*  28,  1.  parlommi.  Si  rileva  agevolmente 
dal  contesto  il  soggetto  uno  di  essi. 

29,  1.  Stupido:  stupito.  Cfr.  v  32,  7.  —  3. 
Di  poca  fede:  vocativo;  come  dicesse:  o  in- 
credulo. Vangelo:  *  Modicae  fidei,  quare 
dubitasti?  »  —  6.  che  '1  Insinjhiero  ecc.  Pe- 
trarca, canz.  r  vo  pensando  27:  «  fastidita 
e  lassa  Se'  di  quel  falso  dolce  fuggitivo  Che 
'1  mondo  traditor  può  dar  altrui  ».  —  8. 
erto:  cosi  pure  Conq.:  ma  Os.  aspro. 

30,  7.   Incido  •  lev*:    Nota   del   Gentiio: 


E  imraortal  fatto,  riunir  si  deve. 
31 

Dico  il  corpo  di  Sveno,  a  cui  fìa  data 
Tomba  a  tanto  valor  conveniente; 
La  qual  a  dito  mostra  ed  onorata 
Ancor  sarà  da  la  futura  gente. 
Ma  leva  omai  gli  occhi  a  le  stelle,  e  guata 
Là  splender  quella,  come  un  sol  lucente: 
Questa  co'  vivi  raggi  or  ti  conduce 
Là  dove  è  il  corpo  del  tuo  nobil  duce. 
32 

Allor  vegg' io  che  da  la  bella  face, 
Anzi  dal  sol  notturno,  un  raggio  scende 
Che  dritto  là  dove  il  gran  corpo  giace, 
Quasi  aureo  tratto  di  pennel  si  stende: 
E  sovra  lui  tal  lume  e  tanto  face, 
Cih'ogni  sua  piaga  ne  sfavilla  e  splende; 
E  sùbito  da  me  si  raffigura 
Ne  la  sanguigna  orribile  mistura. 

33 
Giacca,  prono  non  già;  ma,  come  vòlto 
Ebbe  sempre  a  le  stelle  il  suo  desire, 
Dritto  ei  teneva  in  verso  il  cielo  il  vólto 
In  guisa  d'uom  che  pur  là  suso  aspire. 
Chiusa  la  destra  e  '1  pugno  avea  raccolto, 
E  stretto  il  ferro,  e  in  atto  è  di  ferire; 
L'altra  su  '1  petto  in  modo  umile  e  pio 
Si  posa,  e  par  che  perdón  chieggia  a  Dio. 

34 
Mentre  io  le  piaghe  sue  lavo  co  '1  pianto. 
Né  però  sfogo  il  duol  che  l'alma  accora, 
Gli  apri  la  chiusa  destra  il  vecchio  santo, 
E  '1  ferro  che  stringea  trattone  fora: 
Questa,amedi3se,  ch'oggi  sparso  ha  tanto 
Sangue  nemico,  e  n'è  vermiglia  ancora, 
È,  come  sai,  perfetta;  e  non  è  forse 
Altra  spada  che  debba  a  lei  preporse. 


«  Dice  lucido  e  leve,  in  che  modo  gli  filo- 
sofi cristiani  difflniscono  il  corpo  glorifi- 
cato: e  gli  stoici  i  loro  dii.  Cicerone,  De 
Natur.  Deor.,  lib.  i:  -  lUud  video  pugnare 
te,  species  ut  quaedara  sit  Deorum,  quae 
nihil  concreti  habeat,  nihii  solidi,  nihil 
expressi,  nihil  eminentis;  sitque  pura,levis, 
perlucida  -  ». 

32,  4.  anreo  tratto:  Nota  del  Gentile: 
«  Cioè  quasi  aurea  linea,  la  quale  uon  è 
altro  che  un  tratto  o  flusso  del  punto.  Ed 
apprese  questa  similitudine  da  Dante  [Purg. 
XXIX  73):  -  E  vidi  le  fiammelle  andare 
avante  Lasciando  dietro  a  sé  l'aer  dipinto; 
E  di  tratti  pennelli  avean  sembiante  -  ».  — 
5.  face:  fa. 

33,  5.  Chiosa  ecc.  Intendi:  Aveva  la  de- 
stra chiusa  e  il  pugno  raccolto,  cioè  ser- 
rato, e  in  questo  teneva  il  ferro  stretto,  ed 
era  in  atto  di  ferire. 


100 


GERUSALEMME  LIBERATA 


35 

Onde  piace  là  su,  che,  s'or  la  parte 
Dal  suo  primo  signor  acerba  morte, 
Oziosa  non  resti  in  questa  parte; 
Ma  di  man  passi  in  mano  ardita  e  forte, 
Che  Tusi  poi  con  egual  forza  ed  arte, 
Ma  più  lunga  stagion  con  lieta  sorte: 
E  con  lei  faccia,  perché  a  lei  s'aspetta, 
Di  chi  Sveno  le  uccise  aspra  vendetta. 
36 

Soliman  Sveno  uccise;  e  Solimano 
Dee  per  la  spada  sua  restarne  ucciso. 
Prendila  dunque,  e  vanne  ov'il  cristiano 
Campo  fia  intorno  a  l'alte  mura  assiso: 
E  non  temer  che  nel  paewe  estrano 
Ti  sia  il  sentier  di  uovo  anco  preciso; 
Che  t'agevolerà  per  l'aspra  via 
L'alta  destra  di  Lui  ch'or  là  t'invia. 
37 

Quivi  Egli  vuol  che  da  cotesta  voce, 
Che  viva  in  te  servò,  si  manifesti 
La  pietate,  il  valor,  l'ardir  feroce. 
Che  nel  diletto  tuo  signor  vedesti; 
Tei  che  a  segnar  de  la  purpurea  croce 
L'arme  con  tale  esempio  altri  si  desti; 
Ed  ora,  e  dopo  un  córso  anco  di  lustri, 
Infiammati  ne  sian  gli  animi  illustri. 
33 

Resta  che  sappia  tu  chi  sia  colui 
Che  deve  de  la  spada  esser  erede. 
Questi  è  Rinaldo,  il  giovenetto,  a  cui 
Il  pregio  di  fortezza  ogn'altro  cede. 
A  lui  la  porgi,  e  di'  che  sol  da  lui 
L'alta  vendetta  il  Ciel  e  '1  mondo  chiede. 
Or,  mentre  io  le  sue  voci  intento  ascolto, 
Fui  da  miracol  novo  a  sé  rivolto: 
89 

Che  là  dove  il  cadavere  giacca. 
Ebbi  iraproviso  un  gran  sepolcro  scòrto, 
Che,  sorgendo,  rinchiuso  in  sé  l'avea. 
Come  non  so  né  con  qual  arte  sorto: 
E  in  brevi  note  altrui  vi  si  sponea 
11  nome  e  la  virtù  del  guerrier  morto. 


35, 1.  parte:  divide,  allontana.  —7. s'aspet- 
ta: spetta,  si  appartiene.  Cfr.  e.  v  34,  8. 

36,  1.  Soliman:  Cfr.  str.  23,  5.  Questi  ed 
Argante  sono  i  più  forti  tra  i  guerrieri  pa- 
gani. —  4.  assiso:  posto  per  Passedio.  As- 
sidersi in  un  luogo,  parlando  di  milizie, 
vale  accamparvisi.  Dante  usa  il  perfetto 
dell'attivo  dando  al  verbo  il  significato  di 
assediare  {Inf.  xiv  68)  :  ■«  quel  fu  1'  un 
de'  sette  regi  Ch'assiser  Tebe  ».  —  6.  pre- 
ciso: interrotto.  Cfr.  iv  86,  3.  —  7.  Dante, 
Purg.  IX,  57:  «  Si  l'agevolerò  per  la  sua 
via  ». 

37,  5.  segnar:  cosi  BoN.2-3  CoxQ.  e  Os.,  solo 
BON.i  seguir. 


Io  non  sapea  da  tal  vista  levarmi, 
Mirando  ora  le  lettre  ed  ora  i  marmi. 

40 
Qui,  disse  il  vecchio,  appresso  a  i  fidi  ami- 
Giacerà  del  tuo  duce  il  corpo  ascoso,    [ci 
Mentre  gli  spirti,  amando,  in  Ciel  felici 
Godon  perpetuo  bene  e  glorioso. 
Ma  tu  co  1  pianto  omai  gli  estremi  uffici 
Pagato  hai  loro;  e  tempo  è  di  riposo. 
Oste  mio  ne  sarai  sin  ch'ai  viaggio 
Mattutiu  ti  risvegli  il  novo  raggio. 

41 
Tacque;  e  per  lochi  ora  sublimi  or  cupi 
Mi  scòrse, ondeagranpenailtìancotrassi. 
Sin  eh',  ove  pende  da  selvaggie  rupi 
Cava  spelonca,  raccogliemmo  i  passi. 
Questo  è  il  suo  albergo:  ivi  fra  gli  orsi  e  i 
Co  '1  discepolo'suo  securo  stassi;       jlupi 
Che  difesa  miglior,  ch'usbergo  e  scudo, 
È  la  santa  innocenzia  al  petto  ignudo. 

42 
Silvestre  cibo  e  duro  letto  porse 
Quivi  a  le  membra  mie  posa  e  ristoro. 
Ma,  poi  ch'accesi  in  oriente  scòrse 

I  raggi  del  mattin  purpurei  e  d'oro, 
Vigilante  ad  orar  subito  sorse 
L'uno  e  l'altro  eremita,  ed  io  con  loro. 
Dal  santo  vecchio  poi  congedo  tolsi, 
E  qui,  dov'egli  consigliò,  mi  volsi. 

43 
Qui  si  tacque  il  Tedesco;  e  gli  rispose 

II  pio  Buglione:  0  cavalier,  tu  porte 
Dure  novelle  al  campo  e  dolorose, 
Ond'a  ragion  si  turbi  e  si  sconforte; 
Poi  che  genti  si  amiche  e  valorose 
Breve  ora  ha  tolte,  e  poca  terra  absorte; 
E  in  guisa  d'un  baleno  il  signor  vostro 
S'è  in  un  sol  punto  dileguato  e  mostro. 


39,  7.  Petrarca,  Tr.  Fam.  in  1:  «  F  non 
sapea  da  tal  vista  levar  me  ».  —  *  da  tal. 
Cosi  leggono  i  migliori  testi.  Solerti  di  tal. 
—  8.  lettre:  lettere,  già  annot. 

•10,  7.  Oste:  ospite. 

41,  2.  scòrse:  come  già  altrove,  guidò.  — 
trassi:  strascicai;  come  nel  Petrarca,  son. 
Movesi 'l  vecchie r el  ó:  «Indi  traendo  poi 
l'antico  fianco  Per  l'estreme  giornate  di  sua 
vita.  —  7-8.  Orazio,  Odi^  I  xxxii:  «  Integer 
vitae,  scelerisque  purus  Non  eget  Mauris 
iaculis,  neque  arcu,  Nec  venenatis  gravida 
sagittis,  Fasce,  pharetra  ».  E  Dante,  Inf. 
XXVIII  115:  «  Se  non  che  coscienza  mi  assi 
cura.  La  buona  compagnia  che  l'uomfran 
cheggia  Sotto  l'usbergo  del  sentirsi  pura  » 

42,  1-2.  Il  Sannazznro,  «  Sylva  tibi  sedes 
viridique  e  cespite  lectus,  Explebant  men 
sas  amnis  et  herba  tuas  ». 

43,  6,  absorte:  cfr.  i  4. 


CANTO  Vili 


101 


44 
Ma  che?  felice  è  cotal  morte  e  scempio, 
Via  più  ch'acquisto  di  proviucie  e  d'oro  ; 
Né  dar  Tautico  Campidoglio  esempio 
D'alcun  può  mai  si  glorioso  alloro. 
Essi  del  ciel  nel  luminoso  tempio 
Han  corona  immortai  del  vincer  loro: 
Ivi  credo  io  che  le  sue  belle  piaghe 
Ciascun  lieto  dimostri,  e  se  n'appaghe. 

45 
Ma  tu,  che  a  le  fatiche  ed  al  periglio 
Ne  la  milizia  ancor  resti  del  mondo, 
Devi  gioir  de'  lor  trionfi,  e  '1  ciglio 
Render,  quanto  conviene,  omai  giocondo: 
E,  perché  chiedi  di  Bertoldo  il  figlio. 
Sappi,  cli'ei  fuor  de  l'oste  è  vagabondo; 
Né  lodo  io  già  che  dubbia  via  tu  prenda, 
Pria  che  di  lui  certa  novella  intenda. 

46 
Questo  lor  ragionar  ne  l'altrui  mente 
Di  Rinaldo  l'amor  desta  e  rinnova; 
E  v'è  chi  dice:  Ahi!  fra  pagana  gente 
Il  giovenetto  errante  or  si  ritrova. 
E  non  v'  è  quasi  alcun  che  non  raramente, 
Narrando  al  Dano  i  suoi  gran  fattiaprova; 
E  de  l'opere  sue  la  lunga  tela 
Con  istupor  gli  si  dispiega  e  svela. 

47 
Or  quando  del  garzon  la  rimembranza 
Avea  gli  animi  tutti  inteneriti, 
Ecco  molti  tornar,  che  per  usanza 
Eran  d'intorno  a  depredare  usciti. 
Couducean  questi  seco  in  abbondanza 
E  mandre  di  lanuti  e  buoi  rapiti, 
Ebiadeancor,benche  non  molte,  estrame 
Che  pasca  de'  corsier  l'avida  fame. 

48 
E  questi  di  sciagura  aspra  e  noiosa 
Segno  portar,  che'n  apparenza  è  certo: 
Rotta  del  buon  Rinaldo  e  sanguinosa 
La  sopravesta,  ed  ogni  arnese  aperto. 
Tosto  si  sparse  (e  chi  potria  tal  cosa 
Tener  celata?)  un  rumor  vario  e  incerto. 
Córre  il  vulgo  dolente  a  le  novelle 
Del  guerriero  e  de  l'arme,  e_^vuol  vedelle, 

49 
Vede,  e  conosce  ben  l'immensa  mole 
Del  grand'usbergo,  e  '1  folgorar  del  lume, 
E  l'arme  tutte,  ov'è  l'augel  ch'ai  sole 
Prova  i  suoi  figli  e  mal  crede  a  le  piume; 
Che  di  vederle  già  primiere,  o  sole, 


45,  6.  vagabondo:  qui,  errante. 

46,  6.  Dano:   è  il  tedesco  della  st.  43,  1. 
49,  3.  l'augel:  l'aquila.  Intendi  che  i  vv. 

3-1  vogliono  dire:  ov'è  l'aquila  che  rico- 
nosce i  suoi  figli,  più  che  dalle  piume,  dal 
fatto  che  possono  sostenere  la  vista  del 
soie. 


Ne  le  imprese  più  grandi  ebbe  in  costume; 
Ed  or  non  senza  alta  pietate  ed  ira 
Rotte  e  sanguigne  ivi  giacer  le  mira. 

50 
Mentre  bisbiglia  il  campo,  e  la  cagione 
De  la  morte  di  lui  varia  si  crede, 
A  sé  chiama  Aliprando  il  pio  Buglione, 
Duce  di  quei  che  ne  portar  le  prede, 
Uom  di  libera  mente,  e  di  sermone 
Veracissimo  e  schietto;  ed  a  lui  chiede: 
Di'  come  e  donde  tu  rechi  quest'arme, 
E  di  buono  o  di  reo  nulla  celarrae. 

51 
Gli  risponde  colui:  Di  qui  lontano  [dria. 
Quanto  in  duo  giorni  un  messaggiero  an- 
Verso  il  confln  di  Gaza  un  picciol  piano 
Chiuso  tra  colli  alquanto  è  fuor  di  via; 
E  in  lui  d'alto  deriva,  e  lento  e  piano 
Tra  pianta  e  pianta  un  fiumicel  s'invia; 
E,  d'arbori  e  di  macchie  ombroso  e  folto, 
Opportuno  a  l'insidie  il  loco  è  molto. 

52 
Qui  greggia  alcuna  cercavam,che  fosse 
Venuta  a  i  paschi  de  l'erbose  sponde; 
E  in  su  l'erbe  miriam  di  sangue  rosse 
Giacerne  un  guerrier  morto  in  riva  a  l'on- 

[de. 
A  Tarme  ed  a  l'insegne  ogn'uora  si  mosse, 
Che  furon  conosciute,  ancor  che  immonde. 
Io  m'appressai  per  discoprirgli  il  viso: 
Ma  trovai  ch'era  il  capo  indi  reciso. 

53 
Mancavaancor  la  destra;  e'I  busto  grande 
Molte  ferite  avea  dal  tergo  al  petto: 
E  non  lontan,  con  l'aquila  che  spande 
Le  candide  ali,  giacca  il  vóto  elmetto. 
Mentre  cerco  d'alcuno  a  cui  dimande, 
Un  vìUanel  sopragiungea  soletto. 
Che  'n  dietro  il  passo  per  fuggirne  torse 
Subitamente  che  di  noi  s'accòrse. 

54 
Ma  Heguitato  e  preso,  a  la  richiesta 
Che  noi  gli  facevamo,  al  fin  rispose: 
Che  '1  giorno  inanti  uscir  de  la  foresta 
Scòrse  molti  guerrieri,  onde  ei  s'ascose; 
E  ch'un  d'essi  tenea  recisa  testa 
Per  le  sue  chiome  bionde  e  sanguinose, 
La  qual  gli  parve,  rimirando  intento, 
D'uom  giovenetto,  e  senza  peli  al  mento  ; 


61,  3.  un  picciol  piano  ecc.  Descrizione 
tratta  da  Virgilio,  Aen.  xi  522:  «  Est  curvo 
anfractu  valles,  accomoda  fraudi  Armo- 
rumque  dolis,  quam  densisfraudibus  atrum 
Urget  utrinque  latus». 

64,  5.  Mella:  «L'uso  di  decapitare  i  ca- 
daveri dei  vinti  e  di  recarne  i  teschi  ap- 
pesi all'arcione  a  trofeo  di  vittoria,  è  tut- 
tora  praticato   dagli    arabi  ».    Si    avverte. 


iU2 


GERUSALEMME  LIBERATA 


E  che  '1  medesmo  poco  poi  l'avvolse 
In  un  zendado  da  l'arcion  pendente. 
Soggiunse  ancor,  ch'a  Tabito  raccolse 
Cli'erano  cavalier  di  nostra  gente. 
Io  spogliar  feci  il  corpo,  e  si  me  'n  dolse, 
Che  piansi  nel  sospetto  amaramente, 
E  portai  meco  Tarme,  e  lasciai  cura 
Ch'avesse  degno  onor  di  sepoltura. 

56  [do, 

Ma,  se  quel  nobil  tronco  è  quel  ch'io  ere- 
Altra  tomba,  altra  pompa  egli  ben  merta. 
Cosi  detto,  Aliprando  ebbe  congedo, 
Però  che  cosa  non  avea  più  certa. 
Rimase  grave,  e  sospirò  Goffredo; 
Pur  nel  tristo  pensier  iion  si  raccerta: 
E  con  più  chiari  segni  il  monco  busto 
Conoscer  vuole  e  Tomicida  ingiusto. 
57 

Sorgea  la  notte  in  tanto,  e  sotto  Tali 
Ricopriva  del  cielo  i  campi  immensi  ; 
E  '1  sonno,  ozio  de  l'alme,  oblio  de'  mali. 
Lusingando  sopia  le  cure  e  i  sensi. 
Tu  sol  punto,  Argillan.  d'acuti  strali  _ 
D'aspro  dolor,  volgi  gran  cose  e  pensi. 
Né  l'agitato  sen  né  gli  occhi  ponno 
La  quiete  raccorre  o  '1  molle  sonno. 
58 

Costui  pronto  di  man,  di  lingua  ardito. 
Impetuoso  e  fervido  d'ingegno, 
Nacque  in  riva  del  Tronto,  e  fu  nudrito 
Ne  le  risse  civil  d'odio  e  di  sdegno: 
Poscia  in  esilio  spinto,  i  colli  e  '1  lite 
Empiè  di  sangue,  e  depredò  quel  regno, 


perché  cosi  T inganno  immaginato  dal  T. 
acquista  più  verisimiglianza. 

65,  3.  raccolse:  comprese.  In  questo  senso 
il  T.  lo  adopera  ancora  in  prosa  {Lett.  i39): 
«Ma  più  chiarara«rré  si  raccoglie  da  Er- 
mogene  quel  che  sia  distorcimento  di  par- 
lare ».  —  5.  e  si:  la  congiunz.  e  manca  in 
Os.;  è  tuttavia  nelle  st.   Box.  e   in  Conq. 

66,  5.  grare,  triste.  Petrarca,  Tr.  Am.  n 
131:  «Rimasi  grave,  e  sospirando  andai». 

67,  1.  Sorgea  la  notte  ecc.  Virg.,  Aen.  ii 
240:  «  ruit  oceano  nox,  Involvens  umbra 
magna  lerranique  polumque  ».  —  3-4.  Virg., 
Aen.  II  268:  «  Tempus  erat  cum  prima  quies 
mortalibuS|aegris  Incipit  et  dono  divum 
gratissi^naBerpit  ».  —  5-8.  Ariosto.,  Ori.  viii 
79:  «  Tu  le/palpebre,  Orlando,  appena  ab- 
bassi Punto  da'  tuoi  pensieri  acuti  ed  irti; 
Né  quel  si  breve  e  fuggitivo  sonno  Goder 
in  pace  anco  lasciar  ti  ponno  ». 

68,  3.  Nacque  in  rira  del  Tronto  ecc.:  U 
Xientile  crede  che  il  P.  volesse  fare  Argil- 

lano  della  città  d'Ascoli  che  «  sopra  tutte  le 
altre  città  d'Italia,  per  le  civili  sedizioni  è 
stata  chiara  in  ogni  tempo  ». 


Sin  che nel'Asia aguerreggiar se'u venne, 
E  per  fama  miglior  chiaro  divenne. 
59 

Al  fin  questi  su  l'alba  i  lumi  chiuse: 
Né  già  fu  sonno  il  suo  queto  e  soave, 
Ma  fu  stupor  ch'Aletto  al  cor  gl'infuse, 
Non  men  che  morte  sia,  profondo  e  grave. 
Sono  le  interne  sue  virtù  deluse, 
E  riposo  dormendo  anco  non  have; 
Che  la  furia  crudel  gli  s'appresenta 
Sotto  orribili  larve,  e  lo  sgomenta. 
60 

Gli  figura  un  gran  busto,  ond'è  diviso 
Il  capo,  e  de  la  destra  il  braccio  è  mozzo; 
E  sostien  con  la  manca  il  teschio  inciso, 
Di  sangue  e  di  pallor  livido  e  sozzo. 
I  Spira, eparlaspirandoilm.orto viso;    izo: 
E'iparlarvienco'l  sanr^ueeco'l  singhioz- 
Fuggi,  Argillan  ;  non  vedi  ornai  la  luce? 
Fuggi  le  tende  infami  e  l'empio  duce. 
61 

Chi  dal  fòro  Goffredo,  e  da  la  frode 
Ch'uccise  me,  voi,  cari  amici,  affida? 
D'astio  dentro  il  fellon  tutto  si  rode, 
E  pensa  sol  come  voi  meco  uccida. 
Pur,  se  cotesta  mano  a  nobil  lode 
Aspira,  e  in  sua  virtù  tanto  si  fida, 
Non  fuggir,  no;  plachi  il  tiranno  esangue 
Lo  spirto  mio  co  '1  suo  maligno  sangue. 
62 

Io  sarò  teco  ombra  di  ferro  e  d'ira 
Ministra,  e  t'armerò  la  destra  e  '1  seno. 
Cosi  gli  parla  e  nel  parlar  gli  spira 
Spirito  novo  di  furor  ripieno. 
Si  rompe  il  sonno,  e  sbigottito  ei  gira 
Gli  occhi  gonfi  di  rabbia  e  di  veneno; 
Ed  armato  ch'egli  è,  con  importuna 
Fretta  i  guerrier  d'Italia  insieme  aduna. 
63 

Gli  aduna  là  dove  sospese  stanno 
L'arme  del  buon  Rinaldo;  e  con  superba 


69,  3.  stnpor:  stordimento.  —4.  Intendi: 
non  meno  profondo  e  grave  di  quello  che 
sia  la  morte.  —  7.  furia:  Aletto. 

60,  1.  Certo  qui  il  T.  ebbe  a  mente  Ber- 
tramo  dal  Bornio  nell'Inferno  dantesco 
(XXVIII  121):  cE'l  capo  tronco  tenea  perle 
chiome  Pésol  con  mano  a  guisa  di  lan- 
terna ».  —  3.  inciso:  tagliato;  l'usa  spesso 
il  Nostro.  —  7-8.  Virg.,  Aen.  in  44:  «  Heu 
fuge  crudeles  terras,  fuge  litus  avarum  ». 

61,  8.  maligno:  cosi  pur  CoxQ.;  ma  Os. 
malvagio.  —  maligno:  cioè  che  è  disposto 
a  nuocere,  che  ha  in  sé  malvagità. 

62,  1-2.  Virg.,  Aen.  vii  454:  «  adsum  dira- 
rum  ab  sede  sorori;ra,  Bella  manu,  letura- 
que  gero  ».  —  4.  Rifa  il  dantesco  [Purg. 
XXV  71):  •  spira  Spirito  novo  di  virtù  re- 
pleto  ». 


X^i^ 


f    / 


CANTO  vm 


103 


Voce  il  furore  e  '1  conceputo  affanno 
In  tai  detti  divulj^a  e  disacerba: 
Dunque  un  popolo  barbaro  e  tiranno, 
Che  non  prezza  ragion  che  fé  non  serba, 
Che  non  fu  mai  di  sangue  e  d'or  satollo, 
Ne  terrà  '1  freno  in  bocca,  e  '1  giogo  al  collo? 
64 

Ciò  che  sofferto  abbiam  d'aspro  e  d'inde 
Sette  anni  ornai  sotto  si  iniqua  soma,  [gno 
È  tal  ch'arder  di  scorno,  arder  di  sdegno 
Potrà  da  qui  a  mill'anni  Italia  e  Roma. 
Taccio  che  fu  da  l'arme  e  da  l'ingegno 
Del  buon  Tancredi  la  Cilicia  dt)ma, 
É  ch'ora  il  Franco  a  tradigion  la  gode, 
E  j  premi  usurpa  del  valor  la  frode: 
65 

Taccio,  ch'ove  il  bisogno  e  '1  tempo  chiede 
Pronta  man,  pensier  fermo,  animo  audace, 
Alcuno  ivi  di  noi  primo  si  vede 
Portar  fra  mille  morti  o  ferro  o  face: 
Quando  le  palme  poi,  quando  le  prede 
Si  dispensan  ne  l'ozio  e  ne  la  pace, 
Nostri  in  parte  non  son,  ma  tutti  loro 
I  trionfi,  gli  onor,  le  terre  e  l'oro. 

Tempo  forse  già  fu,  che  gravi  e  strane 
Ne  potevan  parer  si  fatte  offese; 
Quasi  lievi  or  le  passo;  orrenda,  immane 
Ferità  leggierissime  l'ha  rese. 
Hanno  ucciso  Rinaldo,  e  con  l'umane 
L'alte  leggi  divine  han  vilipese. 
E  non  fulmina  il  Cielo?  e  non  l'inghiotte 
La  terra  entro  la  sua  perpetua  notte? 
67 

Rinaldo  hanmorto,il  qualfu  spadaescu- 
Di  nostra  fede,  ed  ancor  giace  inulto?  [do 


63,  4.  disacerba:  indica  che  ruomo  si 
sente  sollevato  quando  può  versare  nelle 
parole  il  dolore  e  il  furore. 

CA,  2.  Sette  anni:  In  accordo  col  sesto 
anno  volgea  del  e.  i  6,  1. 

65.  Guastavini:  «  Cosi  Achille  adirato  con- 
tro Agamennone  nel  i  delT/Z. :  —  Non  mai 
veramente  ho  premio  a  te  eguale,  quando 
i  Greci  -  De'  Troiani  depredino  alcuna  ben 
abitata  città:  -  Ma  veramente  il  più  del- 
l'impetuosa guerra  -  Le  mani  mie  gover- 
nano; e  pure  quando  la  divisione  viene,  - 
A  te  premio  molto  ma3i,'-iore  [tocca]:  ma 
io,  e  picciolo  e  caro  -  Mi  porto,  tenendolo, 
a  le  navi,  da  poi  ch'ho  travagliato  guer- 
reggiando ».  —  7.  Nostri  in  parie  non  son: 
d'accordo  colla  Conq.  ;  maOs.:  Nostri  non 
sono  (jih. 

*  66,  7.  non  l'ingh.  Alcuni  intendono  V 
riferito  a  Goffredo,  ma  il  contesto  porta  che 
s'intenda  per  ^t  riferendolo  agli  uccisori  di 
Rinaldo.  Ma  uou  è  chiaro. 


Inulto  giace;  e  su  '1  terreno  ignudo 
Lacerato  il  lasciaro  ed  insepulto. 
Ricercate  saper  chi  fosse  il  crudo? 
A  chi  puote,  o  compagni,  esser  occulto? 
Deh!  chi  non  sa  quanto  al  valor  latino 
Portin  Goffredo  invidia  e  Baldovino? 
68 

Ma  che  cerco  argomenti?  Il  Cielo  io  giuro 
(11  Ciel  che  n'ode,  e  ch'ingannar  non  lice), 
Ch'allor  che  si  rischiara  il  mondo  oscuro, 
Spirito  errante  il  vidi  ed  infelice. 
Che  spettacolo,  oimè,  crudele  e  duro! 
Quai  frode  di  Goffredo  a  noi  predice! 
Io '1  vidi;  e  non  fu  sogno,  e,  ovunque  or  miri, 
Par  che  dinanzi  a  gli  occhi  miei  s'aggiri. 
69 

Or  che  faremo  noi?  Dee  quella  mano. 
Che  di  morte  si  ingiusta  è  ancora  immonda. 
Reggerci  sempre?  o  pur  vorrera  lontano 
Girne  da  lei,  dove  l'Eufrate  inonda? 
Dove  a'  popoli  imbelli  in  fertil  piano 
Tante  ville  e  città  nutre  e  feconda, 
Anzi  a  noi  pur;  nostre  saranno,  io  spero; 
Né  co' Franchi  comune  avrem  l'impero. 
70 

Andianne;  e  resti  invendicato  il  sangue 
(Se  cosi  parvi)  illustre  ed  innocente: 
Benché,  se  la  virtù,  che  fredda  laugue. 
Fosse  ora  in  voi  quanto  dovrebbe  ardente, 
Questo  che  divorò,  pestifero  angue, 
Il  pregio  e'I  fior  de  la  latina  gente, 
Daria  con  la  sua  morte  e  con  lo  scempio 
A  gli  altri  mostri  memorando  esempio. 
71 

Io,  io  vorrei,  se'l  vostro  alto  valore, 
Quanto  egli  può,  tanto  voler  osasse. 
Ch'oggi  per  questa  man  ne  l'empio  core, 
Nido  di  tradigion,  la  pena  entrasse. 
Cosi  parla  agitato;  e  nel  furore 
E  ne  l'impeto  suo  ciascuno  ei  trasse. 
Arme!  arme!  freme  il  forsennato,e  insieme 
La  gioventù  superba,  arme  !  arme  !  freme. 


67,  3-4.  Virg.,  Aen.  v  871:  «  Nudus  in 
ignota,  Palinure,  iacebis  arena  >. 

6S,  5.  duro:  increscevole.  —  7.  non  fu  so- 
gno ecc.  :  Virg.,  Aen.  Ili  173:  «  Nec  sopor 
illud  erat:  sed  coram  agnoscere  vultus,  Ve- 
latasque  comas,  praesentiaque  ora  videbar  » . 

69,  5.  a'  popoli  imbelli;  Bon."^  e  Os.  legg.: 
a  popolo  imbelle:  Conq.  a  timide  genti. 

70,  3-S.  Guastavini:  «  Cosi  Achille  contro 
ad  Agamennone  nel  i  dell'/;.:  -  Re  divo- 
rator  del  popolo,  perché  a  gente  da  nulla 
comandi;  -  Che  veramente,  6  Agamennone, 
ora  ultimamente  ci  ingiurieresti  ». 

71,  7-8.  Virg.,  Aen.  vii  460:  «  Arma  amens 
fremii  »  ;  e  xi  464:  •  Arma  manu  trepidi  pos- 
cunt,  frerait  arma  iuventus  »;  e  Ovidio,  nella 
battaglia  dei  centauri  con  Teseo  e  riritoo. 


104 


GERUSALEMME  LIBERATA 


I 


Rota  Aletto  fra  lor  la  destra  armata, 
E  co  '1  foco  il  venen  ne'  petti  mesce. 
Lo  sdegno,  la  follia,  la  scelerata 
Sete  del  sangue  ognor  più  infuria  e  cresce; 
E  serpe  quella  peste  e  si  dilata, 
E  de  gli  alberghi  Italici  fuor  n'esce, 
E  pa.ssa  fra  gli  Elvezii,  e  vi  s'apprende, 
E  di  là  poscia  a  gli  Inghilesi  tende. 

73 
Né  sol  l'estrane  genti  avvieu  che  mova 
Il  duro  caso  e  il  gran  publico  danno; 
Ma  l'antiche  cagioni  a  l'ira  nova 
Materia  insieme  e  nutrimento  danno. 
Ogni  sopito  sdegno  or  si  rinnova;      [no;  | 
Chiamano  il  popol  Franco  empio  e  tiran 
E  in  superbe  minacele  esce  diffuso      iso.  ; 
L'odio,  che  non  può  starne  ornai  più  chiù 

74 
Cosi  nel  cavo  rame  umor  che  bolle 
Per  troppo  foco,  entro  gorgoglia  e  fuma; 
Né  capendo  in  sé  stesso,  altin  s'estolle 
Sovra  gli  orli  del  vaso,  e  inonda  e  spuma. 
Non  bastano  a  frenare  il  vulgo  folle 
Que"  pochi  a  cui  la  mente  il  vero  alluma: 
E  Tancredi  e  Camillo  eran  lontani, 
Guglielmo,  e  gli  altri  in  podestà  soprani. 

75 
Corrono  già  precipitosi  a  l'armi 
Confusamente  i  popoli  feroci; 
E  già  s'odon  cantar  bellici  carmi 
Sediziose  trombe  in  fere  voci. 
Gridano  in  tanto  al  pio  Buglion  che  s'armi 
Molti  di  qua  di  là  nunzii  veloci; 
E  Baldovin  dinanzi  a  tutti  armato 


Met.  XII 240:  «  ardescunt  germana  caede  bi- 
membres,  Cert^tiraqueomnes uno  ore  a/"ma, 
arma  loquuntur  ». 

72,  8.  poscia  a  gì' Inghilesi;  Os.  poscia 
anco  a  gli  Inglesi.  —  tende:  si  avvia.  *I1 
Solerti  legge,  su  Pautorità  di  alcuni  mano- 
scritti, a  V inghilesi  tende,  alle  tende  in- 
glesi, complem.  di  passa.  Ma  le  migliori 
stampe  leggono  come  nel  testo. 

74,  1-4.  Virg.,  Aen.  vii  461:  «  magno  ve- 
lati quum  fiamma  sonore  Virgea  suggeri- 
tur  costisundantisaheiii  Exultantque  aestu 
latices,  furitiatus  aquai  Furaidus  atque  alte 
spumis  exuberat  amais,  Nec  iam  se  capii 
unda,  volat  vapor  ater  ad  auras  ».  —  7-8. 
Tancredi  e  Camillo  avrebbero  potuto  fre- 
nare gli  italiani;  Gngliolmo,  gli  inglesi.  — 
In  potestà  soprani:  superiori  a  tutti  in  po- 
tere. 

75,  1-4.  Virg.,  Aen.  vii  519:  «Tura  vero 
ad  vocem  celeres,  qua  buccina  signum  Dira 
dedit.  raptis  concurrunt  undique  tel:s  In- 
domiti agricolae;  nec  non  et  Troia  pubes 
Ascanio  auxilium  castris  effuudit  apertis  *. 
—  7.  Mella:    «Questo  Baldovino    ha  da  es- 


Gli  s'appresenta  e  gli  ai  pone  a  lato. 
76 
Egli  ch'ode  l'accusa,  i  lumi  al  cielo 
Drizza,  e  pur  come  suole  a  Dio  ricorre: 
Signor,  tu  che  sai  ben  con  quanto  zelo 
La  destra  mia  del  civil  sangue  abbovre, 
Tu  squarcia  a  questi  de  la  mente  il  velo, 
E  reprimi  il  furor  che  si  trascorre; 
E  l'innocenza  mia,  che  costà  sopra 
E  nota,  al  mondo  cieco  anco  si  scopra. 

77 
Tacque;  e  dal  Cielo  infuso  ir  fra  le  vene 
Sentissi  un  novo  inusitato  caldo. 
Colmo  d'alto  vigor,  d'ardita  spene 
Che  nel  vólto  si  siiarge  e  '1  fa  più  baldo, 
E  da'  suoi  circondato,  oltre  se'n  viene 
Contra  chi  vendicar  credea  Rinaldo; 
Né,  perché  d'arme  e  di  minacele  ei  senta 
Fremito  d'ogni  intorno,  il  passo  allenta. 

78 
Ha  la  corazza  in  dosso,  e  nobil  veste 
Riccamente  l'adorna  oltre  il  costume. 
Nudo  è  le  mani  e'I  vólto,  e  di  celeste 
Maestà  vi  risplende  un  novo  lume: 
Scote  l'aurato  scettro,  e  sol  con  queste 
Arme  acquetar  quegli  impeti  presume. 
Tal  si  mostra  a  coloro,  e  tal  ragiona; 
Né  come  d'uom  mortai  la  voce  suona: 

79 
Quali  stolte  minaccie,  e  quale  or  odo 
Vano  strepito  d'arme?  e  chi  '1  commove? 
Cosi  qui  riverito,  e  in  questo  modo 
Noto  son  io,  dopo  si  lunghe  prove, 
Ch'ancor  v'è  chi  sospetti,  e  chi  di  frodo 
Goffredo  accusi,  e  chi  l'accuse  approve? 
Forse  aspettate  ancor  ch'a  voi  mi  pieghi, 
E  ragioni  v'adduca,  e  porga  preghi? 


sere  il  fratel  cugino  di  Goffredo,  signore 
del  Bourg.  Del  rimanente  si  sarebbe  il  Tasso 
dimenticato  di  aver  detto  (e.  i  9),  che  Bal- 
dovino conte  di  Boulogne  si  stava  nel  suo 
principato  di  Edessa.  E  veramente  pare  che 
se  ne  scordasse  (e.  i  40,  ».  Certo  il  T.  allu- 
deva al  fratello  del  re;  cfr.  vii  108,  7:  Il 
buon  duce  Buglion  chiama  il  fratello,  né 
questi  poteva  essere  Eustazio,  il  quale  aveva 
seguitato  Armida. 

*  76,  4.  Os.  dal  cimi  sangue.  Le  B,  se- 
guite anche  dal  Solerti,  del  e  s.  Si  richiami 
l'osservaz.  del  Cavedoni  e.  v,  71,  n.  4. 

77,  5.  oltre;  Os.  iììdi. 

78, 3.  Virg.,  Aen.  xii  312;  «  At  plus  Aeneas 
dexlram  tendebat  inermem  Nudato  capite  ». 
—  8.  Virg.,  Aen.  i  328:  «  nec  vox  hominem 
sonati  e  il  Petrarca,  son.  Erano  i  cai  ei  10: 
<  e  le  parole  Souavan  altro  che  pur  voce 
umana  ». 

79,  5.  frodo:  frode. 


CANTO  Vili 


105 


80 

Ah  non  eia  ver  che  tanta  indìgnìtate 
La  terra  piena  del  mio  nome  intenda: 
Me  questo  scettro,  me  de  l'onorate 
Opre  mie  la  memoria  e  '1  ver  difenda: 
E  per  or  la  giustizia  a  la  piotate 
Coda,  né  sovra  i  rei  la  pena  scenda. 
A  gli  altri  nierti  or  questo  error  perdóno, 
Ed  al  vostro  Rinaldo  anco  vi  dono. 
81 

Co'l  sangue  suo  lavi  il  coraun  difetto 
Solo  Argillan,  di  tante  colpe  autore; 
Che,  mosso  a  leggierissimo  sospetto, 
Sospinti  gli  altri  ha  nel  medesmo  errore. 
Lampi  e  folgori  ardean  nel  regio  aspetto, 
Mentre  ei  parlò,  di  maestà,  d'onore; 
Tal  ch'Arginano  attonito  e  conquiso 
Teme  (chi  '1  crederia?)  l'ira  d'un  viso. 
82 

E  '1  vulgo  ch'anzi  irreverente,  audace^ 
Tutto  fremer  s'udia  d'orgogli  e  d'onte, 
E  ch'ebbe  al  ferro,  a  l'aste  ed  a  la  face 
Che  '1  furor  ministrò,  le  man  si  pronte, 
Non  osa  (e  i  detti  alteri  ascolta,  e  tace) 
Fra  timor  e  vergogna  alzar  la  fronte; 


81,  1.  comun:  comune  a  tutti.  —  3.  mosso 
a:  mosso  da;  •  lasciatosi  andare  a. 

82,  1.  anzi:  avverbio:  innanzi,  prima. 
Questa  stanza  ricorda  la  famosa  similitu- 
dine virgiliana,  per  la  quale  Nettuno  che 
placa  i  venti  è  paragonato  al  grave  perso- 
naggio che  riesce  di  un  sùbito  a  reprimere 
la  ribellione  del  popolo,  Aen.  i  118:  «  Ac 
veluti  magno  in  populo  cum  saepe  cohorta 
est  Seditio  saevitque  auimis  ignobile  vul- 
gus;  lamque  faces  et  saxa  volant,  furor 
arma  ministrai;  Tum  pietate  gravem  ac 
meritis  si  forte  virura  quem  Conspexere, 
sileut,  arrectisque  auribus  adstant;  Ille  re- 
git  dictis  animos  et  pectora  mulcet  ». 


E  sostien  ch'Argillano,  ancor  che  cinto 
De  l'arme  lor,  sia  da'  ministri  avvinto. 
83 

Cosi  leon,  ch'anzi  l'orribil  coma 
Con  muggito  scotea  superbo  e  fero, 
Se  poi  vede  il  maestro  onde  fu  doma 
La  natia  ferità  del  core  altero. 
Può  del  giogo  soffrir  l'ignobil  soma, 
E  teme  le  minaccie  e  '1  duro  impero; 
Né  i  gran  velli,  i  gran  denti  e  l'unghie 

[e' hanno 
Tanta  in  sé  forza  insuperbir  il  fanno. 
84 

E  fama  che  fu  visto  in  vólto  crudo 
Ed  in  atto  feroce  e  minacciante 
Un  alato  guerrier  tener  lo  scudo 
De  la  difesa  al  pio  Buglion  davante, 
E  vibrar  fulminando  il  ferro  ignudo 
Che  di  sangue  vedeasi  ancor  stillante: 
Sangue  era  forse  di  città,  di  regni. 
Che  provocar  del  Cielo  i  tardi  sdegni. 
85 

Cosi,  cheto  il  tumulto,  ognun  depone 
L'arme,  e  molti  con  l'arme  il  mal  talento  : 
E  ritorna  Goffredo  al  padiglione, 
A  varie  cose,  a  nove  imprese  intento; 
Ch'assalir  la  cittade  egli  dispone 
Pria  che  '1  secondo  o  '1  terzo  di  sia  spento: 
E  rivedendo  va  l'incise  travi, 
Già  in  macchine  conteste  orrende  e  gravi . 


83,  1.  anzi:  Cfr.  st.  preced.  1,  not.  —  2. 
mngafito,  per  ruggito.  Boccaccio,  Decani. 
nov.  77:  «  cominciò  a  mugghiar  che  pareva 
un  leone  ». 

86,  7.  incise:  tagliate,  come  abbiam  visto 
ancora  sopra.  —  8.  Già  in  macchino  conteste: 
Conteste  accorda  con  travi,  e  vuol  dire,  già 
unite  insieme,  commesse  cosi  da  forma? 
macchine. 


CANTO  IX. 


Alette  -^  Solimano  mao- 
vc  di  notte  gli  arabi  con- 
tro i  cristiani,  i  quali  cosi 
restano  presi  in  mezzo 
-^  Morte  di  Latino  e 
de*  suoi  figli  -^  Goffredo 
oppone  Guelfo  a  Clorin- 
da e  ad  Argante  ;  egli 
va  contro  a  Solimano  -y^r 
Michele,  per  ordine  di- 
vino, pone  in  fuga  i  de- 
mòni clic  aiutano  i  sa- 
racini  ^  Morte  di  Lc- 
sbino  -y^  Eroica  morte  di 
Arginano  iì^  Arrivano 
i  guerrieri  cristiani  clie 
avevano  seguita  Armida 
•yif  Aladino  fa  sonare  a 
raccolta  ii[  Fuga  di  So- 
limano, 


Ma  il  gran  mostro  infernal,  che  vede  queti 
Que' già  torbidi  cori,  e  l'ire  spente; 
E  cozzar  contrari  fato,  e  i  grau  decreti 
Svolger  non  può  de  l'immutabil  Mente, 
Si  parte;  e  dove  jiassa,  i  campi  lieti 
Secca,  e  pallido  il  sol  si  fa  repente; 
E,  d'altre  furie  ancora  e  d'altri  mali 
Ministra,  a  nova  impresa  affretta  l'ali! 
2 

Ella,  che  da  l'esercito  cristiano. 


1,  1.  mostro:  Aletto. — 3.  cozzar  ecc.:  ri- 
corda il  dantesco  (Inf.  ix  97):  «  Che  giova 
nelle  fata  dar  di  cozzo?»;  e  dipende  dal 
non  può  del  vers.  seg.  —  5.  e  dove  passa 
ecc.:  Ovidio,  Met.  u  791:  «Quacumque  in- 
greditur,  flwrentia  proterit  arva,  Exuritque 
herbas  ».  —  7.  furie:  nel  senso  di  cose  fu- 
ribonde. 


Per  industria  sapea  de' suoi  consorti, 
11  figliuol  di  Bertoldo  esser  lontano, 
Tancredi  e  gli  altri  più  temuti  e  forti. 
Disse:  Che  pili  s'aspetta?  or  Solimano 
Inaspettato  venga,  e  guerra  porti. 
Certo  (0  ch'io  spero)  alta  vittoria  avremo 
Di  campo  mal  concorde  e  jn  parte  scemo. 

3 
Ciò  detto,  vola  ove  fra  squadre  erranti, 
Fattosen  duce,  Soliman  dimora; 
Quel  Soliman,  di  cui  non  fu,  tra  quanti 
Ila  Dio  rubelli,  uom  più  feroce  allora; 
Xé  se  per  nova  ingiuria  i  suoi  giganti 
Rinnovasse  la  terra,  anco  vi  fora. 
Questi  fu  re  de' Turchi,  ed  in  Nicea 
La  sede  de  l'imperio  aver  solca; 

4 
E  distendeva  in  contra  a  i  greci  lidi 


cfr. 


i,  2.  consorti:  i   diavoli. 
e.  VI  10  3  e  in  nota. 


5.  Solimano: 


CANTO  IX 


107 


Dal  Sangario  al  Meandro  il  suo  confine, 
Ove  albergar  già  Misi  e  Frigi  e  Lidi, 
E  le  genti  di  Ponto  e  le  Hitine: 
Ma,  poiché  centra  Turchi  e  gli  altri  infidi 
Passar  ne  l'Asia  l'arme  peregrine, 
Fur  sue  terre  espugnate,  ed  ei  sconfitto 
Ben  fu  due  fiate  in  general  conllitto. 

5 
Ma  riprovata  avendo  in  van  la  sorte, 
E  spinto  a  l'orza  dal  natio  paese. 
Ricoverò  del  re  d'Egitto  in  corte, 


4,  2.  Sangavio:  (oggi  Sakaria)  fiume  di 
Frigia  che  mette  foce  nel  mar  Nero;  — 
Mcandi'o:  (oggi  Meindres)  fiume  che  si  getta 
neirArcipelago  ad  ostro  dell'isola  di  Samo: 
quali  regioni  siano  racchiuse  dai  due  fiumi 
si  vede  nei  seg.  vv.  3-4.  —  S.  Ben  fu  due 
fiate;  meglio  Os.  Ben  due  fiate.  —  due: 
secondo  Gugl.  Tir.,  Solimano  toccò  una 
grande  sconfìtta  sotto  Nicea,  e  un'altra 
quando  improvvisamente  assaltò  i  cristiani 
sotto  Antiochia.  Di  propria  invenzione  il  T. 
pone  Solimano  capo  dell'assalto  degli  arabi, 
che  vieu  descrivendo;  ma  il  modo  della  de- 
scrizione trasportò  dal  Tirio  (vi  20)  dove 
questi  narra  il  già  citato  assalto  di  Antio- 
chia; e  dalle  istorie  trasse  pure  l'improv- 
viso apparire  degli  arabi.  Attesta  egli  stesso 
[Leu.  66):  «Vero  è  l'assalto  de  gli  arabi, 
ma  di  questi  solo  parla  una  Cronica  d'un 
Rocoldo,  conte  diProchese,  che  fu  in  quella 
guerra;  pur  se  ne  vede  alcun  vestigio  in 
Roberto  monaco,  ancor  che  debole  ». 

6.  Questa  e  le  due  strofe  segg.  furono 
agc^iunte  dal  T.  già  finita  la  Gerusalemme 
per  le  ragioni  da  lui  addotte  nella  Lett.  25 
(dell'anno  1575);  «  per  unire  l'azione  mag- 
giormente in  quanto  a  la  parte  che  s'ap- 
partiene a  i  saracini,  e  ridurre  i  lor  pro- 
gressi ad  un  capo,  io  avrei  pensato  di  ag- 
giungere nel  nono  canto,  appresso  le  due 
stanze  aggiunte  di  Solimano,  alcune  altre 
ne  le  quali  si  dicesse,  che  Solimano  dopo 
che  fu  cacciato  dal  regno,  si  ritirò  ne  la 
corte  del  re  d'Egitto  e  che  da  lui  fu  posto 
al  governo  de  l'Arabia;  dove  stando  egli, 
avea  contratta  amicizia  co'  capi  di  quelli 
arabi  che  non  han  sede  ferma,  e  gli  avea 
tirati  a  sua  divozione  e  del  Califfo;  e  che, 
dopo  il  ritorno  d'Alete,  il  Califfo  gli  fece 
intendere  con  meravigliosa  prestezza  (o 
forse  prima,  da  ch'egli  cominciò  a  sospet- 
tare che  i  cristiani  passassero  a  l'espugna- 
zione di  Gerusalemme),  che  cercasse  di  di- 
sturbare in  alcuu  modo  Goff"redo....  Questo 
pensiero  mi  nacque  già  per  alcuna  ragione, 
e  per  l'imitazioue  di  Virgilio  e  d'Omero, 
che  uniscono  i  nemici  ecc.  ».  —  1.  Ma  ri- 
provata; GoNQ.  Ma  ritentata;  Os.  E  riten- 
tata. 


Ch'oste  gli  fu  magnanimo  e  cortese; 
Ed  ebbe  a  grado  che  guerrier  si  forte 
Gli  s'offrisse  compagno  a  l'alte  imprese, 
Proposto  avendo  già  vietar  l'acquisto 
Di  Palestina  a  i  cavalier  di  Cristo. 
6 

Ma  prima  ch'egli  apertamente  loro 
La  destinata  guerra  annunziasse, 
Volle  che  Solimano,  a  cui  molto  oro 
Die  per  tal  uso,  gli  Arabi  assoldasse. 
Or,  mentre  ei  d'Asia  e  dal  paese  moro 
L'oste  accogliea,  Soliman  venne,  e  trasse 
Agevolmente  a  sé  gli  Arabi  avari, 
Ladroni  in  ogni  tempo  o  mercenari. 
7 

Cosi  fatto  lor  duce,  or  d'ogn' intorno 
La  Giudea  scorre,  e  fa  prede  e  rapine; 
Si  che  '1  venire  è  chiuso,  e  '1  far  ritorno 
Da  l'esercito  Franco  a  le  marine: 
1^,  rimembrando  ognor  l'antico  scorno, 
E  de  l'imperio  suo  l'alte  mine. 
Cose  maggior  nel  petto  acceso  volve; 
Ma  non  ben  s'assecura  o  ai  risolve. 
8 

A  costui  viene  Aletto;  e  da  lei  tolto 
E  'l  sembiante  d'un  uom  d'antica  etade: 
Vota  di  sangue,  empie  di  crespe  il  vólto. 
Lascia  barbuto  il  labro,  e  '1  mento  rade; 
Dimostra  il  capo  in  lunghe  tele  avvolto; 
La  veste  oltre '1  ginocchio  al  pie  gli  cade; 
La  scimitarra  al  fianco,  e  '1  tergo  carco 
De  la  faretra,  e  ne  le  mani  ha  l'arco. 
9 

Noi,  gli  dice  ella,  or  trascorriam  le  vote 
Piaggie  e  l'arene  sterili  e  deserte, 
Ove  né  far  rapina  mai  si  puote, 
Né  vittoria  acquistar  che  loda  merte. 
Goffredo  in  tanto  la  città  percote, 
E  già  le  mura  ha  con  le  torri  aperte; 
E  già  vedrera,  s'ancor  si  tarda  un  poco, 
In  sin  di  qua  le  sue  mine  e  '1  foco. 
10 

Dunque  accesi  tuguri  e  greggie  e  buoi 
Gli  alti  trofei  di  Soliman  saranno? 
Cosi  racquisti  il  regno?  e  cosi  i  tuoi 
Oltraggi  vendicar  ti  credi  e  '1  danno? 
Ardisci,  ardisci:  entro  a  i  ripari  suoi 
Di  notte  opprimi  il  barbaro  tiranno. 


6,  5.  ei:  il  re  d'  Egitto. 

8,  1.  e  da  lei  tolto  ecc.:  Guastavini  :  «  De- 
scrizione e'  ha  mirabile  evidenza.  Meno 
assai  distinta,  e  perciò  di  minor  energia, 
è  quella  della  stessa  Aletto  appo  Virgilio, 
{Aen.  VII  415)  quando  essa  in  vecchia  si 
trasformò:  -  Allecto  torvam  faciem,  et  fu- 
rialia  membra  Exuit;  in  vultus  sese  tran- 
sformat aniles.  Et  frontem  obscenam  rugis 
arat,  induit  albos  Cum  vitta  crines  ». 


108 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Credi  al  tuo  vecchio  Araspe,  il  cui  consiglio 
E  uel  regno  provasti  e  ne  l'esiglio. 
11 

Nonciaspettaegli,enouci  teme,  esprez- 
Gli  Arabi  ignudi  in  vero  e  timorosi;     [za 
Né  creder  mai  potrà  che  gente  avvezza 
A  le  prede,  a  le  fughe,  or  cotanto  osi: 
Ma  feri  li  farà  la  tua  fierezza 
Coutra  un  campo  che  giaccia  inerme  e  posi. 
Cosi  gli  disse;  e  le  sue  furie  ardenti 
Spirògli  al  seno,  e  si  mischiò  tra'  venti. 
12 

Gridai!  guerrier,  levando  al  ciel  la  mano: 
0  tu.  che  furor  tanto  al  cor  m'irriti 
(Ned  uom  sei  già,  se  ben  sembiante  umano 
Mostrasti),  ecco  io  ti  seguo  ove  m'inviti. 
Verrò;  farò  là  monti,  ove  ora  è  piano: 
Monti  d'uomini  estinti  e  di  feriti; 
Farò  fiumi  di  sangue.  Or  tu  sia  meco, 
E  reggi  l'armi  mie  per  laer  cieco. 
13 

Tace  :  e  senza  indugiar  I9  turbe  accoglie, 
E  rincora  parlando  il  vile  e  '1  lento; 
E  ne  l'ardor  de  le  sue  stesse  voglie 
Accende  il  campo  e  seguitarlo  intento. 
Dà  il  segno  Aletto  de  la  tromba,  e  scioglie 
Di  sua  man  propria  il  gran  vessillo  al  ven- 
Marcia  il  campo  veloce,  anzi  si  corre    [to. 
Che  de  la  fama  il  volo  anco  precórre. 
14 

Va  seco  Alettoj  e  poscia  il  lascia,  e  veste 
D'uom  che  rechi  novelle,  abito  e  viso; 
E  ne  l'ora  che  par  che  il  mondo  reste 
Fra  la  notte  e  fra  '1  di  dubbio  e  diviso, 
Entra  in  Gierusalemrae;  e,  tra  le  meste 
Turbe  passando,  al  re  dà  l'alto  avviso 
Del  gran  campo  che  giunge,  e  del  disegno. 
E  del  notturno  assalto  e  l'ora  e  'i  segno. 
15 

Ma  già  distendon  l'ombre  orrido  velo, 

Che  di  rossi  vapor  si  sparge  e  tigne; 
La  terra  in  vece  del  notturno  gelo 

Bagnan  rugiade  tepide  e  sanguigne; 


S'empie  di  mostri  e  di  prodigi  il  cielo; 
S'odon  fremendo  errar  larve  maligne; 
Votò  Pluton  gii  abissi,  e  la  sua  notte 
Tutta  versò  da  le  tartaree  grotte. 

16 
Per  si  profondo  orror  verso  le  tende 
De  gli  inimici  il  fèr  Soldan  cammina; 
Ma  quando  a  mezzo  del  suo  córso  ascende 
La  notte,  onde  poi  rapida  dechina, 
A  men  d'un  miglio,  ove  riposo  prende 
11  securo  Francese,  ei  s'avvicina: 
I  Qui  fé' cibar  le  genti;  e  poscia,  d'alto 
Parlando,  confortoUe  al  crudo  assalto: 

17 
Vedete  là  di  mille  furti  pieno 
Un  campo  più  famoso  assai  che  forte, 
Che  quasi  un  mar  nel  suo  vorace  suno 
Tutte  de  l'Asia  ha  le  ricchezze  absorte? 
Questo  ora  a  voi  (né  già  potria  con  meno 
Vostro  periglio)  espon  benigna  sorte; 
L'arme  e  i  destrier,  d'ostro  guerniti  e  d'oro, 
Preda  fian  vostra,  e  non  difesa  loro. 

18 
Né  questa  è  già  quell'oste,  onde  la  Persa 
Gente,  e  la  gente  di  Nicea  fu  vinta; 
Perché  in  guerra  si  lunga  e  si  diversa 
Rimasa  u'è  la  mag^nor  parte  estinta; 
E,  s'anco  integra  fosse,  or  tutta  immersa 
In  profonda  quiete  e  d'arme  è  scinta. 
Tosto  s'opprime  chi  di  sonno  è  carco; 
Che  dal  sonno  a  la  morte  è  un  picciol  varco. 

19 

Su  sn,  venite:  io  primo  aprir  la  strada 
Vo'  su  i  corpi  languenti  entro  a  i  ripari: 
Ferir  da  questa  mia  ciascuna  spada, 
E  l'arte  usar  di  crudeltate  impari. 
Oggi  fia  che  di  Cristo  il  regno  cada. 
Oggi  libera  d'Asia,  oggi  voi  chiari. 
Cosi  gli  infiamma  a  le  vicine  prove; 
Indi  tacitamente  oltre  lor  move. 
20 

Ecco  tra  via  le  sentinelle  ei  vede, 
Per  l'ombra  mista  d'una  incerta  luce; 
Né  ritrovar,  come  secura  fede 


11,  7-8.  Virg.,  .\en.  vii  456:  «Sic  effata, 
facem  iuveni  coniecit,  et  atro  Lumine  fu- 
maotes  fixit  sub  pectore  taedas  ». 

12,  4.  ceco  ecc.:  Virg.  in  persona  di 
Turno,  Aen.  ix  21:  «  Sequor  emina  tanta, 
Quisquis  in  arma  vocas  ».  —  8.  reegì:  cosi 
Os.:  ma  Bonn,  tratta. 

1.5,  1.  ombre:  Guastavini:  «Le  notti,  le 
quali  altro  non  sono  che  ombra  della  terra  ». 
—  orrido  Telo:  Guastavini:  «  qui  è  detto  or- 
rido per  li  prodigi  spaventevoli  che  seguono 
ne'  versi  appresso,  e  significano  la  morta- 
lità futura».  —  3-1.  Guastavini:  *  Cosi  ap- 
presso Omero  //.  si:  -  e  da  l'alto  fece  scen- 
dere rugiade  -  Di  sangue  bagnate  da  Paria, 


perciocché  egli  avea- Molti  importanti  capi 
air  Inferno  a  mandare.  —  Leggesi  anco  nelle 
istorie  antiche  (come  è  notato  da  Plinio) 
per  prodigio  esser  piovuto  sangue  *. 

16,  2.  De  gli  inimici:  Os.  De'  suoi  ne- 
mici. 

17,  1.  Vedete  là  ecc.:  Si  ricordi  che  ha 
già  chiamatigli  arabi  coll'appellativo  avari. 
—  6.  espon:  mette  in  mostra. 

19,  2.  languenti:  languirli  nel  sonno. 

20,  2.  Per  l'ombra  ecc.:  attraverso  l'om- 
bra mista  di  una  luce  incerta,  cioè  rischia- 
rata in  modo  incerto  da  quei  rossi  vapori 
onde  le  potenze  infernali  hanno  sparso  e 
tinto   le   tenebre    notturne,   come   è    detto 


CANTO  IX 


109 


Avea,  pnote  iraproviso  il  saggio  duce. 
Volgoli  quelle  gridando  in  dietro  il  piede, 
Scòrto  che  si  gran  turba  egli  conduce; 
Si  che  la  prima  guardia  è  da  lor  desta, 
E,  coni'  può  meglio,  a  guerreggiar  s'appre- 
21  [sta. 

Dan  fiato  allora  a  i  barbari  metalli 
Gli  Arabi,  certi  ornai  d'esser  sentiti. 
Van  gridi  orrendi  al  cielo,  e  de'  cavalli 
Co  '1  suon  del  calpestio  misti  i  nitriti. 
Gli  aiti  monti  muggir,  muggir  le  valli, 
E  risposer  gli  abissi  a  i  lor  muggiti; 
E  la  face  inalzò  di  Flegetonte 
Aletto,  e  '1  segno  diede  a  quei  del  monte. 
22 

Corre inauzi  ilSoldano,égiungeaquella 
Confusa  ancora  e  inordinata  guarda 
Rapido  si,  che  torbida  procella 
Da' cavernosi  monti  esce  più  tarda. 
Fiume  ch'arbori  insieme  e  case  svella, 
Folgore  che  le  torri  abbatta  ed  arda, 
Terremoto  che  '1  mondo  empia  d'orrore, 
Son  picciole  sembianze  al  suo  furore. 


nella  st.  15.  —  4.  improTÌso,  improvvisa- 
mente. —  il  s.  duce:  Goffredo.  —  7,  guar- 
dia: qui  ha  valore  collett.:  schiera,  che 
sta  a  guardia.  —  S.  E,  coni':  cosi  pure 
CoNQ.  ma  Os.  Che  com\ 

21,  2.  Arabi:  Cfr.  la  nota  alla  st.  4,  8. 
"Vedi  pure  la  nota  alla  st.  55  del  cant.  in; 
e  aggiungi  che  nella  Lett.  ivi  cit.  il  Tasso 
avverte  come  nella  prima  tessitura  del 
poema  avesse  usato  la  parola  inori  invece 
di  arabi;  e  come  poi  correggesse,  anche  a 
costo  di  peggiorare  ì  suoi  versi,  perché 
*  cosi  bisognava,  perché  gli  arabi  non  son 
mori  né  tartari  ».  —  5-6.  Virg.,  Aen.  v  149: 
«  Consonat  omne  nemus,  vocemque  inclusa 
volutant  Litora,  pulsati  coUes  clamore  re- 
sultant  »  ;  e  vii  514:  «  protinus  omne  Con- 
tremuit  nemus,  et  silvae  insonuere  pro- 
fundae  »,  e  ancóra  xii  928:  «  totusque  re- 
mugit  Mons  circum,  etvocem  late  nemora 
alta  remittunt  ».  —  8.  a  quei  del  monte:  a 
quelli  che  erano  sul  monte,  ossia  dentro 
Gerusalemme;  e  in  vero  poco  dopo,  diverso 
il  colle  e  la  città  (st.  44)  vengono,  condotti 
da  Clorinda  e  Argante,  i  soldati  di  Aladino. 

22,  1.  Corre  inanzi:  Virg.,  Aen.  ix  47: 
«  Turnus  ut  ante  volans  tard.um  praecesse- 
rat  agmen  ».  —  2.  guarda,  guardia:  è  la 
prima  guardia  che  le  sentinelle  hanno  de- 
stato. —  3-8.  Silio  Italico,  De  beli.  pun.  xv 
712:  «Ut  torrens,  ut  tempestas,  ut  damma 
corusci  Fulminis,  ut  Boreara  pontus  fugit, 
ut  cava  currunt  Nubila,  cum  pelago  cae- 
luro  permiscuit  Eurus  ».  —  8.  al  sno  furore, 
in  confronto  al  suo  furore. 


23 

Non  cala  il  ferro  mai,  ch'a  pien  non  colga, 
Ne  coglie  a  pien,  clie  piaga  anco  non  fac- 

fcia, 
Ne  piaga  fa,  che  l'alma  altrui  non  tolga  : 
E  più  direi;  ma  il  ver  di  falso  ha  faccia. 
E  par  ch'egli  o  se  'nfìnga,  o  non  se  'n  dolga, 
0  non  senta  il  ferir  de  l'altrui  braccia; 
Se  ben  l'elmo  percosso  in  suon  di  squilla 
Rimbomba,  e  orribilmente  arde  e  sfavilla. 
24 

Or,  quando  ei  solo  ha  quasi  in  fuga  vòlto 
Quel  primo  stuol  de  le  francesche  genti, 
Giungono  in  guisa  d'un  diluvio  accolto 
Di  mille  rivi  gli  Arabi  correnti. 
Fuggono  i  Franchi  allora  a  freno  sciolto: 
E  misto  il  vincitor  va  tra'  fuggenti; 
E  con  lor  entra  ne'  ripari,  e  '1  tutto 
Di  ruine  e  d'orror  s'empie  e  di  lutto. 
25 

Porta  il  Soldan  su  l'elmo  orrido  e  grande 
Serpe  che  si  dilunga  e  il  collo  snoda; 
Su  le  zampe  s'inalza,  e  l'ali  spande, 
E  piega  in  arco  la  forcuta  coda; 
Parche  trelingue  vibri,  e  che  fuor  manda 
Livida  spuma,  e  che  '1  suo  fischio  s'oda. 
Ed  or  ch'arde  la  pugna,  anch'ei  s'infiamma 
Nel  moto,  e  fumo  versa  insieme  e  fiamma. 
26 

E  si  mostra  in  quel  lume  a  i  riguardanti 
Formidabil  cosi  l'empio  Soldano, 
Come  veggion  ne  l'ombra  i  naviganti 
Fra  mille  lampi  il  torbido  oceano. 
Altri  danno  a  la  fuga  i  piò  tremanti, 
Danno  altri  al  ferro  intrepida  la  mano; 
E  la  notte  i  tumulti  ognor  più  mesce, 
Ed  occultando  i  rischi,  i  rischi  accresce. 


23,  4.  ma  il  ver:  Dante,  In/",  xvi  124: 
«Sempre  a  quel  ver  c'ha  faccia  di  menzo- 
gna De'  Tuom  chiuder  le  labbra  quant'éi 
puote  ».  —  *  5.  se  'nfiuga.  Le  B  hanno  se  'n 
finga.,  che  il  Ferrari  Intendeva  per  se  ne 
finga.  Invece  è  da  intendere  se  infl?ìga;  si 
mostri  diverso  da  quello  che  è  dentro.  Cosi 
legge  il  Solerti  secondo  fonti  attendibilis- 
sime. 

24,  3.  diluvio:  nel  senso  di  inondazione; 
come  nel  Petrarca,  canz.  Italia  mia  28 
♦<0h!  diluvio  raccolto  Di  che  deserti  strani 
Per  inondare  i  nostri  dolci  campi  ». 

25,  1.  Porta  ecc.:  Virgilio,  della  chimera 
sulPelmo  di  Turno,  Aen.  vii  785:  «triplici 
crinita  iuba  galea  alta  Chimaeram  Sustinet, 
Aetnaeos  efflantem  faucibus  ignes;  Tam 
magis  illa  fremens  et  tristibus  effera  flam- 
mis,  Quam  magis  efifuso  crudescunt  san- 
guine pugnae  ».  —  5.  Par  che  tre  iingne 
vibri;  Virg.,  del  serpente,  Aen.  ii  475;  «  Jin- 
guis  micat  ore  trisulcis  ». 


no 


GERUSALEMME  LIBERATA 


27 

Fra  color  che  mostrare  il  cor  più  franco, 
Latin,  su  '1  Tebro  nato,  allor  si  mosse, 
A  cui  né  le  fatiche  il  corpo  stanco. 
Né  gli  anni  dome  aveano  ancor  le  posse. 
Cinque  suoi  figli  quasi  eguali  al  fianco 
Gli  erano  sempre,  ovunque  in  guerra  et 

[fosse. 

D'arme  gravando,  anzi  illor  tempo  molto, 

Le  membra  ancor  crescenti  e '1  mòlle  vól- 

28  [^0- 

Ed  eccitati  dal  paterno  esempio 
Aguzzavano  al  sangue  il  ferro  e  l'ire. 
Dice  egli  lor:  Andianne  ove  quell'empio 
Veggiam  ne' fuggitivi  insuperbire:^ 
Né  già  ritardi  il  sanguinoso  scempio, 
Ch'ei  fa  de  gli  altri,  in  voi  Tusato  ardire: 
Però  che  quello,  o  figli,  è  vile  onore, 
Cui  non  adorni  alcun  passato  orrore. 
29 

Cosi  feroce  leonessa  i  figli 
Cui  dal  collo  la  coma  anco  non  pende, 
Né  con  gli  anni  lor  sono  i  fòri  artigli 
Cresciuti,  e  Tarme  de  la  bocca  orrende, 
Mena  seco  a  la  preda  ed  a  i  perigli, 
E  con  l'esempio  a  incrudelir  gli  accende 
Nel  cacciator,  che  le  natie  lor  selve 
Turba,  e  fuggir  fa  le  men  forti  belve. 
30 

Segue  il  buon  genitor  l'incauto  stuolo 
De'  cinque,  e  Solimano  assale  e  cinge  ; 
Einun  solpunto  unsol consiglio,  eunsolo 
Spirito  quasi,  sei  lunghe  aste  spinge: 
Ma  troppo  audace  ilsuo  maggiorfigliuolo 
L'astaabbandona,econquelfèrsi  stringe; 
E  tenta  in  van  con  la  pungente  spada, 
Che  sotto  il  corridor  morto  gli  cada. 
31 

Ma  come  a  le  procelle  esposto  monte, 
Che  percosso  da  i  flutti  al  mar  sovraste, 
Sostien  fermo  in  sé  stesso  i  tuoni  e  l'onte 
Del  ciel  irato  e  i  venti  e  l'onde  vaste: 


Cosi  il  fèroSoldan  l'audace  fronte  [l'aste; 
Tieu  salda  in  centra  a  i  ferri  e  in  contra  a 
Ed  a  colui  che  '1  suo  destrier  percote. 
Tra  i  cigli  parte  il  capo  e  tra  le  gote. 
32 

Aramante  al  fratel  che  giù  mina, 
Porge  pietoso  il  braccio  e  lo  sostiene; 
Vana  e  folle  pietà!  ch'a  la  mina 
Altrui  la  sua  medesma  a  giunger  viene; 
Ché'lPagansu  quel  braccio  il  ferro  inchi- 
Ed  atterra  con  lui  chi  a  lui  s'attjene.  [na 
Caggiono  entrambi,  e  l'un  su  l'altro  lan- 

[gue, 
Mescolando  i  sospiri  ultimi  e  '1  sangue. 
33 

Quinci  egli  di  Sabin  l'asta  recisa. 
Onde  il  fanciullo  di  lontan  l'infesta,   [sa 
Gli  urta  il  cavallo  a  dosso  e '1  coglie  ingui- 
Che  giù  tremante  iì  batte,  indi  il  calpesta. 
Dal  giovenetto  corpo  usci  divisa 
Con  gran  contrasto  l'alma,  e  lasciò  mesta 
L'aure  soavi  de  la  vita  e  i  giorni 
De  la  tenera  età  lieti  ed  adorni. 
34 

Rimanean  vivi  ancor  Pico  e  Laurente, 
Onde  arricchì  un  sol  parto  il  genitore;      i 
Sirailissima  coppia,  e  che  sovente  l 

Esser  solea  cagion  di  dolce  errore.  I 

Ma,  se  lei  fé'  natura  indifferente,  « 

Diflfercnte  or  la  fa  l'ostil  furore  :  ' 

Dura  distinzìon  ch'a  l'un  divide 
Dal  busto  il  collo,  a  l'altro  il  petto  incide. 
3.Ó 

Il  padre  (ah  non  più  padre!  ah  fera  sorte, 
Ch'orbo  di  tanti  figli  a  un  punto  il  face!) 
Rimira  in  cinque  morti  or  la  sua  morte, 


27,  3.  stanco:  stancato.  —  5.  quasi  eguali: 
poco  differenti  d'età.  —  7.  anzi...  molto: 
molto  prima  del  tempo.  —  7-8.  Silio  Itnlico 
De  beli,  pun:  ii  319:  *  Pubescit  castris  mi- 
les,  galeaque  teruntur  Nondum  signatae 
flava  lanugine  malae  ». 

28,  7-8.  Claudiano  (citato  dal  Guastavini): 
«  Vilis  honor  quem  non  exornat  praevius 
horror  ». 

.30,  3-4.  Virg.,  Aen.  x  328:  «Ni  fratrum 
stipata  cohors  foret  obvia,  Phorci  Proge- 
nies,  septem  numero  :  septenaque  tela  Conii- 
ciunt».  —  8.  Che  il  corridore  cada  morto 
sotto  ad  esso  Solimano. 

31,  1-4.  Cfr.  Omero,  IL  XV ;  e  Virgilio, 
Aen.  X  693:  «  Ille,  velut  rupes,  vastum  quae 
prodit  in    aequor,   Obvia  ventorum   furiis, 


expostaque  ponto,  Vim  cunctam  atque  mi- 
nas  perfert  caelique  marisque,  Ipsa  im- 
mota manens  »;  cfr.  ancóra  Aen.  vii  586.  — 
S.  parte:  divide  col  taglio  della  spada. 

32,  1-2.  Virg.,  Aen.  x  338:  «  Huic  frater 
subit  Alcanor,  fratremque  ruentem  Susten- 
tat  dextra  ». 

33,  5-S.  Vedi  Omero,  //.  xxii  463  (della 
trad.  Monti). 

34,  1.  Bìmanean  ecc.:  Virg.,  Aen.  x  390 
«  Vos  etiam,  gemini,  rutulis  cecidistis  in 
arvis,  Daucia,  Laride  Thymberque,  simil- 
lima  proles,  Indiscreta  suis,  gratusque  pa- 
rentibus  error;  At  nunc  dura  dedit  vobis 
discrimina  Pallas:  Nunc  tibi,  Th\mbre,  ca- 
put Evandrius  abstulit  ensis;  Te  decisa 
suum,  Laride,  dextera  quaerit  >.  — 5.  indif- 
ferente: accorda  con  lei  (coppia),  e  vale  si- 
mile. Cfr.  e.  I  38  4. 

35,  1.  Ovidio,  di  Dedalo,  Met.  viii  231: 
«  At  pater  infelix,  nec  iam  pater  ».  —  2. 
orbo:  privo.  —  3.  Dante,  Inf.  xxxiii  56:  « 
io  scòrsi  Per  quattro  visi  il  mio  aspetto 
stesso  ». 


CANTO  IX 


IH 


E  de  la  stirpe  sua  che  tutta  giace. 
Né  so  come  vecchiezza  abbia  si  forte 
Ne  l'atroci  miserie,  e  si  vivace, 
Che  spiri  e  pugni  ancor:  ma  gli  atti  e  i  visi 
Non  mirò  forse  de'  iìgliuoli  uccisi; 
36 

E  di  si  acerbo  lutto  a  gli  occhi  sui 
Parte  l'amiche  tenebre  celaro: 
Con  tutto  ciò  nulla  sarebbe  a  lui, 
Senza  perder  sé  stesso,  il  vincer  caro. 
Prodigo  del  suo  sangue,  e  de  l'altrui 
Avidissimamente  è  tatto  avaro; 
Né  si  conosce  ben  qnal  suo  desire 
Paia  maggior,  l'uccidere,  o'I  morire. 
37 

Ma  grida  al  suo  nemico:  E  dunque  frale 
Si  questa  mano,  e  in  guisa  ella  si  sprezza, 
Che  con  ogni  suo  sforzo  ancor  non  vale 
A  provocare  in  me  la  tua  fierezza? 
Tace;  e  percossa  tira  aspra  e  mortale. 
Che  le  piastre  e  lemaglie  insieme  spezza, 
E  su  '1  fianco  gli  cala,  e  vi  fa  grande 
Piaga,  onde  il  sangue  tepido  si  spande. 
33 

A  quel  grido,  a  quel  colpo,  in  lui  converse 
Il  barbaro  crudel  la  spada  e  l'ira; 
Gli  apri  l'usbergo,  e  pria  lo  scudo  aperse, 
Cui  sette  volte  un  duro  cuoio  aggira, 
E  '1  ferro  ne  le  viscere  gli  immerse. 
11  misero  Latin  singhiozza  e  spira; 
E  con  vomito  alterno  or  gli  trabocca 
Il  sangue  per  la  piaga,  or  per  la  bocca. 
39 

Come  ne  l'Apennin  robusta  pianta 
Che  sprezzò  d'euro  e  d'aquilon  la  guerra. 
Se  turbo  inusitato  al  fin  la  schianta, 
Gli  alberi  intorno  ruinando  atterra: 


36,  1-2.  Boccaccio,  Filoc.  lib.  7:  .  Ma  le 
notturne  tenebre  le  furon  graziose,  e  quella 
celarono  ».  —  5.  Prodigo:  è  l'oraziano  {Od. 
I  XII  :  «  animaeque  inagnae  prodigumPaul- 
lum  >♦.  —  6.  aravo:  cupido,  bramoso;  è  in 
vero  poco  bello  usato  qui  come  contrap- 
posto a  prodigo.  Il  Nostro  abusa  di  questo 
aggettivo,  altre  volte  già  osservato. 

37,  4,  proTOcare:  cosi  pure  legge  Conq., 
ma  Os.  py^ocuraj^e.  —  in  me:  contro  di  me. 

38,  1-5.  Virg.,  Aen.  x  783:  «  Tum  pius 
Aeneas  hastam  iacit;  illa  per  orbera  Aere 
cavura  triplici,  per  linea  terga,  tribusque 
Transiit  intextum  tauris  opus,  imaque  se- 
dit  Inguine  ».  —  6-8.  Stazio,  Thebaid.  ni  90: 
*  extremisque  animis  singultibus  errans  Al- 
ternus  nunc  ore  venit,  nunc  vulnere  san- 
guis  >». 

39,  Catullo,  LXIV,  105:  «  Nam  velut  in 
summo  quatientem  brachia  Tauro  Quercum, 
aut  conigeram  sudanti  cortice  pinum,  In- 
domitus   turbo   contorquens  flamine  robur 


Cosi  cade  egli,  e  la  sua  furia  è  tanta. 
Che  più  d'un  seco  tragge  a  cui  s'afferra: 
E  ben  d'uom  si  feroce  è  degno  fine. 
Che  faccia  ancor  morendo  alte  ruine. 

40 
Mentre  il  Soldan  sfogando  l'odio  interno 
Pasce  un  lungo  digiun  ne'  corpi  umani, 
Gli  Arabi  inanimiti  aspro  governo 
Anch'essi  fanno  de' guerrier  cristiani; 
L'inglese  Enrico  e '1  bavaro  Oliferno 
Muoiono,  0  fèr  Dragutte,  a  le  tue  mani: 
A  Gilberto,  a  Filippo,  Arìadeno 
Toglie  la  vita,  i  quai  nacquer  su  '1  Reno. 

41 
Albazzàr  con  la  mazza  abbatte  Ernesto; 
Cade  sotto  Algazelle  Otton  di  spada. 
Ma  chi  narrar  potria  quel  modo  o  questo 
Di  morte,  e  quanta  plebe  ignobil  cada? 
Sin  da  quei  primi  gridi  erasi  desto 
Goffredo,  e  non  istava  in  tanto  a  bada: 
Già  tutto  è  armato,  e  già  raccolto  un  grosso 
Drappello  ha  seco,  egiàconlor  s'è  mosso. 

42 
Egli,  che  dopo  il  grido  udì  il  tumulto, 
Che  par  che  sempre  più  terribil  suoni, 
Avvisò  ben  clie  repentino  insulto 
Esser  dovea  de  gli  Arabi  ladroni; 
Che  già  non  era  al  Capitano  occulto 
Ch'essi  intorno  scorrean  le  regioni; 
Benché  non  istimò  che  si  fugace 
Vulgo  mai  fosse  d'assalirlo  audace. 

43 
Or,  mentre  egli  ne  viene,  ode  repente 
Arme!  arme!  replicar  da  l'altro  lato, 
Ed  in  un  tempo  il  cielo  orribilmente 
Intronar  di  barbarico  ululato. 
Questa  è  Clorinda  che  del  re  la  gente 
Guida  a  l'assalto,  ed  bave  Argante  a  lato. 
Al  nobil  Guelfo,  che  sostien  sua  vice, 
Allor  si  volge  il  Capitano,  e  dice: 


Eruit;illa  procul  radicibus  exturbata  Prona 
cadit,  lateque  et  cominus  obvia  frangens  >. 
—  7.  feroce:  fiero,  iu  buon  senso:  già  visto 
altre  volte. 

40,  3-4.  aspro  governo....  fanno:  far  go- 
verno, o,  mal  governo  di  una  cosa,  vuol 
dire,  fare  a  una  cosa  il  peggior  trattamento 
possibile  ;  ed  è  modo  dantesco  {Purg.  v  108)  : 
«  Ma  io  farò  dell'altro  [del  corpo)  altro  go- 
verno ». 

41,  2.  Os.  Sotto  Algazèl  cade  Engerlan 
di  spada.  —  3-4.  Virg.,  Aen.  ii  361:  «  Quis 
cladem  illius  noctis,  quis  funera  fando 
Explicet?  ». 

42,  3.  Avtìsò:  comprese,  conobbe.  —  7. 
fagace:  usato  non  nel  senso  più  comune 
«  che  passa  presto  »,  ma  nell'altro  «  che  è 
presto  a  fuggire  ».  *  Ariosto,  Oì-l.  xxxix,  10 
«fugace  fera»;  Virg.,  Aen.  ix  59:  «  fé  ras 
fugacea  ». 


112 


GERUSALEMME  LIBERATA 


44 

Odi  qnal  novo  strepito  di  Marte 
Di  verso  il  colle  e  la  città  ne  viene: 
D'uopo  là  fin  clie'l  tuo  valore  e  l'arte 
I  primi  assalti  de'  nemici  affrene. 
Vanne  tu  dunque,  e  là  provvedi;  e  parte 
Vo'  che  di  questi  miei  teco  ne  mene  : 
Con  gli  altri  io  me  n'andrò  da  l'altro  canto 
A  sostener  l'impeto  ostile  in  tanto. 
45 

Cosi  fra  lor  concluso,  arabo  gli  move 
Per  diverso  sentiero  egual  fortuna. 
Al  colle  Guelfo,  e'I  Capitan  va  dove 
Gli  Arabi  omai  non  han  contesa  alcuna. 
Ma  questi  andando  acquista  forza,  e  nove 
Genti  di  passo  in  passo  ognor  raguna; 
Tal  che  già  fatto  poderoso  e  grande 
Giunge  oveilfèroTurco  ilsaugue  spande. 

4G 

Cosi  scendendo  dal  natio  suo  monte 
Non  empie  umile  il  Po  l'angusta  sponda; 
Ma  sempre  più,  quanto  è  più  limge  al  fonte, 
Di  nove  forze  insuperbito  abbonda: 
Sovra  i  rotti  confini  alza  la  fronte 
Di  tauro,  e  viucitor  d'intorno  inonda; 
E  con  più  corna  Adria  respinge,  e  pare 
Che  guerra  porti,  e  non  tributo  al  mare. 
47 

Goffredo,  ove  fuggir  l'impaurite 
Sue  genti  vede,  accórre,  e  le  minaccia: 
Qual  timor,  grida,  è  questo?  ove  fuggite? 
Guardate  almen  chi  sia  quel  che  vi  caccia. 
Vi  caccia  un  vile  stuol,  che  le  ferite 
Né  ricever  né  dar  sa  ne  la  faccia; 


46.  Guastavini:  «  A  i  fiumi  si  sogliono  at- 
tribuire la  fronte  e  le  corna  di  toro;  e  ciò 
per  le  braccia  e  parti  nelle  quali  si  divi- 
dono e  sboccano  in  mare;  onde  fu  detto 
Rhenus  bicornis,  o  per  lo  strepito  e  mug- 
gito, 0  per  l'impeto  loro.  Virtiilio  :  taurino 
cornua  vultu,  e  altrove,  del  Tevere:  Cor- 
niger  Hesperidum  fi  'vius  regnatur  aqua- 
ruin  *.  La  stanza  é  una  rifioritura  del  Vida, 
Christ.  I  25:  «  Pinifero  velati  Vesuli  de  ver- 
tice primum  It  Padus  exiguo  sulcans  sata 
pin.Gfuia  rivo;  Hinc  raagis  atque  magis  la- 
bendo  viribus  auctus  Surgit,  latifluoque  so- 
nans  se  gurgite  pandit  Victor:  opes  amnes 
vari:  auxiliaribus  undis  Hinc  addimt  atque 
inde:  suo  nec  se  capit  alveo  Turbidus,  haud 
uno  dum  rurapit  in  aequora  cornu>.  Con- 
fronta anche  Ariosto,  Ori.  xxxvn  92.  —  8. 
tribato:  ciò  a  che  il  mare  ha  diritto,  ricor- 
dando che  il  Petrarca  (son.  Rapido  /iurneG) 
disse  parlando  al  Rodano:  «  e  pria  che 
rendi  Suo  dritto  al  mar». 

47,  3.  Virg.,  Aen.  ix  781:  «  Quo  deinde 
fugam?  quo  tenditis?  iuquit  ». 


E,  se  '1  vedranno  in  contra  a  sé  rivolto, 
Temeran  l'arme  lor  del  vostro  vólto. 
48 
Punge  il  destrier,  ciò  detto,  e  là  si  volve 
Ove  di  Soliman  gl'incendi  ha  scòrti. 
Va  per  mezzo  del  sangue  e  de  la  polve 
E  de' ferri  e  de'  rischi  e  de  le  morti: 
Con  la  spada  e  con  gli  urti  apre  e  dissolve 
Le  vie  più  chiuse  e  gli  ordini  più  forti; 
E  sossopra  cader  fa  d'ambo  i  lati 
Cavalieri  e  cavalli,  arme  ed  armati. 

49 
Sovra  i  confusi  monti  a  salto  a  salto 
De  la  profonda  strage  oltre  cammina. 
L'intrepido  Soldan,  che '1  fòro  assalto 
Sente  venir,  no  '1  fugge  e  no  '1  declina; 
Ma  se  gli  spinge  in  contra,  e'I  ferro  in  alto 
Levando  per  ferir  gli  s'avvicina. 
0  quai  duo  cavalieri  or  la  fortuna 
Da  gli  estremi  del  mondo  in  prova  aduna! 

50 
Furor  contra  virtute  or  qui  combatte 
D'Asia  in  un  picciol  cerchio  il  grande  i  rape- 
Chi  può  dir  come  gravi  e  come  ratte    [ro. 
Le  spade  son,  quanto  il  duello  è  fero? 
Passo  qui  cose  orribili,  che  fatte 
Furon,  ma  le  copri  quell'aer  nero; 
D'un  chiarissimo  sol  degne,  e  che  tutti 
Siano  i  mortali  a  riguardar  ridutti. 
51 
11  popol  di  Giesù,  dietro  a  tal  guida 
Audace  or  divenuto,  oltre  si  spinge: 
E  de' suoi  meglio  armati  a  l'omicida 
Soldano  intorno  un  denso  stuol  si  stringe. 
Né  la  gente  fedel  più  che  l'infida, 
Né  più  questa  che  quella  il  campo  tinge; 
Ma  gli  uni  e  gli  altri,  e  vincitori  e  vinti, 
Egualmente  dan  morte,  e  sono  estinti. 

52 

Come  pari  d'ardir,  con  forza  pare  [Ione, 

Quinci  austro  in  guerra  vien,  quindi  aquì- 


48,  2.  Incendi:  figurat.  sconvolgimenti, 
effetti  prodotti  dall'ira. 

49,  4.  declina:  scansa.  —  7.  Virgilio,  di 
Enea  e  di  Turno,  .4én.  xii  707:  «Stupetipse 
Latinus  Ingentes,  genitos  diversis  partibus 
orbìs,  Inter  se  coiisse  viros  et  cernere 
ferro  ». 

50,  1.  Petrarca,  canz.  Italia  mia  93: 
«Virtù  contra  furore  Prenderà  l'arme»; 
cfr.  VI  55,  3.  —  5.  Passo:  tralascio:  Petrarca, 
Tr.  Cast.  115;  «Passo  qui  cose  gloriose  e 
magne  ». 

62.  Comparazione  tolta  da  Virgilio,  Aen 
x356:  «Magno  discordes  aethere venti Proe- 
lia  ceu  toUunt  animis  et  viribus  aequis;  Non 
ipsi  inter  se,  non  nubila,  non  mare  cedunt 
Anceps  pugna  diur  ''tant  obnixa  omnia  con- 


CANTO  IX 


113 


Non  ci  fra  lor,  non  cede  il  cielo  o  il  mare, 
Ma  nube  a  nube,  e  flutto  a  flutto  oppone; 
Cosi  né  ceder  qua,  né  là  piegare 
Si  vede  l'ostinata  aspra  tenzone; 
S'afìronta  insieme  orribilmente  urtando 
Scudo  a  scudo,  elmo  ad  elmo  e  brando  a 
53  [brando. 

Non  meno  in  tanto  son  feri  i  litigi 
Da  l'altra  parte,  e  i  guerrier  folti  e  densi, 
Mille  nuvole  e  più  d'angioli  stigi 
Tutti  han  pieni  de  l'aria  i  campi  immensi; 
E  dan  forza  a  i  Pagani;  onde  i  vestigi 
Non  è  chi  in  dietro  di  rivolger  pensi; 
E  la  face  d'inferno  Argante  infiamma, 
Acceso  ancor  de  la  sua  propria  fiamma. 
54 

Egli  ancor  dal  suo  lato  in  fuga  mosse 
Le  guardie,  e  ne'  ripari  entrò  d'un  salto; 
Di  lacerate  membra  empiè  le  fòsse, 
Appianò  il  calle,  agevolò  l'assalto; 
Si  che  gli  altri  il  seguirò,  e  fér  poi  rosse 
Le  prime  tende  di  sanguigno  smalto. 
E  seco  a  par  Clorinda,  o  dietro  poco 
Se  'n  già,  sdegnosa  del  secondo  loco. 
55 

E  già  fuggiano  i  Franchi,  allor  che  quivi 
Giunse  Guelfo  opportuno,  e'isuodrappel- 
E  volger  fé'  la  fronte  a  i  fuggitivi,  [lo; 
E  sostenne  il  furor  del  popol  fello. 
Cosi  si  combatteva;  e  '1  sangue  in  rivi 
Correa  egualmente  in  questo  lato  e  in  quel- 
Gli  occhi  fra  tanto  a  la  battaglia  rea  [lo. 
Dal  avio  gran  seggio  il  Re  del  Ciel  volgea. 


tra  Haud  aliter  Troianae  acies,  aciesque 
Latinae  Concurrunt:  haeret  pede  pes,  den- 
susque  viro  vir».  —  3.  ei:  essi  venti. 

63,  5.  restigi:  l'orme  dei  piedi,  pei  piedi 
stessi    —  7.  face:  soggetto  d'inflamma. 

64..  4.  Appianò  il  calle:  avendogli- tolte  le 
ineguaglianze  col  riempire  di  morti  le  fosse. 
—  6.  prime:  quelle  intorno  all'accampa- 
mento cristiano.  —  sanguigno  smalto:  san- 
gue; come  erboso  smalto  per  erbe  nel- 
l'Ariosto {Orl.\i  23).  —8.  secondo  loco:  es- 
sendo Argante  il  primo  nella  zuffa. 

65,  5-6.  Virg.,  Aen.  x  755:  «  lam  gravis 
aequabat  luctus,  et  mutua  Mavors  Funera  ». 
Guastavini:  «Eguale  è  la  zuffa  fino  a  qui: 
e  può  star  convenevolmente,  tutto  che  v'ab- 
bia i  diavoli,  non  essendo  ella  ancora  ter- 
minata: che  non  è  già  necessità  che  do- 
vunque è  potenza  superiore  quivi  si  vinca 
sùbito.  Ben  quando  terminò  il  fatto  d'arme, 
e  potenza  superiore  fu  introdotta  come  nel 
settimo,  la  vittoria  fu  da  quella  parte:  ma 
qui  avendosi  con  diritta  ragione  a  far  vin- 
cere i  Cristiani,  e  non  potendosi  senz'aiuto 
maggiore  che  d'umano,  come  che  bisognas- 
se cacciare  i  diavoli,  ricorre  perciò  a  Dio  >. 


56 

Sedea  colà,  dond'egli  e  buono  e  giusto 
Dà  legge  al  tutto,  e  '1  tutto  orna  e  produce 
Sovra  i  bassi  confin  del  mondo  angusto. 
Ove  senso  o  ragion  non  si  conduce; 
E  de  la  eternità  nel  trono  augusto 
Risplendea  con  tre  lumi  in  una  luce. 
Ha  sotto  i  piedi  il  Fato  e  la  Natura, 
Ministri  umili,  e  il  Moto  e  Chi  '1  misura, 
57 

E'lLoco,eQuellache,  qualfumo  opolve. 
La  gloria  di  qua  giuso  e  l'oro  e  i  regni, 
Come  piace  là  su,  disperde  e  volve, 
Né,  diva,  cura  i  nostri  umani  sdegni. 
Quivi  ei  cosi  nel  suo  splendor  s'involve, 
Che  v'abbaglian  la  vista  anco  i  più  degni: 
D'intorno  ha  innumerabili  immortali, 
Disegualraente  in  lor  letizia  eguali. 
58 

Al  gran  concento  de'  beati  carmi 
Lieta  risuona  la  celeste  reggia. 
Chiama  egli  a  sé  Michel,  il  qual  ne  l'armi 
Di  lucido  adamante  arde  e  lampeggia; 
E  dice  lui:  Non  vedi  or  come  s'armi 
Contra  la  mia  fedel  diletta  greggia     [do 
L'empia  schiera  d'A  verno,  e  in  sin  dal  fon- 
De  le  sue  morti  a  turbar  sorga  il  mondo? 


66.  1.  Sedea  colà  ecc.:  Guastavini:  «In 
quello  eccelso  ed  altissimo  luogo,  ove  non 
arriva  alcun  istrumento  della  nostra  cogni- 
zione, che  sono  il  senso  e  la  ragione... 
Sola  la  rivelazione  di  Dio  ad  alcuni  santi 
uomini,  e  la  fede  d'alcune  cose  n'ha  dato 
contezza;  le  quali  si  leggono  ne' libri  di 
Divinità».  E  il  Gentile:  «Questo  è  quel  luogo 
sopra  tutti  i  cieli,  del  quale  scrive  Platone 
che  nessun  poeta  mai  lo  cantò  o  lo  canterà 
secondo  la  dignità  sua  f.  —  6.  con  tre  lumi 
ecc.:  La  Trinità.  Dante,  Par.  xxxi  28:  «O 
trina  luce  che  in  unica  stella  Scintillando 
a  lor  vista».  —  7-8.  Mercurio  Trimegisto 
pure  (cit.  dal  Gentile),  Epist.  ad  Ammone, 
scrisse  che  il  Fato  e  la  Natura  sono  mini- 
stri de  la  Provvidenza  —  Chi  '1  misnr.i:  il 
Tempo. 

67,  1.  11  Loco:  Io  Spazio.  —  (Quella  ecc.: 
la  Fortuna:  derivata  questa  descrizione  da 
Dante,  In/"-  vii  78,  ove  è  detto  che  Iddio 
«  Ordinò  (la  fortuna)  general  ministra  e 
duce  Che  permutasse  a  tempo  li  ben  vani 
Di  gente  in  gente,  e  d'uno  in  altro  sangue 
Oltra  la  difension  de'  senni  umani. ,  .Vostro 
saver  non  ha  contrasto  a  lei...  Le  sue  per- 
mutazion  non  hanno  tregue...  Ma  ella  s'è 
beata  e  ciò  non  ode  ».  —  7.  Petrarca,  Tr. 
Am.  I  28  «  D'intorno  innuraerabili  mor- 
tali». —  S.  Disegiialniente:  secondo  che  dei 
beati  già  disse  Dante  Par.  iv  35:  •  E  diffe- 
rentemente han  dolce  vita  Per  sentir  più  e 
men  l'eterno  spiro  ». 


Tasso,  Gerusalemme  liberata. 


114 


GERUSALEMME  LIBERATA 


59 
Va',  dille  tu  che  lasci  ornai  le  cure 
De  la  guerra  a  iguerrier,  cui  ciò  conviene; 
Né  il  regno  de'  viventi,  né  le  pure 
Piaggie  del  ciel  conturbi  ed  avvenene: 
Torni  a  le  notti  d'Acheronte  oscure, 
Suo  degno  albergo,  a  le  sue  giuste  pene; 
Quivi  sé  stessa,  e  l'anime  d'abisso 
Crucii  :  cosi  comando,  e  cosi  ho  fisso. 

60 
Qui  tacque:  e'I  duce  de'  guerrieri  alati 
S'inchinò  riverente  al  divin  piede: 
Indi  spiega  al  gran  volo  i  vanni  aurati 
Rapido  si,  ch'anco  il  pensiero  eccede: 
Passa  il  foco  e  la  luce,  ove  i  beati 
Hanno  lor  gloriosa  immobil  sede; 
Poscia  il  puro  cristallo  e  '1  cerchio  mira. 
Che  di  stelle  gemmato  in  contra  gira; 

61 
Quinci,  d'opre  diversi  e  di  sembianti, 
Da  sinistra  rotar  Saturno  e  Giove, 
E  gli  altri,  i  quali  esser  non  ponno  erranti 
Se  angelica  virtù  gli  informa  e  move: 
Vien  poi,  da'  campi  lieti  e  fiammeggianti 
D'eterno  di,  là  donde  tuona  e  piove, 
Ove  se  stesso  il  mondo  strugge  e  pasce, 
E  ne  le  guerre  sue  mòre  e  rinasce. 


60,  5.  Qui,  come  altrove,  segue  il  sistema 
Tolemaico  che  già  informò  la  costruzione 
del  Paradiso  dantesco.  —  il  foco  e  l.i  luce: 
r Empireo,  sede  dei  beati;  sotto  a  questo 
rotavano  nove  sfere.  —  7.  il  puro  cristallo: 
li  cielo  cristallino,  nono  cielo.  —  cerchio 
ecc.:  l'ottavo  cielo,  delle  stelle  fìsse. 

61,  1.  Dei  sette  cieli  che  restano  al  T.  da 
ricordare,  egli  non  nomina  che  Saturno  e 
Giove,  i  rimanenti  sono  raccolti  sotto  la 
parola  altri  del  v.  3.  —  opre:  influssi.  — 
dirersi:  perché  ogni  pianeta  esercita,  se- 
condo la  sua  natura,  un  suo  speciale  in- 
flusso: cosi  Marte  dispone  alla  guerra.  Ve- 
nere all'amore,  ecc.  —  3.  erranti:  il  T.  vuol 
dire  che  non  possono  essere,  come  suona 
il  nome  «  pianeta  »,  erranti^  se  sono  mossi 
da  gli  angeli.  Bisogna  ricordare  che  nel 
Paradiso  dantesco  i  nove  cieli  hanno  il  mo- 
vimento dai  nove  cerchi  d'angeli  che  ruo- 
tano intorno  a  Dio.  —  5.  Vien  poi  ecc.:  In- 
tendi: dai  campi  dei  cieli,  passa  poi  alla 
regione  del  fuoco  {là  donde  tuona)  e  del- 
l'aria {là  donde  piove).  —  7-8.  Ove  ecc.:  Par 
abbia  ragione  il  Guastavini  spiegando  che 
il  T.  dimostra  «poeticamente  la  scambie- 
vole mutazione  delle  cose  di  qua  giù,  e  la 
vicendevole  corruzione  di  esse  per  lo  con- 
trasto e  la  battaglia  delle  prime  qualità  fra 
loro:  onde  d'acqua  si  fa  aria,  e  d'aria 
fuoco,  e  di  fuoco  aria  (e  di  uomo  cadavero, 
e  di  cadavero  cenere);  ed  in  somma  la  cor- 


62 

Venia  scotendo  con  l'eterne  piume 
La  caligine  densa  e  i  cupi  orrori: 
S'indorava  la  notte  al  divin  lume, 
Che  spargea  scintillando  il  vólto  fuori. 
Tale  il  sol  ne  le  nubi  ha  per  costume 
Spiegar  dopo  la  pioggia  i  bei  colori; 
Tal  suol,  fendendo  il  liquido  sereno. 
Stella  cader  de  la  gran  madre  in  seno. 
63 

Ma  giunto  ove  la  schiera  empia  infernale 
Il  furor  de'  Pagani  accende  e  sprona, 
Si  ferma  in  aria  in  su  '1  vigor  de  l'ale, 
E  vibra  Tasta,  e  lor  cosi  ragiona: 
Pur  voi  dovreste  ornai  saper  con  quale 
Folgore  orrendo  il  Re  del  mondo  tuona, 
0,  nel  disprezzo  e  ne'  tormenti  acerbi 
De  l'estrema  miseria,  anco  superbi. 

^^ 
Fisso  è  nel  Ciel,  ch'ai  venerabil  segno 

Chini  le  mura,  apra  Sion  le  porte.  '■ 

A  che  pugnar  co  '1  fato?  a  che  lo  sdegno 

Dunque  irritar  de  la  celeste  corte? 

Itene,  maledetti,  al  vostro  regno. 

Regno  di  pene  e  di  perpetua  morte; 

E  siano  in  quegli  a  voi  dovuti  chiostri 

Le  vostre  guerre  ed  i  trionfi  vostri. 

65 

Là  incrudelite,  là  sovra  i  nocenti 
Tutte  adoprate  pur  le  vostre  posse 
Fra  i  gridi  eterni,  e  lo  strider  de'  denti 
E  '1  suon  del  ferro,  e  le  catene  scosse. 
Disse,  e  quei  ch'egli  vide  al  partir  lenti, 
Con  la  lancia  fatai  pinse  e  percosse: 
Essi  gemendo  abbandonar  le  belle 
Region  de  la  luce  e  l'auree  stelle; 
e  SS 

E  dispiegar  verso  gli  abissi  il  volo 
Ad  inasprir  ne' rei  l'usate  doglie: 
Non  passa  il  mar  d'augei  si  grande  stuolo, 


ruzione  dell'uno  è  generazione   dell'altro; 
e  la  vita  dell'altro  la  morte  del  primo  ». 

62,  1.  Dante,  Purg.  ir  35:  «Trattando 
l'aere  con  l'eterne  penne».  —  5-6.  Virg. 
Aen.  vili  622  «  qualis  cum  caerula  nubes 
Solis  inardescit  radiis  longeque  refulget 
Cfr.  anche  Gerus.  in  9.  —  7-S.  Virgilio, 
Georg,  i  365:  «  Saepe  etiara  stellas,  vento 
impendente,  videbis  Traecipites  coelo  labi, 
noctisque  per  umbram  Flaramarum  longos 
a  tergo  albescere  tractus  ».  E  Dante,  Par. 
XV  13:  «  Quale  per  li  seren  tranquilli  e  puri 
Discorre  ad  or  ad  or  sùbito  foco  Movendo 
gli  occhi  che  stavan  sicuri  ••. 

65,  3.  Nel  Vangelo  (Matt.  vili),  è  detto 
dell'Inferno  :  <  Ibi  erit  fletus  et  strider  den- 
tium  ». 

68,  3-6.  Virgilio  (già  imitato  da  Dante, 
Inf.  Ili  112),  Aen.  vi  309:  «  Quam  multa  in. 


CANTO  IX 


115 


Quando  a  i  soli  più  tepidi  s'accodile; 
Né  tante  vede  mai  l'autunno  al  suolo 
Cader  co'  primi  freddi  aride  foglie. 
Liberato  da  lor,  quella  si  negra 
Faccia  depone  il  mondo,  e  si  rallegra. 
67 

Ma  non  perciò  nel  disdegnoso  petto 
D'Argante  vien  l'ardire  o  '1  furor  manco, 
Benché  suo  foco  in  lui  non  spiri  Aletto, 
Né  flagello  infernal  gli  sferzi  il  fianco. 
Ruota  il  ferro  crudele  ove  è  più  stretto 
E  più  calcato  insieme  il  popol  Franco; 
Miete  i  vili  e  i  potenti;  e  i  più  sublimi 
E  più  superbi  capi  adegua  a  gl'imi. 
68 

Non  lontana  è  Clorinda,  e  già  non  meno 
Par  che  di  tronche  membra  il  campo  asper- 
CaccialaspadaaBeilinghiernelseno  [ga; 
Per  mezzo  il  cor,  dove  la  vita  alberga; 
E  quel  colpo  a  trovarlo  andò  si  pieno, 
Che  sanguinosa  usci  fuor  de  le  terga; 
Poi  fere  Albiu  là  've  premier  s'apprende 
Nostro  alimento,  e  '1  viso  a  Gallo  fende. 
69 

La  destra  di  Gerniero,  onde  ferita 
Ella  fu  già,  manda  recisa  al  piano; 
Tratta  anco  il  ferro,  e  con  tremanti  dita 
Semiviva  nel  suol  guizza  la  mano. 
Coda  di  serpe  è  tal,  ch'indi  partita 
Cerca  d'unirsi  al  suo  principio  in  vano. 
Cosi  mal  concio  la  guerriera  il  lassa; 
Poi  si  volge  ad  Achille,  e  '1  ferro  abbassa, 
70 

E  tra'l  collo  e  la  nuca  il  colpo  assesta: 
E,  tronchi  i  nervi,  e  '1  gorgozzuol  reciso, 
Gio  rotando  a  cader  prima  la  testa, 


silvis  autumni  frigore  primo  Lapsa  cadunt 
folla;  aut  ad  terram  gurgite  ab  alto  Quam 
multae  glomerantur  aves,  ubi  frigidus  an- 
nus  Trans  pontum  fugat,  et  terris  immittit 
apricis». 

68,  7.  là 'Te  ecc.:  nell'ombelico;  Dante, 
Inf.  XXV  85:  «  E  quella  parte  donde  prima 
è  preso  Nostro  alimento  ad  un  di  lor  tra- 
fisse ». 

69,  2,  già;  Conq.  e  Os.  pria.  —  3-4.  Virg., 
Aen.  X  395:  «  Te  decisa  suum,  Laride, 
dextera  quaerit,  Seraianimesque  micant  di- 
giti, ferrumque  retractant  ».  —  5-6.  Ovi- 
dio, Met.  VI  559,  della  lingua  di  Filomena: 
«  Utque  salire  solet  mutilatae  cauda  colu- 
brae,  Palpitat,  et  moriens  dominae  vestigia 
quaerit  •^. 

70,  1.  E  tra  '1  collo  ecc.:  Omero,  II.  xiv, 
cosi  tradotto  dal  Guastavini:  •  Percosse  del 
capo  e  del  collo  nella  giuntura  -  L'estrema 
vertebra,  e  tagliò  tutti  due  i  nervi,  -  E  di 
lui  molto  prima  il  capo,  la  bocca,  e  le  na- 


Prima  bruttò  di  polve  immonda  il  viso, 
Che  giù  cadesse  il  tronco  :  il  tronco  resta 
(Miserabile  mostro)  in  sella  assiso; 
Ma  libero  del  fren,  con  mille  rote 
Calcitrando  il  destrier,  da  sé  lo  scote. 

Mentre  cosi  l'indomita  guerriera 
Le  squadre  d'Occidente  apre  e  flagella. 
Non  fa  d'in  contra  a  lei  Gildippe  altera 
De'  Saraciui  suoi  strage  men  fella. 
Era  il  sesso  il  medesmo,  e  simile  era 
L'ardimento  e '1  valore  in  questa  e  in  quel- 
Ma  far  prova  di  lor  non  è  lor  dato;      [la. 
Ch'a  nemico  maggior  le  serba  il  fato. 
72 

Quinci  una,  e  quindi  l'altra  urtaesospin- 
Né  può  la  turba  aprir  calcata  e  spessa  :  [gè, 
xMa  '1  generoso  Guelfo  allora  stringe 
Contra  Clorinda  il  ferro,  e  le  s'appressa; 
E  calando  un  fendente,  alquanto  tinge 
La  fera  spada  nel  bel  fianco:  ed  essa 
Fa  d'una  punta  a  lui  cruda  risposta 
Ch'a  ferirlo  ne  va  tra  costa  e  costa. 
73 

Doppia  allor  Guelfo  il  colpo,  elei  non  co- 
Ch'a  caso  passa  il  palestino  Osmida  [glie, 
E  la  piaga  non  sua  sopra  sé  toglie, 
La  qual  vien  che  la  fronte  a  lui  recida. 
Ma  intorno  a  Guelfo  omai  molta  s'accoglie 
Di  quella  gente  ch'ei  conduce  e  guida; 
E  d'altra  parte  ancor  la  turba  cresce, 
Si  che  la  pugna  si  confonde  e  mesce. 
74 

L'aurora  in  tanto  il  bel  purpureo  vólto 
Già  dimostrava  dal  sovran  balcone; 
E  in  quei  tumulti  già  s'era  disciolto 
11  feroce  Argillan  di  sua  prigione; 
E  d'arme  incerte  il  frettoloso  avvolto, 
Quali  il  caso  gli  offerse,  o  triste  o  buone, 
Già  se'n  venia  per  emendar  gli  errori 
Novi  con  novi  merti  e  novi  onori. 


rici  -  A  la  terra  s'accostarono,  che  le 
gambe  e  le  ginocchia  ».  —  4.  bruttò:  sporcò, 
Virg.,  Aen.  XII  611:  «  Canitiem  immundo 
perfusam  pulvere  turpans  ». 

71,5.  simil:  Guastavini:  «  5imt7e,  cioè 
della  stessa  sorte,  essendo  ardimento  e  valor 
maschile,  ma  non  già  uguale  ».  E  Virgilio, 
di  Fallante  e  di  Lauso,  Aen.  x  434;  «  nec 
multum  discrepai  aetas,  Egregii  forma, 
sed  queis  fortuna  negarat  In  patriam  re- 
ditus.  Ipsos  concurrere  passus  Haud  tamen 
inter  se  magni  regnator  Olj^mpi:  Mox  illos 
sua  fata  manent  maiore  sub  hoste  ».  —  8. 
nemico  maggior:  Clorinda  è  serbata  a  Tan- 
credi, e  Gildippe  a  Solimano. 

73,  3.  Ch'i»  caso  passa;  Conq.  e  Os.  CAe 
passa  a  caso. 


116 


GERUSALEMME  LIBERATA 


75 

Come  destrier  che  da  le  regie  stalle, 
Ove  a  l'uso  de  Tarme  si  riserba, 
Fugge,  e  libero  al  fin  per  largo  calle  [ba; 
Va  tra  gli  armenti,  0  al  fiume  usato,  0  a  l'er- 
Sclierzan  su  '1  collo  i  crini,  e  su  le  spalle 
Si  scote  la  cervice  alta  e  superba; 
Suonano  i  pie  nel  córso,  e  par  ch'avvampi, 
Di  sonori  nitriti  empiendo  i  campi; 
76 

Tal  ne  viene  Arginano:  arde  il  feroce 
Sguardo;  ha  la  fronte  intrepida  e  sublime; 
Leve  è  ne  i  salti,  e  sovra  i  pi^-  veloce, 
Si  che  d'orme  la  polve  a  pena  imprime: 
E  giunto  fra'  nemici  alza  la  voce 
Pur  com'uom  che  tutto  osi,  e  nulla  stime: 

0  vii  feccia  del  mondo,  Arabi  inetti, 
Onde  è  ch'or  tanto  ardire  in  voi  s'alletti  ? 

77 

Non  regger  voi  de  gli  elmi  e  de  gli  scudi 

Siete  atti  il  peso,  o'I  petto  armarvi  e  il  dor- 

Ma  commettete  paventosi  e  nudi       [so: 

1  colpi  al  vento,  e  la  salute  al  córso. 
L'opere  vostre  e  i  vostri  egregi  studi 
Notturni  son;  dà  l'ombra  a  voi  soccorso. 


76,  1.  Come  destrier  ecc.  Omero,  77.  vi,  di 
Paride,  traduz.  del  Guastavini:  «  E  come 
quando  stanziato  (che  è  tenuto  fermo) 
alcun  cavallo  ingrassato  d'  orzo  ne  la 
stalla  -  Rotto  il  legame  corre  il  campo 
saltellando  -  Solilo  a  lavarsi  nel  dolce- 
mente corrente  fiume,  -  Giubilando,  ed 
alta  tiene  la  testa:  ed  intorno  le  chiome  - 
A  le  spalle  si  crollano,  ed  egli  [stando]  ne 
le  sue  forze  confidato  -  Facilmente  le  gi- 
nocchia il  portano  alle  sue  usanze  ed  al 
pascolo  de'  cavalli  ».  E  Virgilio,  di  Turno, 
Aen.  XI  492:  «  Qualis,  ubi  abruptis  fugit 
praesepia  vinclis  Tandem  liber  equus,  cam- 
poque  potitus  aperto,  Aut  ille  in  pastus  ar- 
mentaque  tendit  equarum,  Aut  as?uetiis 
aquae  perfundi  llumine  noto  Emicat,  ar- 
rectisque  fremit  cervicibus  alte  Luxurians, 
luduntque  iubae  per  colla,  per  armos  ». 

76,  2.  sublime:  alta,  eretta.  —  6.  nnlla 
stime:  non  stimi  alcuna  cosa,  in  nessuna 
cosa  veda  un  ostacolo  all'azione  sua.  —  8. 
Dante,  Inf.  ix  93:  «  Ond'esta  oltracotanza 
in  voi  s'alletta?  ». 

77,  1-2.  Non  regger  toì  ecc.:  iperbato 
duro:  voi  non  siete  atti  a  reggere  il  peso 
degli  elmi  ecc.  —  3.  commettete:  affidate. 
Petrarca,  pur  degli  Arabi,  canz.  0  aspet- 
tata in  del  58:  «  Popolo  ignudo,  paventoso 
e  lento,  Che  ferro  mai  non  strigne,  Ma  tutti 
i  colpi  suoi  commette  al  vento  ».  —  5.  egregi 
stadi:  studio  è  occupazione  sollecita  del- 
l'animo in  checchessia;   dice  egregi  ironi- 


Or  ch'ella  fugge,  chi  fia  vostro  schermo? 

D'arme  è  ben  d'uopo  e  di  valor  più  fermo. 

78 

Cosi  parlando  ancor  die  per  la  gola 
Ad  Algazèl  di  si  crudel  percossa 
Che  gli  secò  le  fauci,  e  la  parola 
Troncò,  ch'a  la  risposta  era  già  mossa. 
A  quel  meschin  subito  orror  invola 
Il  lume,  e  scorre  un  duro  gel  per  l'ossa: 
Cade,  e  co'  denti  l'odiosa  terra 
Pieno  di  rabbia  in  su  '1  morire  afferra. 
79 

Quinci  per  varii  casi  e  Saladino 
Ed  Agricalte  e  Mul easse  uccide, 
E  da  l'un  fianco  a  l'altro  a  lor  vicino 
Con  esso  un  colpo  Aldiazèl  divide: 
Trafitto  a  sommo  il  petto  Ariadino 
Atterra,  e  con  parole  aspre  il  deride. 
Ei,  gli  occhi  gravi  alzando  a  l'orgogliose 
Parole,  in  su  '1  morir  cosi  rispose: 
80 

Non  tu,  chiunque  sia,  di  questa  morte 
Vincitor  lieto  avrai  gran  tempo  il  vanto: 
Pari  destin  t'aspetta;  e  da  più  forte 
Destra  a  giacer  mi  sarai  steso  a  canto. 
Rise  egli  amaramente:  e.  Di  mia  sorte 
Curi  il  Ciel,  disse;  or  tu  qui  mòri  in  tanto 


camente. 


7.   Intendi;    ora  che   l'ombra 


fugge,  e  sottentra  la  luce,  qual  sarà  riparo, 
coperchio,  alla  vostra  inerme  (nudi)  viltà 
(paveyitosi)  ? 

78,  l-4.Virg.,  Aen.  x346:  «rigida  Dryopem 
ferit  eminus  basta  Sub  mentum,  graviter 
pressa,  pariterque  loquentis  Vocem  ani- 
mamque  rapit  traiecto  gutture;  at  ille 
Fronte  ferit  terram  ».  —  6.  •  seorre  ecc.  : 
Virg.,  Aen.  vi  hi  :  «  gelidus  Teucris  per  dura 
cucurrit  Ossa  tremor  ^.  —  7-8.  Virg.,  Aen. 
X  489:  *  Et  terram  hostilem  moriens  petit 
ore  cruento  ».  Cfr.  anche  Aen.  x  488;  e  xi 
418.  —  pieno:  Conq.  Pien  di  gran;  Os. 
colmo. 

79,  ],  per  rarii  eagl:  per  diversi  accidenti 
non  ordinati  da  lui  ma  voluti  dalla  sorte. 
—  4.  Con  esso:  cosi  anc.  la  Gonq.;  ma  Os. 
Col  brando.  —  5.  a  sommo  il  petto:  nella 
parte  superiore  del  petto;  come  in  Dante, 
Purg.  Ili  HI:  «E  mostrommi  una  piaga  a 
sommo  '1  petto  ».  —7.  grati;  pesanti  come 
di  chi  è  per  chiuderli  nel  sonno  della  morte. 

80,  1.  Kon  tn  ecc.  Omero,  II.  xvi;  e  Virg., 
,  Aen.  X  739:  «  Ille  autem  exspirans:  Non  me, 
j  quicumque  es,  inulto,  Victor,  nec  longum 

laetabere:  te  quoque  fata  Prospectant  pa- 
ria, atque  eadem  mox  arva  tenebis.  -  Ad 
quae  subridens  mixta  Mezentius  ira:  Nunc 
raorere;  ast  de  me  divum  pater  at(jue  ho- 
minum  rex  Viderit.  Hoc  dicens  eduxit  cor- 
pore  telura  ». 


CANTO  IX 


117 


D'.iugei  pasto  e  di  cani:  indi  lui  preme 
Co'l  piede,e  netrae  l'alma  e'I  ferro  insie- 
81  [n^e. 

Un  paggio  del  Soldan  misto  era  iu  quella 
Turba  di  sagittari  e  lanciatori, 
A  cui  non  anco  la  stagion  novella 
Il  bel  mento  spargea  de'  primi  fiori. 
Paion  perle  e  rugiade  in  su  la  bella 
Guancia  irrigando  i  tepidi  sudori; 
Giunge  grazia  la  polve  al  crine  incolto; 
E  sdegnoso  rigor  dolce  è  in  quel  vólto. 
82 

Sotto  ha  un  destrier,  che  di  candor  ag- 
Pur  ornerApennincaduta  neve:  [guaglia 
Turbo  0  fiamma  non  è,  che  roti  o  saglia 
Rapido  si,  come  è  quel  pronto  e  leve. 
Vibra  ei,  presa  nel  mezzo,  una  zagaglia; 
La  spada  al  fianco  tien  ritorta  e  breve; 
E  con  barbara  pompa  in  un  lavoro 
Di  porpora  risplende  intesta  e  d'oro. 
83 

Mentre  il  fanciullo,  a  cui  novel  piacere 
Di  gloria  il  petto  giovenil  lusinga, 
Di  qua  turba  e  di  là  tutte  le  schiere, 
E  lui  non  è  chi  tanto  o  quanto  stringa; 
Cauto  osserva  Argillau  tra  le  leggiere 
Sue  rote  il  tempo  in  che  l'asta  sospinga; 
E,  còlto  il  punto,  il  suo  destrier  di  furto 
Gli  uccide,  e  sovra  gli  è,  ch'a  pena  è  surto. 
84 

Ed  al  supplice  vólto,  il  quale  in  vano 
Con  l'arme  di  pietà  fea  sue  difese. 
Drizzò,  crudeli  l'inesorabil  mano, 
E  di  natura  il  più  bel  pregio  offese. 
Senso  aver  parve,  e  fu  de  l'uompiù  umano 
Il  ferro,  che  si  volse,  e  piatto  scese: 
Ma  che  prò'?  se,  doppiando  il  colpo  fero, 
Di  punta  colse  ove  egli  errò  primiero? 
8j 

Soliman,  che  di  là  non  molto  lunge 
Da  Goffredo  in  battaglia  è  trattenuto. 
Lascia  la  zuffa,  e'I  destrier  volve  e  punge 
Tosto  che  '1  rischio  ha  del  garzon  veduto; 
E  i  chiusi  passi  apre  col  ferro,  e  giunge 


81,  3-4.  Cfr.  e.  Ili  60,  5-6.  —  7.  Ginnge: 
aggiunge.  Ovidio,  Heroicl.  iv  77:  «Te  tuus 
iste  rigor,  positique  sine  arte  capilli,  Et 
levis  egregio  pulvis  in  ore  decet  ». 

82,  5.  zag.iglia,  bastone  ferrato  in  cima; 
per  lanciarla,  si  afferra  nel  mezzo.  —  6. 
breve,  corta. 

83,  4.  Il  Petrarca,  Tv.  Am  iii  130:  «  Co- 
stei non  è  chi  tanto  o  quanto  stringa  ».  — 
tanto  0  quanto:  pur  un  poco.  —  5-6.  tra  le 
leggiere  Snc  rote:  mentre  egli  con  legge- 
rezza gira,  volteggia. 

81,  7.  doppiando,  raddoppiando,  rinno- 
vando. 


A  la  vendetta  si,  non  a  l'aiuto; 
Perché  vede,  ahi  dolor!  giacerne  ucciso 
Il  suo  Lesbin,  quasi  bel  fior  succiso. 
86 

E  in  atto  si  gentil  languir  tremanti 
Gli  occhi,  e  cader  su  '1  tergo  il  collo  mira; 
Cosi  vago  è  il  pallore,  e  da'  sembianti 
Di  morte  una  pietà  si  dolce  spira, 
Ch'ammolli  il  cor,  che  fudur  marmo  inan- 
E  il  pianto  scaturì  di  mezzo  a  l'ira,     [ti, 
Tu  piangi,  Soliman?  tu,  che  distrutto 
Mirasti  il  regno  tuo  co'l  ciglio  asciutto? 
87 

Ma,  come  vede  il  ferro  ostil  che  molle 
Fuma  del  sangue  ancor  del  giovenetto, 
La  pietà  cede,  e  l'ira  avvampa  e  bolle, 
E  le  lagrime  sue  stagna  nel  petto. 
Córre  sovra  Argillano,  e  '1  ferro  estolle; 
Parte  lo  scudo  opposto,  indi  l'elmetto, 
ludi  il  capo  e  la  gola;  e  de  lo  sdegno 
Di  Soliman  ben  quel  gran  colpo  è  degno. 
88 

Né  di  ciò  ben  contento,  al  corpo  morto, 
Smontato  del  destriero,  anco  fa  guerra; 
Quasi  mastin,  che  '1  sasso,  onde  a  lui  pòrto 
Fu  duro  colpo,  infellonito  afferra. 
Oh  d'immenso  dclor  vano  conforto, 
Incrudelir  ne  l'insensibil  terra! 
Ma  fra  tanto  de'  Franchi  il  Capitano 
Non  speiidea  l'ire  e  le  percosse  in  vano. 


86,  7.  giacerne  ncclso  ecc.:  Virg.,  Aen.  ix 
135:  «  Purpureus  veluti  cum  flos  succisus 
aratro  Languescit  moriens»;  e  l'Ariosto, 
Ori.  xviii  153;  «  Come  purpureo  fior  lan- 
guendo muore  Che  M  vomere  al  passar  ta- 
gliato lassa  ».  —  8.  sacciso:  latinismo,  ta- 
gliato. 

86,  1.  E  in  atto  ecc.:  Virg.,  Aen.  ix  433: 
t  Volvitur  Euryalus  leto,  pulchrosque  per 
artus  It  cruor,  inque  humeros  cervix  col- 
lapsa  recumbit  ».  E  Ovidio,  di  Giacinto  Met. 
X  194:  «  Sic  vultus  moriens  iacet,  et  defeda 
vigore,  Ipsa  sibi  est  oneri  cervix  humero- 
que  recumbit  ».  —  3-4.  da'  sembianti  DI 
morte:  dai  sembianti  improntati  di  morte. 
—  7-8.  Lucano,  Phars.  ix  1043:  «Qui  duro 
membra  senatus  Calcarat  vultu,  qui  sicco 
lumine  campos  Viderat  Emathios,  uni  tibi, 
Magne,  negare,  Non  audet  gemitus  ». 

87,  La  morte  del  giovinetto  caro  a  Soli- 
mano, e  la  vendetta  ch'egli  ne  trae,  ricor- 
dano la  morte  di  Olimpio,  e  Pira  di  Ferraù 
nell'Ariosto  {OiH.  xvi  71  e  segg.).  —  1-3. 
Virg.,  Aen.  XII  945:  «  lUe,  oculis  postquam 
saevi  monumenta  dùloris  Exuviasque  hausit, 
furiis  acceusus  et  ira  Terribilis  ecc.  ». 

88,  3.  Quasi  mastin  ecc.:  Ariosto,  Ori. 
XXXVII  78:  «  O  qua!  mastin  ch'ai  ciottolo, 
che  gli  abbia  Gittate  il  viandante,  corra  in 


118 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Mille  Turchi  avea  qui,  che  di  loriche 
E  d'elmetti  e  di  scudi  eran  coperti; 
Indomiti  di  corpo  a  le  fatiche, 
Di  spirto  audaci,  e  in  tutti  i  casi  esperti: 
E  furou  già  de  le  milizie  antiche 
Di  Solimano,  e  seco  ne'  deserti 
Seguir  d'Arabia  i  suo'  errori  infelici, 
Ne  le  fortune  avverse  ancora  amici. 
90 

Questi,  ristretti  insieme  in  ordin  folto. 
Poco  cedeano  o  nulla  al  valor  Franco. 
In  questi  urtò  Goffredo,  e  feri  il  vólto 
Al  fier  Corcutte,  ed  a  Rosteno  il  fianco  ; 
A  Selin  da  le  spalle  il  capo  ha  sciolto, 
Troncò  a  Rossano  il  destro  braccio  e'I  man- 
Né  già  soli  costor;  ma  in  altre  guise  [co: 
Molti  piagò  di  loro,  e  molti  uccise. 
91 

Mentre  ei  cosi  la  gente  Saracina 
Percote,  e  lor  percosse  anco  sostiene, 
E  in  nulla  parte  al  precipizio  inchina 
La  fortuna  de'  Barbari  e  la  spene; 
Nuova  nube  di  polve  ecco  vicina. 
Che  folgori  di  guerra  in  grembo  tiene; 
Ecco  d'arme  improvise  uscirne  un  lampo 
Che  sbigotti  de  gli  Infedeli  il  campo. 
92 

Son  cinquanta  guerrier  che'n  puro  argen- 
Spiegan  la  trionfai  purpurea  croce,     [to 
Non  io,  se  cento  bocche  e  lingue  cento 
Avessi,  ferrea  lena  e  ferrea  voce, 
Narrar  potrei  quel  numero  che  spento 
Ne'  primi  assalti  ha  quel  drappel  feroce. 
Cade  l'Arabo  imbelle;  e'I  Turco  invitto 
Resistendo  e  pugnando  anco  è  trafitto. 
93 

L'orror,  la  crudeltà,  la  téma,  il  lutto, 
Van  d'intorno  scorrendo;  e  in  varia  imago 


fretta,  E  morda  invano  con  stizza  e  con 
rabbia,  Né  se  ne  voglia  andar  senza  ven- 
detta: Tal  Marg-anor  ». 

89,  1.  avea:  erano. 

*  90,  6.  Troncò.  Bi.  ha  tronco,  che,  dipen- 
dendo dal  precedente  Aa,  finisce  benissimo 
il  periodo. 

92,  1.  cinquanta:  sono  i  guerrieri  che  se- 
guirono Armida,  e  ritornano  dopo  che  Ri- 
naldo li  ha  liberati.  Cfr.  e.  »58  e  segg.  — 
3.  Non  io:  Guastavini:  «  Omero  nel  ii  dell'io: 
Che  la  moltitudine  io  non  esprimerei,  né 
nominerei  -  Né  se  pur  in  me  dieci  lingue, 
e  dieci  bocche  fossero,  -  E  la  voce  invinci- 
bile, e  di  ferro  il  cuore  in  me  fosse.  —  E 
Virj.  nel  ii  42  della  Georg.:  -  Non  raihi  si 
linguae  centum  sint,  oraque  centum,  Fer- 
rea vox.  -  E  nel  VI  (625)  deìVAen.  allo  stesso 
modo  ecc.  ». 

93,  1-4.  Virg.,  Aen.  li  368:  «  crudelis  ubi- 


Vincitrice  la  Morte  errar  per  tutto 
Vedresti,  ed  ondeggiar  di  sangue  un  lago. 
Già  con  parte  de' suoi  s'era  condutto 
Fuor  d'una  porta  il  re,  quasi  presago 
Di  fortunoso  evento;  e  quindi  d'alto 
Mirava  il  pian  soggetto  e'I  dubbio  assalto. 
94 

Ma,  come  prima  egli  ha  veduto  in  piega 
L'esercito  maggior,  suona  a  raccolta; 
E  con  méssi  iterati  instando  prega 
Ed  Argante  e  Clorinda  a  dar  di  volta. 
La  fera  coppia  d'eseguir  ciò  nega, 
Ebra  di  sangue  e  cieca  d'ira  e  stolta; 
Pur  cede  al  fine,  e  unite  almen  raccòrrò 
Tenta  le  turbe,  e  freno  a  i  passi  imporre. 
95 

Ma  chi  dà  legge  ài  vulgo,  ed  ammaestra 
La  viltade  e  '1  timor?  La  fuga  è  presa. 
Altri  gitta  lo  scudo,  altri  la  destra 
Disarma;  impaccio  è  il  ferro,  e  non  difesa. 
Valle  è-tra  il  piano  e  la  città,  ch'alpestra 
Da  l'occidente  al  mezzogiorno  è  stesa; 
.Qui  fuggon  essi,  e  si  rivolge  oscura 
Caligine  di  polve  in  vèr'  le  mura. 
9G 

Mentre  ne  van  precipitosi  al  chino, 
Strage  d'essi  i  Cristiani  orribil  fanno: 
Ma,  poscia  che  salendo  ornai  vicino 
L'aiuto  avean  del  barbaro  tiranno, 
Non  vuol  Guelfo  d'alpestro  erto  cammino 
Con  tanto  suo  svantaggio  esporsi  al  danno: 
Ferma  le  genti;  e  '1  re  le  sue  riserra, 
Non  poco  avanzo  d'infelice  guerra. 

97  [cesso 

Fatto  in  tanto  ha  il  Soldan  ciò  eh' è  con- 
Far  a  terrena  forza;  or  più  non  puote:  [so 
Tutto  è  sangue  e  sudore;  e  un  grave  e  spes- 
Anelar  gli  auge  il  petto,  e  i  fianchi  scote. 
Langue  sotto  lo  scudo  il  braccio  oppresso; 
Gira  la  destra  il  ferro  in  pigre  rote: 
Spezza,  e  non  taglia;  e,  divenendo  ottuso, 
Perduto  librando  omai  di  brando  hal'uso. 


que  Luctus,  ubique  pavor,  et  plurima  mor- 
tis  imago  ».  —  7.  fortnnoso:  tempestoso. 

95,  1.  La  mossa  è  del  Petrarca,  son. 
Liete  e  j^ènsose  9:  «  Chi  pon  freno  a  gli 
amanti  o  dà  lor  legge?».  —  5.  il  piano: 
cosi  pur  CoNQ.;  ma  Os.  7  campo.  —  7-8. 
Virg-.,  Ae7i.  XI  876:  <  volvitur  ad  muros  ca- 
ligine turbidus  atra  Pulvis  ». 

97,  3-4.  Omero,  II.  xvi,  traduz.  del  Gua- 
stavini: «Ed  egli  tuttavia  da  un  molesto 
anelito  era  trattenuto,  e  da  esso  un  sudore 
-  In  tutte  le  parti  de  le  membra  copioso 
cadeva  né  in  alcun  modo  aveva  [possayiza]*. 
Onde  Virgilio  di  Turno,  Aen.  ix  812:  «  Tum 
toto  corpore  sudor  Liquitur,  et  piceum  (nec 
respirare  potestas)  Flumen  agit:  fessoa 
quatit  aeger  anhelitus  artus  »,   —   7-8.  Lu- 


CANTO  IX 


119 


98 
Come  sentissi  tal,  ristette  in  atto 
D'noni  che  fra  due  sia  dubbio;  e  in  sé  di 
Se  morir  debba,  e  di  si  illustre  fatto  [scorre 
Con  lo  sue  mani  altrui  la  gloria  torre; 
0  pur,  sopravanzando  al  suo  disfatto 
Campo,  la  vita  in  securezzn  porre. 


cane,  P/iars.  vi  186:  «  lamque  hebes  et 
crasso  non  asper  sanguine  mucro  Percus- 
stuii  Scaevae  frangit,  non  vuluerat  hostera: 
l'erdidit  ensis  opus;  frangit  sine  vulnera 
membra». 

98,  1-6.  Virg.,  Aen.  x  6S0  :  «  Haec  memo- 
rane, animo  nunc  bue  nunc  fluctuat  illuc, 
An  sese  mucrone  ob  tantum  dedecus  amens 
Induat,  et  crudum  per  costas  exigat  ensem, 
Fluctibus  an  iaciat  mediis  ». 


Vinca,  al  fin  disse,  il  fato;  e  questa  mia 
Fuga  il  trofeo  di  sua  vittoria  sia. 

99 
Vejrgia  il  nemico  le  mie  spalle  e  schema 
Di  novo  ancóra  il  nostro  esilio  indegno; 
Pur  che  di  novo  armato  indi  mi  scerjia 
Turbar  sua  pace  e  '1  non  mai  stabil  regno. 
Non  cedo  io,  no:  fia  con  memoria  eterna 
De  lemie  offeseeteruo  ancoil  miosdegno. 
Risorgerò  nemico  ognor  più  crudo, 
Cenere  anco  sepolto  e  spirto  ignudo. 


99,  1.  schema:  schernisca.  Per  le  tre  ul- 
time stanze  di  questo  canto,  è  da  confron- 
tare in  Omero  la  ritirata  di  Aiace,  (/^.  xvi) 
e  nell'Ariosto  quella  di  Rodomonte  [Ori. 
xviii  21). 


"1 


CANTO  X, 

SoDQo  dì  Solimano  -^ 
Solimano  accompagna- 
to da  Ismene,  che  U 
conduce  protetto  da  una 
nube,  arriva  a  Gerusa- 
lemme, là  dove  Ala- 
dino ticn  consiglio  -^ 
Argante  ^  Orcano 
Rotta,  per  opera  di 
Ismeno,  la  nube,  Soli- 
mano minaccia  Orcanc 
^  Accoglienze  di  Ala- 
dino -k  I  cavalieri  li- 
berati dalle  mani  d'Ar- 
mida, richiesti,  narrano 
a  Goffredo  delle  arti  ài 
quella,  e  di  Rinaldo 
che  li  liberò  *  L'Ere- 
mita, figgendo  gli  occhi 
nel  futuro,  accerta  che 
Rinaldo  vive  e  predice 
le  glorie  degli   Estensi, 


1 
Cosi  dicendo  ancor  vicino  acòrse 
Un  destrier  ch'a  lui  volse  errante  il  passo; 
Tosto  al  libero  frea  Ja  mano  ei  porse, 
E  su  vi  salse,  ancor  che  attìitto  e  lasso. 
Già  caduto  è  il  cimier  ch'orribil  sorse, 
Lasciando  relmo  inonorato  e  basso: 
Rotta  è  la  sopravesta,  e  di  superba 
Pompa  regal  vestigio  alcun  non  serba. 


1.  Il  T.  inviando  il  canto  decimo  ai  re- 
visori di  Roma,  li  avvertiva  [Lett.  26)  che 
è  «  piuttosto  la  meta  del  quanto,  che  de  la 
favola;  perché  il  mezzo  veramente  de  la 
favola  è  nel  terzo  decimo,  perché  sino  a 
quello  le  cose  de'  Cristiani  vanno  peggio- 
rando: sono  maltrattati  ne  l'assalto;  vie 
ferito  il  Capitano;  è  poi  arsa  loro  la  mac- 
china, ch'era  quella  che  sola  spaventava 
gli  nemici;  incantato  il  bosco,  che  non  se 
ne  possono  far  de  l'altre:  e  sono  in  ultimo 
aiflitti  da  l'ardore  de  la   sti^^ione,  e   da  la 


Come  dal  chiuso  ovil  cacciato  viene 

Lupo  talor  che  fugge  e  si  nasconde. 
Che,  se  ben  del  gran  ventre  ornai  ripiene 
Ha  l'ingorde  voragini  profonde, 
Avido  pur  di  sangue  anco  fuor  tiene 
La  lingua,  e '1  sugge  da  le  labra  immonde; 
Tale  ei  se'n  giadopo  ilsanguignostrazio, 
De  la  sua  cupa  fame  anco  non  sazio. 

3 

E,  come  è  sua  ventura,  a  le  sonanti 

Qiiadrella,  ond'alui  intorno  un  nembovo- 

A  taute  spade,  a  tante  lancie,  a  tanti  [la, 

Instrumenti  di  morte  al  fin  s'invola: 


penuria  de  le  acque,  e  impediti  d'ogni  ope- 
razione ». 

3,  1-4.  Virg.,  Aen.  ix  807:    e  iniectis  sic 
undique  telis  Obruitur!.,.  Ingeminant  ba- 
stia et  Troes  et  ipse  Fulmineus  Mnestheus 
Ariosto,  Ori.  xvni  22,  di  Rodomonte:   «  Da 
strana  circondata   e   fiera   selva   D'aste,  di 


CANTO  X 


121 


E  sconosciuto  pur  cammina  inanti 
Per  quella  via  eh' è  più  deserta  e  sola; 
E,  rivolgendo  in  sé  quel  che  far  deggia, 
In  gran  tempesta  de'  pensieri  ondeggia. 

4 
Dispensi  al  fin  di  girne  ove  raguna 
Oste  si  poderosa  il  re  d'Egitto; 
E  giunger  seco  l'arme,  e  la  fortuna 
Ritentar  anco  di  novel  conflitto. 
Ciò  prefisso  tra  sé,  dimora  alcuna  [dritto, 
Non  pone  in  mezzo,  e  prende  il  cammin 
Che  sa  le  vie,  né  d'uopo  ha  di  chi  il  guidi 
Ui  Gaza  antica  a  gli  arenosi  lidi. 

5 
Né  perché  senta  inacerbir  le  doglie 
De  le  sue  piaghe,  e  grave  il  corpo  ed  egro, 
Vien  però  che  si  posi  e  l'arme  spoglie; 
Ma,  travagliando,  il  di  ne  passa  integro. 
Poi,  quando  l'ombra  oscura  al  mondo  to- 

[glie 
I  vari  aspetti,  e  i  color  tinge  in  negro. 
Smonta,  e  fascia  le  piaghe,  e,  come  puote 
Meglio,  d'un'alta  palma  i  frutti  scòte; 

6 
E  cibato  di  lor,  su  '1  terren  nudo 
Cerca  adagiare  il  travagliato  fianco, 
E,  la  testa  appoggiando  al  duro  scudo, 
Quetar  i  moti  del  pensier  suo  stanco. 
Ma  d'ora  in  ora  a  lui  si  fa  più  crudo 
Sentire  il  duol  de  le  ferite,  ed  anco 
Roso  gli  è  il  petto  e  lacerato  il  core 
Da  gli  interni  avoltoi,  sdegno  e  dolore. 

7 
Al  fin,  quando  già  tutte  intorno  chete 
Ne  la  più  alta  notte  eran  le  cose. 
Vinto  egli  pur  da  la  stanchezza,  in  Lete 
Sopì  le  cure  sue  gravi  e  noiose; 
E  in  una  breve  e  languida  quiete 
L'afflitte  membra  e  gli  occhi  egri  compose; 
E,  mentre  ancor  dormia,  voce  severa 
Gli  intonò  su  l'orecchie  in  tal  maniera: 


spade  e  di  volanti  dardi  Si  tira  al  fiume  ». 
—  8.  Preso  da  Virgilio  {Aen.  viii  19):  «  ma- 
gno curarum  fluctuat  aestu  ».  —  *  de' pen- 
sieri. Os.  e  altri,  seguiti  dal  Solerti,  di  pen- 
sieri. 

é,  8.  Gaza:  città  di  Palestina,  vicina  ai 
confini  d'Egitto;  il  luogo  intorno  è  quasi 
tutto  coperto  di  sabbia,  Cfr.  e.  xvii  1. 

6,  2.  egro:  latinismo  già  osservato,  cfr, 
e.  I  3.  —  4.  travagliando:  affaticandosi  [nella 
fuga].  —  integro:  intero.  —  6.  i  color  tinge 

,ìn  negro:  derivato  dal  virgiliano  (Aen.  vi 
272)  «  Et  rebus  nox  abstulit  atra  colorem  ». 

7.  3.  Lete:  fiume  dell'oblivione;  qui  per 
l'oblio  stesso.  —  5-6.  Virg.,  Aen.  viii  29: 
.  Aeneas,  tristi  turbatus  pectora  bello,  Pro- 
cubuit,  seramque  dedit  per  membra  quie- 
teqa  ».  —  7-8.   Toqe   severa  ecc.;  Conguist. 


8 

Soliman,  Solimano,  i  tuoi  si  lenti 
Riposi  a  miglior  tempo  omai  riserva; 
Che  sotto  il  giogo  di  straniere  genti 
La  patria,  ove  regnasti,  ancor  è  serva. 
In  questa  terra  dormi,  e  non  rammenti 
Ch'insepolte  de'  tuoi  l'ossa  conserva? 
Ove  si  gran  vestigio  è  del  tuo  scorno, 
Tu  neghittoso  aspetti  il  novo  giorno? 
9 

Desto  il  Soldan  alza  lo  sguardo,  e  vede 
Uom,  che  d'età  gravissima  a  i  sembianti, 
Co'l  ritorto  baston  del  vecchio  piede 
Ferma  e  dirizza  le  vestigia  erranti. 
E  chi  sei  tu?  (sdegnoso  a  lui  richiede) 
Che  fantasma  importuno  a  i  viandanti 
Rompi  i  brevi  lor  sonni?  e  che  s'aspetta 
A  te  la  mia  vergogna  o  la  vendetta? 
10 

Tomi  soii  un,  risponde  il  vecchio,al  quale 
In  parte  è  noto  il  tuo  novel  disegno; 
E  si  come  uomo  a  cui  di  te  più  cale 
Che  tu  forse  non  pensi,  a  te  ne  vegno. 
Né  il  mordace  parlare  indarno  è  tale: 
Perché  de  la  virtù  cote  è  lo  sdegno. 
Prendi  in  grado,  signor,  che  '1  mio  sermone 
Al  tuo  pronto  valor  sia  sferza  e  sprone. 
11 

Orperché,8'io  m'appongo,  esser  dee  vòl- 
Al  gran  re  de  l'Egitto  il  tuo  cammino,  [to 
Che  inutilmente  aspro  viaggio  tolto 
Avrai,  s'inanzi  segui,  io  m'indovino; 
Che,  se  ben  tu  non  vai,  fia  tosto  accolto 
E  tosto  mosso  il  campo  Saracino: 
Né  loco  è  là,  dove  s'impieghi  e  mostri 
La  tua  virtù  centra  i  nemici  nostri. 

là  [ro, 

Ma  se 'n  duce  me  prendi,  entro  a  quelmu- 


XVI  14:  «turbato  suono  Di  voce  lui   destò 
che  parve  un  tuono  ». 

8,  5.  In  questa  tèrra  dormi  ecc.:  Virg., 
Aen  ly  560:  «  Nate  Dea,  potes  hoc  sub  casu 
ducere  somnos?  Nec  quae  te  circumstent 
deinde  pericula  cernis?  Demens!  » 

9,  4.  vestigia:  metaforic.  per  passi.  —  7. 
s'aspetta:  si  appartiene.  Gfr.  v  34,  8;  e  vtii 
35,  7. 

10,  5.  indarno  è  tale:  invano  è  mordace. 
—  6.  Intendi:  lo  sdegno  è  cote  della  virtù, 
ossia  serve  ad  aflinare,  acuire  essa  virtù, 
come  la  pietra  serve  ad  affilare  il  ferro. 
Petrarca,  canz.  QuelV antiquo  36:  *  Sempre 
aguzzando  il  giovenil  desio,  All'empia  cote 
ond'  io  Sperai  riposo  ».  —  7.  Prendi  in  grado  : 
gradisci;  del  Petrarca. 

11,  3-4.  Costruisci:  Io  m'indovino  (ossia 
prevedo)  che,  se  séguiti  oltre,  avrai  inutil- 
mente tolto,  cioè,  preso  a  fare,  aspro  viag- 
gio. —  5.  se  ben  ta  non  vai:  anche  non  an- 
dando tq. 


122 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Che  da  l'arrni  latine  è  intorno  astretto, 
Nel  più  chiaro  del  di  pòrti  securo, 
Senza  che  spada  impugni,  io  ti  prometto. 
Quivi  con  l'arme  e  co'  disagi  un  duro 
Contrasto  aver  ti  fia  gloria  e  diletto; 
Difenderai  la  terra  in  sin  che  giugna 
L'oste  d'Egitto  a  rinovar  la  pugna. 

13  [ce 

Mentreeiragionaancor,  gli  occhiala  vo- 
De  l'uomo  antico  il  fiero  Turco  ammira; 
E  dal  vólto  e  da  l'animo  feroce 
Tutto  depone  omai  l'orgoglio  e  l'ira. 
Padre,  risponde,  io  già  pronto  e  veloce 
Sono  a  seguirti;  ove  tu  vuoi  mi  gira. 
A  me  sempre  miglior  parrà  il  consiglio 
Ove  ha  più  di  fatica  e  di  periglio. 
14 

Loda  il  vecchio  i  suoi  detti:  e  perché  l'aura 
Notturna  avea  le  piaghe  incrudelite, 
Un  suo  licor  v' instilla,  onde  ristaura 
Le  forze,  e  salda  il  sangue  e  le  ferite. 
Quinci  veggendo  omai  ch'Apollo  inaura 
Le  rose  che  l'aurora  ha  colorite: 
Tempo  è, disse,  alpartir;  chégiànescopre 
Le  strade  il  sol  ch'altrui  richiama  al'opre. 
15 

E  sovra  un  carro  suo,  che  non  lontano 
Quinci  attendea,  co  '1  fèr  Niceno  ei  siede: 
Le  briglie  allenta,  e  con  maestra  mano 
Ambo  i  corsieri  alternamente  fiede: 
Quei  vanno  si  che  '1  polveroso  piano 
Non  ritien  de  la  rota  orma  o  del  piede; 
Fumar  li  vedi  ed  anelar  nel  córso, 
E  tutto  biancheggiar  di  spuma  il  morso. 
IG 

Meraviglie  dirò:  s'aduna  e  stringe 
L'aer  d'intorno  in  nuvolo  raccolto, 
Si  che'l  gran  carro  ne  ricopre  e  cinge; 
Ma  non  appar  la  nube  o  poco  o  molto; 


13,  2.  antico:  vecchio.  —  fero  turco:  Mella 
*  Esatta  espressione;  Arslano  [cioè  Soli- 
mano] reggeva  il  paese  proprio  de'  Tur- 
clii  ».  —  8.  Ove,  quando,  se.  Ma  altri  po- 
trebbe dargli  valore  di  relativo  (nel  quale), 
e  intendere  ha  per  è. 

H,  5.  Apollo  inanra  ecc.  Lo  stesso  effetto 
descritto  da  Dante,  Purg.  u  7.  «Si  che  le 
bianche  e  le  vermiglie  guance,  Là  dove  io 
era,  della  bella  Aurora  Per  troppa  etade 
divenivan  rance  ».  —  7-8.  Virg.,  Aen.  xi  182: 
€  Aurora...  Extulerat  lucem,  referens  opera 
atque  labores  ». 

16,  3-S.  Derivato  da  Omero,  II.  xxiii. 

16.  In  Virgilio  Enea,  per  simil  modo  co- 
perto da  Venere,  è  condotto  dentro  a  Car- 
tagine {Aen.  I  411):  «  At  Venus  obscuro  gra- 
dientes  aere  saepsit,  Et  multo  nebulae  cir- 
cum  deafudit  amictu.  Cernere  ne  quis  eos, 
neu  quis  contingere  posset  >.    E  più  sotto: 


Né  sasso,  che  murai  macchina  spinge, 
Penetraria  per  lo  suo  chiuso  e  folto: 
Ben  veder  ponno  i  duo  dal  curvo  seno 
La  nebbia  intorno,  e  fuori  il  ciel  sereno. 

17 
Stupido  il  cavalier  le  ciglia  inarca, 
Ed  increspa  la  fronte,  e  mira  fiso 
La  nube  e  '1  carro  ch'ogni  intoppo  varca 
Veloce  si  che  di  volar  gli  è  avviso. 
L'altro,  che  di  stupor  Tauima  carca 
Gli  scorge  a  l'atto  de  l'immobil  viso, 
Gli  rompe  quel  silenzio,  e  lui  rappella; 
Ond'ei  si  scote,  e  poi  cosi  favella; 

18 
0  chiunque  tu  sia,  che  fuor  d'ogni  uso 
Pieghi  natura  ad  opre  altere  e  strane, 
E,  spYando  i  secreti,  entro  al  più  chiuso 
Spazii  a  tua  voglia  de  le  menti  umane; 
S'arrivi  co  '1  saper,  eh' è  d'alto  infuso, 
A  le  cose  remote  anco  e  lontane, 
Deh!  dimmi  qual  riposo  o  qual  mina 
A  i  gran  moti  de  l'Asia  il  Ciel  destina. 

19 
Ma  pria  dimmi  il  tuo  nome,  e  con  qual  arte 
Far  cose  tu  si  inusitate  soglia; 
Che,  se  pria  lo  stupor  da  me  non  parte, 
Com'esser  può  ch'io  gli  altri  detti  acco- 

(glia? 
Sorrise  il  vecchio,  e  disse:  In  una  parte 
Mi  sarà  leve  l'adempir  tua  voglia. 
Son  detto  Israeno  ;  e  i  Siri  appellan  mago 
Me,  che  de  l'arti  incognite  son  vago. 

20 
Ma  ch'io  scopra  il  futuro,  e  ch'io  dispieghi 
De  l'occulto  de.'^tin  gli  eterni  annali, 
Troppo  èaudacedesio,  troppo  alti  preghi; 
Non  è  tanto  concesso  a  noi  mortali. 
Ciascun  qua  giù  le  forze  e '1  senno  impieghi 
Per  avanzar  fra  le  sciagure  e  i  mali; 
Che  sovente  addi vien  che'l  saggio  e  '1  forte 


«  Infert  se  saeptus  nebula  (mirabile  dictu!). 

—  5.  ninral:  da  abbattere  mura.  —  7.  carro: 
cosi  pure  Coxq.  ;  ma  Os.  cavo. 

17,  1.  Stupido  ecc.:  stupito  per  la  mera- 
viglia. —  1-2.  Ariosto,  Ori.  x  4:  «Io  vi 
vo'  dire  e  far  di  maraviglia  Stringer  le  lab- 
bra ed  inarcar  le  ciglia».  —  5.  di  stnpor 
pcc.  Dante,  Purg.  xix  40:  «Seguendo  lui 
portava  la  mia  fronte.  Come  colui  che  l'ha 
di  pensier  carca  -r. 

18,  1-2.  Petrarca,  son.  Stiamo,  Amor,  a 
veder  2:  *  Cose  sopra  natura  altere  e  nove  ». 

—  3.  al  più  chiaso:  alla  parte  più  chiusa, 
più  riposta.  —  5-8.  Lucano,  Phars.vi  590: 
*0  decus  Haemonidum!  populis  quae  pin- 
dere  fata.  Quaeque  suo  ventura  potes  di- 
vertere cursu,  Te  precor,  ut  certuni  liceat 
mihi  noscere  flnem,  Quem  belli  fortuna 
parat  », 


CANTO  X 


123 


Fabro  a  sé  stesso  è  di  beata  sorte. 

21 
Tu  questa  destra  invitta,  a  cui  fia  poco 
Scoter  le  forze  del  francese  impero, 
Non  che  munir,  non  che  guardar  il  loco 
Che  strettamente  oppugna  il  popol  fero, 
Centra  l'arme  apparecchia  e  centra '1  foco: 
Osa,  soffri,  confida;  io  bene  spero. 
Ma  pur  dirò,  perché  piacer  ti  debbia. 
Ciò  che  oscuro  vegg' io  quasi  per  nebbia. 

22 
Veggio,  0  parmi  vedere,  anzi  che  lustri 
Molti  rivolga  il  gran  pianeta  eterno, 
ITom  che  l'Asia  ornerà  co'  fatti  illustri, 
E  del  fecondo  Egitto  avrà  il  governo. 
Taccio  i  pregi  de  l'ozio  e  l'arti  industri, 
Mille  virtù,  che  non  ben  tutte  io  scerno: 
Basti  sol  questo  a  te,  che  da  lui  scosse 
Non  pur  saranno  le  cristiane  posse, 

23 
Ma  in  sin  dal  fondo  suo  l'imperio  ingiusto 
Svelto  sarà  ne  l'ultime  contese; 
E  le  afflitte  reliquie  entro  uno  angusto 
Giro  sospinte,  e  sol  dal  mar  difese. 
Questi  fia  del  tuo  sangue.  E  qui  il  vetusto 
Mago  si  tacque;  e  quegli  a  dir  riprese: 
0  lui  felice,  eletto  a  tanta  lode! 
E  parte  ne  l'invidia,  e  parte  gode. 

24 
Soggiunse  poi:  Girisi  pur  Fortuna 
0  buona  o  rea,  come  è  là  su  prescritto; 
Che  non  ha  sovra  me  ragione  alcuna, 


21,  7.  Rifa  il  dantesco  {Inf.  xxiv  151): 
«  E  detto  l'ho  perché  doler  ten  debbia  ».  — 
S.  Ismene  può  sapere  il  futuro  per  arti 
infernali,  essendo  mago.  Sa  l'avvenire,  ma 
ignora  i  fatti  più  vicini  a  compiersi,  come 
i  dannati  nell'inferno  dantesco. 

22,  2.  il  gran  pianeta  eterno:  il  sole.  — 
3.  Uom  ecc.:  Il  Saladino,  fatto  pe  '1  suo  va- 
lore soldano  d'Egitto.  Gli  storici  raccon- 
tano che  costui  ritolse  ai  cristiani  Gerusa- 
lemme colla  vittoria  di  Tiberiade,  88  anni 
dopo  che  l'avevano  liberata  ed  avevano  in 
essa  tenuta  la  sede  reale;  poi  conquistò 
tutta  Palestina  fuor  che  Tiro,  Tripoli  ed 
Antiochia.  —  5.  i  pregi  de  l'ozio  :  i  pregi 
che  in  un  periodo  di  ozio,  cioè  di  pace,  or- 
neranno il  regno  di  Saladino. 

23,  1.  imperio  ingiusto:  il  regno  di  Ge- 
rusalemme che  fonderà  Goffredo.  —  3-4.  un 
angusto  Giro  ecc.:  Intende  di  Cipro,  solo 
possedimento  che  rimarrà  ai  cristiani  in 
oriente. 

24,  1.  Girisi  pur  Fortuna:  la  Foriuna  è 
immaginata  sopra  una  ruota  o  sopra  un 
sasso  rotondo.  Dante,  Inf.  xv  95:  *  Però 
giri  Fortuna  la  sua  rota  Come  le  piace  ». 
^  3.  ragione:  Aver  ragione  sopra  o  in  al- 


E  non  mi  vedrà  mai,  se  non  invitto. 
Prima  dal  córso  distornar  la  luna 
E  le  stelle  potrà,  che  dal  diritto 
Torcere  un  sol  mio  passo.  E  in  questo  dire 
Sfavillò  tutto  di  focoso  ardire. 
25 

Cosi  gir  ragionando,  in  sin  che  furo 
Là  've  presso  vedean  le  tende  alzarse. 
Che  spettacolo  fu  crudele  e  duro! 
E  in  quante  forme  ivi  la  morte  apparse! 
Si  fé'  ne  gli  occhi  allor  torbido  e  scuro, 
E  di  doglia  il  Soldano  il  vólto  sparse. 
Ahi  con  quanto  dispregio  ivi  le  degne 
Mirò  giacer  sue  già  temute  insegne! 
26 

E  scorrer  lieti  i  Franchi,  e  i  petti  e  i  vólti 
Spesso  calcar  de' suoi  pili  noti  amici; 
E  con  fasto  superbo  a  gli  insepolti 
L'arme  spogliare  e  gli  abiti  infelici; 
Molti  onorare  in  lunga  pompa  accolti 
Gli  amati  corpi  de  gli  estremi  uffici; 
Altri  suppor  le  fiamme,  e  '1  vulgo  misto 
D'Arabi  e  Turchi  a  un  focoarder  ha  visto. 
27 

Sospirò  dal  profondo,  e  '1  ferro  trasse, 
E  dal  carro  lanciossi,  e  correr  volle; 
Ma  il  vecchio  incantatore  a  sé  il  ritrasse 
Sgridando,  e  raffrenò  l'impeto  folle; 
E  fatto  che  di  novo  ei  rimontasse, 
Drizzò  il  suo  córso  al  più  sublime  colle. 
Cosi  alquanto  n'andaro,  in  sin  ch'a  tergo 
Lasciar  de'  Franchi  il  militare  albergo. 
28 

Smontare  allor  del  carro,  e  quel  repente 
Sparve;  e  presono  a  piedi  insieme  il  calle 
Ne  la  solita  nube  occultamente 
Discendendo  a  sinistra  in  una  valle; 
Sin  che  giunsero  là,  dove  al  ponente 
L'alto  monte  Sion  volge  le  spalle. 
Quivi  si  ferma  il  mago,  e  poi  s'accosta, 


cuno,  vale  aver  potere,  autorità,  forza.  — 
5.  distornar  :  volgere,  deviare.  Petrarca,  son. 
n  successor  di  Carlo  7:  «  s'altro  accidente 
no  '1  distorna  ■^.  —  6.  dal  diritto:  cioè,  dalla 
diritta  strada. 

26,  5.  pompa:  nel  senso,  già  visto  al  e.  iii 
72,  2,  di  compagnia  di  persone  pomposa- 
mente messe;  come  nel  Molza  {La  Ninfa 
Tiberina^  8):  «Accolti  in  lunga  e  coronata 
pompa  Sparger  i  preghi  vi  fia  d'uopo  al 
cielo  ».  —  7-8.  Virg.,  Aen.  xi  185:  «  Consti- 
tuere  pyras.  Huc  corpora  quisque  suorura 
More  tulere  patrum;  subiectisque  ignibus 
atris  Conditur  in  tenebras  altum  caligine 
caelum  ».  E  poco  dopo  (207):  «confusaeque 
ingenteni  caedis  acervum  Nec  numero  nec 
honore  cremant  ».  —7.  suppor:  sottoporre: 
corrisponde  appunto  al  subiectis  ignibnn 
di  Virg.  ^ 


124 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Quasi  mirando,  a  la  scoscesa  costa. 
29 

Cava  grotta  s'apria  nel  duro  sasso, 
Di  lunghissimi  tempi  avanti  fatta; 
Ma,  disusando,  or  riturato  il  passo 
Era  tra  i  pruni  e  Terbe  ove  s'appiatta. 
Sgombra  il  mago  gli  intoppi,  e  curvo  e  bas- 
Fer  Tangusto  sentiero  a  gir  s'adatta;  [so 
E  l'una  man  precede  e  il  varco  tenta, 
L'altra  per  guida  al  principe  appreseuta. 

30 
,Dice  allor  il  Soldan:  Qual  via  furtiva 
È  questa  tua,  dove  convien  ch'io  vada? 
Altra  forse  miglior  io  me  n'apriva, 
Se  '1  concedevi  tu.  con  la  mia  spada. 
Non  sdegnar,  gli  risponde,  anima  schiva, 
Premer  co  '1  forte  pie  la  buia  strada; 
Che  già  solea  calcarla  il  grande  Erode, 
Quel  c'ha  ne  l'armi  ancor  si  chiara  lode. 
31 

Cavò  questa  spelonca,  allor  che  porre 
Volse  freno  a  i  soggetti,  il  re  ch'io  dico; 
E  per  essa  potea  da  quella  torre. 
Ch'egli  Antonia  appellò  dal  chiaro  amico, 
Invisibile  a  tutti  il  pie  raccòrre 
Dentro  la  soglia  del  gran  tempio  antico; 
E  quindi  occulto  uscir  de  la  Gittate, 
E  trarne  genti  ed  iutrodur  celate. 
32 

M?  nota  è  questa  via  solinga  e  bruna 
Or  solo  a  me  de  gli  uomini  viventi. 
Per  questa  andremo  al  loco  ove  raguna 
I  più  saggi  a  concilio  e  i  più  potenti 


29.  Mella:  *  Della  grotta  e  della  torre  An- 
tonia cosi  ragiona  Giuseppe  Flavio,  Anti- 
quit.  ludaicae  xv  14  :  Herodes  hanc  quoque 
turrim  munitiorem  reddidit  ad  tutelam 
Templi,  et  in  memoriam  amici  sui  Roma- 
norum  imperatoris  Antonii,  vocavit  Anto- 
niam...  Caeterum  rex  inter  alia  Templi 
opera,  etiam  cryptam  fecit  subterraneam, 
ab  Antonia  ferentem  ad  oriemalem  portam 
Templi,  cui  turrim  etiam  imposuit,  in  eum 
usum,  ut  occulte  illuc  posset  ascendere,  si 
quid  per  tumultum  contra  regem  vellet  no- 
vare  populus  >.  —  7-8.  Ovidio,  Met.  x  455: 
«  Nutricisque  manum  laeva  tenet,  altera 
mota  Caecum  iter  explorat  -. 

30,5-8.  anima  schÌTa:  è  il  dantesco  «alma 
sdegnosa»  dell'/n/.  vili  4i:  schiva  per  sde- 
gnosa e  nel  Petrarca.  Questi  quattro  versi 
del  T.  ricordano  quelli  di  Virg.,  Aen.  viii 
362:  «  Haec,  inquit,  limina  Victor  Alcides 
subiit:  haec  illum  regia  cepit.  Aude,  ho- 
spes,  contemnere  opes,  et  te  quoque  dignum 
Finge  Deo,  rebusque  veni  non  asper  agenis». 

81,  3-4.  Cfr.  la  nota  alla  st.  29:  «  ...  in 
memoriam  ecc.».  —  *8.  celate,  di  nasco- 
■  to:  riferi.scilo  a  genti. 


Il  re,  ch'ai  minacciar  de  la  fortuna, 
Più  forse  che  non  dee,  par  che  paventi. 
Ben  tu  giungla  graiid'uopo:  ascolta  e  taci: 
Poi  movi  a  tempo  le  parole  audaci. 

33 
Cosi  gli  disse;  e  "1  cavaliero  allotta 
Co'l  gran  corpo  ingombrò  Tumil  caverna; 
E  per  le  vie,  dove  mai  sempie  annotta. 
Segui  colui  che  '1  suo  cammiu  governa. 
Chini  pria  se  n'andar;  ma  quella  grotta 
Più  si  dilata  quanto  più  s'interna; 
Si  ch'asceser  con  agio,  e  tosto  furo 
A  mezzo  quasi  di  quell'antro  oscuro. 

34 
Apriva  allora  un  picciol  uscio  Ismeno; 
E  se  ne  gian  per  disusata  scala, 
A  cui  luce  mal  certo  e  mal  sereno 
L"aer  che  giù  d'alto  spiraglio  cala. 
In  sotterraneo  chiostro  al  fin  veuicuo, 
E  salian  quindi  in  chiara  e  nobil  sala. 
Qui  con  lo  scettro  e  co  '1  diadema  iu  testa 
Mesto  sedeasi  il  re  fra  gente  mesta. 

35 
•  Da  la  concava  nube  il  Turco  fero 
Non  veduto  rimira  e  spia  d'intorno; 
Ed  ode  il  re  fra  tanto,  il  qual  primiero 
Incomincia  cosi  dal  seggio  adorno: 
Veramente,  o  miei  fidi,  al  nostro  impero 
Fu  il  trapassato  assai  dannoso  giorno: 
E  caduti  d'altissima  speranza 
Sol  l'aiuto  d'Egitto  ornai  n'avanza. 

36 
Ma  ben  vedete  voi  quanto  la  speme 
Lontana  sia  da  si  vicin  periglio. 
Dunque  voi  tutti  ho  qui  raccolti  insieme, 
Perch'ognun  porti  in  mezzo  il  suo  consi- 

[glio. 
Qui  tace:  e  quasi  in  bosco  aura  che  freme, 
."t^uona  d'intorno  un  picciolo  bisbiglio. 
Ma  con  la  faccia  baldanzosa  e  lieta 
!  Sorgendo  Argante  il  mormorare  accheta. 


33,  1.  e  »1  cavaliero  ecc.:  Virg.,  Aen.  viii 
366:  <  Et  augusti  subter  fastigia  tecti  In- 
gentem  Aeneam  tulit  ».  —  allotta:  allora: 
forma  poetica  frequente  negli  antichi.  —  2, 
ingombrò:  nel  suo  senso  primitivo  di  oc- 
cupò, 0  riempi. 

35,  1-2.  Virg.,  Aen.  i  516:  «  et  nube  cava 
speculantur  amicti  »;  e  439:  «  Infert  se 
saeptus  nebula,  mirabile  dictu,  Per  meJios, 
miscetque  viris,  neque  cernitur  uUis  ». 

36,  4.  porti  In  mezzo:  portare  in  mezzo 
vale  come  produn^e  in  mezzo,  nel  senso 
di  allegare  {La  Crusca  ha  di  prod.  in  mez. 
un  es.  del  Boccaccio).  —  5-6.  Virg.,  Aen.  x 
96:  «  Talibus  orabat  luno;  cunctique  freme- 
bant  Caelicolae  assensu  vario:  ceu  flamina 
prima  Cum  deprensa  fremunt  sylvis,  et 
caeca  volutant  Murmura,  venturos  nauti^ 
prodentia  ventos  ». 


CANTO  X 


125 


37 

O  maguanimo  re  (fu  la  risposta 
Del  cavaliero  indomito  e  feroce), 
Perclié  ci  tenti?  e  cosa  a  nullo  ascosta 
Chiedi,  ch'uopo  non  ha  di  nostra  voce? 
Pur  dirò:  sia  la  speme  in  noi  sol  posta: 
E  s'egli  è  ver  che  nulla  a  virtù  noce, 
Di  questa  armiaraci:  a  lei  chiediamo  aita; 
Né  più  ch'ella  si  voglia,  amiam  la  vita. 
38 

Né  parlo  io  già  cosi,  perch'io  dispere 
De  l'aiuto  ceitissimo  d'Egitto; 
Che  dubitar,  se  le  promesse  vere 
Fian  del  mio  re,  non  lece,  e  non  è  dritto; 
Ma  il  dico  sol,  perché  desio  vedere 
In  alcuni  di  noi  spirto  più  invitto, 
Ch'egualmente  apprestato  ad  ogni  sorte 
Si  prometta  vittoria,  e  sprezzi  morte. 
39 

Tanto  sol  disse  il  generoso  Argante, 
Quasi  uom  che  parli  di  non  dubbia  cosa. 
Poi  sorse  in  autorevole  sembiante 
Orcano,  uom  d'alta  nobiltà  famosa, 
E  già  ne  l'arme  d'alcun  pregio  inante  ; 
Ma  or,  congiunto  a  giovanetta  sposa, 
E  lieto  ornai  de' figli,  era  invilito 
Ne  gli  affetti  di  padre  e  di  marito. 
40 

Disse  questi:  0  signor,  già  non  accuso 
Il  ferver  di  magnifiche  parole, 
Quando  nasce  d'ardir  che  star  rinchiuso 
Tra  i  confini  del  cor  non  può,  né  vòle: 
Però  se  '1  buon  Circasso  a  te  per  uso 
Troppo  in  vero  parlar  fervido  suole, 
Ciò  si  conceda  a  lui,  che  poi  ne  l'opre 
Il  medesmo  ferver  non  meno  scopre. 
41 

Ma  si  conviene  a  te,  cui  fatto  il  córso 
De  le  cose  e  de'  tempi  han  si  prudente, 
Impor  colà  de'  tuoi  consigli  il  morso. 


37.  Nel  XI  dell'Eneide,  re  Latino  pure 
convoca  il  concilio  de'  suoi,  e  ne  richiede 
il  parere,  e  sorge  li  contesa  fra  Turno  e 
Drance,  come  qui  fra  Orcano  e  Argante.  — 
1-4.  Virg.,  loc.  cit.  343:  «Rem  nulli  obscu- 
ram,  nostrae  nec  vocis  egentera  Consulis, 
0  bone  rex».  —  6,  Sente  questo  verso  del 
petrarchesco  (capit.  Nel  cor  pien  42)  :  «  Che 
né  ferro  né  foco  a  virtù  nóce  >. 

38,  6.  spirto  pili  Invitto:  cosi  leggono 
BoN.2-3  e  Os.  ;  ma  spirito  invitto  BoN.^ 

89,  3-6,  Virg.,  loc.  cit.  336:  «  Tum  Dran- 
ces...  Largus  opum,  et  lingua  melior,  et 
frigida  bello  Desterà,  consiliis  habitus  non 
futilia  auctor,  Seditione  poteus  (genus  huic 
materna  superbura  Nobilitas  dabat,..)  Sur- 
git  ».  —  *  7.  de'  figli.  Altri  autorevoli  testi 
di  figli.  Cosi  pure  il  Solerti.  Ma  la  lezione 
di  B  *  non  dà  motivo  di  esser  mutata. 


Dove  costui  se  ne  trascorre  ardente; 
Librar  la  speme  del  lontnn  soccorso 
Co  ']  periglio  vicino,  anzi  presente; 
E  con  l'arme  e  con  l'impeto  nemico 
I  tuoi  novi  ripari  e'I  muro  antico. 
42 

Noi  (se  lece  a  me  dir  quel  ch'io  ne  sento) 
Siamo  in  forte  città  di  sito  e  d'arte; 
Ma  di  macchine  grande  e  violento 
Apparato  si  fa  da  l'altra  parte. 
Quel  che  sarà  non  so;  spero,  e  pavento 
I  giudizi  incertissimi  di  Marte; 
E  temo  che  s'a  noi  più  fia  ristretto 
-L'assedio,  al  fin  di  cibo  avrem  difetto. 
43 

Però  che  quegli  armenti  e  quelle  biade. 
Ch'ieri  tu  ricettasti  entro  le  mura. 
Mentre  nel  campo  a  insanguinar  le  spade 
S'attendea  solo,  e  fu  alta  ventura, 
Picciol'ésca  a  gran  fame,  ampia  cittade 
Nutrir  mal  pouiio,  se  l'assedio  dura; 
E  forza  è  pur  che  duri,  ancor  che  vegna 
L'oste  d'Egitto  il  di  ch'ella  disegna. 
44 

Ma  che  fia,  se  più  tarda?  Orsù,  concedo 
Che  tua  speme  prevegna  e  sue  promesse  : 
La  vittoria  però,  però  non  vedo 
Liberate,  o  signor,  le  mura  oppresse.  |do, 
Combattremo,  o  buon  re,  con  quel  Goffre- 
E  con  que'  duci,  e  con  le  genti  istesse. 
Che  tante  volte  han  già  rotti  e  dispersi 
Gli  Arabi,  i  Turchi,  i  Soriani,  e  i  Persi. 
45 

E  quali  sian,  tu  '1  sai,  che  lor  cedesti 
Si  spesso  il  campo,  o  valoroso  Argante; 
E  si  spesso  le  spalle  anco  volgesti, 
Fidando  assai  ne  le  veloci  piante: 
E  '1  sa  Clorinda  teco,  ed  io  con  questi; 
Ch'un  più  de  l'altro  non  convien  si  vante. 
Né  incolpo  alcuno  io  già;  che  vi  fu  móstro 
Quanto  potea  maggiore  il  valor  nostro. 
46 

E  dirò  pur  (ben  che  costui  di  morte 
Bieco  minacci,  e  '1  vero  udir  si  sdegni): 


*  13,  4.  alta  vent.  Cosi  le  B.  Os.  e  altre 
buone  fonti;  e  cosi  Solerti:  alcuno  legge 
somma  vent. 

44,  5.  Combattremo,  o  buon  re;  Conq. 
Coniòattiamo,  o  gran  re;  Os.  Combatte- 
retno.,  o  re. 

46,  3-4.  Virg.,  loc.  cit.  350:  «  dum  Troia 
tentat  Castra  fugae  fidens».  —  7-8.  Virg., 
loc.  cit.  312:  *  Nec  quemquam  incuso.  Po- 
tuit  quae  plurima  virtus  Esse,  fuit;  toto 
certatum  est  corpore  regni».  —  ri:  ivi;  in 
quei  fatti  d'armi. 

48,  1-2.  Virg.,  loc.  cit.  .348:  «  Dicam  equi- 
dem,  licet  arma  mihi  mortemque  minetur  ». 


126 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Veggio  portar  da  inevitabil  sorte 
Il  nemico  fatale  a  certi  segni; 
Né  gente  potrà  mai,  né  muro  forte 
Impedirlo  cosi,  ch'ai  fin  non  regni. 
Ciò  mi  fa  dir  (sia  testimonio  il  Cielo) 
Del  signor,  de  la  patria,  amore  e  zelo. 

47 
Oh  saggio  il  re  di  Tripoli,  che  pace  'me! 
Seppe  impetrarda  i  Franchieregnoinsie- 
Ma  il  Soldano  ostinato  o  morto  or  giace, 
0  pur  servii  catena  il  pie  gli  preme, 
0  ne  l'esilio  timido  e  fugace 
Si  va  serbando  a  le  miserie  estreme; 
E  pur,  cedendo  parte,  avria  potuto 
Parte  salvar  co'  doni  e  co  '1  tributo. 

48 

Cosi  diceva;  e  s'avvolgea  costui 
Con  giro  di  parole  obliquo  e  incerto; 
Ch'a  chieder  pace,  a  farsi  nom  ligio  altrui 
Già  non  ardia  di  consigliarlo  aperto. 
Ma  sdegnoso  il  Soldano  i  detti  sui 
Non  potea  omni  più  sostener  coperto: 
Quando  il  mago  gli  disse:  Or  vuoi  tu  darli 
Agio,  signor,  ch'in  tal  materia  parli? 
49 

Io  per  me,  gli  risponde,  or  qui  mi  celo 
Centra  mio  grado,  e  d'ira  ardo  e  di  scorno 
Ciò  disse  a  pena;  e  immantinente  il  velo 
De  la  nube,  che  stesa  è  lor  d'intorno, 
Si  fende  e  purga  ne  l'aperto  cielo; 
Ed  ei  riman  nel  luminoso  giorno: 
E  magnanimamente  in  fiero  viso 
Rifulge  in  mezzo,  e  lor  parla  improviso: 


^ 


—  3-4.  Intendi  (costruendo):  Veggio  per  non 
dubbi  segni  che  inevitabile  sorte  conduce 
il  nemico  destinato.  Sa  del  virgiliano  (loc. 
cit.  232):  *  Fatalem  Aeneam  manifesto  nu- 
mine  ferri  ».  —  7.  sia  testimonio  il  Cielo: 
traduce  il  virgiliano:  «  Caelum  et  sj'dera 
testor  >, 

47,  1.  saggio  ecc.:  perché  aveva  impe- 
trato e  pace  e  regno.  Cfr.  e  i  76.  —  3.  Sol- 
dano: Solimano. 

48,  3.  ligio:  Guastavini:  «  Ligio  é  termine 
legale,  e  da'  Provenzali  usato  prima  nella 
lor  lingua,  e  dal  Petrarca  nella  nostra;  e 
significa  soggetto.  Petr.  canz.  Quell'antiquo 
125:  -  Giovane  schivo  e  vergognoso  in  atto 
Ed  in  pensier,  poi  che  fatt'era  uom  ligio  •. 

—  5-6.  Virg.,  Aen.  i  579:  *  His  animum  ar- 
recti  dictis  et  ^'ortis  Achates,  Et  pater  Aeneas 
iamdudum  erumpere  nubem  Ardebant  ».  — 
coperto:  rimanendosi  coperto,  chiuso  entro 
la  nube.  —  8.  materia:  cosi  legge  pure  la 
CoxQ.:  ma  Os.  raaniera. 

49,  3-6.  Virg.,  di  Enea,  Aen.  i  5S6:  *  Vix 
ea  fatus  erat,  cum  circumfusa  repente  Scin- 
di! se  nubes  et  in  aethera  purgai  apertum  -. 


50 

Io,  di  cui  si  ragiona,  or  son  presente. 
Non  fugace  e  non  timido  Soldano; 
Ed  a  costui,  ch'egli  è  codardo  e  mente, 
M'offero  di  provar  con  questa  mano. 
Io,  che  sparsi  di  sangue  ampio  torrente, 
Che  montagne  di  strage  alzai  su  '1  piano, 
Chiuso  nel  vallo  de'  namici,  e  privo 
Al  fin  d'ogni  compagno,  io  fuggitivo? 

51 
Ma  se  più  questi,  o  s'altri  a  luì  simile, 
A  la  sua  patria,  a  la  sua  fede  infido. 
Motto  osa  far  d'accordo  infame  e  vile, 
Buon  re,  sia  con  tua  pace,  io  qui  l'uccido. 
Gli  agni  e  i  lupi  fian  giunti  in  un  ovile, 
E  le  colombe  e  i  serpi  in  un  sol  nido, 
Prima  che  mai  di  non  discorde  voglia 
Noi  co'  Francesi  alcuna  terra  accoglia. 

52 
Tien  su  la  spada,  raentr'ei  si  favella. 
La  fera  destra  in  minaccievol  atto. 
Riman  ciascuno  a  quel  parlar,  a  quella 
Orribil  faccia,  muto  e  stupefatto. 
Poscia  con  vista  men  turbata  e  fella 
Cortesemente  in  verso  il  re  s'è  tratto: 
Spera,  gli  dice,  alto  signor;  ch'io  reco 
Non  poco  aiuto:  or  Solimano  è  teco. 

53 
Aladin,  ch'a  lui  contra  era  già  sorto, 
Risponde:  Oh  come  lieto  or  qui  ti  veggio, 
Diletto  amico!  Or  del  mio  stnol  ch'è  morto 
Non  sentoil  danno;  assai  temea  di  peggio. 
Tu  lo  mio  stabilire,  e  in  tempo  corto 
Puoi  ridrizzar  il  tuo  caduto  seggio, 
SeTCielno'l  vieta.  Indi  le  braccia  al  collo. 
Cosi  detto,  gli  stese,  e  circondoUo. 

54 
Finita  l'accoglienza,  il  re  concede 


60,  1.  Virg.,  Aen.  i  595:  «  Coram,  quem 
quaeritis,  adsum  Troius  Aeneas  ».  —  5.  Io 
ecc.  Mostra  di  avere  adempito  quanto  pro- 
mise ad  Aletto  nel  cant.  ix  12:  «  Verrò,  farò 
là  monti  ove  ora  è  piano...  Farò  fiumi  di 
sangue  ».  Virg.,  Aen.  xi  392:  «  Pulsus  ego? 
aut  quisquam  merito,  foedissime,  pulsura 
Arguet?  Iliaco  tumidam  qui  crescere  Thj'- 
brim  Sanguine,  et  Evandri  totam  cum  stirpe 
videbit  Procubuisse  domum...  Etquos  mille 
die  Victor  sub  Tartara  misi,  Inclusus  muris 
hostilique  aggere  saeptus  •. 

51,  5.  Orazio,  Od.  I  xxxiii:  «  sed  prius 
Appulis  lungentur  caprae  lupis  -.  —  7.  di 
non  discorde  TOglia:  uniti  in  un  medesimo 
volere. 

62,  5.  Tlsta:  aspetto. 

4.  assai:    come   la  Co.vQ.;    ma   Os,  e 


63, 

ben. 
&4, 


1.  concede  ecc.:  Virg.,  Aen.  viii  177: 


CANTO  X 


127 


Il  suo  raedesmo  soglio  al  gran  Niceno. 
Egli  poscia  a  sinistra  in  uobil  sede 
Si  pone,  ed  al  suo  lìanco  ali  nega  Ismeno: 
E,  mentre  seco  parla  ed  a  lui  chiede 
Di  lor  venuta,  ed  ci  risponde  a  pieno, 
L'alta  donzella  ad  onorare  in  pria 
Vien  Solimano:  ogn'altro  indi  seguia. 

55  [schiera 

Segui  fra  gli  altri  Ormusse,  il  qual  la 
Di  quegli  Arabi  suoi  a  guidar  tolse: 
E,  mentre  la  battaglia  ardea  più  fera, 
Per  disusate  vie  cosi  s'avvolse, 
Ch'aiutando  il  silenzio  e  l'aria  nera, 
Lei  salva  al  (in  ne  la  città  raccolse: 
E  con  le  biade  e  con  rapiti  armenti 
Aita  porse  a  l'affamate  genti. 
56 

Sol  con  la  faccia  torva  e  disdegnosa 
Tacito  si  rimase  il  fèr  Circasso; 
A  guisa  di  leon  quando  si  posa, 
Girando  gli  occhi,  e  non  movendo  il  passo. 
Ma  nel  Soldan  feroce  alzar  non  osa 
Creano  il  vólto,  e  '1  tien  pensoso  e  basso. 
Cosi  a  consiglio  il  Palestiu  tiranno, 
E  '1  re  de'  Turchi,  e  i  cavalier  qui  stanno. 
57 

Ma  il  pio  Goffredo  la  vittoria  e  i  vinti 
Avea  seguiti,  e  libere  le  vie, 
E  fatto  in  tanto  a  i  suoi  guerrieri  estinti 
L'ultimo  ouor  di  sacre  esequie  e  pie: 
Ed  ora  a  gli  altri  impon  che  siano  accinti 
A  dar  l'assalto  nel  secondo  die; 
E  con  maggiore  e  più  terribil  faccia 
Di  guerra  i  chiusi  Barbari  minaccia. 
58 

E  perché  conosciuto  avea  il  drappello. 
Ch'aiutò  lui  centra  la  gente  infida, 
Esser  de'  suoi  più  cari,  ed  esser  quello 
Che  già  segui  l'insidiosa  guida, 
E  Tancredi  con  lor,  che  nel  castello 
Prigion  restò  de  la  fallace  Armida; 
Ne  la  presenza  sol  de  l'Eremita 
E  d'alcuni  più  saggi  a  sé  gli  invita; 
59 

E  dice  lor:  Prego  ch'alcun  racconti 
De'  vostri  brevi  errori  il  dubbio  córso; 
E  come  poscia  vi  trovaste  pronti 
In  si  grand'uopo  a  dar  si  gran  soccorso. 
Vergognando  tenean  basse  le  fronti: 
Ch'era  a  lor  picciol  fallo  amaro  morso. 


«  Praecipuunique  toro  et  villosi  pelle  leonis 
Accipit  Aenean,  solioque   invitat  acerno  ». 

58,  3.  Verso  di  Dante,  Purg.  vi  m. 
'  69,  5.  Vergognando:  vergognandosi:  Pe- 
trarca, son.  «  Vergognando  talor  che  an- 
cor si  taccia  ♦,  —  6.  a  lor:  come  Conq.:  Os. 
al  cor.  —  Dante,  Purg.  in  8:  «O  dignitosa 
coscienza  e  netta,  Como  fé  picciol  fallo 
amaro  morso!  ». 


Al  fin  del  re  Britanno  il  chiaro  figlio 
Ruppeilsilenzio.e  disse,alzando  il  ciglio. 

60 
Partimmo  noi,  che  fuor  de  l'urna  a  sorte 
Tratti  non  fummo,  ognun  per  sé  nascoso 
D'Amor,  no  '1  nego,  le  fallaci  scorte 
Seguendo,  e  d'un  bel  vólto  insidioso. 
Per  vie  ne  trasse  disusate  e  torte 
Fra  noi  discordi,  e  in  sé  ciascun  geloso. 
Nutrian  gli  amori  e  i  nostri  sdegni  (ahi* 

[tardi 
TiOppo  il  conosco)  or  parolette, or  guardi. 

61 

Al  fin  giungemmo  al  loco  ove  già  scese 
Fiamma  dal  cielo  in  dilatate  falde, 
E  di  natura  vendicò  l'offese 
Sovra  le  genti  in  mal  oprar  si  salde. 
Fu  già  terra  feconda,  almo  paese; 
Or  acque  son  bituminose  e  calde 
E  steril  lago;  e,  quanto  ei  torce  e  gira, 
Compressa  è  l'aria,  e  grave  il  puzzo  spira. 
62 

Questo  è  lo  stagno,  in  cui  nulla  di  greve 
Si  getta  mai,  che  giunga  sino  al  basso; 
Ma  in  guisa  pur  d'abete  o  d'orno  leve 
L'uom  vi  sormonta  e  '1  duro  ferro  e  '1  sasso. 
Siede  in  esso  un  castello;  e  stretto  e  breve 
Ponte  concede  a'  peregrini  il  passo. 
Ivi  n'accolse:  e,  non  so  con  qual  arte, 
Vaga  è  là  dentro  e  ride  ogni  sua  parte. 
6.3 

V'è  l'aura  molle,  e'I  ciel  sereno,  e  lieti 
Gli  alberi  e  i  prati,  e  pure  e  dolci  l'onde; 


60,  2.  ognun  per  sé  na.scoso:  ognuno  per 
suo  conto  nascosamente. 

01,  1-1.  Accenna  al  paese  ove  furono  So- 
doma e  Gomorra,  gli  abitanti  delle  quali 
città  si  resero  colpevoli  di  peccati  contro 
natura.  —  dilatate  falde:  Dante,  Inf.  xiv2S: 
«Sovra  tutto  '1  sabbion  d'un  cader  lento 
Piovean  di  foco  dilatate  falde  ».  —  7.  E  ste- 
ril lago:  è  il  Mar  Morto.  —  e,  quanto  el 
torce  [torpe  Bonn.-;  volge  Conq.]  e  g.:  e 
per  tutto  lo  spazio  che  esso  lago  nelle  sue 
pieghe  e  ne'  suoi  giri  occupa  ecc.  Per  que- 
sto lago,  il  Tasso  ebbe  presente  ciò  che  ne 
scrisse  Tacito  nelle  Istorie  (v.  7),  Giuseppe 
Flavio  nella  Guerra  Giudaica  (v.  5);  e,  più 
che  tutti,  il  Vida  Christ.  ii  359,  nei  seguenti 
versi:  «Qua  calet  Asphaltis  flammis  infa- 
raibiis  unda,  Ingentesque  palus  ad  caelura 
exaestuat  aestus  Aera  contristans  graveo- 
lenti sulfuris  aura.  Quondam  hic  laeta  se- 
ges,  riguisque  rosaria  campis;  Nunc  stat 
ager  dumis,  obductaque  sentibus  aura,  Cri- 
men,  amor  malesuade,  tuum  ». 

62, 7.  Ivi  n'accolse:  Cosi  legge  pure  Conq.: 
ma  Os.  Qui  n'accols^ella. 


128 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Ove  fra  gli  amenissimi  mirteti 
Sorfre  una  fonte,  e  un  fìuraicel  diffonde: 
Piovono  in  grembo  a  l'erbe  i  sonni  queti 
Con  un  soave  mormorio  di  fronde-, 
Cantan  gli  augelli;  i  marmi  io  taccio  eToro, 
Meravigliosi  d'arte  e  di  lavoro. 
64 

Apprestar  su  l'erbetta,  ov'è  più  densa 
L'ombra,  e  vicino  al  suon  de  l'acque  chia- 
Fece  di  sculti  vasi  altera  mensa,        [re, 
E  ricca  di  vivande  elette  e  care. 
Era  qui  ciò  ch'ogni  stagion  dispensa, 
Ciò  che  dona  la  terra,  o  manda  il  mare. 
Ciò  che  l'arte  condisce:  e  cento  belle 
Servivano  al  convito  accorte  ancelle. 
65 

Ella  d'un  parlar  dolce  e  dun  bel  riso 
Temprava  altrui  cibo  mortale  e  rio. 
Or,  mentre  ancor  ciascunoa  mensa  assiso 
Beve  con  lungo  incendio  un  lungo  oblio, 
Sorse,  e  disse:  Or  qui  riedo.  E  con  un  viso 
Ritornò  poi  non  si  tranquillo  e  pio: 
Con  una  man  picciola  verga  scote; 
Tien  l'altra  un  libro,  e  legge  in  basse  note. 
66 

Legge  la  maga;  ed  io  pensiero  e  voglia 
Sento  mutar,  mutar  vita  ed  albergo. 
(Strana  virtù!)  novo  pensier  m'invoglia: 
Salto  ne  l'acqua,  e  mi  vi  tuffo  e  immergo. 


63,  6.  di  fr.  :  cosi  pur  CONQ.;  ma  Os.  le. 
fronde. 

64,  7.  condisce:  rende  gradito  e  bello.  — 
8.  Vir;:?.,  Aen.  i  705  :  «  Centum  aliae  (famu- 
lae)  totidemque  pares  aetate  ministri  Qui 
dapibua  mensas  onerent  et  pocula  ponant  ». 

65, 1.  Derivato  dal  Petrarca,  son.  Da'  più 
beili  occhi  A:  «Dal  più  dolce  parlare  e  dolce 
riso  ».  *  riso  legg-e  TOs.  e  altre  fonti  impor- 
tantissime; viso  le.g-gono  le  B  e  il  Solerti. 
Ma  il  riscontro  del  l'etrarca  conferma  la 
prima  lezione.   —  2.  Tomprara:  preparava. 

—  4.  Virg.,  Aen.  vi  715:  «  Securos  latices  et 
longa  oblivia  potant  ».  —  6.  pio:  mansueto. 

—  7-8.  Imitato  ^aAVOdissea  nel  libro  de- 
cimo. Omero  non  fa  ivi  menzione  che  Circe 
adoperasse  un  libro:  questa  aggiunta  il 
Tasso  la  pose  per  attenersi  al  costume  dei 
maghi.  Confronta  anche  il  potere  d'Alcina 
neli'Ariosto. 

e*?.  Circe  néìV Odissea,  già  cit.,  converte 
m  porci  gli  amici  di  Ulisse.  Sulla  creduta 
possibilità  del  fatto,  avverte  il  Guastavini: 
«  Che  l'effetto  possa  apparir  che  segua  a 
forza  degli  scongiuri  ed  incantesimi,  può 
esser  noto  abbastanza  dalli  avvenimenti  os- 
servatine' tempi  antichi  e  moderni,  de'  quali 
si  legge  a  lungo  ne'  libri  che  trattano  di 
questi  particolari,  dove  molti  uomini  chi  in 
asini  e  chi  in  cavalli  per  forza  d'incanti  si 


Non  so  come  ogni  gamba  entro  s'accoglia, 
Come  l'un  braccio  e  l'altro  entri  nel  tergo; 
M'accorcio  e  stringo;  e  su  la  pelle  cresce 
Squamoso  il  cuoio;  e  d'uom  son  fatto  un 
67  [pesce. 

Cosi  ciascun  de  gli  altri  anco  fu  vòlto, 
E  guizzò  meco  in  quel  vivace  argento. 
Quale  allor  mi  foss'io,  come  di  stolto 
Vanoe  torbido  sogno, or  me'n  rammento. 
Piacquele  al  fin  tornarci  il  proprio  vólto: 
Ma  tra  la  meravìglia  e  lo  spavento 
Muti  eravam;  quando  turbata  in  vista 
In  tal  guisa  ne  parla,  e  ne  contrista: 
68 

Ecco,  a  voi  notò  è  il  mio  poter,  ne  dice, 
E  quanto  sopra  voi  T  imperio  ho  pieno. 
Fende  dal  mio  voler  ch'altri  infelice 
Perda  in  prigione  eterna  il  ciel  sereno; 
Altri  divenga  augello;  altri  radice 
Faccia,  e  germogli  nel  terrestre  seno; 
0  che  s'induri  in  selce,  o  in  molle  fonte 
Si  liquefaccia,  o  vesta  irsuta  fronte. 
69 

Ben  potete  schivar  l'aspro  mio  sdegno, 
Quando  servire  al  mio  piacer  v'aggrade; 
Farvi  pagani,  e  per  lo  nostro  regno 
Centra  l'empio  Buglion  mover  le  spade. 
Ricusar  tutti,  ed  abborrir  l'indegno 
Patto;  solo  a  Rambaldo  il  persuade. 
Noi  (che  non  vai  ditesa)  entro  una  buca 
Di  lacci  avvolse,  ove  non  è  che  luca. 
70 

Poi  nel  castello  istesso  a  sorte  venne 
Tancredi:  ed  egli  ancor  fu  prigioniero. 
Ma  poco  tempo  in  carcere  ci  tenne 
La  falsa  maga:  e  (s'io  n'intesi  il  vero) 
Di  seco  trarne  da  quell'empia  ottenne 
Del  signor  di  Damasco  un  messaggiero. 
Ch'ai  re  d'Egitto  in  don  fra  cento  armati 
Ne  couduceva  inermi  e  incatenati. 


leggono  essere  apparuti  trasformati;  av- 
venga che  possono  i  dravoli  per  divina  per- 
missione alterare  la  fantasia,  e  l'imagina- 
tiva  dell'uomo,  ma  non  già  la  mente».  — 
5.  entro  s'accoglia:  in  sé  si  ristringa,  cosi 
da  divenir  più  corta.  —  6.  Dante,  Inf.  xxv 
112:  <  r  vidi  entrar  le  braccia  per  l'ascelle; 
E  i  duo  pie  della  fiera  ch'eran  corti  Tanto 
allungar  quanto  accorciavan  quelle  ». 

67,2.  viTace  argento:  Guastavini:  «In 
quell'acqua  chiarissima  ch'era  dentro  al 
castello.  Metafora  cavata  dall'apparenza  di 
fuori  aiutata  dall'epiteto  vivace,  che  signi- 
fica la  mobilità  ».  —  5.  tornarci:  restituirci. 
—  8.  ne  parla;  Os.  minaccia. 

69,  2.  serTÌre  al;  Os.  seguire  il.—  8.  ore 
non  è  che  luca  :  Dante,  Inf.  iv  151  :  «  E  vengo 
in  parte  ove  non  è  che  luca  ». 

70,  6.  signor  di  Damasco:  Idraote,  zio 
d'Armida. 


CANTO  X 


129 


71 

Cosi  ce  n'andavamo,  e,  come  l'alta 
Providenza  del  Cielo  ordina  e  move, 
Il  bMon  Rinaldo,  il  qualpiù  sempre  esalta 
La  gloria  sua  con  opre  eccelse  e  nove, 
In  noi  s'avviene,  e  i  cavalieri  assalta 
Nostri  custodi,  e  fa  l'usate  prove: 
Gli  uccide  e  vince,  e  di  quell'arme  loro 
Fa  noi  vestir,  che  nostre  in  prima  fòro. 
72 

Io  '1  vidi,  e  '1  vider  questi  :  e  da  lui  pòrta 
Ci  fu  la  dt'stra,  e  fu  sua  voce  udita. 
Falso  è  il  romor  che  qui  risuona  e  porta 
Si  rea  novella,  e  salva  è  la  sua  vita: 
Ed  oggi  è  il  terzo  di  che  con  la  scorta 
D'un  peregrin  fece  da  noi  partita 
Per  girne  in  Antiochia;  e  pria  depose 
L'aj-me,  che  rotte  aveva  e  sanguinose. 
73 

Cosi  parlava;  e  l'Eremita  in  tanto 
Volgeva  al  cielo  l'una  e  l'altra  luce. 
Non  un  color,  non  serba  un  vólto:  ohquan- 
J^iù  sacro  e  venerabile  or  riluce!  [to 

Pieno  di  Dio,  rapto  dal  zelo,  a  canto 
A  l'angeliche  menti  ei  si  conduce: 
Gli  si  svela  il  futuro,  e  ne  l'eterna 
Serie  de  gli  anni  e  de  l'età  s'interna. 
74 

Eia  bocca  sciogliendo  in  maggior  suono. 
Scopre  le  cose  altrui  ch'indi  verranno. 
Tutti  conversi  a  le  sembianze,  al  tuono 
De  l'insolita  voce  attenti  stanno. 
Vive,  dice,  Rinaldo:  e  l'altre  sono 
Arti  e  bugie  di  ferainile  inganno; 
Vive;  e  la  vita  giovenetta  acerba 
A  pili  mature  glorie  il  Ciel  riserba. 
75 

Presagii  sono  e  fanciulleschi  aflfanni 
Questi,  ond'or  l'Asia  lui  conosce  e  noma. 
Ecco  chiaro  vegg'io,  correndo  gli  anni, 
Ch'egli  s'oppone  a  l'empio  Augusto,  e  '1  do- 

[ma; 


73, 3.  Virg.,  Aen.  vi  40,  della  Sibilla  piena 
di  spirito  divino  :  «  Cui  talia  fanti  Ante  fo- 
res  subito  non  vultus,  non  color  unus,  Non 
comptae  mansere  comae;  sed  pectus  anhe- 
lura.  Et  rabie  fera  corda  tument;  maiorque 
videri  Nec  mortale  sonans,  afflata  est  nu- 
mine  quando  lam  propiore  dei  », 

74,  2.  altrui:  scopre  ad  altrui. 

76,  4.  egli:  Rinaldo.  Il  T.  attribuisce  al 
suo  eroe  le  glorie  narrate  dal  Pigna  di  Ri- 
naldo figliuolo  di  Bertoldo  capitano  del  12° 
secolo.  Seguita  pertanto  qui  l'anacronismo 
del  cant.  i  59.  Ricorda  l'Ariosto.  0?V.  iii30: 
«Ecco  di  quel  Bertoldo  il  caro  pegno  Ri- 
naldo tuo,  ch'avrà  l'onore  opimo  D'aver  la 
Chiesa  de  le  man  riscossa  Dell'empio  Fede- 
rico Barbarossa  ».  —  empio  Augusto:  Gua- 


E  sotto  l'ombra  de  gli  argentei  vanni 
L'aquila  sua  copre  la  Chiesa  e  Roma, 
Che  de  la  fera  avrà  tolto  a  gli  artigli: 
E  ben  di  lui  naaceran  degni  i  figli. 
76 

De'  figli  i  figli,  e  chi  verrà  da  quelli 
Quinciavran  chiari  e  memorandi  esempi; 
E  da  ('esari  ingiusti  e  da  rubelli 
Difenderan  le  mitre  e  i  sacri  tempi. 
Premer  gli  alteri,  e  sollevar  gli  imbelli, 
Difender  gli  innocenti,  e  punir  gli  empi, 
Fian  l'arti  lor:  cosi  verrà  che  vole 
L'aquila  estense  oltra  le  vie  del  s  jle. 
77 

Edrittoèbenche,  se'l ver  mira  e'I  lume, 
Ministri  a  Pietro  i  folgori  mortali. 
U'  per  Cristo  si  pugni,  ivi  le  piume 
Spiegar  dee  sempre  invitte  e  trionfali; 
Che  ciò  per  suo  nativo  alto  costume 
Dièlle  il  Cielo  e  per  leggi  a  lei  fatali. 
Onde  piace  là  su  che  in  questa  degna 
Impresa,  onde  parti,  chiamato  vegna. 


stavini:  «  Federico  Barbarossa,  cui  Rinaldo 
non  solamente  fece  sùbito  levar  d'intorno 
a  Milano,  ma  con  più  ardimento  dappoi  es- 
sendo proceduto  innanzi  ed  assaltato  Car- 
cano,  castello  dov'era  un  presidio  cesareo, 
di  nuovo  lo  ruppe:  come  a  lungo  si  può 
vedere  nel  II  lib.  del  Pigna  ».  —  5.  E  sotto 
l'ombra  ecc.:  Dante,  Par.  vi  7:  «E  sotto 
l'ombra  delle  sacre  penne».  —  argentei 
yanni:  le   argentee  ali  dell'aquila  estense. 

—  *  7,  tolto.  Cosi  B;  altre  fonti,  seguite  dai 
Solerti,  tolte. 

76,  1.  Virg.,  Aeìi.  in  97:  *  Hic  domus 
Aeneae  cunctis  dominabitur  oris,  Et  nati 
natorum,  et  qui  nascentur  ab  illis»,  —  5. 
Virg.,  Aen.  vi  854:  «  Parcere  subiectis  et 
debellare  superbos  ».  —  7.  Terrà:  avverrà. 

—  Tole:  voli. 

77,  1-4.  Il  soggetto  cosi  di  ■mira,  come 
di  ministri,  è  essa  l'aquila  estense.  —  8. 
chiamato,  *si  riferisce  a  Rinaldo,  che,  nella 
mente  del  Poeta  tiene  il  posto  principale  e 
gli  fa  dimenticare  il  soggetto  della  stanza 
aquila.  -  Os.  chiatnata,  più  regolarmente, 
riferendo  il  participio  ad  aquila.  Si  comin- 
cia a  vedere  che  la  persona  di  Rinaldo  è 
indispensabile  alla  presa  di  Gerusalemme: 
quella  di  Goffredo,  da  sola,  non  basta.  Il 
Tasso  spiega  questo  concetto  più  volte  nel- 
l'epistolario :  nella  Lett.  51,  p.  es.  «spero 
d'accoppiare  insieme  due  cose,  se  non  in- 
compatibili, almeno  non  molto  facili  ad  ac- 
compagnarsi; e  queste  sono,  la  necessità  o 
la  fatalità,  per  cosi  dire,  di  Rinaldo,  e  la 
superiorità  di  Goffredo,  e  quella  dependen^r: 
che  tutta  l'azione  del  poema  deve  avere  d:. 
lui:  e  quando   io  dico   superiorità  non  in 


9  —  Tasso,  Gerusaleìiime  liberata. 


130 


GERUSALEMME  LIBERATA 


78 
Qui  dal  soggetto  vinto  il  saggio  Piero 
Stupido  tace,  e  '1  cor  ne  l'alma  faccia 
Troppo  grau  cose  de  l'estense  altero 


tendo  semplicemente  superiorità  di  grado: 
si  che  si  potrà  raccogliere  da  alcun  mio 
verso  ch'altrettanto  fosse  necessario  a  l'im- 
presa Goffredo,  quanto  Rinaldo;  ma  l'uno 
era  necessario  come  capitano,  l'altro  come 
esecutore.  Né  questa  necessità  di  due  è  cosa 
nova:  a  l'espugnazione  di  Troia  erano  ne- 
cessari Pirro  e  Filottete.  Onde  nel  FUottete 
di  ^Sofocle  dimandando  Neottolemo  ad  Ulisse: 
Come  dici  tu,  che  Filottete  sia  necessario 
a  quest'espugnazione?  non  son  io  colui  e' ha 
da  distrugger  Troia?  —  risponde  Ulisse: 
Ké  tu  puoi  distruggerla  senza  lui,  né  egli 
senza  te  ». 

78.  Rifatti  di  pianta  i  primi  6  versi  nella 
st.  OS.:  «  Con  questi  detti  ogni  tirnor  di- 
scaccia Di  Rinaldo  concetto  il  saggio  Piero. 
Sìt-i  nel  piausj  comune  avvien  che  taccia 


Valor  ragiona,  onde  tutto  altro  spiaccia 
Sorge  in  tanto  la  notte,  e  '1  velo  nero 
Per  l'aria  spiega,  e  l'ampia  terra  abbrac- 

[cia: 
Vanseùe  gli  altri  e  dau  le  membra  al  son- 
ino, 
Ma  i  suoi  pensieri  in  lui  dormir  non  ponno. 


n  pio  Buglion  immerso  in  ffran  pensiero. 
Sorge  intanto  la  notte,  e  su  la  faccia  De 
la  terra  distende  il  velo  nero  ».  Cosi  il  non 
poter  dormire  in  causa  de'  pensieri  è  at- 
triDuito  al  Buglione,  mentre  nella  lezione 
da  noi  seguita  é  proprio  all'Eremita.  Nella 
Cotiquiitata  i^dove  invece  degli  elogi  si  tro* 
vano  aspre  rampogne  per  la  casa  d'Este) 
il  canto  pure  termina  attribuendo  tutte  le 
azioni  all'Eremita,  senza  ritornare  al  Bu- 
glione. —  4.  onde  tutto  altro  spiaccìa:  In- 
tendi: tutte  le  altre  parole  che  potrebbe 
dire  l'Eremita,  resterebbero  troppo  infe- 
riori all'altissimo  concetto  da  esprimere: 
per  la  qual  cosa  gli  spiacciono. 


.    CANTO  XI 


Processione  dei  cristiani  al 
monte  Oliveto  ic  Goffredo 
convita  i  duci  if  Assalto 
a  Gerusalemme  ^  Goffredo 
e  gli  altri  capitani  pugnano 
come  semplici  pedoni  -^ 
Argante  sulle  mura  ^  Mae- 
strìa di  Clorinda  nel  trar 
dell'arco  ^  La  gran  torre  è 
spinta  davanti  ad  una  porta 
-^  Goffredo  ferito  -^  I  cri- 
stiani hanno  la  peggio  -jAf 
Arrivo  di  Tancredi  ^  Ero- 
timo  guarisce  Goffredo,  aiu- 
tato dair  angelo  custode  di 
lui  -^  Goffredo  pugna  con 
Argante  ^  Morte  di  Si- 
giero  -jif  La  notte  separa 
la  pugna  -^  Nel  riporta- 
re le  macchine  murali  al 
campo  cristiano,  si  fiaccano 
due  ruote  alla  gran  torre  i^ 
Si  mandano  fabbri  a  rac- 
conciarla, ed  uno  stuolo  a 
difenderla. 


1 
Ma  '1  Capitan  de  le  cristiane  genti 
Vòlto  avendo  a  l'assalto  ogni  pensiero, 
Giva  apprestando  i  bellici  instrumenti, 
Quando  a  lui  venne  il  solitario  Piero; 
E,  trattolo  in  disparte,  in  tali  accenti 
Gli  parlò  venerabile  e  severo: 
Tu  movi,  0  Capitan,  l'armi  terrene; 
Ma  di  là  non  cominci  onde  conviene. 


1.  Il  Guastavini  comincia  coH'osservare 
che  dei  cauti  compresi  fra  il  quarto  e  il 
diciottesimo,  «  questo  undecime  è  quello 
che  delle  cose  dell'istoria  tiene  più  ch'ogni 
altro;  anzi  che  di  quelle  per  la  maggior 
parte  consta...  Bene  queste  ad  ogni  modo 
sono,  come  a  favola  poetica  si  conveniva, 
in  guisa  variate,  illustrate  ed  accresciute 
di  altri  concetti  particolari,  che  niuna  quasi 
giurisdizione  v'  ha  più  sopra  l' istoria,  come 
facilmente  potrà  giudicare  chiunque  delle 
cose  di  que'  tempi  torrà  a  leggere  gli  scrit- 
tori . 


Sia  dal  Cielo  il  principio;  invoca  inanti 
Ne  le  preghiere  publiche  e  devote 
La  milizia  de  gli  Angioli  e  de'  Santi, 
Che  ne  impetri  vittoria  ella  che  puote: 
Preceda  il  clero  in  sacre  vesti,  e  canti 
Con  pietosa  armonia  supplici  note; 
E  da  voi,  duci  gloriosi  e  magni, 
Pietate  il  vulgo  apprenda  e  n'accompagni. 
3 

Cosi  gli  parla  il  rigido  romito; 
E'I  buon  Goffredo  il  saggio  avviso  appro- 
Servo,  risponde,  di  Giesù  gradito,     [va: 
Il  tuo  consiglio  di  seguir  mi  giova. 
Or  mentre  i  duci  a  venir  meco  invito, 
Tu  i  pastori  de'  popoli  ritrova. 


2,  1.  Sia  dal  Cielo  11  principio:  Cicerone, 
De  legibus  ii  3,  21:  *  ab  eodem  [love]  et  a 
ceteris  Diis  immortalibus  sunt  nobis  agendf 
capienda  initia  >. 


132 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Guglielmo  ed  Ademaro,  e  vostra  sia 
La  cura  de  la  pompa  sacra  e  pia. 
4 

Nel  seguente  mattino  il  vecchio  accoglie 
Co' duo  gran  sacerdoti  altri  minori, 
Ov'eiitro  al  vallo  tra  sacrate  soglie 
Soleansi  celebrar  divini  onori. 
Quivi  gli  altri  vestir  candide  spoglie; 
Vestir  dorato  ammanto  i  duo  Pastori, 
CJie  bipartito  sovra  i  bianchi  lini 
S'affibbia  al  petto;  e  incoronalo  i  crini. 
5 

Va  Piero  solo  inanzi,  e  spiega  al  vento 
Il  segno  riverito  in  Paradiso; 
E  segue  il  coro  a  passo  grave  e  lento, 
In  duo  lunghissimi  ordini  diviso. 
Alternando  facean  doppio  concento 
In  supplichevol  canto  e  in  umil  viso; 
E,  chiudendo  le  schiere,  ivano  a  paro 
I  principi  Guglielmo  ed  Ademaro. 
6 

Venia  posciailBuglion, pur,  comeèTuso 
Di  capitan,  senza  compagno  a  lato; 
Seguiano  a  coppia  i  duci,  e  non  confuso 
Seguiva  il  campo,  in  lor  difesa  armato. 
Si  procedendo  se  iruscia  del  chiuso 
De  le  trinciere  il  popolo  adunato; 
Né  s'udian  trombe  o  suoni  altri  feroci, 
Ma  di  pietate  e  d'umiltà  sol  voci. 
7 

Te  Genitor,  te  Figlio  eguale  al  Padre, 


E  te.  che  d'arabo  uniti  amando  spiri, 
E  te,  d'L'omo  e  di  Dio  Vergine  Madre, 
Invocano  propizia  a  i  lor  desiri; 
0  Di.ci.  e  voi  che  le  fulgenti  squadre 
Del  ciel  movete  in  triplicati  giri; 
0  Divo,  e  te,  che  de  la  diva  fronte 
La  monda  umanità  lavasti  al  fonte, 

Chiamano;  e  te  che  sei  pietra  e  sostegno 
De  la  magion  di  Dio  fondato  e  forte. 
Ove  ora  il  novo  successor  tuo  degno 
Di  grazia  e  di  perdono  apre  le  porte; 
E  gli  altri  méssi  del  celeste  regno, 
Che  divulgar  la  vincitrice  morte; 
E  quei  che  'i  vero  a  confermar  seguire, 
Testimoni  di  sangue  e  di  martiro: 
9 

Quegli  ancor  la  cui  penna  o  la  favella 
Insegnata  ha  del  Ciel  la  via  smarrita; 
E  la  cara  di  Cristo  e  fida  ancella 
Ch'elesse  il  ben  de  la  più  nobil  vita; 
E  le  vergini  chiuse  in  casta  cella, 


3,  7.  Gaglielmo  ed  Ademaro:  cfr.  la  nota 
al   e.  1   3S,  7:    ma   erano    ambedue    morti; 
l'anno  prima,  comescriveGugl.Tir.  {VIle9;.  j 
—  8.  pompa:  processione:  già  notato. 

i,  1.  Cosi  Guglielmo  Tirio  (vm  11)  de-' 
scrive  la  processione:  «  Die  statuta,  de  pu-  ' 
blico  decreto  indictae  sunt  universo  p:»pulo  , 
Letaniae,  et  assumptis  crucibus  et  sanato-  ] 
rum  patrociniis,  episcopi,  et  clerus  univer-  { 
BUS  inducti  sacerdotalibus  et  leviticis  indù- 
mentis,  nudis  pedibus  et  cum  multa  de- 
votione  populum  subsequentera  usque  ad 
montem  Oliveti  praecesserunt.  Ubi  vir  no-  ; 
bilis  Petrus  Haeremita  et  Arnulphus  Nor-  i 
raannorum  comitis  familiaris,  vir  literatus,  ! 
exhortationis  sermonem  habentes  ad  popu-  \ 
lum,  in  quantum  poterant  ad  longanimità-; 
tem  animabant  >.  —  5.  candide  spoglie:  come  I 
anche  i  bianchi  lini,  sono  i  camici.  —  6.  ; 
dorato  ammanto:  l'abito  episcopale.  —  8.  in-  j 
coronato:  colia  mitra. 

6,  2.  Il  segno  ecc.:  la  croce,  della  quale 
un  inno  della  Ciiiesa  canta:  «  Yesilla  regis 
prodeunt,  Fulget  crucis  misterium  ». 

7,  1.  Te  Genitor  ecc.:  Si  dicono  le  litanie 
secondo  l'ordine  tenuto  dalla  Chiesa.  —  te 
Figlio  eguale  ecc.:  come  scrive  Sant' Ago- 
stino, citato   dal  Birago  :   *  Pater  non  est 


unus,  sed  unus  cum  Alio  ».  —  2.  E  te  ecc.: 
lo  Spirito  Santo;  cfr.  .'=^ant' Agostino,  cit.  dal 
Birago:  «  Nec  est  genitus  nec  ingeuitus  sed 
procedit  ab  utroque,  hoc  est  a  patre  et  a 
filio  ».  Dante,  Par.  x  1  :  «  Guardando  nel  suo 
Figlio  con  l'amore  Che  l'uno  e  l'altro  eter- 
nalmente  spira.  Lo  primo  ed  ineffabile  va- 
lore ».  —  5.  0  dncl,  e  toI:  e  voi.  duci,  pre- 
posti alie  tre  gerarchie  angeliche.  —  7. 
0  diro,  e  te:  S.  Giovanni  Battista.  Costrui- 
sci: E  te,  o  Divo,  che  lavasti  al  fonte  (bat- 
tezzasti) la  monda  (senza  macchia)  umanità 
de  la  diva  fronte  [di  Cristo];  cfr.  San  Mat- 
teo XVI  18. 

8,  1.  e  te:  ecc.  San  Pietro,  a  cui  Cristo 
disse:  «  Tu  es  Petrus,  et  super  hanc  petram 
aediScabo  ecclesiam  meam  ».  —  *2.  fon- 
dato. Alcune  fonti  leggono  fondatay  rife- 
rendolo a  mapion.  Su  la  variante  vedi  in 
Solerti  le  dotte  osservazioni  del  Cavedoni, 
del  Colombo  e  del  Gherardini.  —  3.  il  novo 
gocressor:  intende  dei  papi  che  successero 
a  San  Pietro,  i  quali  avevano  ristesse  po- 
tere che  l'apostolo,  a  cui  Cristo  disse:  «  tibi 
dabo  claves  regni  caelorum,  et  quodcumque 
ligaveris  super  terram  erit  ligatum  et  in 
caelis;  et  quodcumque  solveris  super  ter- 
ram erit  solutum  et  in  caelis  ».  —  5.  méssi, 
gli  apostoli.  —  6.  la  rincitrice  morte:  la 
morte  del  Redentore  che  vinse  l'Inferno. 
—  S.  Testimoni  ecc.,  testimoniandolo  col 
sangue  e  col  martirio:  i  martiri. 

9,  1-2.  Quegli  ecc.  :  i  dottori  e  i  predica- 
to;i  della  Chiesa.  —  3-4.  E  la  cara  di  Cri- 
sto: Maria  di  Betauia  (secondo  lo  Scartazz.), 
sorella  di  Marta,  elesse  il  ben  de  la  più 
nobil  vita^  cioè  della  vita  contemplativa, 
più  nobile  dell'attiva.  —  5.  rerglni:  le  ver- 


CANTO  XI 


133 


Che  Dio  con  alte  nozze  a  sé  marita; 
E  quell'altre,  magnanime  a  i  tormenti, 
Sprezzatrici  de'  regi  e  de  le  genti. 

10 
Cosi  cantando,  il  popolo  devoto 
Con  larghi  giri  si  dispiega  e  stende, 
E  drizza  a  TOliveto  il  lento  moto; 
Monte  che  da  Tolive  il  nome  prende; 
Rionte  per  sacra  fama  al  mondo  noto, 
Ch'orientai  centra  le  mura  ascende; 
E  sol  da  quelle  il  parte  e  ne  '1  discosta 
La  cupa  Giosafà  ch'in  mezzo  è  posta. 

11 
Colà  s'invia  l'esercito  canoro, 
E  ne  suonan  le  valli  ime  e  profonde 
E  gli  alti  colli  e  le  spelonche  loro, 
E  da  ben  mille  parti  Eco  risponde; 
E  quasi  par  che  boscareccio  coro 
Fra  quegli  antri  si  celi  e  in  quelle  fronde; 
Si  chiaramente  replicar  s'udia 
Or  di  Cristo  il  gran  nome,  or  di  Maria. 

12 
D'in  su  le  mura  ad  ammirar  fra  tanto 
Cheti  si  stanno  e  attoniti  i  Pagani 
Que'  tardi  avvolgimenti  e  l'umil  canto, 
E  l'insolite  pompe  e  i  riti  estrani. 
Poi  che  cessò  de  Io  spettacol  santo 
La  novitate,  i  miseri  profani 
Alzar  le  strida;  e  di  bestemmie  e  d'onte 
Muggì  il  torrente  e  la  gran  valle  e  '1  monte. 

13 
Ma  da  la  casta  melodia  soave 
La  gente  di  Giesù  però  non  tace; 


gini  suore.  —  7.  quell'altre:   le  sante  màr- 
tiri. 

10,  3.  E  drizza:  cfr.  per  la  verità  storica, 
le  parole  del  Tirio  nella  nota  alla  st.  4,  1. 
—  6'  Ch'orientai  ecc.:  Gugl.  Tir.  viii  11: 
«  Est  mons  Oliveti  urbi  ab  oriente  opposi- 
tus,  ab  urbe  quasi  miliare  distans,  valle 
losaphat  interiecta  ».  —  S.  La  cupa  Giosafà: 
detta  ancora  valle  di  Cedron,  nome  del  tor- 
rente che  la  bagna:  cupa  perché  ha  poca 
luce,  e  perché  sparsa  di  tombe.  Più  minu- 
tamente descritta  nella  Conquisi. 

12.  Guastavini:  «Dall'istoria  tutta  la 
stanza  ».  Nel  fatto  è  una  rifioritura  poetica 
di  queste  parole  di  Gugl.  Tir.  viii  11:  «  Ci- 
ves  autem  et  turribus  et  muro  positi  ad- 
mirantes  quid  sibi  vellet  hulusmodi  populi 
circuitus,  arcubus  et  balistis  tela  in  turmas 
iaculabantur  ».  Ma  è  da  osservarsi  per  la 
st.  seg.  che  il  Tirio  pone  che  qualcuno  dei 
cristiani  rimaneva  ferito,  il  che  sembra 
escluso  dal  Tasso.  — 8,  torrente:  Cedron  — 
la  gran  ralle:  Giosafat.  —  monte:  i  monti 
Sion,  Moria  ed  altri  vicini. 

13,  2.  non  tace:  non  si  rimane,  non  si 
astiene:  costrutto  insolito,  e  che  richiama 


Né  si  volge  a  que'  gridi,  o  cura  n'have 
Più  che  di  stormo  avria  d'augei  loquace: 
Né,  perché  strali  avventino,  ella  pavé 
Che  giungano  a  turbar  la  santa  pace 
Di  si  lontano;  onde  a  suo  fin  ben  potè 
Condur  le  sacre  incominciate  note. 
14 

Poscia  in  cima  del  colle  ornan  l'altare, 
Che  di  gran  cena  al  sacerdote  è  mensa; 
E  d'arabo  i  lati  luminosa  appare 
Sublime  lampa  in  lucido  oro  accensa. 
Quivi  altre  spoglie,  e  pur  dorate  e  care. 
Prende  Guglielmo,  e  pria  tacito  pensa. 
Indi  con  chiaro  suon  la  voce  spiega, 
Séstesso  accusa,  e  Dio  ringraziae  prega. 
15 

Umili  intorno  ascoltano  i  primieri; 
Le  viste  ì  più  lontani  almen  v'han  fisse. 
Ma,  poi  che  celebrò  gli  alti  misteri 
Del  puro  sacrificio:  Itene,  ei  disse; 
E  in  fronte  alzando  a  i  popoli  guerrieri 
La  man  sacerdotal,  li  benedisse. 
Allor  se  'n  ritornar  le  squadre  pie 
Per  le  dianzi  da  lor  calcate  vie. 

16  ^ — "^'"^ 


Giunti  nel  vallo,  e  l'ordine  disciolto/ 
Si  rivolge  Goffredo  a  sua  magione; 
E  l'accompagna  stuol  calcato  e  folto 
In  sino  al  limitar  del  padiglione. 
Quivi  gli  altri  accommiata  in  dietro  vòlto; 
Ma  ritien  seco  i  duci  il  pio  Buglione, 
E  li  raccoglie  a  mensa,  e  vuol  ch'a  fronte 
Di  Tolosa  gli  sieda  il  vecchio  conte. 
17 

Poi  che  de'  cibi  il  naturai  amore 
Fu  in  lor  ripresso  e  l'importuna  séte, 
Disse  a  i  duci  il  gran  duce  :  Al  novo  albore 
Tutti  a  l'assalto  voi  pronti  sarete; 
Quel  fia  giorno  di  guerra  e  di  sudore, 
Questo  sia  d'apparecchio  e  di  quiete: 


il  dantesco  [Vita  nova,  xvii  4)  ;  «  Avvegna- 
ché sempre  poi  tacessi  di  dire  a  lei  (mi 
astenessi  di  parlare  a  lei  direttamente). 

14,  2.  di  gran  cena:  la  gran  cena  è  il  sa- 
crificio eucaristico  che  fu  instituito  dal  Si- 
gnore nella  cena  con  gli  Apostoli.  In  Dante, 
Beatrice,  con  frase  derivata  dall'Apocalisse, 
chiama  i  beati  (P^<r.  xxiv  1):  «O  sodalizio 
eletto  alla  gran  cena  Del  benedetto  Agnel- 
lo ».  —  5.  altre  spoglie:  la  pianeta.  —  7.  con 
chiaro  suon  la  Toce  spiega:  cosi  pure  la 
CONQ.  ;  ma  Os.  Vi  voce  in  chiaro  suon  di- 
spiega. —  8.  Sé  stesso  accusa:  dice  il  «  Con- 
fiteor ». 

15,  3.  alti  misteri:  la  méssa.  —  4.  Itene: 
parole  della  méssa:  «Ite,  raissa  est  »>. 

17, 1.  Poi  che  de'  cibi  ecc.  Virg.,  Aen.  viii 
184:  «Postquani  excmpta  fames,  et  amor 
corapressus  edendi  », 


134 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Dunque  ciascun  vada  al  riposo,  e  poi 
Sé  medesmo  prepari  e  i  guerrier  suoi. 

18 

Tolser  essi  congedo;  e  manifesto 
Quinci  gli  araldi  a  suon  di  trombe  fero 
Ch'essere  aTarme  apparecchiato  e  presto 
Dee  con  la  nova  luce  ogni  guerriero. 
Cosi  in  parte  al  ristoro,  e  in  parte  questo 
Giorno  si  diede  a  l'opre  ed  al  pensiero; 
Sin  che  fé'  nova  tregua  a  la  fatica 
La  cheta  notte  del  riposo  amica. 
19 

Ancor  dubbia  l'aurora,  ed  immaturo 
Ne  l'oriente  il  parto  era  del  giorno; 
Né  i  terreni  fendea  l'aratro  duro, 
Né  fea  il  pastore  a  i  prati  anco  ritorno  : 
Stava  tra  i  rami  ogni  augellin  securo; 
E  in  selva  non  s'udia  latrato  o  corno; 
Quando  a  cantar  la  matutina  tromba 
Comincia  A  l'arme;  A  Tarme,  il  del  rim- 

20  [bomba. 
A  l'arme,  A  l'arme,  sùbito  ripiglia 

Il  grido  universal  di  cento  schiere. 
Sorge  il  forte  Goffredo,  e  già  non  piglia 
La  gran  corazza  usata  o  le  schinere; 
Ne  veste  un'altra,  ed  un  pedon  somiglia 
In  arme  speditissime  e  leggiere: 
Ed  in  dosso  avea  già  l'agevol  pondo, 
Quando  gli  sovragiunse  il  buon  Raimoii- 

21  [^0. 
Questi,  veggendo  armato  in  cotal  modo 

Il  Capitano,  il  suo  pensier  comprese: 
Ov'è,  gli  disse,  il  grave  usbergo  e  sodo? 
Ov'è,  signor,  l'altro  ferrato  arnese? 
Perché  sei  parte  inerme?  Io  già  non  lodo 
Che  vada  con  si  debili  difese. 
Or  da  tai  segni  in  te  ben  argomento 
Che  sei  di  gloria  ad  umil  mèta  intento. 
22 
Deh!  che  ricerchi  tu?  privata  palma 
Di  salitor  di  mura?  Altri  le  saglia, 
Ed  esponga  men  degna  ed  util  alma 


19,  1.  Ancor  dabbia  l'anrora:  Gentile:  «  Di 
tutte  le  descrizioni  del  giorno»cheil  T.  ha 
fatte,  credo  che  questa  sia  la  più  vaga. 
Alla  quale  ne  trovo  una  simile...  d'Accio 
poeta...  nel  suo  Enomao:  —  Ferte  ante 
auroram  radiorum  ardentum  indicem.Cum 
somno  in  segetem  agrestes  cornutos  cient; 
Ut  rorulentas  terras  ferro  rosidas  Froscin- 
dant  glebas,  arvoque  ex  molli  excitent  ».  — 
7-8.  Virg.,  Aeri,  ix  503:  «  Ac  tuba  terribi- 
lem  sonitum  procul  aere  canoro  Increpuit: 
sequitur  clamor  caelumque  remugit  «•. 

20,  4.  schinere:  arnesi  che  difendevano 
le  gambe. 

21,  4.  l'altro  ferrato  arnese:  il  resto  del- 
l'armatura. 


(Rischio  debito  a  lui)  ne  la  battaglia. 
Tu  riprendi,  signor,  l'usata  salma, 
E  di  te  stesso  a  nostro  prò  ti  caglia. 
L'anima  tua,  mente  del  campo  e  vita, 
Cautamente  per  Dio  sia  custodita. 
23 

Qui  tace;  ed  ei  risponde:  Or  ti  sia  noto 
Che  quando  in  Chiaramonte  il  grande  Ur- 
Questa  spada  mi  cinse,  e  me  devoto  [bano 
Fé'  cavalier  l'onnipotente  mano, 
Tacitamente  a  Dio  promisi  in  vóto 
Non  pur  l'opera  qui  di  cajìitano, 
Ma  d' impiegarvi  ancor,  quando  che  fosse, 
Qual  privato  guerrier  l'arme  e  le  posse. 
24 

Dunque,  poscia  che  fian  centra  i  nemici 
Tutte  le  genti  m\e  mosse  e  disposte, 
E  ch'a  pieno  adempito  avrò  gli  uffici 
Che  son  dovuti  al  principe  de  l'oste, 
Ben  è  ragion  (né  tu,  credo,  il  disdici) 
Ch'a  le  mura  pugnando  anch'io  m'accoste, 
E  la  fede  promessa  ai  Cielo  osservi: 
Egli  mi  custodisca  e  mi  conservi. 
25 

Qosi  concluse;  e  i  cavalier  Francesi 
Seguir  l'esempio  e  i  duo  minor  Buglioni. 
Gli  altri  principi  ancor  men  gravi  arnesi 
Parte  vestirò,  e  si  mostrar  pedoni. 
Ma  i  Pagani  fra  tanto  erano  ascesi 
Là  dove  a  i  sette  gelidi  Trioni 
Si  volge,  e  piega  a  l'occidente  il  muro, 
Che  nel  più  facil  sito  è  men  securo. 
26 

Però  ch'altronde  la  città  non  teme 
De  l'assalto  nemico  offesa  alcuna. 
Quivi  non  pur  l'empio  tiranno  insieme 
11  forte  vulgo  e  gii  assoldati  aduna; 
Ma  chiama  ancor  a  le  fatiche  estreme 


22,  4.  debito  a  lui:  cfr.  e.  v  6,  6.  —  5. 
salma:  vale  propriam.  peso:  qui,  peso  del- 
l'arme. —  7.  mente  ecc.  :  si  è  già  altre  volte 
osservato  che  Goffredo  era  al  campo  ciò 
che  è  la  mente  al  corpo  ;  deve  dirigere,  non 
fare  l'ufficio  del  braccio. 

23,  2.  Chiaramonte:  dove  Urbano  II  (il 
grande  Urbano)  convocò  il  consiglio.  —  5. 
Tacitamente:  entro  il  cuore.  —  6.  por:  so- 
lamente, 

•25,  6.  sette  gelidi  Trioni:  Mella:  «Gli  an- 
tichi davano  alla  costellazione  dell'orsa 
maggiore  e  minore,  composte  amendue  di 
sette  stelle,  il  nome  de'  sette  trioni^  che  in 
latino  vale  «buoi  »;  idea  risvegliata  dalla 
loro  somiglianza  a  due  carri  ».  —  7-S.  Il 
muro  verso  tramontana  è  meno  sicuro, 
perché  in  sito  che  offre  maggior  facilità 
agli  assalti  nemici. 

26,  1.  altronde:  dalle  altre  parti.  —  5. 
Ma  ecc.  Dall'istoria,    annota  il   GuastavJni. 


CANTO  XI 


135 


Fanciulli  e  vecchi  rultlma  fortuna; 
E  van  questi  portando  a  i  più  gagliardi 
Calce  e  zolfo  e  bitume  e  sassi  e  dardi. 
27 

Edi  macchine  e  d'arme han  pieno  inante 
Tutto  quel  muro,  a  cui  soggiace  il  piano. 
E  quinci  in  forma  d'orrido  gigante 
Da  la  cintola  in  su  sorge  il  Soldano; 
Quindi  tra' merli  il  minaccioso  Argante 
Torreggia,  e  discoperto  è  di  lontano; 
E  in  su  la  torre  altissima  Angolare 
Sovra  tutti  Clorinda  eccelsa  appare. 
28 

A  costei  la  faretra  e  '1  grave  iucarco 
De  l'acute  quadrella  al  tergo  pende. 
Ella  già  ne  le  mani  ha  preso  l'arco, 
E  già  lo  strai  v'ha  su  la  corda,  e  '1  tende; 
E  desiosa  di  ferire,  al  varco 
La  bella  arciera  i  suoi  nemici  attende. 
Tal  già  credean  la  vergine  di  Delo 
Tra  l'alte  nubi  saettar  dal  cielo. 
29 

Scorre  più  sotto  il  re  canuto  a  piede 
Da  l'una  a  l'altra  porta:  e  'n  su  le  mura 
Ciò  che  prima  ordinò  cauto  rivede, 
E  i  defensor  conforta  e  rassecura; 
E  qui  gente  rinforza,  e  là  provede 
Di  maggior  copia  d'arme  e  '1  tutto  cura. 
Ma  se  ne  van  l'afflitte  madri  al  tempio 
A  ripregar  nume  bugiardo  ed  empio. 


Gugl,  Tir.  vili  13:  «  Non  erat  in  tanto  pò 
pulo  senex  aut  valetudinarins  atque  aetate 
iunior!  quem  non  moveret  zelus,  et  devo- 
tionis  ferver  non  accenderei  ad  pugnam  : 
sed  et  mulieres  oblitae  sexus,  et  insolitae 
fragilitatis  immemores,  tractantes  virilia, 
supra  vires  arraorum  usum  apprehendere 
praesumebant  ».  —  estreme,  ultime;  perché 
il  pericolo  (fortuna)  che  li  chiamava  a  so- 
stenerle era  l'ultimo.  —  Virg.,  Aen.  xi473: 
«  Praefodiuut  alii  portas  aut  saxa  sudesque 
Subvectant:  bello  dac  signum  rauca  cruen 
tum  ]>ucina;  tum  muros  varia  cinxere  co- 
rona Matronae  puerique:~  vocat  labor  ul- 
timiis  omnes  ». 

27,  1-2.  Questo  pure  dall'istoria.  —  4. 
Dante,  Inf.  x33:  «  Vedi  là  Farinata  che  s'è 
dritto:  Dalla  cintola  in  su  tutto  il  vedrai  ». 
—  6.  Torreggia:  Dante,  Inf.  xxxi  43:  «  Tor 
reggiavan  di  mezzo  la  persona  Gli  orribili 
giganti  ».  —  *  7.  Angolare.  Cfr .  e.  in  64,  n.  S. 

23,  1.  la  faretra:  Virg'ilio,  di  Camilla, 
Aen.  XI  6b:i:  «  Aureus  ex  humero  sonat  ar- 
cus  et  arma  Dianae  *.  —  7-8.  la  vergine  di 
Delo  ecc.:  Diana,  nata  in  Delo,  si  adirò  con- 
tro Niobe,  e  aiutata  dal  fratello  Apollo,  uc- 
cise con  saette  lei  e  i  suoi  quattordici  figli. 

29,  7-8.  Virg.,  Aen.  xi  181:  «  Succedunt 
matres  et  templum  thure  vaporant,  Et  mae- 
Staa  alto  fundunt  de  limine  voces  ». 


30 

Deh!  spezza  tu  del  predator  Francese 
L'asta,  Signor,  con  la  man  giusta  e  forte; 
E  lui,  che  tanto  il  tuo  gran  nome  offese, 
Abbatti  e  spargi  sotto  l'alte  porte. 
Cosi  dicean;  né  fur  le  voci  intese 
Là  giù  tra  '1  pianto  de  l'eterna  morte. 
Or,  mentre  la  città  s'appresta  e  prega, 
Le  genti  e  l'arme  il  pio  Buglion  dispiega. 
31 

Tragge  egli  fuor  l'esercito  pedone 
Con  molta  previdenza  e  con  bell'arte; 
E  centra  il  muro,  ch'assalir  dispone, 
Obliquamente  in  duo  lati  il  comparte. 
Le  baliste  per  dritto  in  mezzo  pone, 
E  gli  altri  ordigni  orribili  di  Marte; 
Onde  in  guisa  di  fulmini  si  lancia 
Vèr'  le  merlate  cime  or  sasso,  or  lancia. 
32 

E  mette  in  guardia  i  cavalier  de'  fanti 
Da  tergo,  e  manda  intorno  i  corridori. 
Dà  il  segno  poi  de  la  battaglia,  e  tanti 
I  sagittari  sono  e  i  frombatori 
E  l'arme  da  le  macchine  volanti. 
Che  scemano  fra  i  merli  i  difensori; 
Altri  v'  è  morto,  e  '1  loco  altri  abbandona; 
Già  men  folta  del  muro  è  la  corona. 
33 

La  gente  Franca  impetuosa  e  ratta 
Allor  quanto  più  puote  affretta  i  passi; 
E  parte  scudo  a  scudo  insieme  adatta, 
E  di  quegli  un  coperchio  al  capo  fassi; 
E  parte  sotto  macchine  s'appiatta 
Che  fan  riparo  al  grandinar  de'  sassi; 
Ed  arrivando  al  fosso,  il  cupo  e  '1  vano 
Cercano  empirne,  ed  adeguarlo  al  piano. 


30,  1.  Deh,  spezza  ecc.  Virg.,  Aen.  xi  483: 
«  Armipotens  praeses  belli,  Tritonia  virgo, 
Frange  manu  telum  Phrygii  praedonis,  et 
ipsum  Pronum  sterne  solo,  portisque  ef- 
funde  sub  altis  ».  —  4.  spargi:  disperdi.  — 
6.  tra  '1  pianto  ec:  nell'inferno. 

32,  8.  Già  nieu  folta  ecc.  Virg.,  Aen.  ix 
506:  ■«  Interlucetque  corona  Non  tam  spissa 
viris  ».  —  corona:  Guastavini:  «  la  mol- 
titudine dei  difensori  congregata  in  cer- 
chio ». 

33,  1.  Che  il  fatto  succedesse  a  un  di 
presso  cosi,  è  narrato  da  Gugl.  Tir.  xiii  13. 
—  3.  scudo  a  scndo  ecc.:  formano  la  testug- 
gine. Guastavini:  «  Alcuni  de'  concetti  della 
presente  stanza  e  delle  sei  seguenti  sono 
tolti  da  Virgilio  nel  nono...  ma  con  giunte 
ed  accrescimento  di  molt'altri  per  entro  »; 
il  passo  citato  deWAen.  è  il  seguente  ix  £.05  : 
«  Accelerant  acta  pariter  testudine  Volsci, 
Et  fossas  implere  parant  et  veliero  valium  »  ; 
anche  altrove,  ii  413>  «  clipeosque  ad  tela 
siuistria  Protecti  obiiciunt  ». 


136 


GERUSALEMME  LIBERATA 


34 

Non  era  il  fosso  di  palustre  limo 
(Chéno'l  consente  il  loco)  0  d'acqua  molle, 
Onde  l'empieno,  ancor  che  largo  ed  imo, 
Le  pietre,  e  i  fasci  e  gli  arbori  e  le  zolle. 
L'audacissimo  Alcasto  in  tanto  il  primo 
l:^cop^e  la  testa,  ed  una  scala  estolle; 
E  no  '1  ritien  dura  graguuola  o  pioggia 
Di  fervidi  bitumi,  e  su  vi  poggia, 
35 

Vedeasi  in  alto  il  fier  Elvezio  asceso 
Mezzo  l'aereo  calle  aver  fornito, 
Segno  a  mille  saette,  e  non  offeso 
D'alcuna  si  che  fermi  il  córso  ardito; 
Quando  un  sasso  ritondo  e  di  gran  peso, 
Veloce  come  di  bombarda  uscito, 
Ne  l'elmo  il  coglie,  e  il  risospingeabasso; 
E  '1  colpo  vien  dal  lanciator  Circasso. 
36 

Non  è  mortai,  ma  grave  il  colpo  e  '1  salto 
Si,  ch'ei stordisce,  e  giaceimmobil  pondo. 
Argante  allor  in  suon  feroce  ed  alto  : 
Caduto  è  il  primo,  or  chi  verrà  secondo? 
Che  non  uscite  a  manifesto  assalto, 
Appiattati  guerrier,  s'io  noii  m'ascondo? 
Non  gioveranvi  le  caverne  estrane; 
Ma  vi  morrete  come  belve  in  tane. 
37 

Cosi  dice  egli;  e  per  suo  dir  non  cessa 
La  gente  occulta;  e  tra  i  ripari  cavi 
E  sotto  gli  alti  scudi  unita  e  spessa. 
Le  saette  sostiene  e  i  pesi  gravi: 
Già  gli  arièti  a  la  muraglia  appressa, 
Macchine  grandi  e  smisurate  travi, 
C'han  testa  di  monton  ferrata  e  dura: 
Temon  le  porte  il  cozzo,  e  l'alte  mura. 


34,  1-4.  Intendi:  il  fosso  era  bensi  largo 
e  profondo  (t/uo),  ma  vóto  di  fango  e  di 
acqua,  onde  facilmente  potè  riempirsi  con 
pietre  ecc.  —  5.  Alcasto:  benché  le  tre 
stampe  Bon.  e  quella  dtir  Os.  leggano  Adra- 
sto, ho  creduto  dover  seguire  le  migliori 
stampe  moderne  le  quali  d'accordo  col  ms. 
Oalvani  (cfr.  l'ediz.  della  G.  L.  Lodi.  1ò2ò), 
portano  Alcasto  ;  perché  al  duce  degli  el- 
vezi  fu  già  dal  T.  dato  cotal  nome  nella  ri- 
vista del  e.  I  63,  1.  —  8.  fervidi  bitami  :  bi- 
tumi incendiati.  Cfr.  xii  17,  3-1. 

35,  8.  Circasso:  Argante. 

36,  1.  salto:   salto  che   fece  cadendo.   - 
5-6.  Rimprovero  imitato  da  Virgilio  {Aen. 
IX  59S)  «  Non  pudet  obsidione  iterum  vallo-  ; 
que  teneri,  Bis  capti  Phryges  et  morti  prae-  j 
tendere  muros?  »  j 

37,  5.  arieti:   macchine  guerresche  che,  I 
cozzando,   disgregavano  i    muri:    come    è; 
spiegato  nei  tre  versi  seg.,  dei  quali  i  due 
primi    sono    messi    come    apposizione    ad 
arieti:  ed  appressa  dipende  da  gente  del  j 
secondo  verso,  I 


38 

Gran  mole  in  tanto  è  di  là  su  rivolta 
Per  cento  mani  al  gran  bisogno  pronte, 
Che  sovra  la  testuggine  più  folta 
Rnina,  e  par  che  vi  trabocchi  un  monte; 
E,  de  gli  scudi  l'union  disciolta, 
Più  d'un  elmo  vi  frange  e  d'una  fronte; 
E  ne  riman  la  terra  sparsa  e  rossa 
D'arme,  di  sangue,  di  cervella  e  d'ossa. 
39 

L'assalitore  allor  sotto  il  coperto 
De  le  macchine  sue  più  non  ripara; 
Ma  da  i  ciechi  perigli  al  rischio  aperto 
Fuori  se  n'esce,  e  sua  virtù  dichiara. 
Altri  appoggia  le  scale,  e  va  per  l'erto; 
.\ltri  percote  i  fondamenti  a  gara. 
Ne  crolla  il  muro,  e  ruinoso  i  fianchi 
Già  fesso  mostra  a  l'impeto  de'  Franchi, 
40 

E  ben  cadeva  a  le  percosse  orrende. 
Che  doppia  in  lui  l'espugnator  montone; 
Ma  sin  da'  merli  il  popolo  il  difende 
Con  usata  di  guerra  arte  e  ragione; 
Ch'ovunque  la  gran  trave  in  lui  si  stende 
Cala  fasci  di  lana,  e  li  frapone: 
Prende  in  sé  le  percosse  e  fa  più  lente 
La  materia  arrendevole  e  cedente. 
41 

Mentre  con  tal  valor  s'erano  strette 
L'audaci  schiere  a  la  tenzon  murale, 
Curvò  Clorinda  sette  volte,  e  sette 
Rallentò  l'arco  e  n'avventò  lo  strale: 


3S,  1-6,  Virg,,  Aen.  ix  512:  «  Saxa  quoque 
infesto  volvebant  pondere,  si  qua  Possent 
tectam  aciem  perrumpere,  quum  tamen 
oranes  Ferre  iuvat  subter  densa  testudine 
casus.  Nec  iam  sufficiunt:  nam,  qua  globus 
iraminet  ingens  Immanem  Teucri  molem 
volvuntque  ruuntque,  Quae  stravit  Rutulos 
late,  arraorumque  resolvit  Tegmina  ».  — 
7.  E  ne  rlnian  ecc  :  Virg.,  Aeyi.  ix  753: 
«  atque  arma  cruenta  cerebro  Sternit  humi 
moriens  ». 

39,  1,  L'assalitore  ecc.  Virg.,  Aen.  ix, 
518:  «nec  curaut  caeco  contendere  Marte 
Amplius  audaces  Rutuli  ».  —  *  sotto  il.  Os. 
e  altri  sotto  al. 

40,  3.  Ma  sia  da' merli  ecc:  Gugl,  Tir. 
vili  13;  «  cives  a  propugnaculis,  stramine 
et  palei  plenos  saccos  suspenderant,  restes 
quoque  et  tapetia,  trabes  ingentis  magni- 
tudiuis,  et  culcitras  refectas  bombice,  et  a 
turribus  et  murisaliquantulum  dimiserant, 
ut  per  eorum  moUiciem  et  mobilitatem  con- 
tortorum  molarium  ictus  eliderent,  et  la- 
borantiumevacuarentconatum».  —6. Cala  .. 
e  li:  cosi  pure  la  Conq.;  ma  Os.  Colà... 
egli. 

41,  2.  tenzon  murale:  combattimento  non 


CANTO  XI 


137 


E  quante  in  giù  se  ne  volar  saette, 
Tante  s'insauguinaro  il  ferro  e  l'ale, 
Non  di  sangue  plebeo,  ma  del  più  degno: 
Che  sprezza  quell'altera  ignobil  segno. 
42 

Il  primo  cavalier  ch'ella  piagasse. 
Fu  l'erede  minor  del  rege  inglese. 
Da'  suoi  ripari  a  pena  il  capo  ei  trasse, 
Che  la  mortai  percossa  in  lui  discese; 
E  che  la  destra  man  non  gli  trapasse 
Il  guanto  de  Tacciar  nulla  contese; 
Si  che  inabile  a  l'arme  ei  si  ritira 
Fremendo,  e  meno  di  dolor  che  d'ira. 
43 

Il  buon  conte  d'Arabuosa  in  ripaalfosso, 
E  su  la  scala  poi  Clotareo  il  Franco  : 
Quegli  mori  trafitto  il  petto  e  '1  dosso; 
Questi  da  l'un  passato  a  l'altro  fianco. 
Sospingeva  il  monton,  quando  è  percosso 
Al  signor  de'  Fiamminghi  il  braccio  man- 
ico; 
Si  che  travia  s'allenta,  e  vuol  poi  trarne 
Lo  strale,  e  resta  il  ferro  entro  la  carne. 
44 

A  l'incauto  Adeniar,  ch'era  da  lunge 
La  fera  pugna  a  riguardar  rivolto, 
La  fatai  canna  arriva,  e  in  fronte  il  punge. 
Stende  ei  la  destra  al  loco  ove  l'ha  còlto, 


in  campo  aperto  ma  sotto  le  mura.  —  5. 
E  quante  in  giii  ecc.:  Omero,  in  persona  di 
Teucro,  II.  viii,  trad.  del  Guastavini:  «  Dopo 
che  verso  Troia  gli  abbiamo  cacciati,  - 
D'allora  in  qua  con  gli  archi  cogliendoli, 
gli  uomini  ammazzo.  -  Otto  già  ho  lanciato 
saette  con  le  punte  distese,  -  E  tutte  nel 
corpo  sono  state  fitte  di  uomini  bellicosi  ». 
E  Virgilio,  di  Camilla,  Aen.  XI  676:  e  Quot- 
que  emissa  manu  coutorsit  spicula  virgo, 
Tot  Phrygii  cecidere  viri  ».  —  7.  Non  di 
sangue  plebeo  ecc.:  Medoro  nell'Ariosto, 
Ori.  xviii  178:  «La  spada  di  Medoro  anco 
non  ebe.  Ma  si  sdegna  ferir  T  ignobil  plebe  ». 

42,  2.  erede  minor:  Guglielmo  principe 
inglese:  cfr.  i  41,  4.  —  6.  Il  guanto:  la  ma- 
nopola; de  l'acciar:  lo  stesso  che  «  d'ac- 
ciar  ». 

43,  1.  Il  buon  conte  d'Àmbaosa,  Stefano. 
Cfr.  I  62.  —  5.  Sospingeva  ecc.:  Intendi:  Il 
signor  dei  Fiamminghi  (Roberto:  Cfr.  e.  i 
43-44)  sospingeva  il  montone,  allor  quando 
fu  ferito  nel  braccio  sinistro  >.  —  7.  e  vuol 
poi  trarne  ecc.:  Virg.,  Aen.  xi  816:  «Illa 
manu  moriens  telum  trahit;  ossa  sed  inter 
Ferreus  ad  costas  alto  stat  vulnere  mucro  ». 

44,  4.  ore  l'ha  còlto:  cosi  pure  Conq.  ma 
Os.  ove  fu.  Virg.,  Aen.  ix  577:  «  lUe  manum 
proiecto  tegmiiie  demens  Ad  vulnus  tulit; 
ergo  alis  allapsa  sagitta,  Et  laevo  infixa  est 
lateri  manus  <•,  E  Ovidio,  Met.  xii  385:  «Et 
iaculum  torsi,   quod  cum   vitare  nequiret, 


Quando  nova  saetta  ecco  sorgiunge 
Sovra  la  mano,  e  la  configge  al  vólto: 
Onde  egli  cade,  e  fa  del  sangue  sacro 
Su  l'arme  femiuili  ampio  lavacro. 
45 

Ma  non  lungi  da'  merli  a  Palamede, 
Mentre  ardito  disprezza  ogni  periglio, 
E  su  per  gli  erti  ,«-radi  indrizza  il  piede, 
Cala  il  settimo  ferro  al  destro  ciglio; 
E,  trapassando  per  la  cava  sede 
E  tra'  nervi  de  l'occhio,  esce  vermiglio 
Di  retro  per  la  nuca:  egli  trabocca, 
E  more  a'  pie  de  l'assalita  ròcca. 
46 

Tal  saetta  costei.  Goffredo  in  tanto 
Con  novo  assalto  i  difensori  opprime. 
Avea  condotto  ad  una  porta  a  canto 
De  le  macchine  sue  la  più  sublime. 
Questa  è  torre  di  legno,  e  s'erge  tanto, 
Che  può  del  muro  pareggiar  le  cime; 
Torre  che  grave  d'uomini  ed  armata. 
Mobile  è  su  le  rote,  e  vien  tirata. 
47 

Viene  avventando  la  volubil  mole 
Lancie  e  quadrella,  e  quanto  può  s'accosta: 
E,  come  nave  in  guerra  a  nave  suole. 
Tenta  d'unirsi  a  la  muraglia  opposta: 
Ma  chi  lei  guarda  ed  impedir  ciò  vuole, 
L'urta  la  fronte  e  l'una  e  l'altra  costa, 
La  respinge  con  l'aste  e  le  percote 
Or  con  le  pietre  i  merli  ed  or  le  rote. 
48 

Tanti  di  qua,  tanti  di  là  fur  mossi 


Opposuit  dextram  passurae  vulnera  fronti  ». 
—  8.  feminili:  perché  lanciate  da  Clorinda. 
46,  1.  Palamede:  cfr.  1  55,  6. 

46,  4.  Tasso  {Lett.  35):  *  Fu  tempo  ch'io 
mi  credetti  che  si  potesse  fare  una  torre  o 
altra  machina  tale  da  oppugnare  le  mura, 
stabile  e  di  legno:  ho  poi  imparato  che  sta- 
bile e  di  legno  ne  l'arti  de  la  guerra  sono 
termini  incompatibili;  perché  le  stabili  si 
fanno  di  terra  o  di  pietra,  e  le  mobili  di 
legno;  si  che  volendo  fare  questa  torre  di 
legno,  per  farla  più  facilmente  sottoposta 
a  l'incendio  ecc.  ».  —  7-8.  Virg.,  Aen.  xii 
674:  «  Turrim,  compactis  traoibus  quam 
eduxerat  ipse,  Subdideratque  rotas,  ponte- 
sque  instraverat  altos  ». 

47,  1,  la  volubil  mole:  è  la  macchina  che 
si  volge, gira  sulle  ruote.  —  4.  Tonta  d'unirsi  : 
Gugl.  Tir.,  vili  13,  scrive  che  i  cristiani 
♦<  praeparatas  machinas  nitebantur  muro 
propius  adiungere,  ut  facilius  eos  qui  a  tur- 
ribus  et  muro  residebant  animosius  pos- 
sent  impugnare  ». 

48,  1.  Tanti  di  qua  ecc.:  Virg.,  Aen.  xi 
610:  «fundunt  simul  undique  tela.  Crebra, 
nivis  ritu;  caelumque  obtexitur  umbra  ».  -^ 


138 


GERUSALEMME  LIBERATA 


E  sassi  e  dardi,  ch'oscuronne  il  cielo. 
S'urtar  duo  nembi  in  aria,  e  là  tornossi 
Talor  respinto,  onde  partiva,  il  telo. 
Come  di  fronde  sono  i  rami  scossi 
Da  la  pioggia  indurata  in  freddo  gelo, 
E  ne  caggiono  i  pomi  anco  immaturi. 
Cosi  cadeano  i  Saracin  da  i  muri: 
49 

Però  che  scendein  lorpiù  greve  il  danno. 
Che  di  ferro  assai  meno  eran  guerniti. 
Parte  de'  vivi  ancóra  in  fuga  vanno, 
De  la  gran  mole  al  fulminar  smarriti. 
Ma  quel,  che  già  fu  di  Nlcea  tiranno. 
Vi  resta,  e  fa  restarvi  i  pochi  arditi: 
E  '1  fero  Argante  a  contraporsi  corre, 
Presa  una  trave,  a  la  nemica  torre. 
50 

E  da  sé  la  respinge,  e  tien  lontana, 
Quanto  l'abete  è  lungo,  e  '1  braccio  forte. 
Vi  scende  ancor  la  vergine  sovrana, 
E  de'  perigli  altrui  si  fa  consorte. 
I  Franchi  in  tanto  a  la  pendente  lana 
Le  funi  recideano  e  le  ritorte 
Con  lunghe  falci;  onde  cadendo  a  terra 
Lasciava  il  muro  disarmato  in  guerra. 
51 

Cosi  la  torrr.  sovra,  e  più  di  sotto 
L'impetnoso  il  batte  aspro  ariete; 
Onde  comincia  omai  forato  e  rotto 
A  discoprir  le  interne  vie  scerete. 
Èssi  non  lunge  il  Capitan  condotto 
Al  conquassato  e  tremulo  parete, 
Nel  suo  scudo  maggior  tutto  rinchiuso. 
Che  rade  volte  ha  di  portar  in  uso. 
52 

E  quivi  cauto  rimirando  spia, 
E  scender  vede  Solimano  a  basso, 


2.  oscnronne:  divenne  oscuro:  usato  intran- 
sitivamente. —  3-i.  Particolare  riferito  da 
Gugl.  Tir.  vili  13:  *  horrendus  et  supra  ho- 
minum  opinionem  terribilis  a  mane  usque 
ad  vesperam  se  coutinuavit  conflictus,  et 
congressio  peitinax,  ita  ut  instar  grandinis 
super  utruraque  populum  telorum  et  sagit- 
tarum  descenderet  multitudo,  et  emissi 
cautes  in  ipso  aere  mutuo  se  colliderent, 
et  causas  mortis  varias  et  multiplices  irro- 
garent  pugnantibus  *.  —  5-8.  Ovidio:  Met. 
VII  585:  «  Vulgus  erat  stratum,  veluti  cura 
putria  raotis  Poma  cadunt  ramis,  agitata- 
que  ilice  glandes  ». 

60,  2.  forte:  è  forte.  —  7.  cadendo,  e.ssa 
lana. 

61,  3.  comincia:  il  muro.  —  3-4.  Virg., 
Aen.  II  480:  «  Limlna  perrumpit...  et  ingen- 
tem  lato  dedit  ore  fenestram:  Apparet  do- 
mus  intus  ». 

52,  1  qniTÌ:  cosi  pure  la  Conq.;  ma  Os. 
quinci 


E  porsi  a  la  difesa  ove  s'apria 
Tra  le  ruine  il  periglioso  passo; 
E  rimaner  de  la  sublime  via 
Clorinda  in  guardia,  e'icavalier  Circasso. 
Cosi  guardava,  e  già  sentiasi  il  core 
Tutto  avvampar  di  generoso  ardore. 
53 

Onde  rivolto  dice  al  buon  Siglerò, 
Che  gli  portava  nn  altro  scudo  e  l'arco: 
Ora  mi  porgi,  o  fedel  mio  scudiero, 
Cotesto  men  gravoso  e  grande  incarco; 
Che  tenterò  di  trapassar  primiero 
Su  i  dirupati  sassi  il  dubbio  varco: 
K  tempo  è  ben  che  qualche  nobil  opra 
De  la  nostra  virtute  omai  si  scopra. 
54 

Cosi,  mutato  scudo,  a  pena  disse, 
Quando  a  lui  venne  una  saetta  a  volo, 
E  ne  la  gamba  il  colse,  e  la  trafisse 
Nel  pili  nervoso,  ove  è  più  acuto  il  duolo. 
Che  di  tua  man,  Clorinda,ilcolpouscisse, 
La  fama  il  canta,  e  tuo  l'onor  n'è  solo. 
Se  questo  di  servaggio  e  morte  schiva 
La  tua  gente  pagana,  a  te  s'ascriva. 
55 

Ma  il  fortissimo  eroe,  quasi  non  senta 
Il  mortifero  duol  de  la  ferita. 
Dal  cominciato  córso  il  pie  non  lenta, 
E  monta  su  i  dirupi,  e  gli  altri  invita. 
Pur  s'avvede  egli  poi,  che  no  '1  sostenta 
La  gamba,  offesa  troppo  ed  impedita, 
E  ch'inaspra  agitando  ivi  l'ambascia; 
Onde  sforzato  al  fin  l'assalto  lascia. 
56 

E  chiamando  il  buon  Guelfo  a  sé  con  ma- 
A  lui  parlava:  Io  me  ne  vo  constretto;  [no, 
Sostien  persona  tu  di  capitano, 
E  di  mia  lontananza  empi  il  difetto. 
Ma  picciol'ora  io  vi  starò  lontano: 
Vado  e  ritorno.  E  si  partia,  ciò  detto: 
Ed  ascendendo  in  un  leggier  cavallo. 
Giunger  non  può,  che  non  sia  visto,  al  vallo. 
57 

Al  dipartir  del  Capitan,  sr  parte 


63,  4.  Os.  Cotesto  meno  assai  gravoso 
incarco.  —  7.  che  qualche.  Os.  e  altri  cWal- 
cuna. 

hi,  1-2.  Ricorda  il  ferimento  di  Enea  in 
Virgilio,  Aen.  xii  31S:  «  Has  inter  voces, 
media  inter  talia  verba,  Ecce  viro  stridens 
alis  allapsa  sagitta  est  *.  —  4.  Nel  pid  ner- 
Toso:  nella  parte  più  nervosa,  che  ha  più 
nervi. 

65,  3.  lenta:  rallenta.  —  7.  inaspra:  ina- 
sprisce: cfr.  IV  10,  6. 

66,  3.  persona:  vece.  — 4.  empi  il  difetto: 
supplisci  [alla  mia  lontananza]  (La  Crusca 
cita,  oltre  al  Tasso,  un  es.  del  Caro  Ri'>ne): 
deriva  dal  Petrarca,  cfr.  e.  xm  71,  7,  nota. 


CANTO  XI 


139 


E  cede  il  campo  la  fortuna  Franca. 
Cresce  il  vigor  ne  la  contraria  parte, 
Sorge  la  speme  e  «li  animi  rinfranca; 
E  l'ardimento  co  '1  favor  di  Marte 
Ne'  cor  fedeli  e  l'impeto  già  manca; 
Già  córre  lento  ogni  lor  ferro  al  sangue, 
E  de  le  trombe  istesse  il  suono  langue. 
58 

E  già  tra'  merli  a  comparir  non  tarda 
Lo  stnol  fugace  che  '1  timor  caccionne; 
E,  mirando  la  vergine  gagliarda, 
Vero  amor  de  la  patria  arma  le  donne: 
Correr  le  vedi,  e  collocarsi  in  guarda 
Con  chiome  sparse  e  con  succinte  gonne, 
E  lanciar  dardi,  e  non  mostrar  paura 
D'esporre  il  petto  per  l'amate  mura. 
59 

E  quel  ch'a  i  Franchi  più  spavento  por- 
E  '1  toglie  a  i  difensor  de  la  cittade,  [gè, 
È  che  '1  possente  Guelfo  (e  se  n'accorge 
Questo  popolo  e  quel)  percosso  cade. 
Tra  mille  il  trova  sua  fortuna,  e  scorge 
D'un  sasso  il  córso  per  lontane  strade: 
E  da  sembiante  colpo  al  tempo  stesso 
Còlto  è  Raimondo,  onde  giù  cade  anch'es- 
60  [so. 

Ed  aspramente  allora  anco  fu  punto 
Ne  la  proda  del  fosso  Eustazio  ardito. 
Né  in  questo  a  i  Franchi  fortunoso  punto 
Contra  lor  da'  nemici  è  colpo  uscito 
(Che  n'uscirraolti),onde  non  sia  disgiunto 
Corpo  da  l'alma,  o  non  sia  almen  ferito. 
E  in  tal  prosperità  via  più  feroce 
Divenendo  il  Circasso,  alza  la  voce: 
61 

Non  è  questa  Antiochia;  e  non  è  questa 
La  notte  amica  a  le  cristiane  frodi. 
Vedete  il  chiaro  sol,  la  gente  desta, 
Altra  forma  di  guerra  ed  altri  modi. 
Dunque  favilla  in  voi  nulla  più  resta 
De  l'amor  de  la  preda  e  de  le  lodi. 
Che  si  tosto  cessate,  e  séte  stanche  [che? 
Perbreveassalto,  oFranchi  no,maFran- 
62 

Cosi  ragiona:  e  in  guisa  tal  s'accende 
Ne  le  sue  furie  il  cavaliero  audace. 


68,  5.  gnarda:  guardia. 

69,  5.  fortuna:  destino.  —  scorge:  guida, 
ed  ha  per  sogg.  sua  fortuna.  —  7.  gem- 
biante:  somigliante. 

60,  3.  fortunoso:  malaugurato. 

61,  1-2.  Virg.,  Aen.  ix  602:  «  Non  hic  Atri- 
dae  nec  fandi  fictor  Ulixes  ».  —  8.  Franchi 
no,  ma  Franche:  Omero  (trad.  Guastaviiii) 
II.  li:  «  0  molli,  tristi  vituperii,  Greche,  non 
più  Greci  »;  e  anche  nel  vii.  E  Virg.,  Aen. 
IX  617:  «  0  vere  Phrygiae,  neque  enim 
Phryges,  ite  per  alta  Dindyma,  ubi  assuetis 
biforem  dat  tibia  cantum  ". 


Che  quell'ampia  città,  ch'egli  difende, 
Non  gli  par  campo  del  suo  ardir  capace; 
E  si  lancia  a  gran  salti  ove  si  fende 
Il  muro,  e  la  fessura  adito  face; 
Ed  ingombra  l'uscita;  e  grida  in  tanto 
A  Soliman,  che  si  vedeva  a  canto: 
63 

Soliman,  ecco  il  loco,  ed  ecco  l'ora 
Che  del  nostro  valor  giudice  fia. 
Che  cessi?  o  di  che  temi?  or  costà  fora 
Cerchi  il  pregio  sovran  chi  più  '1  desia. 
Cosi  gli  disse:  e  l'uno  e  l'altro  allora 
Precipitosamente  a  prova  uscia; 
L'un  da  furor,  l'altro  da  onor  rapito, 
E  stimolato  dal  feroce  invito. 
64 

Giunsero  inaspettati  ed  improvisi 
Sovra  i  nemici,  e  in  paragon  mostrarsi; 
E  da  lor  tanti  furo  uomini  uccisi, 
E  scudi  ed  elmi  dissipati  e  sparsi, 
E  scale  tronche  ed  arièti  incisi. 
Che  di  lor  parve  quasi  un  monte  farsi; 
E  mescolati  a  le  mine  alzaro, 
In  vece  del  caduto,  alto  riparo. 
65 

La  gente  che  pur  dianzi  ardi  salire 
Al  pregio  eccelso  di  murai  corona, 
Non  ch'or  d'entrar  ne  la  cittate  aspire. 
Ma  sembra  a  le  difese  anco  mal  buona; 
E  cede  al  nuovo  assalto,  e  in  preda  a  l' ire 
De'  duo  guerrier  le  macchine  abbandona, 
Ch'ad  altra  guerra  ornai  saran  mal  atte: 
Tanto  è  '1  furor  che  le  percote  e  batte. 
66 

L'uno  e  l'altro  Pagan,  come  il  trasporta 
L'impeto  suo,  già  più  e  più  trascorre; 
Già  '1  foco  chiede  a  i  cittadini,  e  porta 
Duo  pini  fiammeggianti  in  vèr'  la  torre. 
Cotali  uscir  da  la  tartarea  porta 
Sogliono,  e  sottosopra  il  mondo  porre, 
Le  ministre  di  Pluto  empie  sorelle, 
Lor  ceraste  scotendo  e  lor  facelle. 


62,  7.  ingombra:  cfr.  e.  x  33,  2. 

63,  1.  e  -'  'ì  loco  ecc.:  Cfr.  in  Cesare, 
Bell.  Gali.,  lib.  v,  la  gara  tra  Pulsione  e 
Vareno:  «  Quid  dubitas,  inquit,Varene?  aut 
quem  locum  probandae  virtutis  tuae  expec- 
tas?  hic  dies,  hic  dies  de  nostris  contro- 
versiis  iudicabit  ■»  e  Virg.,  Aen.  xi  386; 
«  possit  quid  vivida  virtus  Experiare  licet; 
nec  longe  scilicet  hostes  Quaerendi  nobis; 
circundant  undique  muros,  Imus  in  adver- 
sos:  quid  cessas?  ».  —  3.  cessi:  indugi:  cfr. 
e.  1  12,  2.  —  6.  a  prova:  a  gara. 

64,  5.  incìsi:  tagliati:  cfr.  e.  vili  85,  7.  — 
8.  alto;  Os.  altro'.,  Conq.  ampio. 

66,  7.  ministre:  le  Furie.  —  8.  ceraste; 
serpenti  (cfr.  Dante,  Inf.  ix  41). 


140 


GERUSALEMME  LIBERATA 


67 

Ma  l'invitto  Tancredi,  il  qual  altrove 
Confortava  a  l'assalto  i  suoi  Latini, 
Tosto  che  vide  riucredibil  prove, 
E  la  gemina  fiamma,  e  i  due  gran  pini, 
Tronca  in  mezzo  le  voci,  e  presto  move 
A  frenar  il  furor  de  Saracini; 
E  tal  del  suo  valor  dà  segno  orrendo. 
Che  chi  vinse  e  fugò,  fugge  or  perdendo. 
68 

Cosi  de  la  battaglia  or  qui  lo  stato 
Col  variar  de  la  fortuna  è  vòlto; 
E  in  questo  mezzo  il  Capitan  piagato 
Ne  la  gran  tenda  sua  già  s"  è  raccolto, 
Co  '1  buon  Sigier.  con  Baldovino  a  lato, 
De  i  mesti  amici  in  gran  concorso  e  folto; 
Ei,  che  s'affretta,  e  di  tirar  s'afifanna 
De  la  piaga  lo  strai,  rompe  la  canna; 
69 

E  la  via  più  vicina  e  più  spedita 
A  la  cura  di  lui  vuol  che  si  prenda: 
Scoprasi  ogni  latebra  a  la  ferita, 
E  largamente  si  risechi  e  fenda. 
Rimandatemi  in  guerra,  onde  fornita 
Non  sia  co  '1  di  prima  ch'a  lei  mi  renda. 
Cosi  dice;  e,  premendo  il  lungo  cerro 
D'una  gran  lancia,  offre  la  gamba  al  ferro. 
70 

E  già  l'antico  Eròtimo,  che  nacque 
In  riva  al  Po,  s'adopra  in  sua  salute; 
Il  qual  de  l'erbe  e  de  le  nobil  acque 
Ben  conosceva  ogni  uso,  ogni  virtute: 
Caro  a  le  Muse  ancor;  masi  compiacque 
Ne  la  gloria  minor  de  l'arti  mute; 
Sol  curò  tórre  a  morte  i  corpi  frali, 
E  potea  far  i  nomi  anco  immortali. 
71 

Stassi  appoggiato,  e  con  secura  faccia 


68,  3-8.  Virg.,  Aen.  xii  38 1:  «  Interea 
Aenean  Mnestheus  et  lidus  Achates  Asca- 
niusque  coraes  castris  statuere  cruentum... 
Saevit,  et  infracta  luctatur  arundine  telum 
Eripere  ..  —  *  6.  De  i  mesti.  Os.  Di  mesti. 

69,  1-6.  Virg.,  loc.  cit.^  ó9&:  «  auxilioque 
viam,  quae  proxima,  poscia  "  Euse  secent 
late  vulnus,  telique  latebram  Rescindant 
penitus  seseque  in  bella  remittant».  —  7. 
premendo:  è  il  virgiliano  (^oc.  cit.  39i)  «  in- 
genteni  nixus  in  hastam  ». 

70,  1.  Erotimo:  tutti  i  commentatori  no- 
tano che  è  calcato  sul  lapige  di  Virgilio, 
che  guarisce  Enea;  loc.  cit.  391:  «  lamque 
aderat  Ihoebo  ante  alios  dilectus  lapyx... 
Scire  potestates  herbarum,  usumque  me- 
dendi  Maluit,  et  mutas  agitare  inglorius 
artes  ».  —  6.  mote:  delle  quali  ài  tacciono 
ie  lodi;  che  non  apportano  cioè  molta  lode, 
come  la  poesia,  la  guerra. 

71,  1.   Stassi   ecc.:  Virg.,   loc   cit.  393: 


Freme,  immobile  al  pianto,  il  Capitano. 
Quegli  in  gonna  succinto,  e  da  le  braccia 
Kipicgato  il  vestir,  leggiero  e  piano 
Or  con  l'erbe  potenti  in  van  procaccia 
Trarne  lo  strale,  or  con  la  dotta  mano; 
E  con  la  destra  il  tenta,  e  co  '1  tenace 
Ferro  il  va  riprendendo,  e  nulla  face. 
72 

L'arte  sue  non  seconda,  ed  al  disegno 
Par  che  per  nulla  via  fortuna  arrida; 
E  nel  piagato  eroe  giunge  a  tal  segno 
L'aspro  martir,  che  n'è  quasi  omicida. 
Ór  qui  l'anL'iol  custode,  al  duol  indegno 
Mosso  di  lui,  colse  dittamo  in  Ida: 
Erba  crinita  di  purpureo  fiore, 
C'have  in  giovani  foglie  alto  valore. 
73 

E  ben  mastra  natura  a  le  montane 
Capre  n'insegna  la  virtù  celata, 
Qualor  vengon  percosse,  e  lor  rimane 
Nel  fianco  athssa  la  saetta  alata. 
Questa,  ben  che  da  parti  assai  lontane, 
In  un  momento  l'angelo  ha  recata; 
E,  non  veduto,  entro  le  mediche  onde 
De  gli  apprestati  bagni  il  succo  infonde; 
74 

E  del  fonte  di  Lidia  i  sacri  umori, 


<  Stabat  acerba  fremens...  Aeneas,  magno 
iuvenum  et  maerentis  luli  Concursu,  la- 
crirais  immobilis.  lUe  retorto  Paeonium  in 
morem  senior  succinctus  amictu,  Multa 
manu  medica,  Phoebique  potentibus  herbia 
Nequidquam  trepidat,  nequidquam  spicula 
dextra  Sollicitat,  prensatque  tenaci  forcipe 
ferrum  ». 

72.  1.  non  seconda:  non  favorisce  il  pen- 
siero; ed  è  rifioritura  virgiliana,  loc.  cit. 
405:  «Nulla  viam  fortuna  regit;  nihil  auctor 
Apollo  .subvenit  ».  —  *  Os.  legge  L^arti  sue 
non  secondi.  —5-8.  Tutto  derivato  da  Vir- 
gilio loc.  cit.  411:  «  Hic  Venus,  indigno  nati 
concussa  dolore,  Dictamnum  genetrix  Cre- 
taea  carpit  ab  Ida,  Puberibus  caulera  fobia 
et  flore  comautem  Purpureo  ».  —  Ida:  Gua- 
stavini:  «  Ida  è  una  selva  dell'isola  di  Greti, 
dove,  secondo  che  afferma  Teof'rasto,  solo 
nasce  il  vero  dittamo  ».  —  giovani  foglie: 
qui  adunque  il  Tasso  intende  che  il  ^jut»^- 
riiius  foliis  virgiliano,  riportato  sopra,  vo- 
glia dire  in  giovani  foglie.,  più  tosto  che 
in  foglie  coperte  di  lanuggine. 

l'i,  Virgilio,  Ice.  cit.  414:  «non  illa  feris 
incognita  capris  Gramina,  quum  tergo  vo« 
lucres  haesere  sagittae:  Hoc  Venus  obscuro 
facies  circumdata  nimbo,  Detulit:  hoc  fu- 
sura  labris  splendentibus  amnem  Inficit  oc- 
culte raedicans...  ». 

74,  1.  E  del  fonte  ecc.:  Virgilio  loc.  cit. 
41»;  «  spargitque   salubres  Ambrosiae  sue- 


CANTO  XI 


141 


E  l'odorata  panacea  vi  mesce. 
Ne  sparge  il  vecchio  la  ferita,  e  fuori 
Volontario  per  sé  lo  strai  se  n'esce, 
E  si  ristajjna  il  sangue;  e  già  i  dolori 
Fuggono  da  la  gamba,  e  '1  vigor  cresce. 
Grida  Eròtimo  allor:  L'arte  maestra 
Te  non  risana,  o  la  mortai  mia  destra: 
75 

Maggior  virtù  ti  salva:  un  angiol,  credo, 
Medico  per  te  fatto,  è  sceso  in  terra; 
Che  di  celeste  mano  i  segni  vedo: 
Prendi  l'arme;  che  tardi?  e  riedi  in  guerra. 
Avido  di  battaglia  il  pio  Goffredo 
Già  ne  l'ostro  le  gambe  avvolge  e  serra; 
E  Tasta  crolla  smisurata,  e  imbraccia 
11  già  deposto  scudo,  e  l'elmo  allaccia. 
76 

Usci  dal  chiuso  vallo,  e  si  converse 
Con  mille  dietro  a  la  città  percossa: 
Sopra  di  polve  il  ciel  gli  si  coperse; 
Tremò  sotto  la  terra  al  moto  scossa; 
E  lontano  appressar  le  genti  avverse 
D'alto  il  miraro,  e  corse  lor  per  l'ossa 
Un  tremor  freddo,  e  strinse  il  sangue  in 
Egli  alzò  tre  fiate  il  grido  al  cielo,  [gelo. 
77 

Conosce  il  popol  suo  l'altera  voce, 
E  '1  grido  eccitator  de  la  battaglia; 
E,  riprendendo  l'impeto  veloce, 
Di  novo  ancora  a  la  tenzon  si  scaglia. 
Ma  già  la  coppia  de  i  Pagan  feroce 
Nel  rotto  accolta  s'è  de  la  muraglia. 


cos  et  odoriferam  panaceam.  Fovit  ea  vul- 
nus lympha  longaevuslapyx,  Ignorans;  su- 
bitoqueomuisde  corporefugit  Quippe  dolor, 
oinnis  stetit  imo  vulnere  sanguis:  lamque 
secuta  manum,  nullo  cogente  sagitta  Exci- 
dit,  atqueuovae  radiare  in  pristina  vires  ». 
—  fonte:  il  Tasso  ci  avverte  che  «il  fonte 
che  sana  le  piaghe  è  tolto  dall'istoria»; 
d'onde,  peraltro,  non  trovo.  Nella  Conqitt<t. 
(xiv  95)  cangiò  Lidia  in  Siloé.' 

74,  7-8  e  75.  Al  solito,  si  rifa  Virgilio, 
loc.  cit.  425:  «Arma  citi  properate  viro! 
quid  statis?  lapyx  Conclamat,  prirausque 
animos  accendit  in  hostem:  Non  haec  hu- 
manis  opibus,  non  arte  magistra  Prove- 
niunt;  neque  te,  Aenea,  mea  dextera  servat. 
Maior  agit  Deus  atque  opera  ad  maiora  re- 
mittit.  lUe  avidus  pugnae  suras  incluserat 
auro  nino  atque  hinc,  oditque  moras,  ha- 
sta.mque  coruscat  ». 

76,  1.  converse:  voltò.  —  3.  Virg.,  L  o. 
444:  «  tum  caeco  puivere  campus  Miscetur, 
pulsuque  pedum  tremit  excita  tellus.  Vidit 
ab  adverso  venieutes  aggere  Turnus,  Videre 
Ausonii,  gelidusque  per  ima  cucurrit  Ossa 
tremor  ». 

77,  5.  coppia;  Argante  e  Solimano.— 8.  Nel 


Difendendo  ostinata  il  varco  fesso 

Dal  buon  Tancredi  e  da  chi  vien  con  esso. 

78 

Qui  disdegnoso  giunge  e  minacciante, 
Chiuso  ne  l'arme,  il  Capitan  di  Francia; 
E  'n  su  la  prima  giunta  al  fero  Argante 
L'asta  ferrata  fulminando  lancia. 
Nessuna  murai  macchina  si  vante 
D'avventar  con  più  forza  alcuna  lancia. 
Tuona  per  l'aria  la  nodosa  trave; 
V'oppon  lo  scudo  Argante,  e  nulla  pavé. 
79 

S'apre  lo  scudo  al  frassino  pungente; 
Né  la  dura  corazza  anco  il  sostiene; 
Che  rompe  tutte  l'arme,  e  finalmente 
Il  sangue  Saracino  a  sugger  viene. 
Ma  si  svelle  il  Circasso  (e  '1  duol  non  sen- 
Da  l'arme  il  ferro  affìsso  e  da  le  vene,  [te) 
E  'n  Goffredo  il  ritorce:  A  te,  dicendo, 
Rimando  il  tronco,  e  l'armi  tue  ti  rendo. 
80 

L'asta,  ch'offesa  or  porta  ed  or  vendetta, 
Per  lo  noto  sentier  vola  e  rivola: 
Ma  già  colui  non  fere  ov'è  diretta; 
Ch'egli  si  piega,  e  '1  capo  al  colpo  invola; 
Coglie  il  fedel  Siglerò,  il  qual  ricetta 
Profondamente  il  ferro  entro  la  gola; 
Né  gli  rincresce,  del  suo  caro  duce 
Morendo  in  vece,  abbandonar  la  luce. 
81 

Quasi  in  quel  punto  Soliman  percote 
Con  una  selce  il  cavalier  Normando; 
E  questi  al  colpo  si  contorce  e  scote, 
E  cade  in  giù,  come  palèo  rotando. 
Or  più  Goffredo  sostener  non  puote 
L'ira  di  tante  offese,  e  impugna  librando; 
E  sovra  la  confusa  alta  mina 
Ascende,  e  move  ornai  guerra  vicina. 


rotto:  nella  parte  rotta.  —  8.  Dal:  con- 
tro il. 

*  80,  1 .  Le  B  leggono  offesa  porta.  Qui 
si  seguita  il  testo  dell' Os.  —  3.  ov'è:  nel 
punto  ove  ecc.  —  4.  Virg.,  loc.  cit.  491: 
«  Substitit  Aeneas,  et  se  collegit  in  arma, 
Poplite  subsidens  ».  —  *7.  Os.  Né  già  gV  in- 
cresce. 

81,  4.  palèo:  strumento  col  quale  gìuo- 
cano  i  fanciulli  facendolo  rotare  con  una 
sfei'za.  Dante,  Par.  xviii,  42:  «  E  letizia  era 
ferza  del  palèo  ».  Della  medesima  simili- 
tudine usò  Omero,  (II.  xiv)  pai-landò  del 
macigno  lanciato  da  Aiace  contro  Ettore. 
—  6.  L'Ira  di  tante  oifese:  l'ira  in  lui  su- 
scitata da  tante  offese.  —  7.  la  confusa  alta 
mina:  é  la  parte  superiore  del  muro,  già 
ridotta  in  rovine,  dove  confusamente  com^ 
battevano  i  cristiani  contro  la  coppia  fe- 
roce. 


142 


GERUSALEMME  LIBERATA 


82 
E  ben  ei  vi  facea  mirabil  cose, 
E  contrasti  seguiano  aspri  e  mortali; 
Ma  fuor  usci  la  notte  e  '1  mondo  ascose 
Sotto  il  caliginoso  orror  de  l'ali; 
E  l'ombre  sue  pacifiche  interpose 
Fra  tante  ire  de'  miseri  mortali; 
Si  che  cessò  Gofifredo,  e  fé'  ritorno. 
Cotal  fine  ebbe  il  sanguinoso  giorno. 

83 
Ma  pria  che 'IpioBuglioneil  campo  ceda, 
Fa  indietro  riportar  gli  egri  e  i  languenti; 
E  già  non  lascia  a'  suoi  nemici  in  preda 
L'avanzo  de'  suoi  bellici  tormenti  : 
Pur  salva  la  gran  torre  avvien  che  rieda, 
Primo  terror  de  le  nemiche  genti; 
Come  che  sia  da  l'orrida  tempesta 
Sdrucita  anch'essa  in  alcun  loco  e  pesta. 


82.  Intorno  al  modo  con  che  finisce  que- 
sta battaglia, contraria  nell'esito  ai  cristiani, 
scrive  il  Poeta  (Lett.  37):  *  Nel  nono  non  si 
può  fare  di  non  dar  la  vittoria  intera  a  i 
cristiani;  altrimenti  non  si  verrebbe  a  l'as- 
salto: ma  ne  l' undecime  farò  che  tutti  o 
quasi  tutti  i  principi,  da  Tancredi  in  poi, 
ne  siano  mal  trattati,  e  che  molti  più  ne 
muoiano».  E  come  il  T.  per  l'invenzione 
dell'assalto  ha  sin  qui  seguito  quanto  rac- 
conta Gugl.  Tir.  nel  libro  viii  13,  cosi  d'ora 
in  poi  si  attiene  a  quanto  è  da  detto  isto- 
rico  narrato  nel  capit.  14  del  libr.  cit.,  dove 
si  racconta  che  la  notte  separò  la  zuffa: 
per  altro  tutto  ciò,  che  si  riferisce  alla  gran 
torre,  manca  nel  Tirio. 


84 
Da'  gran  perigli  uscita  ella  se  'n  viene 
Giungendo  a  loco  ornai  di  securezza. 
Ma  qual  nave  talor,  ch'a  vele  piene 
Corre  il  mar  procelloso,  e  Tonde  sprezza; 
Poscia  in  vista  del  porto,  o  su  l'arene, 
0  su  i  fallaci  scogli  uu  fianco  spezza; 
0  qual  destrier  passa  le  dubbie  strade, 
E  presso  al  dolce  albergo  incespa  e  cade; 
85 

Tale  inciampa  la  torre,  e  tal  da  quella 
Parte  che  volse  a  l'impeto  de'  sassi, 
Frange  due  rote  debili,  si  ch'ella 
Huinosa  pendendo  arresta  i  passi. 
Ma  le  suppone  appoggi,  e  la  puntella 
Lo  stuol  che  la  conduce  e  seco  stassi. 
In  sin  che  i  pronti  fabri  intorno  vanno 
Saldando  in  lei  d'ogni  sua  piaga  il  danno. 
86 

Cosi  Goffredo  impone,  il  qual  desia 
Che  si  racconci  inanzi  al  novo  sole; 
Ed  occupando  questa  e  quella  via, 
Dispon  le  guardie  intorno  a  l'alta  mole. 
•Ma  '1  suon  ne  la  città  chiaro  s'udia 
Di  fabrili  instrumenti  e  di  parole, 
E  mille  si  vedean  fiaccole  accese; 
Onde  seppesi  il  tutto,  o  si  comprese. 


84,  3-6.  Similitudme  tratta  da  Dante,  Par. 
XIII  136:  «E  legno  vidi  già  dritto  e  veloce 
Correr  lo  mar  per  tutto  suo  cammino.  Perir 
al  fine  a  l'entrar  de  la  foce  ». 

85,  5.  suppone:  sottopone:  già  osservato. 

86,  8.  il  tutto:  cioè  che  i  Franchi  erano 
intenti  a  ristorare  la  torre. 


•    CANTO 
XII     •     • 


Notte  if  Clorinda  ed 
Argante  si  dispongono 
alla  sortita  iì^  Storia 
di  Clorinda  ^  Sortita 
-yif  La  torre  in  fiamme 
i^  La  guerriera  e  il 
Circasso  tentano  di  ri- 
guadagnare le  porte 
della  città  -^  Clorinda 
resta  fuori  -j^  Inseguita 
da  Tancredi,  con  esso 
pugna  -jfcr  Morte  di  Clo- 
rinda ^  Dolore  im- 
menso di  Tancredi  tAt 
Riprensioni  a  lui  ri- 
volte dair  Eremita  * 
Clorinda  gli  appare  in 
sogno,  e  Io  racconsola-;^ 
Onori  resi  a  Clorinda 
T^  Giuramento  d'Ar- 
gante. 


Era  la  notte,  e  non  prendean  ristòro 


1.  Si  è  già  avvertito  nel  e.  xi  82,  in  nota, 
che  Gugl.  Tir.  narra  nel  lib.  viii  14  come 
la  notte  spartisse  la  pugna.  Dallo  stesso 
luogo  è  tolta  questa  prima  stanza:  e  le  pa- 
role del  Tirio  possono  aver  persuaso  al 
poeta  che  questo  era  il  posto  opportuno 
alla  sortita.  Nel  fatto  i  versi  3-4,  che  ri- 
specchiano i  timori  e  le  fatiche  dei  cristiani, 
rispondono  a  questo  brano  dello  storico  : 
Angebantur  (i  cristiani)  plurimum,  timen- 
tes  ne  clam  in  eorum  machinas  hostes 
quocumque  pacto  procurarent  incendia  : 
unde  continuas  exegerunt  vigilias,  noctem 
illam  penitus  trahentes  insomnen  »  (ansie  e 
timori  giustificati  ancóra  dal  ricordo  di 
quanto  avvenne  sotto  Antiochia,  ove  i  tur- 
chi usciti  con  impeto  incendiarono  la  torre 
innalzata  contro  la  città);  e  i  vv.  5-7,  ove 
8on  dette  le  paure  e  le  fatiche  degli  asso- 


Co  '1  sonno  ancor  le  faticose  genti; 
Ma  qui  vegghiando  nel  fabril  lavoro 
Stavano  i  Franchi  a  la  custodia  intenti; 
E  là  i  Pagani  le  difese  loro 
Gian  rinforzando  tremule  e  cadenti, 
E  rintegrando  le  già  rotte  mura; 
E  de'  feriti  era  comun  la  cura. 

2 
Curate  al  fin  le  piaghe,  e  già  fornita 
De  l'opere  notturne  era  qualcuna; 


diati,  corrispondono  a  quest'altro  passo: 
«  Cives  autem  nihilominus  curis  torqueban- 
tur  edacibus,  formidantes  plurimum,  ne 
hostes  quos  tanta  viderant  protervitate  in- 
stantes,  occulta  occasione  ex  noctis  intem- 
pestae  silentio,  eflfracto  muro,  vel  scalis 
adhibitis,  clam  urbem  ingrederentur  ».  — 
2.  faticose:  affaticate.  —  genti;  cosi  leg- 
gono CoNQ.  e  Os.  ma  le  3  st.  BoN.  menti. 
—  3.  vegg.:  vegliando.  Poefic. 


144 


GERUSALEMME  LIBERATA 


E,  rallentando  l'altre,  al  sonno  invita 
L'ombra  ornai  fatta  più  tacita  e  bruna. 
Pur  non  accheta  la  guerriera  ardita 
L'alma  d'onor  famelica  e  digiuna  ; 
E  sollecita  l'opre  ove  altri  cessa. 
Va  seco  Argante;  e  dice  ella  a  se  stessa: 
3 

Ben  oggi  il  re  de'  Turchi  e  '1  buon  Argante 
Fèr  meraviglie  inusitate  e  strane, 
Che  soli  uscir  fra  tante  schiere  e  tante, 
E  vi  spezzar  le  macchine  cristiane. 
Io  (questo  èri  sommo  pregio  onde  mi  van- 
D'alto  rinchiusa  oprai  l'arme  lontane,    [te) 
Sagittaria,  no  '1  nego,  assai  felice. 
Dunque  sol  tanto  a  donna  e  più  non  lice? 
4 

Quanto  me'  fora  in  monte  od  in  foresta 
A  le  fere  avventar  dardi  e  quadrella, 
Ch'ove  il  maschio  valor  si  manifesta, 
Mostrarmi  qui  tra  cavalier  donzella! 
Che  non  riprendo  la  feminea  vesta, 
S'io  ne  son  degna,  e  non  mi  chiudo  in  cella? 
Cosi  parla  tra  sé:  pensa  e  risolve 
Al  fin  gran  cose,  ed  al  guerrier  si  volve: 
5 

Buona  pezza  è,  signor,  che  in  sé  raggira 
Un  non  so  che  d'insolito  e  d'audace 
La  mia  mente  inquieta:  o  Dio  l'inspira, 


8,  3.  l'altre:  le  opere  non  fornite.  Non 
sembra  interamente  giusto  il  Galilei  quando 
osserva  che  E  rallentando  l'a'tre  é  sospeso 
in  aria:  rallentando  é  transitivamente  usa- 
to, e  dipende,  come  invita,  da   ombra.   — 

5.  Qui  comincia  a  prepararsil'epis.  della  sor- 
tita. Cfr.  quello  di  Diomede  ed  Ulisse  in 
Omero,  11.  x;  quello  di  Eurialo  e  Niso  nel 
IX  deir.Aen.;  e  ancora  quello  di  Cloridano 
e  Medoro  nel  xviii  dell'Oc'/.  Fur.  Altri  hanno 
già  notato,  e  giustamente,  come  si  vedrà 
dai  raffronti,  che  il  T.  più  che  imitare,  tra- 
duca a  dirittura  spesso  spesso  Virg-ilio.  — 

6.  d'onor:  di  quell'onore  che  si  procaccia 
con  atti  di  'maschio  vilore. 

*  3,  1.  bnon  Arg.;  prode  Arg  ;  alla  latina. 
Cosi  Orazio  «  Forte?  creantur  fortibus  et 
bonis  ».  —  ó.  l'arme  lontane:  dardi  e  qua- 
drella; le  armi,  cioè,  che  lontane  dal  segno 
lo  raggiungono  percorrendo  un  lungo  tratto. 
—  8.  sol  tanto:  solamente  questo.  —  più 
non  :  cosi  pure  CoNQ.  ;  ma  Os.  nan  più. 

4,  1-4.  Guastavini:  «Omero,  /'.  xxi:  Ve- 
ramente meglio  [ti]  è  per  li  monti  le  fiere 
uccidere  -  E  le  salvatiche  cerve,  che  co' 
più  potenti  gagliardamente  combattere  ». 

6,  1.  Buona  pezza  ecc.  Virg.,  Aen.  ix  ISò: 
€  Aut  pugnam  aut  aliquid  iaradudum  inva- 
dere magnum  Mens  agitai  mihi  ».  —  3.  o 
dio  l'inspir.i  ecc.  :  Virg.,  loc.  cit.  18i  :  «  Dine 
hunc  ardorem  mentibus  addunt,  Euryale? 


0  l'uora  del  suo  voler  suo  Dio  si  face. 
Fuor  del  vallo  nemico  accesi  mira 

1  lumi  :  io  là  n'andrò  con  ferro  e  face, 
E  la  torre  arderò:  vogl'io  che  questo 
Effetto  segua:  il  Ciel  poi  curi  il  resto. 

6 

Ma,  s'egli  avverrà  pur  che  mia  ventura 
Nel  mio  ritorno  mi  rinchiuda  il  passo. 
D'uom,  che  'namor  m'è  padre,  a  te  la  cura 
E  de  le  care  mie  donzelle  io  lasso. 
Tu  ne  l'Egitto  rimandar  procura 
Le  donne  sconsolate  e  '1  vecchio  lasso. 
Fallo  per  Dio,  signor;  che  di  pietate 
Ben  è  degno  quel  sesso  e  quella  etate. 
7 

Stupisce  Argante,  e  ripercosso  il  petto 
Da  stimoli  di  gloria  acuti  sente. 
Tu  là  n'andrai,  rispose,  e  me  negletto 
Qui  lascierai  tra  la  vulgare  gente? 
E  da  secura  parte  avrò  diletto 
Mirar  il  fumo  e  la  favilla  ardeute? 
No,  no;  se  fui  ne  l'arme  a  te  consorte 
Esser  vo'  ne  la  gloria  e  ne  la  morte. 
8 

Ho  core  anch' io,  che  morte  sprezza,  e  ere- 
Che  ben  si  cambi  con  l'onor  la  vita,     [de 
Ben  ne  testi,  disse  ella,  eterna  fede 
Con  quella  tua  si  generosa  uscita. 
Pure  io  femina  souo,  e  nulla  riede 

Mia  morte  in  danno  a  la  città  smarrita: 
Ma,  se  tu  cadi  (tolga  il  Ciel  gli  augùri), 
Or  chi  sarà  che  più  difenda  i  muri  ? 


i 


an  sua  cuique  Deus  flt  dira  cupido  ?  »  —  4.| 
0  l'uom  ecc.  :  Il  Guastavini  spiega  :  «  o  quan-  ' 
do  l'uomo  ha  desiderio  alcuno,  quello  al- 
l'ispirazione divina  è  solito  attribuire  ».  — 
5-3.  accesi  ni  ira  I  lumi  ecc.:  Virg..  loc.  cit. 
j  188:  «  Cernis,  quae  Rutulos  habeat  fiducia 
rerum;  Lumina  rara  raicant  ». 

6,  1.  Ma  ecc.:  Cosi  in  Virgilio,  Niso  rac- 
comanda la  madre  ad  Eurialo,  loc.  cit.  210: 
e  Si  quis  in  adversum  rapiat  casusve  Deu- 
sve...  »  e  loc.  cit.  283  :  *  te  super  omnia  dona 
Unum  oro:  genitrix  Priami  de  gente  ve- 
tusta Est  mihi,  quam  miseram  tenuit  non 
Ilia  tellus...  At  tu,  oro,  solare  inopem  et 
succurre  relictae  ».  —  4.  lasso:  lascio. 

7,  l-tì.  Virg.,  loc.  cit.  197  :  «  Obstupuit 
magno  laudum  percussus  amore  Euryalus, 
simul  his  ardentera  affatur  amicura:  Mene 
igitur  socium  summis  adiungere  rebus, 
Nise,  fugis?  solum  te  in  tanta  pericula  mit- 
tam?».  Ariosto,  Ori.  xviii  170:  «Stupisce 
Cloridan  ». 

8,  1-2.  Virg.,  loc.  cit.  205:  «Est  hic,  est 
animus  lucis  comteraptor,  et  istum  Qui  vita 
bene  credat  emi,  quo  tendis,  honorem».  — 
7.  Ma,  se  tu  cadi  ecc.:  Virg.,  Aen.  xi  i  40*. 
«  Quid  consanguinei    Rutuli,  quid    caetera 


CANTO  XII 


145 


Replicò  il  cavaliero:  Indarno  adduci 
Al  mio  fermo  voler  fallaci  scuse. 
Seguirò  l'orme  tue,  se  mi  conduci  ; 
Ma  le  precorrerò,  se  mi  reciise. 
Concordi  al  re  ne  vanno, il  qua!  fra  i  duci 
E  fra  i  pili  sagomi  suoi  gli  accolse  e  chiuse, 
lucominciò  Clorinda:  0  sire,  attendi 
A  ciò  che  dirvoglianti,eingrado  il  prendi. 
10 

Argante  qui  (né  sarà  vano  il  vanto) 
Quella  macchina  eccelsa  arder  promette. 

10  sarò  seco;  ed  aspettlam  sol  tanto 
Che  stanchezza  maggióre  il  sonno  allette. 
Sollevò  il  re  le  palme,  e  un  lieto  pianto 
Giù  per  le  crespe  guance  a  lui  cadette: 
E,  Lodato  sia  tu,  disse,  ch'ai  i  servi 
Tuoi  volgi  gli  occhi,  e '1  regno  anco  mi  scr- 
ii [vi. 

Né  già  si  tosto  caderà,  se  tali  ' 
Animi  forti  in  sua  difesa  or  sono. 
Ma  qual  posso  io,  coppia  onorata,  eguali 
Dar  a  i  meriti  vostri  o  laude  o  dono? 
Laudi  la  fama  voi  con  immortali 
Voci  di  gloria,  e  '1  mondo  empia  del  suono. 
Premio  v'  è  l'opra  stessa,  e  premio  in  parte 
Vi  fia  del  regno  mio  non  poca  parte. 
12 

Si  parla  il  re  canuto,  e  si  ristringe 
Or  questa  or  quel  teneramente  al  seno. 

11  Soldan,  ch'è  presente,  e  non  infìnge 
La  generosa  invidia  onde  egli  è  pieno. 
Disse:  Né  questa  spada  in  van  si  cinge; 


dicet  Italia,  ad  mortem   si   te    (Fors   dieta 
refutet  !)  Prodiderim?  » 

%  1-2.  Virg.,  Aen.  ix  219  :  «  lUe  autem  : 
causas  nequicquam  nectis  inanes,  Nec  mea 
iam  mutata  loco  sententia  cedit>.  —  5.  ne 
vanno:  pure  Conq.  ;  ma  Os.  n'andaro.  — 
Virg.,  loc.  cit.  230:  «  Tum  Nisus  et  una  Eu- 
ryalus  confestim  alacres  admittier  orant... 
Primus  lulus  Accepit  trepidos».  —  6.  chiu- 
se: il  Galilei  dice  che  questo  verbo  dopo 
accolse  non  ci  ha  che  fare.  —  7.  Incomin- 
ciò; Os.  E  incominciò.  —  8.  in  grado:  in 
piacimento  ;  e  fa'  che  ti  piaccia. 

10,  4.  allette:  alletti,  inviti.  —  5.  e  un 
lieto  pianto  ecc.:  Virg,,  loc.  cit.  251:  »  et 
vultum  lacrimis  atque  ora  rigabat  ». 

11,  1-8.  Virg.,  loc.  cit.  247:  «Di  patrii... 
Non  tamen  omnino  Teucros  delere  paratis, 
Cura  tales  aniraos  iuvenum  et  tam  certa 
tulistis  Pectora...  Quae  vobis,  quae  digna, 
viri,  prò  laudibus  istis  Praeraia  posse  rear 
solvi?  Pulcherrima  priraum  Di  moresque 
dabunt  vestri  ». 

12,  1-2.  Virg.,  l.  e.  250:  «  Sic  memorans 
humeros  dextrasque  tenebat  Amborum  ».  — 
3.  Inf.  :  dissimula. 


Verravvi  a  paro,  o  poco  dietro  al  meno. 
Ah!  rispose  Clorinda,  andremo  a  questa 
Impresa  tutti?  e,  se  tu  vien,  chi  resta? 
1.3 

Cosi  gli  disse;  e  con  rifiuto  altero 
Già  s'apprestava  a  ricusarlo  Argante; 
Ma  '1  re  il  prevenne,  e  ragionò  primiero 
A  Soliman  con  placido  sembiante  : 
Ben  sempre  tu,  magnanimo  guerriero. 
Ne  ti  mostrasti  a  te  stesso  sembiante, 
Cui  nulla  faccia  di  periglio  unquauco 
Sgomentò,  né  mai  fosti  in  guerra  stanco. 
14 

£  so  che  fuora  andando  opre  faresti 
Degne  di  te;  ma  sconvenevol  parmi 
Che  tutti  usciate,  e  dentro  alcun  non  resti 
Di  voi,  che  sete  i  più  famosi  in  armi. 
Né  men  consentirei  ch'andasser  questi 
(Che  degno  è  il  sangue  lor  che  si  risparmi), 
S'  0  men  util  tal  opra,  o  mi  paresse 
Che  fornita  per  altri  esser  potesse. 
15 

Ma  poi  che  la  gran  torre  in  sua  difesa 
D'ogni  intorno  le  guardie  ha  cosi  folte, 
Che  da  poche  mie  genti  esser  offesa 
Non  potè,  e  inopportuno  è  uscir  con  molte  ; 
La  coppia  che  s'offerse  a  l'alta  impresa, 
E  'n  simil  rischio  si  trovò  più  volte, 
Vada  felice  pur;  ch'ella  è  ben  tale, 
Che  sola  più  che  mille  insieme  vale. 
16 

Tu,  come  al  regio  onor  più  si  conviene, 
Con  gli  altri,  prego,  in  su  le  porte  attendi  : 
E,  quando  poi  (che  n'  ho  secura  spene) 
Ritornino  essi,  e  desti  abbian  gli  incendi, 
Se  stuol  nemico  seguitando  viene, 
Lui  risospingi,  e  lor  salva  e  difendi. 
Cosi  l'un  re  diceva;  e  l'altro  cheto 
Rimaneva  al  suo  dir,  ma  non  già  lieto. 
17 

Soggiunse  allora  Ismene:  Attenderpiac- 
A  voi,  ch'uscir  dovete,  ora  più  tarda,  [eia 
Sin  che  di  varie  tempre  un  misto  i'  faccia 
Ch'a  la  macchina  ostil  s'appigli,  e  l'arda. 
Forse  allora  avverrà  che  parte  giaccia 


13,  6.  sembiante:  simile,  uguale.  —  7. 
nulla  faccia  :  nessuna  faccia,  aspetto,  ap- 
parenza. 

14,  6.  Perché  il  sangue  loro  è  degno  di 
essere  risparmiato:  costrutto  corrispon- 
dente al  latino  dlgnus  ut,  frequentissimo 
nel  Tasso  e  in  altri  scrittori.  —  8.  per  altri  : 
da  altri. 

16,  4.  e  desti  abbian  gl'incendi:  Virg.,4<*n. 
V  743:  *  et  sopitos  suscitai  ignes  »;  e  il  Pe- 
trarca, son.  Già  fiammeggiava  6:  ♦  e  desto 
avea  il  carbone  ». 

17,  3.  di  varie  tempre  :  di  varie  materie 
mescolate  insieme.  —  5.  Pors«  ecc.  :  Intendi, 


10  —  Tasso,  Gerusalemme  liberata. 


146 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Di  quello  stiiol  che  la  circonda  e  guarda. 

Ciò  fu  coneluso;  e  in  sua  magion  ciascuno 

Aspetta  il  tempo  al  gran  fatto  opportuno. 

18 

Depon  Clorinda  le  sue  spoglie  inteste 
D'argento,  e  l'elmo  adorno  e  l'arme  altere: 
E  senza  piuma  o  fregio  altre  ne  veste 
(Infausto  annunzio!)  rugginose  e  nere; 
Però  che  stima  agevolmente  in  queste 
Occulta  andar  fra  le  nemiche  schiere. 
E  quivi  Arsete  eunuco,  il  qual  fanciulla 
La  nudri  da  le  fasce  e  da  la  culla; 
19 

E  per  l'orme  di  lei  l'antico  fianco 
D'ogni  intorno  traendo,  or  la  seguia. 
Vede  costui  l'arme  cangiate,  ed  anco 
Del  gran  rischio  s'accorge  ove  ella  già; 
E  se  n'affligge,  e  per  lo  crin  che  bianco 
In  lei  servendo  ha  fatto,  e  per  la  pia 
Memoria  de'  suo'  ufl&ci  instando  prega 
Che  da  l' impresa  cessi:  ed  ella  il  nega. 
20 

Onde  ei  le  disse  al  fin:  Poi  che  ritrosa 
Si  la  tua  mente  nel  suo  mal  s'indura, 
Che  né  la  stanca  età,  né  la  pietosa 
Voglia,  né  i  preghi  miei,  né  il  pianto  cara, 
Ti  spiegherò  più  oltre;  e  saprai  cosa 
Di  tua  condizion,  che  t'era  oscura: 
Poi  tuo  desir  ti  guidi,  o  mio  consiglio. 
Ei  segue;  ed  ella  inalza  attenta  il  ciglio. 
21 

Resse  già  l'Etiopia,  e  forse  regge 
Senapo  ancor,  con  fortunato  impero; 
Il  qual  del  figlio  di  Maria  la  legge 
Osserva,  e  l'osserva  anco  il  popol  nero. 
Quivi  io  Pagan  fui  servo,  e  fui,  tra  gregge 
D'ancelle  avvolto  in  feminil  mestiero, 


che  aspettando  qualche  ora  la  coppia  avreb- 
be forse  trovata  gran  parte  della  guardia 
addormentata. 

18.  Vedi  nell'Ariosto,  Ori,  xli  31,  le  ve- 
sti indossate  da  Brandimarte  che  va  a  com- 
battere contro  Agramante.  —  7.  Arsete:  fa 
presso  Clorinda  Tufflcio  che  Metabo  presso 
Camilla  in  Virg.  {Aen.  xi). 

19.  1-2.  l'etrarca,  son.  Movesi  il  vec- 
chierel  6:  «Indi  traendo  poi  l'antico  fian- 
co ».  Cfr.  e.  vili  41,  2. 

20.  Dalle  note  del  Mella,  il  quale  ampliò 
una  citazione  del  Gentile  :  «  Il  racconto  di 
Arsete  è  preso  da  un  romanzo  {Istorie  Etio- 
piche), opera  di  Eliodoro,  elegante  scrit- 
tore greco,  vescovo  di  Trica  nella  Tessa- 
glia, morto  il  390,  sotto  Teodosio  il  gran- 
de... Il  poeta  ci  aggiunse  poi  qualche  orna- 
mento tratto  dalle  avventure  della  Camilla 
virgiliana  come,  per  es.,  il  salvamento  del 
fiume  (Aen.  547),  l'allattamento  prodigioso 
ecc.  »  —  1.  disse:  pure  Conq.  ma  Os.  dice. 

21,6.   mestiero:  per   ministero,    ufficio: 


Ministro  fatto  de  la  regia  moglie, 

Che  bruna  è  si,  ma  il  bruno  il  bel  non  toglie. 

22 
N'arde  il  marito,  e  de  l'amore  al  foco 
Ben  de  la  gelosia  s'agguaglia  il  gelo. 
Si  va  in  guisa  avanzando  a  poco  a  poco 
Nel  tormentoso  petto  il  folle  zelo,     [loco 
Che  da  ogn'uom  la  nasconde:  e  in  chiuso 
Vorria  celarla  a  i  tanti  occhi  del  cielo. 
Ella,  saggia  ed  urail,  di  ciò  che  piace 
Al  suo  signor,  fa  suo  diletto  e  pace. 

23 
D'una  pietosa  istoria  e  di  devote 
Figure  la  sua  stanza  era  dipinta. 
Vergine  bianca  il  bel  vólto,  e  le  gote 
Vermiglia, è  quivi  presso  un  drago  avvinta. 
Con  l'asta  il  mostro  un  cavalierpercote  ; 
Giace  la  fera  nel  suo  sangue  estinta. 
Quivi  sovente  ella  s'atterra,  e  spiega 
Le  sue  tacite  colpe,  e  piange  e  prega. 

24 
Ingravida  fra  tanto,  ed  espon  fuori 
(E  tu  fosti  colei)  candida  figlia. 
Si  turba;  e  de  gli  insoliti  colori, 
Quasi  d'un  novo  mostro,  ha  meraviglia. 
Ma,  perché  il  re  conosce  e  i  suoi  furori, 
Celargli  il  parto  al  fin  si  riconsiglia  ; 
Ch'egli  avria  dal  candor,che  iute  si  vede, 
Argomentato  in  lei  non  bianca  fede. 


Vavvolto  ha  da  unirsi  a  tra  grejge  d'an- 
celle. 

22.  4.  tormentoso:  per  tormentato  ;  come 
poco  sopra  faticoso  per  affaticato.  —  il  folle 
zelo:  è  il  pazzo  fuoco  d'amore  :  pazzo,  per- 
ché riunito  con  il  gelo  della  gelosia.  —  6. 
occhi:  stelle.  Dante  chiama  il  cielo  delle 
stelle  fisse  {Par.  ii  115):  «Lo  ciel...  e' ha 
tante  vedute  ». 

23.  Il  Guastavini  avverte,  come  già  il 
Gentile,  che  la  finzione  è  tolta  da  Eliodoro 
nel  IV,  là  *  dove  Persina,  per  essersi  gia- 
ciuta col  marito  in  una  camera  nella  quale 
fra  l'altre  figure  era  dipinta  l'imagine  di 
Perseo  armato,  allora  ch'avea  liberata  An- 
dromeda dal  sasso,  partorì  Carichia  bianca; 
ond'ella  temendo  che  il  re  suo  marito  la 
tenesse  per  adultera,  e  la  figliuola  ne  fusse 
od  uccisa  0  reputata  bastarda,  mentendo 
al  padre  ch'ella  fosse  subitamente  morta, 
l'espose  alla  fortuna,  come  di  Clorinda  fa 
qui  la  madre  sua».  Aggiunge  Eliodoro  an- 
córa che,  cresciuta,  diventò  valente  arciera. 

—  3.  bianca  il  bel  rótto  ecc.  :  il  bel  vólto  e 
le  gote,  sono  costrutti  alla  greca.  Petrarca, 
Tr.  Anfi.  II  143:  «  Andromeda  gli  piacque 
in  Etiopia,  Vergine  bruna  i  begli  occhi  e 
le  chiome».  —  5.  un  caTalìer:  san  Giorgio. 

—  7.  s'atterra:  si  piega  a  terra,  s'inginoc- 
chia :  cfr.  e.  IV  3=1,  8. 

24.  8.  bianca  fede  :  la  Fede  presso  gli  an- 


CANTO  XII 


147 


25 
Ed  in  tua  vece  una  lanciulla  nera 
Pensa  mostrarceli,  poco  inauzi  nata. 
E,  perché  fu  la  torre,  ove  chius'era, 
Da  le  donne  e  da  me  solo  abitata, 
A  me,  che  le  fui  servo,  e  con  sincera 
Mente  l'amai,  ti  die  non  battezzata: 
Né  già  poteva  allor  batteamo  darti; 
Che  l'uso  no  '1  sostien  di  quelle  parti. 

26 
Piangendo  a  me  ti  porse,  e  mi  commise 
Ch'io  lontana  a  nudrir  ti  conducessi,  [se 
Chi  può  dire  il  suo  affanno,  e  in  quante  gui- 
Lagnossi,  e  raddoppiò  gli  ultimi  amplessi? 
Bagnò  i  baci  di  pianto,  e  fur  divise 
Le  sue  querele  da  i  singulti  spessi,  [ni, 
Levò  al  fin  gli  occhi,  e  disse:  ODio,che  scer- 
L'oprepiii  occulte,  e  nel  mio  cor  t'interni, 

27 
S'imraaculato  è  questo  cor,  s' intatte 
Son  queste  membra  e  '1  maritai  mio  letto, 
Per  me  non  prego,  che  mille  altre  ho  fatte 
Malvagità;  son  vile  al  tuo  cospetto: 
Salva  il  parto  innocente,  al  qual  il  latte 
Nega  la  madre  del  materno  petto; 
Viva,  e  sol  d'onestate  a  me  somigli  ; 
L'esempio  di  fortuna  altronde  pigli. 

28 
Tu,  celeste  guerrier,  che  la  donzella 
Togliesti  del  serpente  a  gli  empi  morsi. 
S'accesi  ne'  tuo'  altari  umil  facella, 
S'auro  0  incenso  odorato  unqua  ti  porsi, 
Tu  per  lei  prega,  si  che  fida  ancella 
Possa  in  ogni  fortuna  a  te  raccòrsi. 
Qui  tacque  ;  e  '1  cor  le  si  rinchiuse  e  strinse, 
E  di  pallida  morte  si  dipinse. 

29 

Io  piangendo  ti  presi,  e  in  breve  cesta 

Fuor  ti  portai,  tra  fiori  e  frondi  ascosa  : 


tichi  si  rappresentava  vestita  di  bianco. 
Orazio,  Od.  I  xxxv:  «  Te  Spes,  et  albo  rara 
Fides  colit  Velata  panno  ».  E  «  cana  fldes  » 
disse  Virgilio  nel  primo  dell'Eneide. 

25,  7-8.  Guastavini  :  «  di  quelle  parti  : 
dove  i  maschi  se  non  dopo  i  quaranta  di 
e  le  femmine  dopo  i  sessanta  non  sono  so- 
liti a  battezzarsi:  come  scrive  D.  France- 
sco D'Alvarez  nel  suo  viaggio  d'Etiopia  ». 

27,  7.  e  sol  d'onestate  ecc.:  Virg.,  Aen. 
XII  435:  «Disce,  puer,  virtutem  ex  me  ve- 
rumque  laborem,  Fortunam  ex  aliis  ». 

28,  1.  Apostrofa  S.  Giorgio.  —  6.  raccòrsi  : 
raccogliersi,  ridursi.  —  7.  e  '1  cor  le  si  ria. 
e  st.:  il  cuore  le  si  chiuse  e  serrò  alla  im- 
pressione degli  oggetti  esterni.  Dante,  Inf. 
VI  1:  «Al  tornar  della  mente  che  si  chiuse 
Dinanzi  alla  pietà  de'  due  cognati  *.  —  8. 
Dante,  Ganz.  i  3:  «Dipinta  in  guisa  di  per- 
sona morta». 

29,  1.  breve:  picciola.  —  2.  tra  flori  ecc.  : 


Ti  celai  da  ciascun,  che  né  di  questa 
Diedi  aospizion,  né  d'altra  cosa: 
Me  n'andai  sconosciuto  ;  e  per  foresta 
Camminando  di  piante  orride  ombrosa, 
Vidi  una  tigre,  che  minacele  ed  ire 
Avea  ne  gli  occhi,  in  contr'a  me  venire. 
30 

Sovra  un  arbore  i'  salsi,  e  te  su  l'erba 
Lasciai;  tanta  paura  il  cor  mi  prese. 
Giunse  l'orribil  fera,  e,  la  superba 
Testa  volgendo,  in  te  lo  sguardo  intese; 
Mansuefece,  e  raddolcio  l'acerba 
Vista  con  atto  placido  e  cortese  ; 
Lenta  poi  s'avvicina,  e  ti  fa  vezzi 
Con  la  lingua;  e  tu  ridi,  e  l'accarezzi  ; 
31 

Ed  ischerzando  seco,  al  fero  muso 
La  pargoletta  man  secura  stendi. 
Ti  porge  ella  le  mamme,  e,  come  è  l'uso 
Di  nutrice,  s'adatta,  e  tu  le  prendi. 
In  tanto  io  miro,  timido  e  confuso, 
Come  uom  faria  novi  prodigi  orrendi. 
Poi  che  sazia  ti  vede  ornai  la  belva 
Del  suo  latte,  ella  parte  e  si  riusciva: 
32 

Ed  lo  giù  scendo  e  ti  rieolgo,  e  torno 
Là  've  prima  fur  vòlti  i  passi  miei  ; 
E,  preso  in  picciol  borgo  al  fin  soggiorno, 
Celataraente  ivi  nutrir  ti  fei. 
Vi  stetti  in  sin  che  '1  sol  correndo  intorno 
Portò  a  i  mortali  e  diece  mesi  e  sei. 
Tu  con  lingua  di  latte  anco  snodavi 
Voci  indistinte,  e  incerte  orme  segnavi. 
33 

Ma  sendo  io  colà  giunto  ove  dechina 
L'etate  ornai  cadente  a  la  vecchiezza, 
Ricco  e  sazio  de  l'or  che  la  regina 
Nel  partir  diemmi  con  regale  ampiezza, 
Da  quella  vita  errante  e  peregrina 
Ne  la  patria  ridurmi  ebbi  vaghezza, 
E  tra  gli  antichi  amici  in  caro  loco 


Ovidio,  Epist.  XI  :  «  Frondibus  infantem, 
ramisque  aulentis  olivae  Et  levibus  vittia 
sedula  celat  anus  ».  —  3.  Ti  celai  da  cia- 
scun; CONQ.  Ti  celai  da  ciascun  nel  sonno 
o  desta;  Os.  Con  arte  si  gentil  che  né  di 
questa.  —  4.  Diedi  sospizion  né  :  Os.  Diedi 
sospetto  altrui.  —  6.  orride:  cosi  pure  Conq., 
ma  Os.  orrida. 

31,  8.  ella;  Os.  si. 

32,  7.  con  lingua  di  latte  ecc.:  Petrarca, 
canz.  Tacer  non  posso  82:  «Con  voci  an- 
cor non  preste,  Di  lingua  che  dal  latte  si 
scompagne».  —  8.  e  incerte  ecc.:  Orazio 
{Epist.  ad  Pisones)  :  «  et  pede  certo  Signat 
humum  ». 

33,  1-2.  Petrarca,  son.  Tutta  la  mia  fio- 
rita 3:  «  ed  era  giunto  al  loco,  Ove  scende 


148 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Viver,temprando  il  verno  al  proprio  foco. 

34 
Partorai  :  e  vèr'  l'Egitto,  ove  son  nato, 
Te  couducendo  meco,  il  córso  invio  ; 
E  giungo  ad  un  torrente,  e  riserrato 
Quinci  da  i  ladri  son,  quindi  dal  rio- 
Che  debbo  far?  te,  dolce  peso  amato, 
Lasciar  non  voglio,  e  di  campar  desio. 
Mi  gitto  a  nuoto;  ed  una  man  ne  viene 
Rompendo  l'onda,  e  te  l'altra  sostiene. 

35 
Rapidissimo  è  il  córso,  e  in  mezzo  l'onda 
In  se  medesma  si  ripiega  e  gira  ; 
Ma,  giunto  ove  più  volge  e  si  profonda 
In  cerchio,  ella  mi  torce,  e  giù  mi  tira. 
Ti  lascio  allor  :  ma  falza  e  ti  seconda 
L'acqua,  e  secondoaTacqua  il  vento  spira, 
E  t'espon  salva  in  su  la  molle  arena: 
Stanco,  anelando,  io  poi  vi  giungo  a  pena. 

36 
Lieto  ti  prendo;  e  poi  la  notte,  quando 
Tutte  in  alto  silenzio  eran  le  cose, 
Vidi  in  sogno  un  guerrier. che  minacciando 
A  me  su  '1  vólto  il  ferro  ignudo  pose. 
Imperioso  disse  :  Io  ti  comando 
Ciò  che  la  madre  sua  primier  f  impose, 
Che  battezzi  r  infante:  ella  è  diletta 
Del  Cielo  ;  e  la  sua  cura  a  me  s'aspetta. 

37 
Io  la  guardo  e  difendo;  io  spirto  diedi 


la  vita,  ch'ai  fin  cade».   —   8.   Umprando  : 

mitigando. 

34,  3.  E  gian^o  ecc.:  Virgilio,  di  Metabo 
che  fugge  con  la  piccola  Camilla,  Aen.  xi 
547:  «Ecce,  fugae  medio,  summis  Amase- 
nu3  abundans  Spumabat  ripis,  tautus  se 
nubibus  imber  Ruperat!  Ille,  innare  pa- 
rana,  infantis  amore  Tardatur,  caroque 
oneri  timet...  Dat  sese  fluvio  ».  Guastavini: 
«  Ha  cambiato  in  questa  parte  T  invenzion 
di  Virgilio  e  fattala  più  affettuosa  assai... 
perciocché  Metabo  lega  la  figliuola  all'asta 
ch'egli  portava,  e,  raccomandatala  e  dedi- 
catala a  Diana,  la  getta  per  aria  di  là  dal 
fiume,  mettendosi  poi  esso  a  nuotar  oltre 
ecc.».  —  8.  onda:  cosi  pure  Conq.;  ma  Os. 
acqua. 

35,  4.  Virg.,  Aen.  i  116  :  «  ast  illam  ter 
fluctus  ibidem  Torquet  agens  circum,  et 
rapidus  vorat  aequore  vortex  *.  —  6,  se- 
condo: favorevole. 

36,  3.  un  gaerrier:  San  Giorgio.  —  6.  Ciò 
che  la  madre  sua  primier  :  d'accordo  colla 
Conq.  ;  ma  Os.  Che  faccia  come  a  te  la 
tnadre.  —  7.  Che  battezzi  l'Infante:  cosi 
ancora  Conq.;  ma  Os.  Dar  battesmo  a  Vin- 
fante.  —  8.  s'aspetta:  spetta,  appartiene: 
cfr.  e.  V  34,  8;  e.  viii  35,  7  ecc. 

87,  1.  io  spirto  diedi  ecc.:  Attribuisce  il 


Di  pietate  a  le  fere,  e  mente  a  l'acque. 
Misero  te,  s'al  sogno  tuo  non  credi, 
Ch'è  del  Cielmessaggiero.Equisi  tacque. 
Svegliaimi  e  sorsi,  e  di  là  mossi  i  piedi. 
Come  del  giorno  il  primo  raggio  nacque: 
Ma,  perché  mia  fé  vera,  e  l'ombre  false 
Stimai,  di  tuo  battesmo  non  mi  calse, 

38 
Né  de  i  preghi  materni;  onde  nudrita 
Pagana  fosti  :  e  '1  vero  a  te  celai. 
Crescesti;  e  in  arme  valorosa  e  ardita 
Vincesti  il  sesso  e  la  natura  assai  : 
Fama  e  rerre  acquistasti;  e  qual  tua  vita 
Sia  stata  poscia,  tu  medesma  il  sai  ; 
E  sai  non  men  che  servo  insieme  e  padre 
Io  t'  ho  seguita  fra  guerriere  squadre. 

39 
ler  poi  su  l'alba,  a  la  mia  mente  oppressa 
D'alta  quiete  e  simile  a  la  morte. 
Nel  sonno  s'ofiFeri  l'imago  stessa  : 
Ma  in  più  turbata  vista  e  in  suon  più  forte, 
Ecco,  dicea,  fellon,  l'ora  s"appressa 
Che  dee  cangiar  Clorinda  e  vita  e  sorte: 
Mia  sarà  mal  tuo  grado,  e  tuo  fia  il  duolo. 
Ciò  disse,  e  poi  n'andò  per  l'aria  a  volo 

40 
Or  odi  dunque  tu,  che  '1  Ciel  minaccia 
A  te,  diletta  mia,  strani  accidenti. 
Io  non  80  ;  forse  a  lui  vien  che  dispiaccia 
Ch'altri  impugni  la  fé  de'  suoi  parenti. 
Forse  è  la  vera  fede.  Ah!  giù  ti  piaccia 
Depor  quest'arme  e  questi  spirti  ardenti. 
Qui  tace,  e  piagne;  ed  ella  pensa  e  teme; 
Che  un  altro  simil  sogno  il  cor  le  preme  ♦ 

41 
Rasserenando  il  vólto,  al  tìn  gli  dice: 
Quella  fé  seguirò  che  vera  or  parmi, 
Che  tu  co  '1  latte  già  de  la  nutrice 
Sugger  mi  festi,  e  che  vuoi  dubbia  or  farmi: 
Né  per  temenza  lascierò,  né  lice 
A  magnanimo  cor,  l'impresa  e  l'armi  ; 
Non  se  la  morte  nel  più  fìer  sembiante 
Che  sgomenti  i  mortali  avessi  inante. 


poeta  a  San  Giorgio  i  due  miracoli  raccon- 
tati di  sopra,  della  tigre  che  allattò  Clo- 
'  rinda,  e  delle  acque  che  la  portarono  a 
riva.  —  3-4.  Omero,  in  persona  dello  stesso 
sogno.  II.  II,  trad.  Guastavini:  *  Ma  ora 
intendimi  tosto,  che  di  Giove  sono  messag- 
gi ero  ».  —  *  8.  non  mi  calse.  Os.  a  'ine  non 
calse. 

39,  2.  Virg.,  Aen.  vi  522  «  Dulcis  et  alta 
quies,  placidaeque  simillima  morti». 

40,  3.  Tien  :  avviene:  cfr.  e.  vi  46,  3.  — 
4.  parenti:  genitori:  cfr.  e.  iv  40,  4.  —  5. 
Forse  è  la  Tera  fede  :  e  forse  la  fede  de'  tuoi 
genitori,  che  tu  impugni,  combatti,  è  la 
vera. 


CANTO  XII 


149 


42 
Poscia  il  consola  ;  e,  ])erclié  il  tempo  giun- 
Ch'ella  deve  ad  effetto  il  vanto  porre,   [gè 
Parte,  e  con  quel  guerrier  si  ricongiunge 
Che  si  vuol  seco  al  gran  periglio  esporre. 
Con  lor  s'aduna  Ismeuo,  e  instiga  e  punge 
Quella  virtù  che  per  sé  stessa  córre  ; 
E  lor  porge  dì  zolfo  e  di  bitumi 
Due  palle,  e  'n  cavo  rame  ascosi  lumi. 

43 
Escon  notturni  e  piani,  e  per  lo  colle 
Uniti  vanno  a  passo  lungo  e  spesso, 
Tanto  che  a  quella  parte,  ove  s'estolle 
La  macchina  nemica,  ornai  son  presso. 
Lor  s'infiamraan  gli  spirti,  e  '1  cor  ne  bolle. 
Né  può  tutto  capir  dentro  a  sé  stesso  : 
Gli  invita  al  foco,  al  sangue  un  fero  sdegno. 
Grida  la  guardia,  e  lor  dimanda  il  segno. 

44 
Essi  van  cheti  iuanzi  ;  onde  la  guarda 
A  Tarme,  a  l'arme,  in  alto  suon  raddoppia  ; 
Ma  più  non  si  nasconde,  e  non  è  tarda 
Al  córso  allor  la  generosa  coppia. 
In  quel  modo  che  fulmine  o  bombarda 
Co  '1  lampeggiar  tuona  in  un  punto  e  scop- 
Movere  ed  arrivar,  ferir  lo  stuolo,     [pia, 
Aprirlo  e  penetrar,  fu  un  punto  solo. 
45 
E  forza  è  pur  che  fra  mill'arme  e  mille 
Percosse  il  lor  disegno  al  fin  riesca. 
Scoprirò  i  chiusi  lumi,  e  le  faville 
S'appreser  tosto  a  l'accensibil  ésca, 
Ch'a  i  legni  poi  l'avvolse  e  corapartille. 
Chi  può  dir  come  serpa  e  come  cresca 
Già  da  più  lati  il  foco?  e  come  folto 
Turbi  il  fumo  a  le  stelle  il  puro  vólto? 
46 
Vedi  globi  di  fiamme  oscure  e  miste 
Fra  le  rote  del  fumo  in  ciel  girarsi. 
Il  vento  soffia,  e  vigor  fa  ch'acquiste 
L'incendio,  e  in  un  raccolga  i  fochi  sparsi 


Fere  il  gran  lame  con  terror  le  viste 
De'  Franchi,  e  tutti  son  presti  ad  armarsi. 
La  mole  immensa  e  si  temuta  in  guerra, 
Cade;  e  breve  ora  opre  si  lunghe  atterra. 
47 
Due  squadre  de'  Cristiani  in  tanto  al  loco, 
Dove  sorge  l'incendio,  accorron  pronte. 
Minaccia  Argante:  Io  spegnerò  quel  foco 
Co  '1  vostro  sangue;  e  volge  lor  la  fronte. 
Pur,  ristretto  a  Clorinda,  a  poco  a  poco 
Cede,  e  raccoglie  i  passi  a  sommo  il  monte. 
Cresce,  più  che  torrente  a  lunga  pioggia, 
La  turba,  e  li  rincalza,  e  con  lor  poggia. 

48 
, Aperta  è  l'Aurea  porta,  e  quivi  tratto 
E  il  re,  ch'armato  il  popol  suo  circonda, 
Per  raccòrre  i  guerrier  da  si  gran  fatto. 
Quando  al  tornar  fortuna  abbian  seconda. 
Saltano  i  due  su  '1  limitare,  e  ratto 
Di  retro  ad  essi  il  Franco  stuol  inonda  : 
Ma  l'urta  e  scaccia  Solimano;  e  chiusa 
È  poi  la  porta,  e  sol  Clorinda  esclusa. 
49 
Sola  esclusa  ne  fu,  perché  in  quell'ora 
ch'altri  serrò  le  porte  ella  si  mosse, 
E  corse  ardente  e  incrudelita  fora 
A  punir  Arimon  che  la  percosse. 
Punillo  ;  e  '1  fero  Argante  avjisto  ancora 
Non  s'era  ch'ella  si  trascorsa  fosse  ; 
Che  la  pugna  e  la  calca  e  l'aer  denso 
A  i  cor  togliea  la  cura,  agli  occhi  il  senso. 

50 
Ma  poi  che  intepidi  la  mente  irata 
Nel  sangue  del  nemico  e  in  sé  rivenne, 
Vide  chiuse  le  porte,  e  intorniata 
Sé  da'  nemici;  e  morta  allor  si  tenne. 
Pur,  veggendo  ch'alcuno  in  lei  non  guata, 
Nov'arte  di  salvarsi  le  sovvenne: 
Di  lor  gente  s'infinge,  e  fra  gli  ignoti 
Cheta  s'avvolge;  e  non  è  chi  la  noti. 


42,  2.  il  vanto  :  cioè  il  vantato  disegno, 
di  cui  generosamente,  dinanzi  al  re  Ala- 
dino, ha  fatto  autore  Argante.  Vedi  sopra, 
st.  10.  —  3.  con  quel  guerrier:  Argante. 

43,  1.  notturni  e  piani:  di  notte  tempo 
e  quetamente:  Petrarca,  Tr.  Fam.  i  46: 
«  Di  Claudio  dico,  che  notturno  e  piano  ». 
—  6.  capir  :  esser  contenuto  ;  come  nell'Ario- 
sto  Ori.  VII  27:  «Non  par  che  capir  possa 
nella  pelle  *. 

45,  3.  i  cliiusi  lumi  :  i  lumi  che  Ismene 
aveva  dato  loro  m  cavo  rame  ascosi. 

46,  1.  globi  ecc.:  Virg.,  Aen.  in  572: 
«  atrara  proru.upit  ad  aethera  nubem,  Tur- 
bine fumantem  piceo  et  candente  favilla, 
AttoUitque  globos  flammarum,  et  sidera 
lambit  ».  E  anche  ix  75:  «  piceum  fert  fu- 


mida  lumen  Taeda  et  commixtam  Vulcanus 
ad  astra  favillam».  —  5.  Tiste  :  occhi. 

47,  8.  poggia  :  sale. 

48,  1.  l'Aurea  porta:  la  porta  di  Gerusa- 
lemme che  guardava  la  valle  di  Giosafàt 
era  appunto  detta  Aurea.  Mella  :  «  La  porta 
dorata  dicesi  fabbricata  al  tempo  dei  Ro- 
mani, e  romana  infatti  è  l'architettura  ». 
—  3.  Per  raccòrre  :  questa  proposizione  cau- 
sale spiega  Vaperta.  —  4.  Intendi  :  Se  i 
guerrieri,  ossia  Argante  e  Clorinda,  ab- 
biano nel  ritorno  propizia  la  fortuna.  — 
*  6.  stuol  inonda.  O,-'.  stuoi  v'inonda. 

49,  8.  togliea  la  cura  :  toglieva  il  darsi 
premura  degli  altri. 

60,  1.  intepidi  ecc.:  rese  tepido  l'animo 
ardente  d'ira,  ossia  mitigò.  —  7.  s'infinge: 
qui  sta  per  si  finge  semplicemente;  lat.  5t- 
raulare. 


160 


GERUSALEMME  LIBERATA 


51 
Poi,  come  lupo  tacito  s' imbosca 
Dopo  occulto  misfatto,  e  si  desvia  ; 
Da  la  confusion,  da  Taura  fosca 
Favorita  e  nascosa  ella  se  'n  già. 
Solo  Tancredi  avvien  che  lei  conosca; 
Egli  quivi  è  sorgiunto  alquanto  pria  ; 
Vi  giunse  allor  ch'essa  Arimone  uccise: 
Vide  e  segnoUa,  e  dietro  a  lei  si  mise. 

52 
Vuol  ne  Tarmi  provarla:  un  uom  la  stima 
Degno  a  cui  sua  virtù  si  paragone. 
Va  girando  colei  l'alpestre  cima 
Verso  altra  porta,  ove  d'entrar  dispone. 
Segue  egli  impetuoso;  onde,  assai  prima 
Che  ginuga,in  guisa  avvien  ched'armi  suo- 
Ch'ellasi  volge, egrida:0  tu,cheporte,[ne, 
Che  corri  si  ?  Risponde  :  E  guerra  e  morte. 

53 
Guerrae  morte  avrai, disse;  io  nonrifiuto 
Darlati.  se  la  cerchi:  e  ferma  attende. 
Non  vuol  Tencredi,  che  pedon  veduto 
Ha  il  suo  nemico,  usar  cavallo,  e  scende. 
E  impugna  l'uno  e  l'altro  il  ferro  acuto, 
Ed  aguzza  l'orgoglio,  e  l'ire  accende  ; 
E  vansi  a  ritrovar,  non  altrimenti 
Che  duo  tori  gelosi  e  d' ira  ardenti. 

54 
Degne  d'un  chiaro  sol,  degne  d'un  pieno 
Teatro,  opre  sarian  si  memorande. 
Notte,  che  nel  profondo  oscuro  seno 
Chiudesti  e  ne  l'oblio  fatto  si  grande. 
Piacciati  eh'  io  ne  '1  tragga,  e  'n  bel  sereno 
A  le  future  età  lo  spieghi  e  mande. 


61,  1.  Poi,  come  lupo  ecc.:  Virg.,  Aen. 
XI,  809:  «AC  velut  ille,  prius  qu^m  tela 
inimica  sequantur,  Continuo  in  moutes  sese 
avius  abdidit  altos,  Occiso  pastore,  lupus, 
magnove  iuvenco,  Conscius  audacis  facti, 
caudamque  remulcens  Subiecit  pavitantem 
utero,  silvasque  petivit  >•.  —  5.  conosca; 
come  il  nemico  che  uccise  Arimone,  non 
già  come  Clorinda. 

62,  6.  d'armi  snone  :  è  il  rumore  dell'ar- 
matura, fatto  maggiore,  perché  Tancredi 
era  a  cavallo.  —  7.  porte:  porti,  rechi.  — 
8.  E  guerra:  cosi  pure  CONQ.  ma  Os.  Guerra. 

63,  3-1.  Virg.,  di  Camilla,  Aen.  xi  710: 
e  Tradit  equum  corniti,  paribusque  resistit 
in  armis,  Ense  pedes  nudo  puraque  inter- 
rita parma  ».  —  6.  Virg.,  Aen.  xii  108  :  «  Ae- 
neas  acuit  Martem,  et  se  suscitai  ira  ».  — 
6.  orgoglio:  qui  è  quella  balda  fierezza  del- 
l'animo prodotta  dai  sentimenti  battaglieri 
[.Marie)  eli  e  in  esso  si  accolgono. 

64,  1.  Degne  d'nn  chiaro  sol:  cfr.  e.  ix 
00,  a  proposito  del  duL-Uo  fra  Solimano  e 
Goffredo  :  «  Tasso  qui  cose  orribili  che  fatte 
Puvon,  ma  le  copri  quelTaer  nero;  D'un 
chiarissimo  sol  degne   e  che    tutti   Siano  i 


Viva  la  fama  loro  ;  e  tra  lor  gloria 
Splenda  del  fosco  tuo  l'alta  memoria. 
55 

Non  schivar,  non  parar,  non  ritirarsi 
Voglion  co8tor,néqui  destrezza  ha  parte. 
Non  danno  i  colpi  orfinti,  or  pieni  or  scarsi; 
Toglie  l'ombra  e  '1  furor  l'uso  de  l'arte. 
Odi  le  spade  orribilmente  urtarsi 
A  mezzo  il  ferro  ;  il  pie  d'orma  non  parte  : 
Sempre  è  il  pie  fermo,  e  laman  sempre  in 

[moto; 
Né  scende  taglio  in  van,  né  punta  a  vóto. 
56 

L'onta  irrita  lo  sdegno  a  la  vendetta, 
E  la  vendetta  poi  l'onta  rinuova  ; 
Onde  sempre  al  ferir,  sempre  a  la  fretta 
Stimol  novo  s'aggiunge  e  cagion  nova. 
D'or  in  or  pili  si  mesce,  e  più  ristretta 
Si  fa  la  pugna:  e  spada  oprar  non  giova; 
Dansi  co'  pomi,  e,  infelloniti  e  crudi, 
Cozzan  con  gli  elmi  insieme  e  con  gli  scudi. 
57 

Tre  volte  il  cavalier  la  donna  stringe 
Con  le  robuste  braccia;  ed  altrettante 
Da  que'  nodi  tenaci  ella  si  scinge. 
Nodi  di  fèr  nemico,  e  non  d'amante. 
Tornano  al  ferro,  e  l'uno  e  l'altro  il  tinge 
Con  molte  piaghe:  e  stanco  ed  anelante 
E  questi  e  quegli  al  fin  pur  si  ritira, 
E  dopo  lungo  faticar  respira. 

58  [gue 

L'un  l'altro  guarda,  e  del  suo  corpo  esan- 
Su  '1  pomo  de  la  spada  appoggia  il  peso. 
Già  de  l'ultima  stella  il  raggio  langue 
Al  primo  albor  ch'è  in  oriente  acceso. 
Vede  Tancredi  in  maggior  copia  il  sangue 
Del  suo  nemico,  e  sé  non  tanto  ofteso. 
Xe  gode  e  superbisce.  Oh  nostra  folle 


mortali  a  riguardar  ridutti  ».  —  8.  del  fosco 
t.:  delle  tue  tenebre.  Vuol  dire:  e  illumi- 
nata dalla  loro  gloria  splenda  l'alta  memo- 
ria delle  tue  tenebre. 

66,  '2.  ha  parte:  si  mostra.  —  6.  il  pie 
d'orma  non  parte:  il  pie  non  si  rimove  dal- 
Forma  primamente  segnata;  i  due  guerrieri 
restano,  cioè,  sempre  nello  stesso  punto. 

5",  7.  Casini  :  •  infelloniti  perché  veni- 
van  meno  alle  leggi  cavalleresche,  e  crudi 
perché  avevan  l'animo  chiuso  ad  ogni  pie- 
tà >,— S.  Mazz.  e  Pad.:  *  Nel  furor  del 
duello  i  due  guerrieri  si  sono  tanto  avvici- 
nati l'uno  all'altro  da  non  potere  più  usare 
le  spade  ». 

67,  4.  Verso  che  sta  come  una  osserva- 
zione del  poeta  il  quale  sa  che,  se  Tancredi 
avesse  riconosciuta  la  donna,  avrebbe  vo- 
luto stringerla  come  amante  e  non  come 
fiero  nemico, 

68,  7.  Oh  nostra  folle  ecc.:  Silio  Italico, 


CANTO  XII 


161 


Mente,  ch'ogn'aura  di  fortuna  estolle! 
59 

Misero,  di  che  godi?  oh  quanto  mesti 
Piano  i  trionfi,  ed  infelice  il  vanto  ! 
Gli  occhi  tuoi  pagheran  (se  in  vita  resti) 
Di  quel  sangue  ogni  stilla  un  mar  di  pianto. 
Cosi  tacendo  e  rimirando,  questi 
Sanguinosi  guerrier  cessaro  alquanto. 
Ruppe  il  silenzio  al  fin  Tancredi,  e  disse, 
Perché  il  suo  nome  a  lui  l'altro  scoprisse: 
60 

Nostra  sventura  è  ben  che  qui  s'impieghi 
Tanto  valor,  dove  silenzio  il  copra. 
Ma,  poi  che  sorte  rea  vien  che  ci  neghi 
E  lode  e  testimon  degno  de  l'opra. 
Pregoti  (se  fra  l'arme  han  loco  i  preghi) 
Che  '1  tuo  nome  e  '1  tuo  stato  ame  tu  scopra , 
Acciò  ch'io  sappia,  o  vinto  o  vincitore. 
Chi  la  mia  morte  o  la  vittoria  onore. 
61 

Risponde  la  feroce:  Indarno  chiedi 
Quel  c'ho  per  uso  di  non  far  palese. 
Ma  chiunque  io  mi  sia,  tu  inanzi  vedi 
Un  di  quei  due  che  la  gran  torre  accese. 
Arse  dì  sdegno  a  quel  parlar  Tancredi, 
E,  in  mal  punto  il  dicesti,  indi  riprese  ; 
Il  tuo  dir  e  '1  tacer  di  par  m'alletta, 
Barbnro  discortese,  a  la  vendetta. 
62 

Torna  l'ira  ne'  cori,  e  li  trasporta, 
Benché  deboli,  in  guerra.  Ah  fera  pugna! 
U'  l'arte  in  bando,  u'  già  la  forza  è  morta, 
Ove,  in  vece,  d'entrambi  il  furor  pugna! 
Oh  che  sanguigna  e  spaziosa  porta 
Fa  runa  e  l'altra  spada,  ovunque  giugna. 
Ne  l'arme  e  ne  le  carni!  e  se  la  vita 
Non  esce,  sdegno  tienla  al  petto  unita. 


Punic.  II 28  :  «  Heu  caecae  mentes,  turaefac 
taque  corda  secundis  !»  :  e  Seneca,  Troad. 
304:  «0  tumide,  rerum  dura  secundarum 
status  Extollit  animos;  timide,  cum  incre- 
puit  metus  !»  —  8.  estolle  :  solleva,  insu- 
perbisce. 

59,  3-4.  Costruisci  e  intendi  :  gli  occhi 
;  tuoi  pagheranno  un  mar  di  pianto  ogni 
;  stilla  di  quel  saug-ue;  verseranno,  cioè,  un 
I  mar  di  pianto  per  ogni  ecc.  —  6.  cessaro  : 
^    cosi  pure  ha  Conq.  ;  ma  Os.  posavo.  —  7-S. 

Tancredi  è  mosso  a  parlare  quasi  da  in- 
terno presentimento  che  lo  spinge  ad  allon- 
tanare e  finire  la  pugna.  Viene  cosi  il  T. 
preparando  l'animo  nostro  ai  quattro  ul- 
timi versi  della  st.  (ì6. 

60,  3.  rlen:  avviene:  come  sopra,  st.  40, 
3;  e  in  molti  altri  luoghi.  —  8.  onore  :  onori  : 
chi  abbellisca  di  onore  la  mia  morte  o  la 
mia  vittoria. 

*  62,  2.  Ah  fera  p.  l  Cosi  l'Os.  Invece  le 
tre  B:  benché  deboli  in  guerra  a  ferapu- 


63 

Qual  l'alto  Egeo,  perché  aquilone  o  noto 
Cessi,  che  tutto  prima  il  volse  e  scosse, 
Non  s'accheta  ei  però,  ma  '1  suono  e  '1  moto 
Ritien  de  l'onde  anco  agitate  e  grosse  ; 
Tal,  se  ben  manca  in  lor  co  '1  sangue  vóto 
Quel  vigor  che  le  braccia  a  i  colpi  mosse, 
Serbano  ancor  l'impeto  primo,  e  vanno 
Da  quel  sospinti  a  giunger  danno  a  danno. 
64 

Ma  ecco  ornai  l'ora  fatale  è  giunta, 
Che  '1  viver  di  Clorinda  al  suo  fin  deve. 
Spinge  egli  il  ferro  nel  bel  sen  di  punta. 
Che  vi  s'immerge,  e  '1  sangueavidobeve; 
E  la  veste,  che  d'or  vago  trapunta 
Le  mammelle  stringea  tenera  e  leve, 
L'empie  d'un  caldo  fiume.  Ella  già  sente 
Morirsi,  e  'Ipièle  manca  egro  e  languente. 
65 

Segue  egli  la  vittoria,  e  la  trafitta 
Vergine  minacciando  incalza  e  preme. 
Ella,  mentre  cadea,  la  voce  afflitta 
Movendo,  disse  le  parole  estreme  ; 
Parole  eh'  a  lei  novo  un  spirto  ditta, 
Spirto  di  fé,  di  carità,  di  speme; 
Virtù  ch'or  Dio  le  infonde;  e  se  rubella 
In  vita  fu,  la  vuole  in  morte  ancella. 
66 

Amico,  hai  vinto:  io  ti  perdóu....  perdona 


ffna:  cioè  li  trasporta  a  fera  pugna,   dove 
l'arte  ecc. 

63,  1.  Qnal  ecc.:  Ovidio,  Fast,  ii  775: 
«  Utsolet  a  magno  fluctus  languescereflatu  ; 
Sed  tamen  a  vento,  qui  fuit,  unda  tumet  *. 
—  perché:  sebbene,  quantunque,  come  in 
Dante,  Inf.  xxxii  100:  «  Ond'egli  a  me:  Per- 
ché tu  mi  dischiomi  Né  ti  dirò  ch'io  sia 
né  mostrerolti  >►.  —8,  ginnger:  aggiungere. 

64,  2.  al  suo  fin  deve:  sottintendi;  perve- 
nire: se  pure  non  ha  ragione  il  Guastavini 
di  spiegare:  è  debitrice.  "Vorrebbe  dire  in 
questo  caso:  È  giunta  quell'ora  destinata 
la  quale  è  debitrice  verso  la  morte  [al  suo 
fine)  del  vivere  di  Clorinda.  —  4.  Virg  , 
Aen.  XI  803:  •»  Hasta  sub  exertara...  papil- 
lam  Haesit  virgineuraque  alte  bibit  acta 
cruorem  ».  ~  b.E  la  reste  ecc.:  Virg.,  Aen. 
X  818:  «Transit...  Et  tunicam,  molli  mater 
quam  neverat  auro  ;  Implevitque  sinuni 
sanguis*.  E  ix  414:  «<  Volvitur  ille  vomens 
calidum  de  pectore  flumen;='.  —  8.  egro  e 
langaente:  aggiunti  che  guastano  non  poco 
la  grande  bellezza  dell'ottava. 

65,  1.  Segue  egli:  cosi  pure  Conq.;  raa 
Os.  Quel  segue.  —  7-8.  e...  la  vuole  ecc.  Il 
soggetto  di  questa  proposizione  è  Dio, 
espresso  nella  proposizione  relativa  che 
precede.  Bisogna  confessare  che  qui  la  sin- 
tassi non  è  troppo  chiara. 


152 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Ta  ancora,  al  corpo  no,  che  nulla  pavé, 
A  l'alma  si:  deh!  per  lei  prega,  e  dona 
Battesrao  a  me  ch'ogni  mia  colpa  lave. 
In  queste  voci  languide  risuona 
Un  non  so  che  di  flebile  e  soave    [morza. 
Ch'ai  cor  gli  scende,  ed  ogni  sdegno  am- 
E  gli  occhi  a  lagrimar  gli  invoglia  e  sfor- 
67  [za. 

Poco  quindi  lontan  nel  sen  del  monte 
Scaturia  mormorando  un  picciol  rio. 
Egli  v'accorse,  e  l'elmo  empiè  nel  fonte, 
E  tornò  mesto  al  grande  ufficio  e  pio. 
Tremar  senti  la  man,  mentre  la  fronte 
Non  conosciuta  ancor  sciolse  e  scoprio. 
La  vide,  la  conobbe;  e  restò  senza 
E  voce  e  moto.  Ahi  vista  !  ahi  conoscenza! 
G8 

Non  mori  già;  che  sue  virtuti  accolse 
Tutte  in  quel  punto,  e  in  guardia  al  cor  le 

[mise, 
E  premendo  il  suo  affanno,  a  dar  si  volse 
Vita  con  l'acqua  a  chi  col  ferro  uccise. 
Mentre  egli  il  suon  de'  sacri  detti  sciolse, 
Colei  di  gioia  trasmutossi,  e  rise; 
E  in  atto  di  morir  lieto  e  vivace, 
Dir  parca:  6'apre  il  cielo;  io  vado  inpace. 
69 

D'un  bel  palloreha  il  bianco  vólto  asper- 
Come  a'  gigli  sriri-.m  miste  viole:         [so. 


66,  7.  scende;  Os.  serpf. 

67.  11  prof.  D'Ancona,  a  proposito  della 
conversione  di  Clorinda,  scrive  {Varietà 
stor.  e  lett.  -  Milano,  18S3):  «Ben  dice  l'il- 
lustre l'aulin  Paris,  nella  Storia  Letteraria 
della  Francia,  non  potersi  dubitare  che  il 
Tasso  abbia  tolto  questo  episodio  dall'an- 
tico poema  dei  C/ie'ti/'s,  che  anch'  esso  é 
parte  del  ciclo  di  Goffredo,  e  precisamente 
dal  combattimento  di  Riccardo  di  Cauraont 
col  saraceno  Morgalis  o  Soc^alis.  L'infe- 
lice, caduto  moribondo  sul  campo,  prega 
il  suo  vincitore  che  lo  faccia  rinascere  alla 
vera  fede,  prima  eh' e'  muoia;  e  Taltro  si 
presta  al  pietoso  ufficio..  Il  Tasso  da  grande 
e  vero  potata,  e  mescolando  accortamente 
affetti  divini  ed  umani,  ha  fatto  del  mo- 
mentaneo sacerdote,  l'amante  di  colei  che 
cade  trafitta  per  mano  dell'amatore  stesso, 
e  per  lui  trova  dischiuse  le  porte  celesti  ». 
—  *  7.  ride,  la  conobbe  Os.  vide  e  la  conobbe. 

6*^,  1-2.  Con  troppo  artifizio  è  detto  che 
Taucri^di  seppe  farsi  animo,  vincere  per 
un  po'  di  tempo  sé  stesso.  —  5.  sacri  detti: 
la  formula  battesimale.  —  7-8.  Il  Casini  fa 
questo  raffronto  :  «  Dante,  V.  N.  xxiii  4S, 
di  Beatrice  sognata  morta:  e  pareami  che 
la  sua  faccia  avesse  tanto  aspetto  d'umili- 
tade,  che  parea  che  dicesse:  Io  sono  a 
vedere  lo  principio  della  pace  ».  —  TÌrace: 
splendente. 


E  gli  occhi  al  cielo  afiSssa  ;  e  in  lei  converso 
Sembra  per  la  pietate  il  cielo  e  '1  sole: 
E  la  man  nuda  e  fredda  alzando  verso 
Il  cavaliero,  in  vece  di  parole, 
Gli  dà  i)egno  di  pace.  In  questa  forma 
Passa  la  bella  donna,  e  par  che  dorma. 
70 

Come  l'alma  gentile  uscita  ei  vede, 
Rallenta  quel  vigor  ch'avea  raccolto  ; 
E  l'imperio  di  sé  libero  cede 
Al  duol  già  fatto  impetuoso  e  stolto, 
Ch'alcor8Ì8tringe,e.chiusain  breve  sede 
La  vita,  empie  di  morte  i  sensi  e  '1  vólto. 
Già  simile  a  l'estinto  il  vivo  langue 
Al  colore,  al  silenzio,  a  gli  atti,  al  sangue. 
71 

E  ben  la  vita  sua,  sdegnosa  e  schiva 
Spezzando  a  forza  il  suo  ritegno  frale, 
La  bella  aoima  sciolta  al  fin  seguiva, 
Che  poco  inanzi  a  lei  spiegava  l'ale: 
Ma  quivi  stuolde'  Franchi  a  caso  arriva, 
Cui  trae  bisogno  d'acqua  o  d'altro  tale; 
E  con  la  donna  il  cavalier  ne  porta, 
In  sé  mal  vivo,  e  morto  in  lei  che  morta. 
72 

Però  che  '1  duce  loro  ancor  discosto 
Conosce  a  l'arme  il  principe  cristiano: 
Onde  v'accórre;  e  poi  ravvisa  tosto 
La  vaga  estinta,  e  duolsi  al  caso  strano. 
E  già  lasciar  non  volle  a  i  lupi  esposto 


69,  7-8.  Petrarca,  dipingendo  la  morte  di 
Laura,  Tr.  Mort.  i  169:  «  Quasi  un  dolce 
dormir  ne'  suoi  begli  occhi,  Sendo  lo  spirto 
già  da  lei  diviso,  Era  quel  che  morir  chia- 
man  gli  sciocchi.  Morte  bella  parea  nel  suo 
bel  viso».  —  Passa,  muore. 

70,  2.  Di  sopra  ha  detto,  st.  63,  che  Tan- 
credi sue  virtuti  accolse  Tutte  in  quel 
punto  e  in  guardia  al  cor  le  pose:  ora 
queste  virtù,  questi  vigori  si  sono  rallen- 
tati, cosi  che  svaniscono,  e  l'anima  resta 
tutta  in  balia  del  dolore  ecc.  —  4.  stolto: 
perché  esce  dai  limiti  della  ragione.  —  5. 
stringe:  cosi  pure  Conq.;  "ma  stri/ise  Os. 
—  e,  chiusa  in  breve  sede,  ecc.  :  cfr.  la  chiusa 
della  st.  28.  —  6.  empie:  d'accordo  colla 
CONQ.  ;  empiè  Os. 

71,  2.  ritegno  frale:  le  deboli  forze  che 
la  legavano  al  corpo.  —  4.  spiegrara:  ancora 
la  Conq.;  ma  Os.  dispiega.  —  6.  d'altro 
tale:  d'altra  cosa  simile.  —  8.  mal  tìto  : 
il  cavaliere  è  mal  vivo  nel  corpo  in  causa 
delle  ferite  ;  è  morto  nell'anima  come  sede 
dei  sentimenti,  in  quanto  essendo  innamo- 
rato di  Clorinda,  e  perciò  con  lei  l'anima 
di  lui  albergando,  veniva  questa  a  morire 
colla  morte  di  Clorinda:  e  sente  del  petrar- 
chesco «  Ch'avendo  spenta  in  lei  la  vita  mia  ». 

72,  5.  ToUe;  Os.  vuole. 


CANTO  XII 


153 


Il  bel  corpo,  che  stima  ancor  pagano; 
I\la  sovra  l'altrui  braccia  ambi  li  pone, 
E  ne  vieu  di  Tancredi  al  padiglione. 

73 
Affatto  ancor  nel  piano  e  lento  moto 
Non  si  risente  il  cavalier  ferito; 
Pur  fievolmente  geme,  e  quinci  è  noto 
('he  '1  suo  córso  vital  non  è  fornito. 
I\hi  l'altro  corpo  tacito  ed  immoto 
Dimostra  ben  che  n'  è  lo  spirto  uscito. 
Cosi  portati,  è  l'uno  e  l'altro  a  presso, 
i^la  in  differente  stanza  al  fine  è  messo. 

74 
I  pietosi  scudier  già  sono  intorno 
Con  varii  uffici  al  cavalier  giacente; 
E  giàse'n  riede  ai  languidi  ocelli  il  giorno, 
E  le  mediche  mani  e  i  detti  ei  sente. 
Ma  pur  dubbiosa  ancor  del  suo  ritorno, 
Non  s'assecura  attonita  la  mente. 
Stupido  intorno  ei  guarda,  e  i  servi  e  '1  loco 
Al  fin  conosce;  e  dice  afflitto  e  fioco: 

75 
Io  vivo?  io  spiro  ancora?  e  gli  odiosi 
Rai  miro  ancor  di  questo  infausto  die? 
Di  testiraon  de'  miei  misfatti  ascosi, 
Che  rimprovera  a  me  le  colpe  mie! 
Ahi!  man  timida  e  lenta,  or  che  non  osi 
Tu,  che  sai  tutte  del  ferir  le  vie. 
Tu,  ministra  di  morte  empia  ed  infame, 
Di  questa  vita  rea  troncar  lo  stame  ? 

76 
Passa  pur  questo  petto,  e  feri  scempi 
Co  '1  ferro  tuo  crudel  fa'  del  mio  core  : 
Ma  forse,  usata  a  fatti  atroci  ed  empi 
Stimi  pietà  dar  morte  al  mio  dolore. 
Dunque  i'  vivrò  tra  memorandi  esempi 
Misero  mostro  d'infelice  amore  : 
Misero  mostro,  a  cui  sol  pena  è  degna 
De  l'immensa  impietà  la  vita  indegna. 

77 
Vivrò  fra  i  miei  tormenti  e  le  mie  cure, 
Mie  giuste  furie,  forsennato,  errante; 
Paventarò  l'ombre  solinghe  e  scure, 
Che  '1  primo  error  mi  recheranno  inante; 
E  del  sol  che  scopri  le  mie  sventure, 
A  schivo  ed  in  orrore  avrò  il  sembiante: 


73,  7.  CoNQ.  «  Cosi  portato  è  l'uno  e  l'al- 
tro insieme  ». 

li,  5.  del  sno  ritorno  :  di  essere  ritornata 
alla  vita. 

75,  1-2.  Virg.,  Aen.  x  855:  «  Nunc  vivo: 
neque  adhuc  hotnines  lucemque  relinquo  !» 

76,  6.  Misero  mostro  :  miseranda  singo- 
larità. 

77,  4.  Che  '1  primo  error:  quell'errore  di 
essersi  posto  contro  Clorinda;  e  fu  di  notte. 
—  5.  del  sol  elle  scopri  ecc.  :  perché  Clo- 
rinda fu  uccisa  suir  alba:  cfr.   str.  5S;   — 


Temerò  me  medesrao,  e,  da  me  stesso 
Sempre  fuggendo,  avrò  me  sempre  apres- 

78  [so. 

Ma  dove,  oh  lasso  me!  dove  restaro 
Le  reliquie  del  corpo  e  bello  e  casto? 
Ciò  ch'in  lui  sano  i  miei  furor  lasciaro. 
Dal  furor  de  le  fere  è  forse  guasto. 
Ahi  troppo  nobil  preda!  ahi  dolce  e  caro 
Troppo,  e  pur  troppo  prezioso  pasto  ! 
Ahi  sfortunato!  in  cui  l'ombre  e  le  selve 
Irritaron  me  prima,  e  poi  le  belve. 
79 

Io  pur  verrò  là  dove  séte;  e  voi 
Meco  avrò,  s'anco  séte,  amate  spoglie. 
Ma,  s'egli  avvien  chei  vaghi  membri  suoi 
Stati  sian  cibo  di  ferine  voglie, 
Vuo'  che  la  bocca  stessa  anco  me  ingoi, 
E  '1  ventre  chiuda  me,  che  lor  raccoglie. 
Onorata  per  me  tomba  e  felice. 
Ovunque  sia,  s'esser  con  lor  mi  lice. 
80 

Cosi  parla  quel  misero;  e  gli  è  detto 
Ch'ivi  quel  corpo  avean,  per  cui  si  dole. 
Rischiarar  parve  il  tenebroso  aspetto, 
Qual  le  nubi  un  balen  che  passi  e  vole; 
E  da  i  riposi  sollevò  del  letto 
L'inferma  de  le  membra  e  tarda  mole  : 
E  traendo  a  gran  pena  il  fianco  lasso. 
Colà  rivolse  vacillando  il  passo. 
81 

Ma  come  giunse,  e  vide  in  quel  bel  seno. 
Opera  di  sua  man,  l'empia  ferita, 
E,  quasi  un  ciel  notturno  anco  sereno. 
Senza  splendor  la  faccia  scolorita  ; 
Tremò  cosi,  che  ne  cadea,  se  meno 
Era  vicina  la  fedele  aita. 
Poi  disse:  Oh  viso  che  puoi  far  la  morte 
Dolce,  ma  raddolcir  non  puoi  mia  sorte! 
82 

O  bella  destra,  che  '1  soave  pegno 
D'amicizia  e  di  pace  a  me  porgesti  ! 
Quali  or,  lasso!  vitrovo?equalneveguo? 
E  voi,  leggiadre  membra,  or  non  son  questi 
Del  mio  ferino  e  scelerato  sdegno 
Vestigi  miserabili  e  funesti  ? 
Oh  di  par  con  la  man  luci  spietate, 
Essa  le  piaghe  fé',  voi  le  mirate. 


7-8.  Seneca,  Epist.  xxviii  :  «  Quaeris  quare 
te  fuga  ista  non  adiuvet?  Tecum  fugis: 
onus  animi  deporlendum  est  *. 

78,  7.  sfortunato:  sottiut.  corpo. 

79,  2.  s'anco  séte:  sottint.  ivi  :  se  le  fiere 
non  le  hanno  mangi  ite. 

81,  7-8.  Oh  tìso  ecc.:  derivato  dal  Pe- 
trarca son.:  «  Non  può  far  morte  il  dolce 
viso  amaro;  Ma  '1  dolce  viso,  dolce  può 
far  morte  *. 

82,  6.  Testisi  :  le  ferite. 


154 


GERUSALEMME  LIBERATA 


83 
Asciutte  le  mirate  ?  or  corra,  dove 
Nega  d'andare  il  pianto,  il  sangue  mio. 
Qui  tronca  le  parole;  e,  come  il  move 
Suo  disperato  di  morir  desio, 
Squarcia  le  fasce  e  le  ferite;  e  piove 
Da  le  sue  piaghe  esacerbate  un  rio  ; 
E  s'uccidea:  ma  quella  doglia  acerba. 
Co  '1  trarlo  di  sé  stesso,  in  vita  il  serba. 
84 
Posto  su  '1  letto,  e  l'iinima  fugace 
Fu  richiamata  a  gli  odiosi  uffici. 
Ma  la  garrula  fama  omai  non  tace 
L'aspre  sue  augoscie  e  i  suoi  casi  infelici. 
Vi  tragge  il  pio  Goffredo,  e  la  verace 
Turba  v'accórre  de'  più  degni  amici. 
Ma  né  grave  ammonir,  né  pregar  dolce 
L'ostinato  de  l'alma  affanno  molce. 
85 
Qual  in  membro  gentil  piaga  mortale 
Tocca  8'  inaspra,  e  in  lei  cresce  il  dolore  ; 
Tal  da  i  dolci  conforti  in  si  gran  male 
Più  inacerbisce  medicato  il  core. 
Ma  il  venerabil  Piero,  a  cui  ne  cale, 
Come  d'agnella  inferma  al  buon  pastore. 
Con  parole  gravissime  ripiglia 
Il  vaneggiar  suo  lungo,  e  lui  consiglia: 

86 
0  Tancredi,  Tancredi,  o  da  te  stesso 
Troppo  diverso  e  da  i  principii  tuoi, 
Chi  si  t'assorda?  e  qual  nuvol  si  spesso 
Di  cecità  fa  che  veder  non  puoi  ? 
Questa  sciagura  tua  del  Cielo  è  un  messo  ; 
Non  vedi  lui?  non  odi  i  detti  suoi? 
Che  ti  grida,  e  richiama  a  la  smarrita 
Strada  che  pria  segnasti,  e  te  l'addita  ? 
87 
A  gli  atti  del  primiero  ufficio  degno 
Di  cavalier  di  Cristo  ei  ti  rappella, 
Che  lasciasti  per  farti  (ahi  cambio  inde- 

[gno!] 


Drudo  d'una  fanciulla  a  Dio  rubella. 
Seconda  avversità,  pietoso  sdegno 
Con  leve  sferza  di  là  su  flagella 
Tua  folle  colpa,  e  fa  di  tua  salute 
Te  medesrao  ministro:  e  tu  '1  rifiute? 
88 
I    Rifiuti  dunque,  ahi  sconoscente!  il  dono 
Del  Ciel  salubre,  e  'n  contra  lui  t'adiri? 
I  Misero,  dove  corri  in  abbandono 
j  A'  tuoi  sfrenati  e  rapidi  martiri  ? 

Sei  giunto,  e  pendi  già  cadente  e  prono 
j  Su  '1  precipizio  eterno  ;  e  tu  no  '1  miri  ? 
i  Miralo,  prego,  e  te  raccogli,  e  frena 
I  Quel  dolor  ch'a  morir  doppio  ti  mena. 
89 
Tace;  e  in  colui  de  l'un  morir  la  téma 
Potè  de  l'altro  intepidir  la  voglia. 
Nel  cor  dà  loco  a  quei  conforti,  e  scema 
L'impeto  interno  de  l' intensa  doglia  ; 
Ma  non  cosi,  che  ad  or  ad  or  non  gema, 
E  che  la  lingua  a  lamentar  non  scioglia, 
Ora  seco  parlando,  or  con  la  sciolta 
Anima,  che  dal  Ciel  forse  l'ascolta. 
90 
Lei  nel  partir,  lei  nel  tornar  del  sole, 
Chiama  con  voce  stanca,  e  prega  e  plora: 
Come  usignuol  cui  '1  villan  duro  invole 
Dal  nido  i  figli  non  pennuti  ancóra; 
Che  in  miserabil  canto  afflitte  e  sole 
Piangete  notti, e  n'empie  i  boschi  e  l'ora. 


84,  1.  fugace;  presta  a  fuggire.  —  2. 
odiosi  uffici:  uffici  della  vita  divenuta  odiosa. 

85,  1.  gentil:  delicato. 

86,  Perché  questa  parlata  dell'  Eremita 
non  sembri  un  po'  troppo  aspra  verso  Tan- 
credi ed  irriverente  verso  la  fanciulla 
morta,  si  ponga  mente  che  egli  era  come 
rispirato  da  Dio,  il  padre  amoroso  delle 
anime,  e  che  non  sapeva  che  Clorinda  fosse 
morta  cristiana;  onde  molto  va  perdonato 
al  suo  esaltamento  religioso.  —  2.  da  i  prin- 
cipii tnoi  :  dal  modo  con  che  hai  cominciato 
l'impresa  in  Terra  Santa.  —  3-4.  Intendi 
che  voglia  dire;  Chi  cosi  t'impedisce  di 
udire  (t'assorda)  la  voce  divina,  e  ti  toglie 
di  vedere  la  diritta  via?  Spiegazione  che 
è  confortata  dai  quattro  versi  seguenti.  — 
6.  Ini;  il  Cielo. 


87,  4.  Drudo  :  amante,  negli  antichi  an- 
che con  buon  significato,  ma  qui,  come 
oggi,  in  cattivo.  —  5.  Seconda:  propizia.  — 
S.  e  tn  'I:  e  tu  ciò. 

88,  2.  salubre:  che  apporta  salute  al- 
l'animo. Riferiscilo  a  dono.  —  8.  morii 
doppio:  alla  morte  del  corpo,  e  a  quella 
àell'aniraa  la  qual  andrà  all'inferno. 

89,  ].  de  l'un  morir:  della  morte  del- 
l'anima. —  2.  (le  l'altro:  del  morire  del 
corpo.  —  4.  intensa:  cosi  Conq.  e  Os.;  le 
st.  BoN.  interna.  Potrebbe  darsi  che  nel 
BoN.  fosse  errore  di  stampa.  —  7.  Ora  8cc« 
parlando:  cosi  pure   Conq.;   ma  Os.   Par> 

I  lancio  or  seco  stesso.  —  sciolta  ;  liberata 
I  dal  corpo.  —  S.  Anima:  di  Clorinda.  Il  verso 
'  ricorda  l'altro  del  Petrarca  (canz.  Tacer 
\  non  posso  4):  «  Alla  sua  donna  che  dal  Ciel 
n'ascolta  ». 

90,  1-2.  Virg.,  Georg,  iv  465  :  «  Te,  dulcis 
coniux,  te  solo  in  litore  secum,  Te  veniente 
die,  te  decedente  canebat  ».  —  3-6.  E  Vir- 
gilio, d'  Orfeo  perduta  eh'  ebbe  Euridice 
(Georg,  iv  511):  «  Qualis  populea  moerens 
rhilomela  sub  umbra  Amissos  queritur, 
foetus,  quos  durus  arator  Observans  nido 
impluraes  detraxit;  at  illa  Flet  nocteni, 
ramoque  sedeus  miserabile  Carmen  Inte- 
grat,  et  moestis  late  loca  questibusimplet  »  ; 


CANTO  XII 


166 


Al  rtn  co  '1  uovo  di  rinchiude  alquanto 
I  lumi  ;  e  '1  sonno  in  lor  serpe  fra  '1  pianto. 

91 
Ed  ecco,  in  sogno,  di  stellata  veste 
Cinta  gli  appar  la  sospirata  amica  : 
Bella  assai  più  ;  ma  lo  splendor  celeste 
Orna,  e  non  toglie  la  notizia  antica: 
E  con  dolce  atto  di  pietà  le  meste 
Luci  par  che  gli  asciughi,  e  cosi  dica  : 
Mira  come  son  bella  e  come  lieta, 
Fedel  mio  caro;  e  in  me  tuo  duolo  acqueta. 

92 
Tale  io  son,  tua  mercé  :  tu  me  da  i  vivi 
Del  mortai  mondo,  per  error,  togliesti  ; 
TuingremboaDiofragl'immortali  e  divi, 
Per  pietà,  di  salir  degna  mi  festi. 
Quivi  io  beata  amando  godo,  e  quivi 
Spero  che  per  te  loco  anco  s'appresti, 
Ove  al  gran  Sole  e  ne  l'eterno  die 
Vagheggiarai  le  sue  bellezze  e  mie. 

93 
Se  tu  medesmo  non  t'invidii  il  Cielo, 
E  non  travii  co  '1  vaneggiar  de'  sensi. 
Vivi,  e  sappi  ch'io  t'amo,  e  non  te  'I  celo, 
Quanto  più  creatura  amar  conviensi. 
Cosi  dicendo,  fiammeggiò  di  zelo 
Per  gli  occhi,  fuor  del  mortai  uso  accensi; 
Poi  nel  profondo  de'  suoi  rai  si  chiuse, 
E  sparve,  e  novo  in  lui  conforto  infuse. 


già  imitato  dal  Petrarca,  son.  «  Quel  ros- 
signol  che  si  soave  piagne  Forse  i  suoi 
figli,  0  sua  cara  consorte  ecc.  ». 

91,  4  Orna:  cosi  pure  legge  Conq.;  ma 
Os.  L'orna.  —  Orna  e  non  toglie  ecc.  Pe- 
trarca, Tr.  Mort.  i  25:  <  in  mezzo  un  sole 
Che  tutta  ornava  e  non  togliea  lor  vista». 

—  la  notÌ!f!Ìa  antica  :  la  figura  che  ebbe  il 
corpo  in  terra:  i  segni  per  ciò  onde  essere 
riconosciuta.  —  5-S.  In  questi  quattro  ultimi 
versi  ancora  appare  lo  studio  e  l'imita- 
zione del  Petrarca.  —  E  con  dolce  ecc.  Pe- 
trarca son.  Del  ciboond'  il  signor  9:  «  Con 
quella  man  che  tanto  desiai,  M'asciuga  gli 
occhi,  e  col  suo  dir  m'  apporta  Dolcezza 
eh'  uom  mortai  non  sentf  mai  ».  —  Mira  ecc. 
Petrarca,  canz.  Una  donna  più  bella  36; 
«  Amico,  or  vedi  Com'  io  son  bella  »,  e  son. 
Deh  qual  pietà,  qual  12:  «  Fedel  mio  caro, 
assai  di  te  mi  dole  ». 

92,  2.  error  :  sbaglio.  —  3-4.  Dante,  Purg. 
I  6:  «  E  dì  salire  al  Ciel  diventa  degno  ». 

93,  1.  t'inTÌdii  :   togli:    cfr.    e.  vii  15,  3. 

—  7.  Poi  nel  profondo  ecc.  Si  rinchiuse  nella 
profondità,  o  nel  centro  de'  suoi  raggi.  E 
tutto  un  ricordo  e  una  imitazione  del  modo 
con  che  Dante  figura  che  a  lui  si  mostrino 
i  beati  nei  vari  cieli  (escluso  il  primo):  cosi 
Par.  V  136:  «Per  più  letizia  si  mi  si  na- 
scose Dentro  al  suo  raggio  la  figura  santa  ». 


94 

Consolato  ei  si  desta,  e  si  rimette 
De'  medicanti  a  la  discreta  aita; 
E  in  tanto  seppellir  fa  le  dilette 
Membra  eh'  informò  già  la  nobil  vita. 
E  se  non  fu  di  ricche  pietre  elette 
La  tomba,  e  da  man  dedala  scolpita. 
Fu  scelto  almeno  il  sasso,  e  chi  gli  diede 
Figura,  quanto  il  tempo  ivi  concede. 
95 

Quivi  da  faci,  in  lungo  ordine  accese, 
Con  nobil  pompa  accompagnar  la  feo  ; 
E  le  sue  arme,  a  un  nudo  pin  sospese. 
Vi  spiegò  sovra  in  forma  di  trofeo. 
Ma  come  prima  alzar  le  membra  offese 
Nel  di  seguente  il  cavalier  poteo, 
Di  riverenza  pieno  e  di  pietate 
Visitò  le  sepolte  ossa  onorate. 
96 

Giunto  a  la  tomba,  ove  al  suo  spirto  vivo 
Dolorosa  prigione  il  Ciel  prescrisse, 
Pallido,  freddo,  muto,  e  quasi  privo 
Di  movimento,  al  marmo  gli  occhi  affisse. 
Al  fin,  sgorgando  un  lagrimoso  rivo, 
In  un  languido  oimè  !  proruppe,  e  disse: 
0  sasso  amato  ed  onorato  tanto. 
Che  dentro  hai  le  mie  fiamme,  e  fuori  il 
97  [pianto; 

Non  di  morte  sei  tu,  ma  di  vivaci 
Ceneri  albergo,  ov'  è  riposto  Amore; 
E  ben  sento  io  da  te  l'usate  faci, 
Men  dolci  si,  ma  non  men  calde  al  core. 
Deh!  prendi  i  miei  sospiri,  e  questi  baci 
Prendi,  ch'io  bagno  di  doglioso  umore; 
E  dalli  tu,  poi  ch'io  non  posso,  almeno 
A  le  amate  reliquie  e'  hai  nel  seno. 
98 

Dalli  lor  tu,  che,  se  mai  gli  occhi  gira 
L'anima  bella  a  le  sue  belle  spoglie, 


94,  6.  da  man  dedala  scolpita  :  scolpita 
con  arte  mirabile  :  perché  Dedalo  fu  artista 
greco  eccellente  :  Virg.,  Georg,  iv  179:  «  et 
daedala  fingere  tecta  »,  e  poi  nell'Ariosto, 
OìH.  xxxiv  53:  «0  stupend'opra,  o  dedalo 
architetto».  —  8.  quanto  il  tempo  ecc.:  es- 
sendoci altre  fatiche  di  più  momento  a  cui 
attendere,  poco  tempo  poteva  concedersi 
a  ciò. 

96,  1.  ore  al  sno  spirto  ecc.  Sopra  (st. 
71,  8)  il  poeta  ha  detto  che  Tancredi  come 
anima  innamorata  era  con  Clorinda;  qui 
dice  che  lo  spirito  di  Tancredi  vive  nella 
tomba  (che  gli  è  dolorosa  prigione)  con 
lei:  arzigogola  un  po'  troppo,  al  solito.  — 
5.  sgorg,-ndo:  usato  transit.;  Dante,  Purg, 
XXXI  20:  e  Fuori  sgorgando  lagrime  e  so- 
spiri ». 

97,  1.  vivaci  ecc.:  par  che  chiami  vivaci 
le  ceneri  perché  danno  vita  ad  Amore. 


156 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Tua  pietate  e  mio  ardir  non  avrà  in  ira; 
Ch'odio  0  sdegno  là  su  non  si  raccoglie. 
Perdona  ella  il  mio  fallo;  e  sol  respira 
In  questa  speme  il  cor  fra  tante  doglie. 
Sa  ch'empia  è  sol  la  mano,  e  non  Tè  noia 
Che,  s'amando  lei  vissi,  amando  moia. 
99 

Ed  amando  morrò:  felice  giorno, 
Quando  che  sia:  ma  più  felice  molto, 
Se,  come  errando  or  vado  a  te  d'intorno, 
Allor  sarò  dentro  al  tuo  grembo  accolto. 
Faccian  l'anime  amiche  in  Ciel  soggiorno  ; 
Sia  l'un  cenere  e  l'altro  in  un  sepolto  : 
Ciò  che  '1  viver  non  ebbe,  abbia  la  morte. 
Oh,  se  sperar  ciò  lice,  altera  sorte  ! 
100 

Confusamente  si  bisbiglia  in  tanto 
Del  caso  reo  ne  la  rinchiusa  terra. 
Poi  s'accerta  e  divulga,  e  'n  ogni  canto 
De  la  città  smarrita  il  romor  erra 
Misto  di  gridi  e  di  feraineo  pianto: 
Non  altrr.raente  che  se  presa  in  guerra 
Tutta  ruini,  e  '1  foco  e  i  nemici  empi 
Volino  per  le  case  e  per  li  tempi. 
101 

Ma  tutti  gli  occhi  Arsete  in  sé  rivolve, 
Miserabil  di  gemito  e  d'aspetto. 
Ei,  come  gli  altri,  in  lagrime  non  solve 
Il  duol,  che  troppo  è  d'indurato  affetto; 
Ma  i  bianchi  crini  suoi  d'immonda  polve 
Si  sparge  e  brutta,  e  fiede  il  vólto  e'I  petto. 
Or  mentre  in  lui  vòlte  le  turbe  sono. 
Va  in  mezzo  Argante, eparla  in  cotalsuo- 
102  no: 

Ben  voleva  io.  quando  primier  m'accòrsi 


Che  fuor  si  rimanea  la  donna  forte. 
Seguirla  immantinente  ;  e  ratto  córsi 
Per  correr  seco  una  medesma  sorte. 
Che  non  feci,o  non  dissi?  o  quai  non  porsi 
Preghiere  al  re,  che  fèsse  aprir  le  porte? 
Ei  me,  pregante  e  contendente  in  vano, 
Con  l'imperio  affrenò  e'  ha  qui  soprano. 

103 
Ahi  che  s*io  allora  usciva,  o  dal  periglio 
Qui  ricondotta  la  guerriera  avrei, 
O  chiusi,  ov'ella  il  terren  fé'  vermiglio. 
Con  memorabil  fine  i  giorni  miei. 
Ma  che  potevo  io  più  ?  parve  al  consiglio 
De  gli  uomini  altramente,  e  de  gli  Dei  : 
Ella  mori  di  fatai  morte;  ed  io 
Quant'or  convieusi  a  me  già  non  oblio. 

104 
Odi,  Gierusalem,  ciò  che  prometta 
Argante  :  odi  tu,  Cielo  ;  e,  se  in  ciò  manco, 
Fulmina  su  '1  mio  capo:  io  la  vendetta 
Giuro  di  far  ne  l'omicida  Franco, 
Che  per  la  costei  morte  a  me  s'aspetta; 
Né  questa  spada  mai  depor  dal  fianco. 
In  fin  ch'ella  a  Tancredi  il  cor  non  passi, 
E  '1  cadavero  infame  a  i  corvi  lassi. 

105 
Cosi  disse  egli  ;  e  l'aure  popolari 
Con  applauso  seguir  le  voci  estreme  ;      '. 
E,  imagiuando  sol,  temprò  gli  amari        ' 
L'aspettata  vendetta  in  quel  che  gerae»j 
Oh  vani  giuramenti!  Ecco  contrari 
Seguir  tosto  gli  effetti  a  l'alta  speme  ; 
E  cader  questi  in  tenzon  pari  estinto 
Sotto  colui  ch'ei  fa  già  preso  e  vinto. 


99,  4.  Petrarca,  son.  Dolce  mio  caro  8: 
«  Pur  là  su  non  alberga  ira  né  sdegno  ».  — 
*S.  ara.  moia.  Os.  ani.  V  moia. 

99,  4.  al  tuo  grembo:  al  cielo  (grembo) 
ove  tu  sei.  —  ^.  Le  Bonn,  si  dice. 

lOD,  2.  rinchìnsa  terra  :  Gerusalemme.  — 
3-5.  Virg.,  Aen.  ii  466:  «  At  domus  interior 
gemiLu  miseroque  tumulta  Miscetur,  peni- 
tusque  cavae  plangoribus  aedes  Feraiueis 
ululant».  —  *  5.  di  gridi.  Cosi  l'Os.  Invece 
B  leggono  de'  gridi. 

101,  1.  rÌT.:  fa  volgere,   richiama.   —  2. 
Compassionevole  pei   gemiti   che   mette   e 
per  l'aspetto.  —  3-4.  Dante,  Jnt.  xxxiii49: 
.  r  non  piangeva,  si  dentro   impetrai».  — 
5-6.  Virg.,   Aen.   x   844:    «  Canitiem   multo 
deforraat  pulvere  et  ambas  Ad  caelura  ten- 
dit  palmas,  et  corpore  inhaeret  ».  E  xis5: 
«  Acoestes    Pectora   nunc   foedans   pugnis,  ' 
nuuc  unguibuis  ora  ;  sternitur  et  toto  prole-  ! 
ctus    corpore   terrae  »;    e    ancora   xn-611  :  1 
•  Canitiem  iinmundo  perfusam  polvere  tur- 
pans  »     —  7.  la  ini  TÒIte  :  cosi  pure  Conq.  ; 
ma  Os.  volte  in  lui. 


102,  4.  correr:  incontrare,  avere.  —  8. 
■oprano:  superiore  agli  altri, 

103,  7.  fatai  morte  :  voluta  dal  fato  ;  come 
altre  volte  si  è  visto. 

104,  1-3.  Virg.,  Aen.  xii  176:  «  Esto  nunc 
sol  testis  et  haec  mihi  terra  vocanti  »;  e 
200  «  Audiat  haec  Genitor  qui  foedera  ful- 
mine sancit.  Tango  aras,  medios  ignes  et 
Numina  testor  ecc.  ».  —  5,  s'aspetta:  spetta, 
appartiene,  come  abbiamo  già  veduto  tante 
altre  volte. 

105,  1.  anre  popolari:  il  favore  del  po- 
polo :  cfr.  Orazio,  Od  HI  ii,  o  meglio,  Virg., 
Aen.  VI  817.  —3.  Imaginando  sol:  solamente 
il  pensiero  della  vendetta  (temprò  gli  .imari) 
addolci  le  amarezze  in  Argante.  —  4.  in 
quel  che  geme:  contro  Tancredi  che  geme 
per  la  morte  dell'amata  donna.  —  5-6.  Ario- 
sto, Ori.  I  9,  *  Contrari  ai  vóti  poi  furo  i 
successi  ».  —  7.  in  tenzon  pari  :  combattuta 
in  eguali  condizioni,  senza  vantaggio  di 
sorta  estraneo  alla  perizia  dell'armi  ed  al 
valore.  • 


^--^J-^-^-I^-^--^ 


•  CANTO 
XIII    •    • 

Ismene  incanta  la  selva 
di  Saron  ^  I  fabbri  man- 
dati ad  essa  fuggono  per 
Io  spavento  di  strane 
sembianze  -jj^  Vi  ritor- 
nano scortati:  inutilmen- 
te -jUc  Vi  si  prova  inu- 
tilmente pure  Alcasto  -jAr 
Perfino  Tancredi  è  co- 
stretto di  cedere  agli  in- 
canti V^  Goffredo,  che 
vorrebbe  recarvisi  in  per- 
sona, è  rattenuto  dalfE- 
remita  i^  Siccità  tAt  Scon- 
forto nel  campo  cristiano 
e  diserzioni  di  Latino,  e 
d'altri  -jAr  Iddio,  alle  calde 
preghiere  di  Goffredo,  or- 
dina che  incominci  un 
nuovo  ordine  di  cose  fa- 
vorevole ai  cristiani  -j^ 
Pioggia. 


Ma  cadde  a  pena  in  cenere  T  immensa 
Macchina  espugnatrice  de  le  mura, 
Che  'n  sé  novi  argomenti  Ismen  ripensa, 


1,  3.  I  nuovi  argomenti  ad  Ismeno  sono, 
come  i  primi  (cfr.  e.  ii  in  principio,  e  la 
nota  ivi  alla  st.  1),  forniti  dall'arte  magica. 
Il  Tasso,  a  questo  proposito,  scrive:  {Lett.46): 
«  I  poeti  rappresentano  le  cose  o  come  sono 
ed  erano,  o  come  son  possibili  e  devono 
essere,  o  come  paiono  e  son  dette  e  cre- 
dute. Queste,  0  simili  parole  dice  Aristotile. 
Or  sotto  il  terzo  membro  di  questa  divi- 
sione si  riparano  e  si  difendono  da  le  ca- 
lunnie tutti  i  maravigliosi,  come  è  stato 
notato  anco  da  altri,  ed  in  particolare  dal 
Castelvetro  ;  si  che  mi  par  soverchio  il  cer- 
car quant'oltre  si  stenda  la  potenza  de  l'arte 
maga,  o  sia  naturale,  o  demonica.  Basta 
solo  il  sapere,  sin  a  quanto  sia  ricevuto  da 
l'opinione   de'  popolari   (a'  quali   scrive  il 


Perché  più  resti  la  città  secura; 
Onde  a  i  Franchi  impedir  ciò,  che  dispensa 
Lor  di  materia  il  bosco,  egli  procura; 
Tal  che  contra  Sion  battuta  e  scossa   . 
Torre  nova  rifarsi  indi  non  possa. 

2 
Sorge  non  lunge  a  le  cristiane  tende 


poeta,  ed  al  lor  modo  parla  sovente),  ch'ella 
si  possa  estendere.  Poiché  dunque  gli  uomi- 
ni, che  teologi  non  sono,  stimano  il  poter 
de'  diavoli  maggior  che  in  effetto  non  è,  e 
maggior  l'efficacia  de  l'arte  maga;  potè» 
rono  con  buona  coscienza  i  poeti,  ch'inanzi 
a  me  han  scritto,  in  questo  attenersi  a 
l'opinione  vulgare:  io  poi,  c'ho  tanti  esempi, 
perché  dubitare?  »  Più  sotto  poi  dichiara 
che  gli  esempi  sono  quelli  di  Omero  e  di 
Apollonio.  —  5.  Onde:  con  i  quali,  [argo- 
menti]. —  *7.  Tal  che:  cosi  legge  l'Os. 
Onde  leggono  le  3  B. 


158 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Tra  solitarie  valli  alta  foresta, 
Foltissima  di  piante  antiche,  orrende, 
Che  spargon  d'ogni  intorno  ombra  fune- 

;sta. 
Qui  ne  Torà  che  '1  sol  più  chiaro  splende, 
È  luce  incerta  e  scolorita  e  mesta, 
Quale  in  nubile  ciel  dubbia  si  vede, 
Se  '1  di  a  la  notte,  o  s'ella  a  lui  succede. 
3 

Ma  quando  parte  il  sol,  qui  tosto  adora- 
Notte,  nube,  caligine  ed  orrore,  [bra 

Che  rasserabra  infernal,  che  gli  occhi  in- 

[gombra 
Di  cecità,  ch'empie  di  téma  il  core; 
Né  qui  gregge  od  armenti  a' paschi,  a  Tom- 
Guida  bifolco  mai,  guida  pastore:      [bra 
Né  v'entra  peregrin,  se  non  smarrito; 
Ma  lunge  passa,  e  la  dimostra  a  dito. 
4 

Qui  s'adunan  le  streghe,  ed  il  suo  vago 
Con  ciascuna  di  lor  notturno  viene; 
Vien  sovra  i  nembi,  e  chi  d'un  fòro  drago, 


E  chi  forma  d'un  irco  informe  tiene: 
Concilio  infame,  che  fallace  imago 
Suol  allettar  di  desiato  bene 
A  celebrar  con  pompe  immonde  e  sozze 
I  profani  conviti  e  l'empie  nozze. 
5 
Cosi  credeasi;  ed  abitante  alcuno 
Dal  fero  bosco  mai  ramo  non  svelse; 
I  Ma  i  Franchi  il  violar,  perch'ei  sol  uno 
I  Somministrava  lor  macchine  eccelse; 
Or  qui  se  'u  venne  il  mago,  e  l'opportuno 
Alto  silenzio  de  la  notte  scelse, 
De  la  notte  che  prossima  successe; 
E  suo  cerchio  forraovvi,  e  i  segni  impresse. 

6 
E  scinto,  e  nudo  un  pie,  nel  cerchio  ac- 
Mormorò  potentissime  parole.        [colto. 
Girò  tre  volte  a  l'oriente  il  vólto, 
Tre  volte  a  i  regni  ove  dechiua  il  sole; 


2,  2.  È  la  foresta,  a  sei  miglia  da  Geru- 
salemme, a  cui  ha  il  poeta  accennato  al 
e.  in  56,  7-8.  Il  Guastavini  annota;  «  Imita- 
zion  di  Lucano,  nel  iii  della  Farsaglia,  dove 
questo  poeta  fa  altresì  una  selva,  nella 
quale  non  era  chi  ardisse  di  toccare,  o  ta- 
gliar legno,  liverendo  ciascuno,  anzi  gran- 
demente temendo,  i  non  conosciuti  Dei  di 
quella  stimati  abitatori,  a'  quali  dubitavano 
di  poter  recare  otlesa  a  quel  modo.  Ma  Ce- 
sare per  il  primo  avendo  bisogno  di  ma- 
teria, le  die  dentro  della  scure,  e  fu  se- 
guito dagli  altri...  l'abitazione  delle  streghe 
nel  Nostro  ben  si  può  giudicare  avere  avuto 
origine  di  là.  I  versi  di  Lucano  sono  questi 
[.399  e  segg.]:  —  Lucus  erat  longo  nunquam 
violatus  ab  aevo  Obscurura  cingens  connexis 
aera  ramis.  Et  gelidas  alte  summotis  soli- 
bus  umbras.  Hunc  non  ruricolae  Panes,  ne- 
morumque  potentes  Sylvani,  Nymphaeque 
tenent;  sed  barbara  ritu  Sacra  Deum, 
structae  diris  altaribus  arae  Omnisque  hu- 
manis  lustrata  cruoribus  arbos  ».  —  8.  Se  '1 
di  ecc.:  Nei  crepuscoli  del  mattino  e  della 
sera. 

4,  L  Qai  g'adnnanle  streghe:  Os.  Qui  le 
streghe  s'adunano  e  'l.  —  vago:  amante. 
Il  Guastavini  cita  un  es.  del  Petrarca,  sest. 
Non  ha  tanti  animali  31:  «Deh  or  fossi 
io  col  vago  della  Luna  »,  ed  uno  in  prosa, 
del  Boccaccio,  Labirinto:  «Vedi  tu  quello 
scioccone?  egli  è  il  mio  vago;  vedi  ornai 
s'io  mi  posso  tener  beata  ».  —  3-4.  Intendi 
che  vengono  sopra  nubi,  e  che  i  vaghi  (che 
sono  i  diavoli)  prendono  l'aspetto  di  drago 
0  di  caprone.  E  che  il  diavolo  ami  farsi 
adorare  sotto  la  forma  di  un  becco  a  pre- 


ferenza, avverte  il  Guastavini  che  è  atte- 
stato dalle  streghe  stesse  come  si  rileva 
dai  processi  del  tempo.  Il  Guastavini  cita 
al  proposito  le  attestazioni  del  Pico,  del- 
l'Anania, e  di  Giovanni  Bodin  nella  Demo- 
tiomanie  des  sorciers.  Questa  ultima  opera 
è  di  molta  importanza  per  capire  il  Tasso 
dove  parla  delle  streghe;  non  potè  essere 
per  altro  di  fonte  al  poeta  dacché  non  com- 
parve che  nel  15S0.  —  informe:  deforme.— 
5-6.  che  fallace  Imago....  di  desiato  bene.  Ri- 
corda il  dantesco  {Pi(rg.  xxx  131):  «  Imma- 
gini di  ben  seguendo  false»;  la  trasposi- 
zione del  T.  è  troppo  artificiosa,  e  poco 
chiaro  il  significato  dell'intero  costrutto. 
Par  debba  intendersi  che  il  poeta,  in  per- 
sona del  volgo,  creda  realmente  alla  verità 
della  cosa,  e  vorrebbe  dire,  che  le  streghe 
(il  concilio  infame)^  allettate  dalle  false 
imaginazioni  di  un  bene  desiderato  (i  beni 
desiderati,  secondo  il  Pico,  sono:  longa  vita, 
grande  divizia  e  ricchezza  ecc.),  sono  in- 
dotte a  fare  {celebrare)  nozze  solenni  e 
conviti:  il  Guastavini  invece  preferisce  cre- 
dere che  il  poeta  qui  parli  in  persona  pro- 
pria, e  intenda  che  il  fatto  ^non^  accada  nella 
realtà,  ma  sia  solo  nella  fantasia  delle  stre- 
ghe, sia  una  illusione  di  queste,  una  fal- 
lace imago. 

6,  3.  sol  uno:  solo  affatto.  —  8.  Guasta- 
vini: «Di  verghe,  cerchi,  segni  e  caratteri 
è  celebre  memoria  in  ogni  descrizione  d'in- 
canto ecc.  ». 

6.  Muzio,  Egl.  iii  lib.  v:  «  Un  pie  ti  scalza 
E  con  meco  tre  volte  il  sacro  cerchio  Vien 
circuendo;  Lete  e  Flegetonte  Meco  chiama 
tre  volte  ».  Il  numero  dispari,  e  special- 
mente  il  tre,  era  sacro.  Virgilio:  «  Numero 
Deus  impari  gaudet  ».  —  3.  Girò  ecc.:  Ovi- 
dio, Met.  XIV  386,  di  Circe  incantatrice: 
«  Tum  bis  ad  occasura    bis  se  convertii  ad 


CANTO  xin 


169 


EJtre  acoase  la  verga,  oucVuom  sepolto 
Trar  de  la  tomba  e  dargli  il  moto  suole; 
E  tre  co  '1  piede  scalzo  il  suol  percosse; 
Poi  con  terribil  grido  il  parlar  mosse: 
7 

Udite,  udite,  o  voi  che  da  le  stelle 
Precipitar  giù  i  folgori  tonanti: 
Si  voi  che  le  tempeste  e  le  procelle 
Movete,  abitator  de  l'aria  erranti, 
Come  voi  che  a  le  inique  anime  felle 
Ministri  séte  de  gli  eterni  pianti: 
Cittadini  d'Averno,  or  qui  v'invoco, 
E  te,  signor  de'  regni  empi  del  foco. 
8 

Prendete  in  guardia  questa  selva,  e  que- 
Piaute  che  numerate  a  voi  conseguo,  [ste 
Come  il  corpo  è  de  Talma albergo  e  veste, 
Cosi  d'alcun  di  voi  sia  ciascun  legno; 
Onde  il  Franco  ne  fugga,  o  almen  s'arreste 
Ne'  primi  colpi,  e  téma  il  vostro  sdegno. 
Disse:  e  quelle  ch'aggiunse  orribil  note, 
Lingua,  s'empia  non  è,  ridir  non  potè. 
9 

A  quel  parlar  le  faci,  onde  s'adorna 
Il  seren  de  la  notte,  egli  scolora; 
E  la  luna  si  turba,  e  le  sue  corna 
Di  nube  avvolge,  e  non  appar  più  fora. 
Irato  i  gridi  a  raddoppiar  ei  torna: 
Spirti  invocati,  or  non  venite  ancora? 
Onde  tanto  indugiar?  forse  attendete 
Voci  ancor  più  potenti  o  più  secreto? 
10 

Per  lungo  disusar  già  non  si  scorda 


ortum,  Ter  iuvenem  baculo  tetigit,  tria  car- 
mina dixit  ».  —  5-6.  ond'uom  sepolto  Trar 
de'  la  tomba  ecc.:  cfr.  e.  ii  1,  3-8. 

7,  3-6.  Intendi:  io  invoco  cosi  voi  che 
movete  le  tempeste  e  le  procelle,  come  voi 
che  tormentate  le  anime  nell'inferno.  — 
Secondo  i  teologi  parte  degli  angeli  deca- 
duti s'agita  nell'aria  intorno  a  noi  e  tenta 
gli  uomini  e  muove  i  turbini;  parte  sta 
chiusa  nell'inferno  a  tormentare  i  dannati. 
Il  Tasso  ebbe  sott'occhio  il  Yida, CUrist.  1 153. 

8,  3.  Tcste:  Anche  il  Petrarca  chiamò  il 
corpo  veste  dell'anima,  son.:  «  A  piede''  colli 
ove  la  bella  vesta  Prese  delle  terrene  mem- 
bra pria....  -^i  e  Dante,  prima,  Purg.  i  75: 
«La  vesta  che  al  gran  di  sarà  si  chiara». 
—  7-8.  e  quelle  ch'aggiunse  ecc.:  e  quelle 
altre  parole  che  aggiunse,  furono  talmente 
empie  e  irriverenti,  che  sarebbe  bestem- 
mia ancora  il  riportarle  come  sentimento 
altrui. 

9,  6-7.  Lucano,  Phars.  vi,  744,  dove  l'in- 
cantatrice  Erittona  per  intendere  la  fortuna 
del  figliuolo  Pompeo  vuol  rivocare  in  vita 
un  soldato:  «Paretis?  an  ille  Compellandus 
erit,  quo  nunquam  terra  vocato  Non  con- 
cussa tremit?....  >. 


De  l'arti  crude  il  più  efficace  aiuto; 
E  so  con  lingua  anch'io  di  sangue  lorda 
Quel  nome  profferir  grande  e  temuto, 
A  cui  né  Dite  mai  ritrosa  o  sorda 
Né  trascurato  in  ubbidir  fu  Fiuto. 
Che  si?...  che  si?...  Volea  più  dir;  ma  in- 
Conobbe  ch'eseguito  era  l'incanto,  [tanto 
11 

Venieno  innumerabili,  infiniti 
Spirti,  parte  che  'n  aria  alberga  ed  erra, 
Parte  di  quei  che  son  dal  fondo  usciti 
Caliginoso  e  tetro  de  la  terra: 
Lenti,  e  del  gran  divieto  anco  smarriti. 
Ch'impedì  loro  il  trattar  l'arme  in  guerra; 
Ma  già  venirne  qui  lor  non  si  toglie, 
E  ne'  tronchi  albergare  e  tra  le  foglie. 
12 

Il  mago,  poi  ch'omai  nulla  più  manca 
Al  suo  disegno,  al  re  lieto  se  'n  riede  : 
Signor,  lascia  ogni  dubbio,  e  il  cor  rinfran- 
Ché  omai  secura  è  la  regal  tua  sede;  [ca, 
Né  potrà  rinnovar  più  l'oste  Franca 
L'alte  macchine  sue,  come  ella  crede. 
Cosi  gli  dice;  e  poi  di  parte  in  parte 
Narra  i  successi  de  la  magica  arte. 

13  [queste 

Soggiunse  appresso:  Or  cosa  aggiungo  a 
Fatte  da  me,  ch'a  me  non  meno  aggrada. 
Sappi  che  tosto  nel  leon  celeste 
Marte  co  '1  sol  fia  ch'ad  unir  si  vada; 
Né  tempreran  le  fiamme  lor  moleste 
Aure,  0  nembi  di  pioggia  o  di  rugiada: 
Che  quanto  in  cielo  appar,  tutto  predice 
Aridissima  arsura  ed  infelice. 
U 

Onde  qui  caldo  avrem,  qual  l'hanno  a 
Gli  adusti Nasamonio  iGararaanti.  (pena 
Pur  a  noi  fia  men  grave  in  città  piena 
D'acque  e  d'ombre  si  fresche  e  d'agitanti  : 
Ma  i  Franchi  in  terra  asciutta  e  non  amena 
Già  non  saranlo  a  tollerar  bastanti; 
E,  pria  domi  dal  cielo,  agevolmente 
Fian  poi  sconfitti  da  l'Egizia  gente. 


10.  Vedi  neìVOdiss.,  lib.  xi,  l'invocazione 
di  Tiresia.  Si  credeva  che  gli  indovini  e  gli 
stregoni  si  servissero  del  sangue  umano  per 
chiamare  le  anime  dei  morti.  —  4,  Quel 
nome:  alcuni  intendono  il  nome  di  Dio  o 
di  Gesù;  altri  del  Demogorgone  che  era 
sopra  le  streghe.  —  5.  Dite:  la  città  infer- 
nale. —  7-8.  Che  si  ecc.:  Virg.,  Aen.  i  135: 
<  Quos  ego....  Sed  motos  praestat  compo- 
nere  fluctus  ». 

11,  6.  trattar:  maneggiar,  adoperare. 
H,  2.  Nasamoni,  Garamanti:  Guastavini, 

«Sono  questi  popoli  della  Libia,  sopra  la 
regione  Cirenaica  vicini  alle  arene  ed  ai 
deserti  ».  —  3-4.  Cfr.  e.  m  56,  —  8.  £i,'izÌ0 
gente:  che  arriverà  tra  poco. 


160 


GERUSALEMME  LIBERATA 


15 

Ta  vincerai  sedendo;  e  la  fortuna 
Non  credMo  che  tentar  più  ti  convegna. 
Ma  se  '1  Circasso  alter  che  posa  alcuna 
Non  vuole,  e,  benché  onesta,  anco  la 

[sdegna, 
T'affretta,  come  suole,  e  t'importuna. 
Trova  modo  pur  tu  ch'a  freno  il  tegna, 
Che  molto  non  andrà  che  U  Cielo  amico 
A  te  pace  darà,  guerra  al  nemico. 
i6 

Or  questo  udendo  il  re,  ben  s'assecura, 
Si  che  non  teme  le  nemiche  posse. 
Già  riparate  in  parte  avea  le  mura 
Che  de'  montoni  l'impeto  percosse: 
Con  tutto  ciò  non  rallentò  la  cura 
Di  ristorarle,  ove  sian  rotte  o  smosse. 
Le  turbe  tutte,  e  cittadine  e  serve, 
S'impiegan  qui:  l'opra  continua  ferve. 
17  [vuole 

Ma  in  questo  mezzo  il  pio  Buglion  non 
Che  la  forte  cittade  in  van  si  batta, 
Se  non  è  prima  la  maggior  sua  mole 
Ed  alcun'altra  macchina  rifatta. 
E  i  fabri  al  bosco  invia,  che  porger  suole 
Ad  uso  tal  pronta  materia  ed  atta. 
Vanno  costor  su  l'alba  a  la  foresta; 
Ma  timor  uovo  al  suo  apparir  gli  arresta. 
18 

Qual  semplice  bambin  mirar  non  osa 
Dove  insolite  larve  abbia  presenti, 
0  come  pavé  ne  la  notte  ombrosa, 
Iraaginando  pur  mostri  e  portenti; 
Cosi  temean,  senza  saper  qual  cosa 
Siasi  quella  però  che  gli  sgomenti; 
Se  non  che  '1  timor  forse  a  i  sensi  tìnge 
Maggior  prodigi  di  chimera  o  sfinge. 
19 

Torna  la  turba;  e  timida  e  smarrita 
Varia  e  confonde  si  le  cose  e  i  detti, 
Ch'ella  nel  riferir  n'è  poi  schernita, 
Né  son  creduti  i  mostruosi  effetti. 
Allor  vi  manda  il  Capitano  ardita 
E  forte  squadra  di  guerrieri  eletti, 
Perché  sia  scorta  a  l'altra,  e  in  eseguire 


15, 1.  sedendo:  senza  perigliarti  in  guerra. 

16,  6.  smosse:  L2  e  03.;  mosse  Bi-3  e 
CONQ.  —  8.  l'opra...  ferre:  è  il  latino  fervei 
opus. 

17,  3.  maggior  sua  mole:  la  gran  torre. 
—  8.  suo:  della  foresta. 

18,  1.  Qnal  ecc.:  Lucrezio,  De  rer.  nat. 
Il  55:  «  Nam  veluti  pueri  trepidant.  atque 
omnia  caecis  In  tenebris  metuunt,  sic  nos 
in  luce  timemus  Interdum,  nihilo  quae 
sunt  metuenda  magis  quara  Quae  pueri  in 
tenebris  pavitant,  tinguntque  futura».  — 
2.  Dorè:  se,  quando.  —  3.  pare:  teme.  —  7. 
finge:  compone,  presenta. 


I  magisteri  suoi  le  porga  ardire. 

20  (posto  , 

Questi,  appressando  ove  lor  seggio  han  \ 
Gli  empi  demòni  in  quel  selvaggio  orrore,  ^ 
Nou  rimirar  le  nere  ombre  si  tosto, 
Che  lor  si  scosse  e  tornò  ghiaccio  il  core. 
Pur  oltra  ancor  se  'n  gian,  tenendo  ascosto 
Sotto  audaci  sembianti  il  vii  timore; 
E  tanto  s'avanzar,  che  lunge  poco 
Erano  ornai  da  l'incantato  loco. 

21 
Esce  allor  de  la  selva  un  suon  repente, 
Che  par  rimbombo  di  terren  che  freme; 
E  '1  mormorar  de  gli  austri  in  lui  si  sente, 
E  '1  pianto  d'onda  che  fra  scogli  geme. 
Come  rìiggia  il  leon,  fischia  il  serpente, 
Come  urla  il  lupo,  e  come  l'orso  freme 
V'odi,  e  v'odi  le  trombe,  e  v'odi  il  tuouo: 
Tanti  e  si  fatti  suoni  esprime  un  suono. 

22 
In  tutti  allor  s'impallidir  le  gote 
E  la  temenza  a  mille  segni  apparse: 
Né  disciplina  tanto,  o  ragion  puote, 
Ch'osiu  di  gire  inanzi,  o  di  fermarae: 
Ch'a  l'occulta  virtù  che  gli  percote, 
Son  le  difese  loro  anguste  e  scarse. 
Fuggono  al  fine;  e  un  d'essi,  in  cotal  guisa 
Scusando  il  fatto,  il  pio  Buglion  n'avvisa: 

23 
Signor,  non  è  di  noi  chi  più  si  vante 
Troncar  la  selva;  ch'ella  è  si  guardata, 
Ch'io  credo  (e  '1  giurarci)  che  in  quelle 

[piante 
Abbia  la  reggia  sua  Pluton  traslata. 
Ben  ha  tre  volte  e  più  d'aspro  diamante 
Ricinto  il  cor  chi  intrepido  la  guata; 
Né  senso  v'ha  colui  ch'udir  s'arrischia 
Come,  tonando,  insieme  rugge  e  fischia. 


19,  8.  magisteri:  istruzioni,  comandi. 

20,  2.  selraggio  orrore,  orrida  selva.  — 
4.  Cfr.  e.  VI  61,  4.  —  tornò;  diventò. 

21,  In  Lucano,  Phars.  vi  685,  Erittona  in- 
voca gli  spiriti  infernali,  con  voci  e  strepiti 
simili:  «  Tunc  vox,Iethaeos  cunctis  pollen- 
tior  herbis  Excantare  deos,  confundit  mur- 
mura  primum  Dissona,  et  huraanae  multum 
discordia  linguae.Latratushabetillacanum, 
gemitusque  luporum,  Quod  trepidus  bubo, 
quod  strix  nocturna  queruntur,  Quod  stri- 
dent  ululantque  ferae,  quod  sibilai  anguis, 
Exprimit,  et  planctus  illisae  cautibus  undae, 
Silvaruraque  sonum,  fractaeque  tonitrua 
uubis.  Tot  rerum  vox  una  fuit  ». 

i       22,  2.  temenza:  come  téma,  per  timore. 

23,  4.  traslata:  trasferita;   latinismo   da 

usarsi  solo  in  poesia.  —  5-6.  Orazio,  Od.  1 

III  3:  «  lUi  robur  et  aes  triplex  Circa  pectua 

erat  •. 


CANTO  XIII 


161 


24 

Cosi  costili  parlava.  Alcasto  v'era 
Fra  molti  che  l'iidian,  presente  a  sorte; 
L'uoni  di  temerità  stupida  e  fera, 
Sprezzator  de'  mortali  e  de  la  morte; 
Che  non  avria  temuto  orribil  fera, 
Né  mostro  formidabile  ad  uom  forte, 
Né  tremoto,  né  folgore,  né  vento. 
Né  s'altro  ha  il  mondo  più  di  violento. 
25 

Crollava  il  capo,  e  sorridea,  dicendo: 
Dove  costui  non  osa,  io  gir  confido; 
Io  sol  quel  bosco  di  troncar  intendo, 
Che  di  torbidi  sogni  è  fatto  nido. 
Già  no  '1  mi  vieterà  fantasma  orrendo 
Né  di  selva  o  d'augei  fremito  o  grido; 
O  pur  tra  quei  si  spaventosi  chiostri 
D'ir  ne  l'inferno  il  varco  a  me  si  mostri. 
26 

Cotal  si  vanta  al  Capitano;  e,  tolta 
Da  lui  licenza,  il  cavjirlier  s'invia; 
E  rimira  la  selva,  e  poscia  ascolta 
Quel  che  da  lei  uovo  rimbombo  uscia: 
Né  però  il  piede  audace  indietro  volta, 
Ma  securo  e  sprezzante  è  come  pria; 
E  già  calcato  avrebbe  il  suol  difeso, 
Ma  gli  s'oppone  (o  pargli)  un  foco  acceso. 
27 

Cresce  il  gran  foco,  e 'n  forma  d'alte  mura 
Stende  le  fiamme  torbide  e  fumanti: 
E  ne  cinge  quel  bosco,  e  l'assecura 
Ch'altri  gli  arbori  suoi  non  tronchi  e 

[schianti. 
Le  maggiori  sue  fiamme  hanno  figura 
Di  castelli  superbi  e  torreggianti; 
E  di  tormenti  bellici  ha  munite 
Le  ròcche  sue  questa  novella  Dite. 

28  [da 

Oh  quanti  appaion  mostri  armati  in  guar- 
De  gli  alti  merli,  e  in  che  terribil  faccia! 
De'quai  con  occhi  biechi  altri  il  riguarda, 
E  dibattendo  l'arme  altri  il  minaccia. 


24,  1.  Alcasto:  Cfr.  e.  i  63.  —  2.  a  sorte  : 
per  caso.  —  *  3.  L'uom.  Cosi  le  3  B.  Uom 
Os.  e  altri.  Ma  rarticolo  richiama  benis- 
simo il  ritratto,  che  di  lui  si  fa  al  e.  i  63; 
omettendo  l'artic,  sembrerebbe  che  si  pre- 
sentasse per  la  prima  volta.  —  7.  tremoto; 
sincope  di  terremoto;  delia  poesia. 

25,  7.  chiostri:  recessi:  cfr.  e.  iv  9,  4,  e 
VII  11,  5  ecc. 

27,  5-8.  Certo  il  poeta  pensò  alla  città  di 
Dite  vista  da  Dante  {Inf.  viii  70):  «già  le 
sue  [di  Dite]  meschite  Là  entro  certo  nella 
valle  cerno  Vermiglie,  come  se  di  fuoco 
uscite  >.  —  *  4.  e  schianti.  Cosi  le  B.  Os.  o 
schianti. 

28,  1.  guarda:  guardia:    voce   osservata 


Fugge  egli  al  fine;  e  ben  la  fuga  è  tarda, 
Qual  dì  Icon  che  si  ritiri  in  caccia; 
Ma  pure  è  fuga;  e  pur  gli  scuote  il  petto 
Timor,  sin  a  quel  punto  ignoto  affetto, 
29 

Non  s'avvide  esso  allor  d'aver  temuto; 
Ma,  fatto  poi  lontan,  ben  se  n'accòrse; 
E  stnpor  n'ebbe  e  sdegno;  e  dente  acuto 
D'amaro  pentimento  il  cor  gli.morse. 
E,  di  trista  vergogna  acceso  e  muto, 
Attonito  in  disparte  i  passi  torse; 
Che  quella  faccia  alzar,  già  si  orgogliosa, 
Ne  la  luce  de  gli  uomini  non  osa. 
80 

Chiamato  da  Goffredo  indugia,  e  scuse 
Trova  a  l'indugio,  e  di  restarsi  agogna. 
Pur  va,  ma  lento;  e  tien  le  labra  chiuse, 
0  gli  ragiona  in  guisa  d'uom  che  sogna. 
Difetto  e  fug-a  il  Capitan  concluse 
In  lui  da  quella  insolita  vergogna; 
Poi  disse:  Or  ciò  che  fia?  forse  prestigi 
Son  questi,  o  di  natura  alti  prodigi? 
31 

Ma  s'alcun  v'è,  cui  nobil  voglia  accenda 
Di  cercar  que'  salvatichi  soggiorni, 
Vadane  pure,  e  la  ventura  imprenda, 
E  nunzio  alraen  più  certo  a  noi  ritorni. 
Cosi  diss'egli  ;  e  la  gran  selva  orrenda 
Tentata  fu  ne'  tre  seguenti  giorni 
Da  i  più  famosi;  e  pur  alcun  non  fue 
Che  non  fuggisse  a  le  rainaccie  sue. 
32 

Era  il  prence  Tancredi  in  tanto  sorto 
A  seppellir  la  sua  diletta  amica; 
E  ben  che  in  vólto  sia  languido  e  smorto, 
E  mal  atto  a  portar  elmo  o  lorica, 
Nnlladimen,  poi  che  il  bisogno  hascòrto, 
Ei  non  ricusa  il  rischio  o  la  fatica; 
Che  '1  cor  vivace  il  suo  vigor  trasfonde 
Al  corpo  si,  che  par  ch'esso  n'abbonde. 


più  volte.  —  5-6.  Virg.,  Aen.  ix  792:  *  ceu 
saevum  turba  leonem  Cam  telis  premit  in- 
fensis,  at  territus  ille,  Asper,  acerba  tuens, 
retro  redit,  et  neque  terga  Ira  dare  aut 
virtus  patitur,  nec  tendere  contra  ecc.  ». 

29,  4.  morse:  metafora  dantesca  Purg, 
III  9:  «  Come  t'è  picciol  fallo  amaro  morso  !  ». 
—  5.  Dante,  Inf.  xxiv  132:  «  E  di  trista  ver- 
gogna si  dipinse  ».  —  8.  Ne  la  luce:  alla 
vista. 

80,  5-6.  Intendi:  e  il  capitano  conchiuse, 
vedendolo  preso  d'insolita  vergogna,  che 
egli  non  avesse  avuto  sufficiente  virtù  per 
troncare  la  selva,  e  quindi  fosse  fuggito. 

SI,  2.  salvatichi:  di  sopra  (st.  20,  2)  ha 
chiamato  selvaggio  l'orrore  di  questa  selva; 
e  fra  poco  dirà  silvestì^e  questo  luogo.  — 
3.  e  la  ventnia  imprenda:  e  si  metta  a  que- 
sto rischio. 

32,  4.  lorica:  corazza. 


11  —  Tasso,  Gerusalemme  liberata. 


162 


GERUSALEMME  LIBERATA 


33 

Vassene  il  valoroso,  in  sé  ristretto, 
E  tacito  e  guardingo,  al  rischio  ignoto; 
E  sostien  de  la  selva  il  fero  aspetto, 
E  '1  gran  roraor  del  tuono  e  del  tremoto; 
E  nulla  sbigottisce;  e  sol  nel  petto 
Sente,  ma  tosto  il  seda,  un  picciol  moto. 
Trapassa;  ed  ecco  in  quel  silvestre  loco 
Sorge  iraprovisa  la  città  del  foco. 
34 

Allor  s'arretra,  e  dubbio  alquanto  resta. 
Fra  sé  dicendo:  or  qui  che  vagllon  l'armi? 
Ne  le  fauci  de'  mostri,  e'n  gola  a  questa 
Devoratrice  tiamma  andrò  a  gettarmi? 
Non  mai  la  vita,  ove  cagione  onesta 
Del  comun  prò  la  chieda,  altri  risparmi  ; 
Ma  né  prodigo  sia  d'anima  grande 
Uom  degno:  e  tale  è  ben  chi  qui  la  spande. 
35 

Pur  l'oste  che  dirà,  s' indarno  i'  riedo? 
Qual  altra  selva  ha  di  troncar  speranza? 
Né  intentato  lasciar  vorrà  Goffredo   [za, 
Mai  questo  varco.  Or, s'oltre alcun  s'avan-  , 
Forse  l'incendio,  che  qui  sorto  i'  vedo,     , 
Fia  d'effetto  minor  che  di  sembianza:       j 
Ma  seguane  che  puote.  E  in  questo  dire,  | 
Dentro  saltovvi.  Oh  memorando  ardirei 
86 

Né  sotto  l'arme  già  sentir  gli  parve 
Caldo  0  fervor,  come  di  foco  intenso; 
Ma  pur,  se  fosser  vere  fiamme  o  larve, 
Mal  potè  giudicar  si  tosto  il  senso: 
Perché  repente,  a  pena  tocco,  sparve 
Quel  simulacro,  e  giunse  un  nuvol  denso 
Che  portò  notte  e  verno;  e'I  verno  ancora 
E  l'ombra  dileguossi  in  picciol'ora. 
37 

Stupido  si,  ma  intrepido  rimane 
Tancredi;  e  poi  che  vede  il  tutto  cheto, 
Mette  securo  il  pie  ne  le  profane 
Soglie,  e  spia  de  la  selva  ogni  secreto. 
Né  più  apparenze  inusitate  e  strane, 
Né  trova  alcun  fra  via  scontro  o  divieto  ; 
Se  non  quanto  per  sé  ritarda  il  bosco 


33,  2.  guardingo:  cauto  e  avvertito:  fu 
apposto  come  errore  di  lingua  al  Tasso; 
ma  ve  n'era  esempi  nei  trecentisti  e  nel 
cinquecento  ancóra:  Boccaccio,  nel  Laòi- 
Tinto:  «  Ti  dovea  render  cauto  e  guardingo 
dagli  amorosi  lacciuoli  *. 

34,  7.  né  prodigo  ecc.:  Avverti  che  Paolo 
il  quale  volle,  senza  necessità,  morire  alla 
rotta  di  Canne,  fu  biasimato  dal  senato  ro- 
mano. Di  lui  peraltro  disse  Orazio,  Od.  I  xii: 
.  animaeque  magnae  Prodigura,  Poeno  su- 
perante, l'aulumGratus  insigni  referam  Ca- 
mena  ecc.  >. 

36,  6.  Intendi:  Sarà  minore  a  sentire  che 
a  vedere. 

87,  1.  Stupido:    stupito.    —  7-8.  Intendi, 


La  vista  e  i  passi  inviluppato  e  fosco. 

38 
Al  fine  un  largo  spazio  in  forma  scorge 
D'anfiteatro;  e  non  è  pianta  in  esso. 
Salvo  che  nel  suo  mezzo  altero  sorge, 
Quasi  eccelsa  piramide,  un  cipresso. 
Colà  si  drizza;  e  nel  mirar  s'accorge 
Ch'era  di  vari  segni  il  tronco  impresso. 
Simili  a  quei  che  in  vece  usò  di  scritto 
L'antico  già  misterio.?o  Egitto. 

39 
Fra  i  segni  ignoti  alcune  note  ha  scòrto 
Del  sermon  di  Soria  ch'ei  ben  possedè: 
0  tu,  che  dentro  a  i  chiostri  de  la  morte 
(>sastì  por,  guerriero  audace,  il  piede, 
Deh!  se  non  sei  crudel  quanto  sei  forte, 
Deh!  non  turbar  questa  secreta  sede. 
Perdona  a  l'alme  ornai  di  luce  prive: 
Non  dee  guerra  co'  morti  aver  chi  vive. 

40 
Cosi  dicea  quel  motto.  Egli  era  intento 
De  le  brevi  parole  a  i  scusi  occulti: 
Fremere  intanto  udia  continuo  il  vento 
Tra  le  frondi  del  bosco  e  tra  i  virgulti, 
K  trarne  un  suou  che  flebile  concento 
Par  d'umani  sospiri  e  di  singulti; 
E  un  non  so  che  confuso  instilla  al  core 
Di  pietà,  di  spavento  e  di  dolore. 

41 
Pur  tragge  al  fin  la  spada,  e  con  gran  forza 
Percote  l'alta  pianta.  Oh  meraviglia! 
Manda  fuor  sangue  la  recisa  scorza, 
H  fa  la  terra  intorno  a  sé  vermiglia. 
Tutto  si  raccapriccia,  e  pur  rinforza 
11  colpo,  e  '1  fin  vederne  ei  si  consiglia. 
Allor,  quasi  di  tomba,  uscir  ne  sente 
Un  indistinto  gemito  dolente; 


I 


che  solamente  gli  intoppi  naturali  che  offre 
una  selva  intricata  e  tenebrosa  sono  d'im- 
pedimento a  lui  per  avanzare. 

38,  7.  quel  ecc.:  i  geroglifici. 

89,  8.  Xon  dee  ecc.  :  Guastavini:  «  Secondo 
il  proverbio  antico:  Cum  larvis  non  lue- 
tandum  ». 

40,  3-S  Accortamente  il  poeta  comincia 
a  preparare  la  scena  patetica  che  avrà 
luogo  fra  breve,  dove  Tancredi  sarà  vinto 
dalla  paura  non  di  essere  superato  dalla 
forza,  ma  di  sembrare  spietato  o  ingene- 
roso. 

41,  1-6.  Imitato  da  Virgilio  [Aen.  iii  26) 
ove  Enea  narra  di  Polidoro:  *  Horrendum 
et  dictu  video  mirabile  monstrum.  Nam, 
quae  prima  solo  ruptis  radicibus  arbos  Vel- 
litur,  buie  atro  liquuntur  sanguine  guttae, 
ecc.  ».  Vedi  ancora  Dante  nel  xiii  dell'/n/., 
e  in  parte  anche  Ariosto,  Ori.  Fur.  vi  26  e 
segg.  —  6.  b1  consiglia:  delibera.  —  7-8. 
Virg.,    loc.   cit.  i9:    e  gemitus  lacrimabilis 


CANTO  XIII 


163 


42  [se, 

Che  poi  distìnto  in  voci:  Ahi!  troppo,  dis- 
M'hai  tu,  Taiicicdi,  oft'eso;  or  tanto  basti. 
Tu  dal  corpo,  che  meco  e  per  me  visse, 
Felice  albergo  già,  mi  discacciasti  : 
Perché  il  misero  tronco,  a  cui  m'affisse 
Il  mio  duro  destino,  anco  mi  guasti? 
Dopo  la  morte  gli  avversarii  tuoi, 
Crudel,  ne'  lor  sepolcri  offender  vuoi? 
43 

Clorinda  fui:  né  sol  qui  spirto  umano 
Albergo  in  questa  pianta  rozza  e  dura; 
Ma  ciascun  altro  ancor,  Franco  o  Pagano, 
Che  lassi  i  membri  a  pie  de  l'alte  mura. 
Astretto  è  qui  da  novo  incanto  e  strano, 
Non  80  s'io  dica  in  corpo  o  in  sepoltura. 
Son  di  sensi  animati  i  rami  e  i  tronchi, 
E  micidial  sei  tu,  se  legno  tronchi. 
44 

Qual  V  infermo  talor,  eh' in  sogno  scorge 
Drago,  0  cinta  di  fiamme  alta  chimera, 
Seben  sospetta,  o  in  parteanco  s'accorge 
Che  '1  simulacro  sia  non  forma  vera, 
Pur  desia  di  fuggir;  tanto  gli  porge 
Spavento  la  sembianza  orrida  e  fera; 
Tal  il  timido  amante  a  pien  non  crede 
A  i  falsi  inganni,  e  pur  ne  teme  e  cede. 
45  [so 

E,  dentro,  il  cor  gli  è  in  modo  tal  conqui- 
Da  varii  affetti,  che  s'agghiaccia  e  trema; 
E  nel  moto  potente  ed  improviso 
Gli  cade  il  ferro,  e  '1  manco  è  in  lui  la  téma. 
Va  fuor  di  sé;  presente  aver  gli  è  avviso 
L'offesa  donna  sua  che  plori  e  gema; 
Né  può  soffrir  di  rimirar  quel  sangue, 
Né  quei  gemiti  udir  d'egro  che  langue. 
46 

Cosi  quel  contra  morte  audace  core 


imo  Auditur  tumulo,  et  vox  reddita  fertur 
ad  aures». 

42,  1.  Che  poi  distinto  in  voci:  Dante, 
loG.  cit.  91  :  «  Allor  soflìó  lo  tronco  forte  e 
poi  Si  converti  quel  vento  in  cotal  voce  ». 
—  5.  m'affisse:  mi  conficcò  dentro. 

43,  4.  lassi  :  lasci.  —  6.  Non  so  se  la  scorza 
dell'albero  sia  da  chiamarsi  il  nostro  corpo 
0  la  nostra  sepoltura,  essendo  a  noi  l'una 
e  l'altro. 

44,  4.  Che  '1  simulacro  sia  ecc.:  che  l'ima- 
gine  apparsagli,  di  un  drago  o  di  una  chi- 
mera, non  sia  cosa  realmente  vera. 

46,  1.  conquiso:  sbattuto.  —  4.  e  '1  manco 
è  in  lui  la  téma:  e  il  timore  è  il  sentimento 
che  meno  lo  comraove.  —  6.  plori:  pianga: 
latinismo  della  lingua  poetica. 

46.  Il  Tasso  si  proponeva  di  mutare  (il 
che  poi  non  fece),  la  stanza  anteriore  dove 
a  Tancredi  cade  il  ferro,  e  questa  ancóra 
ove  egli  lo  perde  per  forza  superiore,  come 


Nulla  forma  turbò  d'alto  spavento; 
Ma  lui,  che  solo  è  fievole  in  amore, 
Falsa  imago  deluse  e  van  lamento. 
II  suo  caduto  ferro  in  tanto  fòre 
Portò  del  bosco  impetuoso  vento, 
Si  che  vinto  partissi;  e  in  su  la  strada 
Ritrovò  poscia  e  ripigliò  la  spada. 
47 

Pur  non  tornò,  né  ritentando  ardio 
Spiar  di  novo  le  cagioni  ascose. 
E  poi  che,  giunto  al  sommo  duce,  unio 
Gli  spirti  alquanto,  e  l'animo  compose. 
Incominciò:  Signor,  nunzio  son  io 
Di  non  credute  e  non  credibil  cose. 
Ciò  che  dicean  de  lo  spettacol  fero 
E  del  suon  paventoso,  è  tutto  vero. 
48 

Meraviglioso  foco  indi  m'apparse, 
Senza  materia  in  un  istante  appreso; 
Che  sorse,  e,  dilatando,  un  muro  farse 
Parve,  e  d'armati  mostri  esser  difeso. 
Pur  vi  passai;  che  né  l'incendio  m'arse. 
Né  dal  ferro  mi  fu  l'andar  conteso. 
Vernò  in  quel  punto,  ed  annottò;  fé'  il  gior- 
E  la  serenità  poscia  ritorno.  [no 

49 

Di  più  dirò;  ch'a  gli  alberi  dà  vita 
Spirito  uman  che  sente  e  che  ragiona. 
Per  prova  sòllo;  io  n'ho  la  voce  udita. 
Che  nel  cor  flebilmente  anco  mi  suona. 
Stilla  sangue  de'  tronchi  ogni  ferita, 
Quasi  di  molle  carne  abbian  persona. 
No,  no,  più  non  potrei  (vinto  mi  chiamo) 
Né  corteccia  scorzar,  né  sveller  ramo. 


è  da  lui  detto  nella  Lett.  37  :  «  non  mi  piace 
(scrive)  quella  stanza  -  Cosi  quel  contra 
morte  audace  core,  Nulla  forma  turbò  d'alto 
spavento  -,  perché  vorrei  che  Tancredi  fosse 
superato  in  qualche  cosa  pertinente  a  la 
fortezza;  però  vo  pensando  che,  da  poi 
ch'egli  avrà  dato  il  colpo  a  l'arbore,  veggia 
imagini  orribilissime,  e  vengano  terremoti 
e  turbini  che  gli  scuotano  la  spada  da  le 
mani.  Voglio  in  somma,  che  veggia  il  san- 
gue e  senta  i  gemiti  de  l'arbore:  ma  vo- 
glio che  la  causa  principalissima,  ch'egli 
perda  la  spada,  sia  forza  ed  orrore  de  l'in- 
canto ».  —  2.  Nulla:  nessuna.  —  3.  Cosi  nel 
e.  I  45,  5:  «  S'alcun'ombra  di  colpa  i  suoi 
gran  vanti  Rende  men  chiari  è  sol  follia 
d'amore  ». 

47,  3.  unio:  raccolse.  —  4.  l'animo  com- 
pose: acquetò  l'animo  commosso,   turbato. 

48,  7.  Vernò:  si  fece  verno:  vernare  in 
questo  senso  è  spesso  usato  dal  Petrarca. 

49,  4.  Dante,  Purg.  ii  114:  «Che  la  dol- 
cezza ancor  dentro  mi  suona  ».  —  5.  Virg., 
Aen.  Ili  33:  «Alter  et  alterius  sequitur  de 
cortice  sanguis  ».  —  6.  persona  ;  corpo. 


164 


GERUSALEMME  LIBERATA 


50 

Cosi  dice  egli;  e  "1  Capitano  ondeggia 
In  gran  tempesta  di  pensieri  in  tanto. 
Pensa  s'egli  medesrao  andar  là  deggia 
(Che  tal  lo  stima)  a  ritentar  l'incanto; 
O  se  pur  di  materia  altra  proveggia 
Lontana  più,  ma  non  difiìcil  tanto. 
Ma  dal  profondo  de'  pensieri  suoi 
L'Eremita  il  rappella,  e  dice  poi: 
51 

Lascia  il  pensiero  andace:  altri  conviene 
Che  de  le  piante  sue  la  selva  spoglie. 
Già  già  la  fatai  nave  a  l'erme  arene 
La  prora  accosta,  e  l'auree  vele  accoglie; 
Già,  rotte  l'indignissirae  catene, 
L'aspettato  guerrier  dal  lido  scioglie; 
Non  è  lontana  omai  l'ora  prescritta, 
Che  sia  presa  Sion,  l'oste  sconfitta. 
52 

Parla  ei  cosi,  fatto  di  fiamma  in  vólto, 
E  risuona  più  ch'uomo  in  sue  parole. 
E  '1  pio  Gofifredo  a  pensier  novi  è  vòlto; 
Che  neghittoso  già  cessar  non  vuole. 
Ma  nel  cancro  celeste  omai  raccolto 
Apporta  arsura  inusitata  il  sole, 


60,  1.  ondeggia  ecc.:  Cfr.  e.  x  3,  7-8.  — 
4.  Che  tal  ecc.:  Trasposizione:  a  ritentare 
l'incanto,  poiché  egli  crede  che  si  tratti 
d'incanti. 

61,  1.  il  pensiero  andace:  d'andare  tu, 
Goffredo,  alla  selva.  —  altri  conylene  ecc.: 
allude  a  Rinaldo.  L'Eremita  vede,  per  ri- 
velazione divina,  che  la  nave  destinata  (fa- 
tale) a  liberar  Rinaldo  ha  già  preso  porto 
nell'isola  dove  colui  era;  ed  egli  [l'aspet- 
tato giiert'ier),  rotti  gli  indegni  lacci  d'Amo- 
re, è  per  ritornare  tra  i  cristiani;  e  vincerà 
la  selva.  —  3.  erme  arene:  nelle  isole  For- 
tunate, vuote  d'abitatori,  come  si  vedrà  più 
avanti.  —  4.  auree  relè:  raccoglie  le  vele 
d'oro:  cfr.  e.  xv  7  e  xvi  57. 

62,  4.  cessar:  rimanersi.  —  5-6.  Intendi 
che  il  sole  era  già  entrato  nella  costella- 
zione del  cancro,  portando  inusitata  siccitTi. 
Di  questa  siccità  parla  lo  storico  Guglielmo 
Tirio  che  dice  fra  le  altre  cose  (viii,  7): 
•  .\ugebat....  sitis  importunitatem,  et  ango- 
ris  gemiuabat  molestiam  aestutis  inclemen- 
tia,  et  ardens  iunius;  labor  quoque  et  exci- 
tatus  pulvis,  oris  et  pectoris  ariditatem  pro- 
vocabant....  Neglecta  porro  aniraalia,  et  qui- 
bus  domini  sui  providere  non  poterant,  per 
carapos  lento  gradu  et  defìcientibus  viribus 
vagantia,  equi  videlicet,  muli,  asini,  sed  et 
gregea  et  armenta  siti  et  ariditate  con- 
sumpta,  in  se  ipsis  deficiebant,  tabescentia, 
pt  liquefacta  interius  moriebantur:  unde  in 


Ch'a  i  suoi  disegni,  a  i  snoi  gnerrier  nerai- 

Insopportabil  rende  ogni  fatica.  [ca, 

53 

Spenta  è  del  cielo  ogni  benigna  lampa; 
Signoreggiano  in  lui  crudeli  stelle, 
Onde  piove  virtù  ch'informa  e  stampa 
L'aria  d'impression  maligne  e  felle. 
Cresce  l'ardor  nocivo,  e  sempre  avvampa 
Più  mortalmente  in  queste  parti  e  in  quel- 
A  giorno  reo  notte  più  rea  succede,     [le; 
E  di  peggior  di  lei  dopo  lei  vede. 
54 

Non  esce  il  sol  giammai,  ch'asperso  e  cin- 
Di  sanguigni  vapori  entro  e  d'intorno,  [to 
Non  mostri  ne  la  fronte  assai  distinto 
Mesto  presagio  d'infelice  giorno; 
Non  parte  mai,  che,  in  rosse  macchie  tinto, 
Non  minacci  egual  noia  al  suo  ritorno, 
E  non  inaspri  i  già  sofferti  danni 
Con  certa  téma  di  futuri  aftanni. 
55 

Mentr'egli  i  raggi  poi  d'alto  diffonde, 
Quanto  d'intorno  occhio  mortai  si  gira, 
Seccarsi  i  fiori,  e  impallidir  le  fronde. 
Assetate  languir  l'erbe  rimira, 
E  fendersi  la  terra,  e  scemar  Tonde, 
Ogni  cosa  del  ciel  soggetta  a  l'ira, 
E  le  sterili  nubi  in  aria  sparse 
In  sembianza  di  fiamme  altrui  mostrarse. 

56 

Sembra  il  ciel  ne  l'aspetto  atra  fornace, 

Né  cosa  appar  che  gli  occhi  almen  ristau- 

(re; 


castris  faetor  erat  raaximus,  et  pestilens 
et  periculosa  nimis  aeris  corruptela  ».  — 
7-8.  Intendi:  la  quale  (arsura)  nemica,  cioè 
dannosa,  a'  disegni  e  a'  guerrieri  di  Gof- 
fredo, rende  insopportabile  ecc. 

63,  1.  Tetrarca,  son.  La  gola  e  'l  sonno  5. 
«  Ed  é  si  spento  ogni  benigno  lume  Del 
Ciel  ».  —  3.  Dante,  Par.  xxvii  111  :  «  L'amor 
che  il  volge  e  la  virtù  ch'ei  piove  ». 

64,  7.  Inasprì:  inasprisca.  —  8.  Cfr.  e.  vi 
G6,  1  e  in  nota. 

.65,  1.  Mentr'  egli  :  cosi  leggono  Os.  e 
CoNQ.;  le  st.  BoN.  Mentre  li.  —  d'alto  ecc.: 
di  mezzogiorno.  —  6.  Costruisci:  ogni  cosa 
soggetta  all'ira  del  cielo.  —  7.  sterili:  per- 
ché non  danno  pioggia.  Lucano,  Phw's.  iv 
330:  «  Expectant  imbres,  quorum  modo 
-cuncta  natabant  Irapulsu,  et  siccis  vultus  in 
nubibus  haerent  y.  —  8.  Guastavini:  *  Il 
sènso  dipende  tutto  dal  verbo  posto  di  so- 
pra (rimit-a)  in  questo  modo:  Occhio  mor- 
tale, quant'ei  si  gira  intorno,  rimira  sec- 
carsi i  fiori,  e  impallidir  le  frondi,  e  lan- 
guir l'erbe;  ed  il  resto  ». 


CANTO  XIII 


165 


Ne  le  spelonche  sue  zefiro  tace, 
E'n  tutto  è  fermo  il  vaneggiar  de  l'aure; 
Solo  vi  sollia  (e  par  vampa  di  face) 
Vento  che  move  da  l'arein.':  maure, 
Che,  gravoso  e  spiacente,  e  seno  e  gote 
Co'  densi  tìati  ad  or  ad  or  percote. 
57 

Non  ha  poscia  la  notte  ombre  più  liete, 
Ma  del  caldo  del  sol  paiono  impresse; 
E  di  travi  di  foco  e  di  comete 
E  d'altri  fregi  ardenti  il  velo  intesse. 
Né  pur,  misera  terra,  a  la  tua  séte 
Son  da  l'avara  luna  almen  concesse 
Sue  rugiadiose  stille;  e  l'erbe  e  i  fiori 
Bramano  indarno  i  lor  vitali  umori. 
58 

Da  le  notti  inquiete  il  dolce  sonno 
Bandito  fugge;  e  i  languidi  mortali 
Lusingando  ritrarlo  a  sé  non  ponno; 
Ma  pur  la  séte  è  il  pessimo  de'  mali; 
Però  che  di  Giudea  l'iniquo  donno 
Con  veneni  e  con  succhi  aspri  e  mortali 
Più  de  l'inferna  Stigie  e  d'Acheronte, 
Torbido  fece  e  livido  ogni  fonte. 
59 

E  il  picciol  Siloè,  che  puro  e  mondo 
Olfria  cortese  a  i  Franchi  il  suo  tesoro, 
Or  di  tepide  linfe  a  pena  il  fondo 
Arido  copre,  e  dà  scarso  ristoro: 


7  &^\  '-'  /jL^-ti^-i^^^-^. 

^^  *66.  4.  il  vaneggiar,  il  muoversi' per  il 
^  Vano,  per  il  vuoto,  per  lo  spazio:  l'agitarsi. 
È  espressione  non  chiara.  —  5-6.  Intende  il 
"Simun,  vento  caldissimo  e  micidiale  che 
soffia  dai  deserti  dell'Aflfrica,  e  che  gli 
arabi  (come  avverte  il  Malia),  nel  loro  im- 
maginoso linguaggio,  chiamano  Vangelo 
della  ìnorte. 

57,  3.  Guastavini;  «  Di  queste  impressioni 
meteorologiche  nascenti  da  esalazioni  calde 
e  secche,  ragiona  Aristotile  nel  primo  delle 
Meteore».  —  4.  il  velo  intesse:  Guastavini: 
«  La  sua  veste,  che  per  altro  i  poeti  sono 
soliti  a  ricamar  di  stelle  ». 

58, 1-3.  Petrarca  canz.  Quell'antiquo  tnlo 
62:  «  e  le  mie  notti  il  sonno  Sbandirò,  e  più 
non  ponno  Per  erbe  o  per  incanti  a  sé  ri- 
trarlo ».  —  4.  Gugl.  Tir.,  loc.  cu.:  *■  Siti  fa- 
tigabatur  exercitus  vehementissima  *.  —  5. 
donno:  signore:  Aladino.    —   6-8.  Cfr.  e.  i, 

,|   89,  7-8,  e  in  nota.   Ma  di  veleni   non  parla 

\    il  Tirio,  si  bene  di  fonti  chiude  o  rese  im- 
monde. 

69,  1-4.  Gugl.  Tir.,  loc.  cit.:  «  Siloe  fons 
urbi  conterminus...  cum  ncque  perpetuas 
aquas  haberet,  ei  easdem  certo  tempore 
fundere  insipidas,  populo  laboranti  non  po- 
terai sufflcere  »;    cosi  pure   afferma   Paolo 


Né  il  Po,  qualor  di  maggio  è  pili  profondo, 
Parria  soverchio  a  i  desideri!  loro; 
Né'l  Gange,  o'I  Nilo,  allorché  non  s'appa- 

[ga 
De'  settealberghi,  e  '1  verde  Egitto  allaga. 

60 

S'alcun  già  mai  tra  frondeggianti  rive 
Puro  vide  stagnar  liquido  argento, 
0  giù  precipitose  ir  acque  vive 
Per  alpe,  o  'n  piaggia  erbosa  a  passo  lento; 
Quelle  al  vago  desio  fornia  e  descrive, 
E  ministra  materia  al  suo  tormento; 
Che  l'imagine  lor  gelida  e  molle 
L'asciuga  e  scalda,  e  nel  pensier  ribolle 
61 

Vedi  le  membra  de'  guerrier  robuste. 
Cui  né  cammin  per  aspra  terra  preso. 
Né  ferrea  salma  onde  gir  sempre  onuste, 
Né  domò  ferro  a  la  lor  morte  inteso; 
Ch'or  risolute,  e  dal  calore  aduste, 
Giacciono  a  sé  medesme  inutil  peso: 
E  vive  ne  le  vene  occulto  foco. 
Che  pascendo  le  strugge  a  poco  a  poco. 
62 

Langue  il  corsier,  già  si  feroce,  e  l'erba. 
Che  fu  suo  caro  cibo,  a  schifo  prende; 
Vacilla  il  piede  infermo,  e  la  superba 
Cervice  dianzi,  or  giù  dimessa  pende: 
Memoria  di  sue  palme  or  più  non  serba. 
Né  più  nobil  di  gloria  amor  l'accende; 
Le  vincitrici  spoglie  e  i  ricchi  fregi 
Par  che  quasi  vii  soma  odii  e  dispregi. 
63 

Languisce  il  fido  cane,  ed  ogni  cura 
Del  caro  albergo  e  del  signor  oblia; 


Emilio.  —  7-8.  il  Nilo  allor  ecc.:  ossia 
quando  trabocca  dai  lati  dei  sette  rami  per 
i  quali  si  getta  nel  mare:  Virg.,  Aen.  vii 
800  :  «  Et  septemgemini  turbant  trepida  ostia 
Nili .. 

60,  Imitato  da  Dante  (Inf.  xxx  64)  :  e  Li 
ruscelletti  che  de'  verdi  colli  Del  Casentin 
discendon  giuso  in  Arno  Facendo  i  lor  ca- 
nali e  freddi  e  molli;  Sempre  mi  stanno 
innanzi,  e  non  indarno,  Che  l'immagine  lor 
vieppiù  m'asciuga,  Che  il  male,  ond'io  nel 
vólto  mi  discarno  ».  —  5.  vago:  bramaso. 

61,  5.  risolute:  sciolte  e  fiaccate. 

62,  l.  Cfr.  per  la  verità  storica  il  passo 
di  Gugl.  Tir.  da  me  riportato  nella  nota 
alla  st.  52,  5-6.  Virgilio,  Georg,  in  498:  «  La- 
bitur,  infelix,  studiorum  atque  iramemor 
herbae,  Victor  equus,  fontesque  avertitur, 
et  pede  terram  Crebra  ferit;  demissae 
aures  ecc.  ». 

63,  1-4.  Lucrezio,  De  rer.  nat.  vi  1220: 
«cura   primis    fida   canum   vis  Strata   viis 


166 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Giace  disteso,  ed  a  l'interna  arsura, 
Sempre  anelando,  aure  novelle  invia. 
Ma  s'altrui  diede  il  respirar  natura, 
Perclié  il  caldo  del  cor  temprato  sia, 
Or  nulla  o  poco  refrigerio  n'have; 
Si  quello,  onde  si  spira,  è  denso  e  grave. 

64 
Cosi  languia  la  terra;  e  'n  tale  stato 
Egri  giaceaiisi  i  miseri  mortali: 
E  'i  buon  popol  fede],  già  disperato 
Di  vittoria,  teraea  gli  ultimi  mali: 
E  risonar  s'udia  per  ogni  lato 
Universal  lamento  in  voci  tali: 
Che  più  spera  Goffredo?  o  che  più  bada? 
Sin  che  tutto  il  suo  campo  a  morte  cada? 

65 
Deh!  con  quai  forze  superar  si  crede 
Gli  alti  ripari  de'  nemici  nostri? 
Onde  macchine  attende?  ei  sol  non  vede 
L'ira  del  Cielo  a  tanti  segni  mostri? 
De  la  sua  mente  avversa  a  noi  fan  fede 
Mille  novi  prodigi  e  mille  mostri; 
Ed  arde  a  noi  cosi,  che  minor  uopo 
Di  refrigerio  ha  l'Indo  o  l'Etìopo. 

66 
Dunque  stima  costui  che  nulla  importe 
Che  n'andiam  noi,  turba  negletta,  inde- 
Vili  ed  inutili  alme,  a  dura  morte,    [gna, 
Per  ch'ei  lo  scettro  imperiai  mantogna? 
Cotanto  dunque  fortunata  sorte 
Rassembra  quella  di  colui  che  regna. 
Che  ritener  si  cerca  avidamente 
A  danno  ancor  de  la  soggetta  gente? 

67 
Or  mira  d'uom,  ch'ha  il  titolo  di  pio. 
Previdenza  pietosa,  animo  umano: 


animam  ponebat  in  omnibus  aegre  »  —  5-6. 
Enumerando  le  cagioni  per  le  quali  ci  fu 
dato  il  respirare,  Galeno  dice  anche  che  ci 
fu  dato  a  temperare  il  calore  naturale.  — 
8.  quello,  onde  si  spira:  ciò  di  che  si  spira; 
l'aria,  cioè,  che  si  aspira. 

64,  5.  I  lamenti  dei  crociati  furono  le- 
vati dalla  Conquisi.  —  7.  bada:  indugia: 
più  volte  osservato.  —  *?.  Le  B.  legg-ono: 
si  che  tutto^  lezione  da  non  disprezzare. 
Os.  Sin  che  tutto....  vada. 

65,  5.  sua:  del  Cielo.  —  6.  novi:  strani. 
—  7.  cosi;  Os.  si  il  sol.  Secondo  la  nostra 
lezione,  il  s:)fr?etto  di  arde  é  il  Cielo.  — 
7-8.  Dante,  Purg.  xxvi  20:  «  tutti  questi 
n'hanno  maggior  sete,  Che  d'acqua  fresca 
Indo  0  Etiope  ». 

66,  1.  virg.,  \en.  xi  371:  «  Scilicet,  ut 
Turno  contingat  regia  coniux,  Nos,  animae 
viles,  inhumatainfletaque  (furba,  Sternamur 
campis  ».  —  4.  Per  ch'ei;  Os.  Pur  ch'ei. 


La  salute  de'  suoi  porre  in  oblio, 
Per  conservarsi  onor  dannoso  e  vano; 
E  veggendo  a  noi  secchi  i  fonti  e  '1  rio, 
Per  sé  l'acque  condur  fin  dal  Giordano, 
E,  fra  pochi  sedendo  a  mensa  lieta, 
Mescolar  l'onde  fresche  al  vin  di  Creta. 
68 

Cosi  i  Franchi  dicean;  ma  '1  duce  Greco 
Che  '1  lor  vessillo  è  di  seguir  già  stanco, 
Perché  morir  qui?  disse;  e  perché  meco 
Far  che  la  schiera  mia  ne  vegna  manco? 
Se  ne  la  sua  follia  Goffredo  è  cieco, 
Siasi  in  suo  danno  e  del  suo  popol  Franco: 
A  noi  che  nóce?  E,  senza  tor  licenza, 
Notturna  fece  e  tacita  partenza. 
69 

Mosse  l'esempio  assai,  come  al  di  chiaro 
Fu  noto;  e  d'imitarlo  alcun  risolve. 
Quei  che  seguir  Ciotareo  ed  Ademaro 
E  gli  altri  duci,  ch'or  son  ossa  e  polve, 
Poi  che  la  fede  ch'a  color  giuraro, 
Ha  disciolto  colei  che  tutto  solve, 
Già  trattano  di  fuga;  e  già  qualcuno 
Parte  furtivamente  a  l'aer  bruno. 
70 

Ben  se  l'ode  Goffredo,  e  ben  se  '1  vede, 
E  i  più  aspri  rimedi  avria  ben  pronti; 
Ma  gli  schiva  ed  abborre;  e  con  la  fede 
Che  farla  stare  i  fiumi  e  gire  i  monti. 
Devotamente  al  Re  del  mondo  chiede 
Che  gli  apra  omai  de  la  sua  grazia  i  fonti: 
Giunge  le  palme,  e  fiammeggianti  in  zelo 
Gli  occhi  rivolge  e  le  parole  al  Cielo: 
71 

Padre  e  Signor,  s'al  popol  tuo  piovesti 
Già  le  dolci  rugiade  entro  al  deserto; 
S'a  mortai  mano  già  virtù  porgesti 
Romper  le  pietre,  e  trar  del  monte  aperto 
Un  vivo  fiume;  or  rinnovella  in  questi 
Gli  stessi  esempi  ;  e  s' ineguale  è  il  merto, 
Adempì  di  tua  grazia  i  lor  difetti, 
E  giovi  lor  che  tuoi  guerrier  sian  detti. 
72 

Tarde  non  furon  già  queste  preghiere, 
Che  derivar  da  giusto  umil  desio; 


68,  1.  '1  duce  Greco:  Latino,  o  Tatino  che 
debba  leggersi.  Gugl.  Tir.  (tv  21)  ne  pone 
la  diserzione  sotto  Antiochia. 

71,  1-2.  Allude  alla  manna  piovuta  sul 
popolo  d'Israele,  quand'era  nel  deserto, 
condotto  da  Mosè  verso  la  Terra  Promessa. 
—  3-5.  Mosé  fece  col  percuotere  della  verga 
scaturire  acqua  dal  monte  Oréb.  —  7. 
Adempì  ecc.  supplisci  colla  tua  grazia  ai 
loro  mancamenti  :  Petrarca,  son.  Vvo'' pian- 
gendo 8:  •  E  'I  mio  difetto  di  tua  grazia 
adempì  ». 


CANTO  XIII 


167 


Ma  se  'n  volaro  al  Cìel  pronte  e  leggiere, 

(!()me  pennuti  augelli,  inanzi  a  Dio. 

Le  accolse  il  Padre  eterno,  ed  a  le  schiere 

Fedeli  sue  rivolse  il  guardo  pio; 

E  di  si  gravi  lor  rischi  e  fatiche 

Gli  iucrebbe,  e  disse  con  parole  amiche: 

73 
Abbia  sin  qui  sue  dure  e  perigliose 
Avversità  sofferte  il  campo  amato; 
E  contra  lui  con  armi  ed  arti  ascose 
,  Siasi  r inferno,  e  siasi  il  mondo  armato. 
Or  cominci  novello  ordin  di  cose, 
E  gli  si  volga  prospero  e  beato. 
Piova;  e  ritorni  il  suo  guerriero  invitto, 
,  E  venga  a  gloria  sua  l'oste  d'Egitto. 

1 

Co8Ì  dicendo,  il  capo  mosse;  e  gli  ampi 
Cieli  tremaro,  e  i  lumi  erranti  e  i  fissi; 
E  tremò  l'aria  riverente,  e  i  campi 
De  l'oceano,  e  i  monti,  e  i  ciechi  abissi. 
Fiammeggiare  a  sinistra  accesi  lampi 
Fur  visti,  e  chiaro  tuono  insieme  udissi. 
Accompagnan  le  genti  il  lampo  e  '1  tuono 
Con  allegro  di  voci  ed  alto  suono. 


73.  Qui  comincia  la  mutazione  della  for- 
tuna pei  campo  cristiano,  e  qui  è  il  mezzo 
della  favola  {cfr.  la  nota  al  canto  x  7). 
Tasso  (Leu.  26):  «  Nel  mezzo  del  terzode- 
cimo le  cose  cominciano  a  rivoltarsi  in  me- 
glio: viene,  per  grazia  di  Dio,  a'  prieghi  di 
Goflredo  la  pioggia;  e  cosi  di  mano  in  mano 
tutte  le  cose  succedono  prospere  ».  —  *  2. 
sofferte  leggono  le  tre  B;  sofferto  Os.  —  5. 
Virg.,  Ed.  IV  5:  «  Magnus  ab  integro  sae- 
clorum  nascitur  ordo  ».  —  7.  suo  guerriero 
ecc.:  Rinaldo.  —  8.  E  venga  a  gloria  sua: 
Intendi  che  l'esercito  d'Egitto  venga  ad 
accrescere  colla  sua  disfatta  la  gloria  dei 
cristiani. 

74,  l-4.Guastavini:  «...  Dinota  la  maestà 
ed  autorità  di  Dio.  Omero,  II.  i:  -  Disse,  e 
con  le  nere  ciglia  fece  cenno  il  figliuol  di 
Saturno,  -  E  le  odorifere  chiome  del  re  si 
furono  vibrate  Dal  capo  immortale,  ed  il 
gran  cielo  si  scosse  ».  —  Virg.,  Aen.  ix 
106:  «  Annuit  et  totum  nutu  tremefecit 
Olympum»;  cfr.  ancóra  Catullo,  Argon. 
204,  e  Ovidio,  Met.  via  603.  —  mosse:  chinò. 
—  5.  Piamiuoggiare  ecc.:  Virg.,  Aen.  ii692: 
•  Vix  ea  fatus  erat  senior  subitoque  fragore 
Intonuit  laevum  et  de  caelo  lapsa  per  um- 
bras  Stella  ecc.  ».  -  a  sinistra:  Guastavinì: 
« ...  i  Romani  gli  augurii  a  sinistra  avevano 
per  felici,  e  ciò  per  la  ragione  addotta  da 
l'iutarco  che  le  parti  sinistre  del  Cielo  sono 
a  noi  destre  ecc.  ». 


75 

Ecco  sùbite  nubi,  e  non  di  terra 
Già  per  virtù  del  sole  in  alto  ascese; 
Ma  giù  del  ciel,  che  tutte  apre  e  disserra 
Le  porte  sue,  veloci  in  giù  discese: 
Ecco  notte  improvisa  il  giorno  serra 
Ne  l'ombre  sue,che  d'ogni  intorno  ha  stese. 
Segue  la  pioggia  impetuosa:  e  cresce 
Il  rio  cosi  che  fuor  del  letto  n'esce. 
76 

Come  talor  ne  la  stagione  estiva, 
Se  dal  ciel  pioggia  desiata  scende, 
Stuol  d'anitre  loquaci  in  secca  riva 
Con  rauco  mormorar  lieto  l'attende, 
E  spiega  l'ali  al  freddo  umor,  né  schiva 
Alcuna  di  bagnarsi  in  lui  si  rende, 
E  là 've  in  maggior  fondo  ei  si  raccoglia, 
Si  tuffa,  e  spegne  l'assetata  voglia; 
77 

Cosi  gridando,  la  cadente  piova 
Che  la  destra  del  Ciel  pietosa  versa, 
Lieti  salutan  questi:  a  ciascun  giova  [sa: 
La  chioma  averne,  non  che  il  manto,  asper- 
Chi  bee  ne'  vetri,  e  chi  ne  gli  elmi  a  prova  ; 
Chi  tien  la  man  ne  la  fresca  onda  immersa. 
Chi  sene  spruzza  il  vólto,  e  chi  letempie; 
Chi,  scaltro,  a  miglior  uso  i  vasi  n'empie. 
78 

Né  pur  l'umana  gente  or  si  rallegra, 
E  de'  suoi  danni  a  ristorar  si  viene, 
Ma  la  terra,  che  dianzi  afflitta  ed  egra 
Di  fessure  le  membra  avea  ripiene. 
La  pioggia  in  sé  raccoglie,  e  si  rintegra, 
E  la  com parte  a  le  più  interne  vene; 
E  largamente  i  nutritivi  umori 
A  le  piante  ministra,  a  l'erbe,  a  i  fiori: 
79 

Ed  inferma  somiglia,  a  cui  vitale 
Succo  le  interne  parti  arse  rinfresca, 
E  disgombrando  la  cagion  del  male, 
A  cui  le  membra  sue  fur  cibo  ed  ésca, 


75,  Cosi  la  descrizione  della  siccità,  come 
questa  della  pioggia  sono  da  porsi  fra  le 
ottime  cose  della  Gerusalemme.  —  1-4.  Non 
sono  nubi  naturali,  ma  causate,  come  dice 
dubitativamente  nella  Conquisi..,  da  «  gra- 
fia del  ciel,  ch'ornai  disserra  Le  porte  a 
l'acque,  e  tempra  i  fochi  accesi  »,  e  aper- 
tamente qui  sotto  alla  st.  77,  2.  —  5-6.  Virg,, 
Aen.  n  250:  «  ruit  oceano  nox,  Involvens 
umbra  magna  terramque,  polumque  ». 

76,  7.  fondo:  cosi  pure  Conq. ;  ma  Os. 
copia. 

77,  3.  giova:  piace,  diletta.  —  5.  a  prova: 
a  gara. 

78,  1.  par:  solameiSte;  più  volte  avver- 
tito. 


168 


GERUSALEMME  LIBERATA 


La  rinfranca  e  ristora,  e  rende  quale 
Fu  ne  la  sua  stagion  più  verde  e  fresca; 
Tal  ch'obliando  i  suoi  passati  affanni, 
Le  ghirlande  ripiglia  e  i  lieti  pauni. 

80 
Cessa  la  pioggia  al  fine,  e  torna  il  sole; 
Ma  dolce  spiega  e  temperato  il  raggio, 
Pien  di  maschio  valor,  si  come  suole 
Tra'l  fin  d'ai)rile  e  M  cominciar  di  maggio. 


79,  8.  Petrarca,  son.  Se  la  mia  vita  de 
Vaspro  6:  *  E  lassar  le  ghirlande  e  1  verdi 
panni  ». 


Oh  fidanza  gentil,  chi  Dio  ben  cole, 
L'aria  sgombrar  d'ogni  mortale  oltraggio, 
Cangiare  a  le  stagioni  ordine  e  stato, 
Vincer  la  rabbia  de  le  stelle,  e  '1  f:ito. 


80,  5.  Oh  fidanza  srent il  ecc.:  Intendi:  Oh 
fidanza  gentile  in  colui  che  bene  onora  Id- 
dio, di  poter  fug'are  i  danni  delParia,  mu- 
tare l'ordine  e  le  qualità  delle  stag-ioni,  vin- 
cere i  rabbiosi  influssi  delle  stelle  e  le  cose 
stabilite  dal  destino.  —  L'insolito  costrutto 
è  del  Petrarca,  Trionf.  Fam.  ii  67:  «  Ob 
Qdanza  gentil,  chi  Dio  ben  cole.  Quanto  Dio 
ba  creato  aver  suggetto,  E '1  ciel  tener  con 
semplici  parole!  »        , 


*    CANTO 
XIV    •      • 

Notte  -j^  Goffredo  in  so- 
gno parla  con  Ugone,  che 
Io  consiglia  a  richiamare 
Rinaldo  come  quegli  che 
è  indispensabile  alla  con- 
quista i)c  n  giorno  dopo, 
Goffredo,  ad  istanza  di 
Guelfo,  perdona  alP  eroe 
-^  Carlo,  già  compagno  di 
Sveno,  ed  Ubaldo,  indiriz- 
zati dall'Eremita,  partono 
per  cercare  di  Rinaldo  : 
arrivano  al  buon  mago  di 
Ascalona  che  loro  mostra, 
dopo  averli  condotti  nel 
suo  splendido  sotterraneo 
albergo,  ove  si  celi  il 
guerriero  ;  cioè  nelle  isole 
Fortunate  in  potere  di 
Armida  ;  e  narra  il  modo 
con  che  Armida  Io  fece 
suo  -^  Indica  loro  ove 
troveranno  chi  li  guiderà  nel  lungo  viaggio  e  nel  ritorno;  e  li  ragguaglia  dei 
pericoli  che    li    attendono,    e    del   modo    di    vincerli  -^  Poi    vanno   a    riposare. 


Usciva  ornai  dal  molle  e  fresco  grembo 
De  la  gran  madre  sua  la  notte  oscura, 
Aure  lievi  portando  e  largo  uembo 
Di  sua  rugiada  preziosa  e  pura; 
E,  scotendo  del  vel  l'umido  lembo, 
Ne  spargeva  i  fioretti  e  la  verdura  ; 
E  i  venticelli,  dibattendo  l'ali. 
Lusingavano  il  sonno  de'  mortali. 
2 

Ed  essi  ogni  pensier  che  '1  di  conduce 


1,  1-2,  Guastavini:  *  Dal  gre^mbo  della 
vnadrey  cioè  della  terra  ;  non  nascendo  da 
altro  la  notte  che  dall'ombra  di  questa..  •. 
—  5.  umido  :  perché  molle  e  fresco  il  grembo 
della  terra  donde  esce  il  velo^  massime  ora 
che  ha  accolto  un'abbondante  pioggia.  — 
8.  Lusingavano,  conciliavano  ;  senso  che 
assume  lusingare  quando  è  unito  a  sonno. 

2,  1.  Ed  essi  ;  Conq.  E  quegli;  Os.  E  qiie- 


Tufifato  aveano  in  dolce  oblio  profondo. 
Ma  vigilando  ne  l'eterna  luce 
Sedeva  al  suo  governo  il  Ke  del  mondo; 
E  rivolgea  dal  Cielo  al  Franco  duce 
Lo  sguardo  favorevole  e  giocondo  : 
Quinci  a  lui  ne  inviava  un  sogno  cheto, 
Perché  gii  rivelasse  alto  decreto. 
3 
Non  lunge  a  l'auree  porte  ond'esce  il  sole, 


sti.  —  3.  Tignando  :  vegliando  :  Dante,  per 
bocca  di  Beatrice,  agli  angioli,  Purg.  xxx 
103    *  Voi  vigilate  nell'eterno  die». 

3.  Omero  nel  xix  deWOdiss.,  seguito  da 
Virgilio  nel  vi  deìV  Eneide,  dice  che  nel- 
rinfcrno  sono  due  porte  pei  sogni:  una  di 
corno,  dalla  quale  escono  i  veri,  l'altra  di 
avorio  dalla  quale  escono  i  falsi.  Tutto  il 
sogno  di  Goffredo  ritrae  molto  del  Somnium 
Scipioniì  di  Cicerone.  Nella  Conquisi .  (e. 
xx)  fu  rifatto  in  modo   tutto  diverso,   con 


170 


GERUSALEMME  LIBERATA 


È  cristallina  porta  in  oriente, 
Che  per  costume  iuanti  aprir  si  sole 
Che  si  dischiuda  l'uscio  al  di  nascente: 
Da  questa  escono  i  sogni,  i  quai  Dio  vòle 
Mandar  per  grazia  a  pura  e  casta  mente: 
Da  questa  or  quel,  ch"al  pioBnglion  discen- 
L'ali  dorate  in  verso  lui  distende.      [de, 
4 
Nulla  mai  vision  nel  sonno  offerse 
Altrui  si  vaghe  imagini  o  si  belle, 
Come  ora  questa  a  lui,  la  qual  gli  aperse 
I  secreti  del  cielo  e  de  le  stelle; 
Onde,  si  come  entro  uno8peglio,ei  scerse 
Ciò  che  là  suso  è  veramente  in  elle  : 
Pareagli  esser  traslato  in  un  sereno 
Candido,  e  d'auree  fiamme  adorno  e  pieno. 

5 

E  mentre  ammira  in  quell'eccelso  loco 
L'ampiezza,  i  moti,  i  lumi  e  l'armonia, 
Ecco  cinto  di  rai,  cinto  di  foco, 
Un  cavaliero  in  coutra  a  lui  venia; 
E  'n  suono,  a  lato  a  cui  sarebbe  roco 
Qual  più  dolce  è  qua  giù,  parlar  l'udia  : 
Goffredo,  non  m'accogli?  e  non  ragione 
Al  lido  amico  ?  or  non  conosci  llgojie? 
6 

Ed  ei  gli  rispondea:  Quel  novo  aspetto, 


maggiore  ampiezza  e  con  tinte  più  cri- 
stiane. —  2-4.  Conquisi.  XX  3;  «  È  porta  di 
zaffiro  in  oriente  Che  sol  per  grazia  avanti 
aprir  si  suole  Che  si  disserri  l'uscio  al  rti 
nascente  ».  —  7.  anel:  quel  sogno. 

4,  1.  Nulla,  nessuna.  —  5.  Onde;  per  la 
qual  visione.  —  7.  sereno:  ha  qui  valore  di 
sostantivo:  intende  la  via  lattea,  come  il 
Tasso  medesimo  avverte  {Giudiz.  sovr.  la 
Riform.):  *  E  perché  due  sono  le  porte  da' 
Platonici  ligurate  nel  cielo...  l'una  nel  can- 
cro, per  la  quale  discendono  le  anime  nel 
corpo, l'altra  nel  capricorno,  per  cui  l'anime 
son  credute  ritornare  al  cielo,  entra  Goflfredo 
nella  celeste  Gerusalemme  per  la  porta  del 
capricorno,  e  si  trova  nel  circolo   latteo  >. 

—  S.  anrce  fiamme:  le  stelle. 

6,  3.  cinto  di  rai,  cinto  di  foco:  Guasta- 
viui:  «Pieno  di  chiarezza  luminosa  e  so- 
migliante a  fuoco;  per  il  quale  effetto  fuo- 
chi ancora  sjU  dette  le  stesse  anime.  Dante 
al  XXII 46  del  Par.  —  Questi  altri  fuoclii  tutti 
contemplanti  Uomini  furo».  —  5.  a  lato: 
a  paragone  del  quale.  —  6-6.  Derivato  da 
Dante,  Par.  xxiii  i'7:  «  Qualunque  melodia 
più  dolce  suona  Qua  giù,  e  più  a  sé  l'ani- 
ma tira,  Parrebbe  nube  che  squarciata 
tuona.  Comparata  al  sonar  di  quella  lira  ». 

—  7.  non  m'accogli  1  ;  Os.  or  non  -nx^ accogli  ? 

—  ragione:  ragioni,  verbo.  -  8.  Ugone  :  cfr. 
e.  I  37,  2-5  e  in  nota. 

6,  1.  Quel  noto  aspetto  ecc.;   Vuol   dire. 


Che  par  d'un  sol  mirabilmente  adorno, 
Da  l'antica  notizia  il  mio  intelletto 
Sviato  ha  si,  che  tardi  a  lui  ritorno. 
Gli  stendea  poi  con  dolce  amico  affetto 
Tre  fiate  le  braccia  al  collo  intorno; 
E  tre  fiate  in  van  cinta  l'imago 
Foggia,  qual  leve  sogno,  od  aèr  vago. 
7 

Sorridea  quegli,  e.  Non  già  come  credi, 
Dicea,  son  cinto  di  terrena  veste  : 
Semplice  forma  e  nudo  spirto  vedi 
Qui  cittadin  de  la  città  celeste. 
Questo  è  tempio  di  Dio  :  qui  son  le  sedi 
De'suoi  guerrieri:  e  tu  avrai  loco  in  que- 

(8te. 

Quando  ciò  fia?  rispose;  il  mortai  laccio 

Sciolgasi  ornai,  s'al  restar  qui  m'è  impac- 

8  [ciò. 

Ben,  replicògli  Ugon,  tosto  raccolto 
Ne  la  gloria  sarai  de'  trionfanti  ; 


che  la  lucentezza,  come  di  sole,  dava  tale 
un'aria  di  novità  alle  fattezze  del  cavaliero, 
che  la  mente  di  Goffredo  non  fu  subito  ri- 
condotta alle  fattezze  terrene  di  Ugone  a 
lei  note;  stornò  anzi  lontano  da  queste 
(foràe  perché  pensava  di  avere  un  angiolo 
dinanzi)  tanto  tempo,  che  solamente  tardi 
raffigurò  il  vecchio  amico  {ritornò  a  lui) 
entro  il  nuovo  aspetto.  Dante,  a  Piccarda 
Par.  Ili  SS:  «  Ne'  mirabili  aspetti  Vostri 
risplende  non  so  che  divino,  Che  vi  tra- 
smuta da'  primi  concetti.  Però  non  fui  a 
rimembrar  festino».  —  5-8.  Virg.,  Aen.  ii 
792  e  VI  70 J:  •  Ter  conatus  ibi  collo  dare 
brachia  circum.  Ter  frustra  comprensa  ma- 
nus  effugit  imago,  Par  levibus  ventis,  vo- 
lucrique  simillima  sonino  ».  E  Daute,  Purg. 
II  79:  «  Oh  ombre  vane,  fuor  che  nell'aspet- 
to !  Tre  volte  dietro  a  lei  le  mani  avvinsi, 
E  tante  mi  tornai  con  esse  al  petto  ». 

7,  1.  Xon  già  ecc.  Petrarca,  canz.  Spirto 
gentil  44:  «  L'anime  che  lassù  son  cittadine 
Ed  hanno  i  corpi  abbandonati  in  terra  ». 
—  7-8.  Cicerone,  lo-,  cit.:  «  Qudniam  haec 
est  vita  (ut  Africanum  audio  dicere),  quid 
moror  in  terris  ?  Quin  huc  ad  vos  pro- 
pero  venire?  ».  11  Tasso  dice  restar  per- 
ché Goffredo  crede  di  essere  veramente  tra- 
slato in  cielo. 

8.  Torna  à  proposito  ancora  qui  citare 
ciò  che  il  T.,  del  sogno  di  Goffredo  nella 
ConqvAstat a,  acrive  nel  Giudiz.  sovr.  la  Ri- 
forra.:  *  Qui  Goffredo  vede  molte  cose,  non 
solo  appartenenti  al  futuro  regno,  ma  alla 
futura  beatitudine,  e  fatto  certo  della  sua 
gloriosa  vittoria,  e  della  predestinazione, 
ode  ecc.  (quello  che  seguita  fa  solo  per  la 
Conquisi.)  »  —  1.  Ben...  tosto  raccolto  ecc. 
Il  Buglione  mori  l'anno  r^eguente  1100,  il  7 
di  agosto.  —  2.  Ne  la   gloria   ecc.  Guasta- 


CANTO  XIV 


171 


Pur  militando  converrà  che  molto 
Sangue  e  sutlor  là  giù  tu  versi  inanti. 
Da  te  prima  a  i  Pagani  esser  ritolto 
Deve  r imperio  de'  paesi  santi  ; 
E  stabilirsi  in  lor  cristiana  reggia, 
lu  cui  regnar  il  tuo  fratel  poi  deggia. 
9 

Ma,  perché  più  lo  tuo  desir  s'avvive 
Ne  l'amor  di  qua  su,  più  liso  or  mira 
Questi  lucidi  alberghi  e  queste  vive 
Fiamme,  che  mente  eterna  informa  e  gira; 
E  in  angeliche  tempre  odi  le  dive 
Sirene,  e  '1  suon  di  lor  celeste  lira. 
China,  poi  disse  (e  gli  additò  la  terra), 
Gli  occhi  a  ciò  che  quel  globo  ultimo  serra. 
10 

Quauto  è  vii  la  cagion  ch'a  la  virtude 
Umana  è  colà  giù  i)remio  e  contrasto  ! 
In  che  picciolo  cerchio,  e  fra  che  nude 
Solitudini  è  stretto  il  vostro  fasto  ! 
Lei,  come  isola,  il  mare  intorno  chiude, 
E  lui,  ch'or  oceàn  chiamate,  or  vasto. 


vini:  *  Chiesa  trionfante  è  detta  quella  dri 
beati  in  cielo,  e  chiesa  militante  quella  dei 
divoti  in  terra,  e  prima  del  trionfare  con 
viene  il  guerreggiare  ».  ~  7.  in  lor  :  in  essi, 
cioè  nei  paesi  santi.  — 8.  il  tuo  fratel:  Bal- 
dovino conte  di  Kdessa,  che  successe  a  Gof- 
fredo nel  regno  di  Gerusalemme. 

9,  5-8.  le  dire  Sirene:  intende  delle  muse 
le  quali  hanno  seggio  sopra  le  sfere  cele- 
sti; e  il  poeta  segue  Pitagora,  che  crede 
che  le  sfere  celesti  rotando  producano  inef- 
fabile armonia.  I.a  dottrina  di  Pitagora, 
combattuta  da  Aristotile,  fu  sostenuta  da 
Cicerone  nell'allegato  Sotnn.  Scip.:  «  Quis 
hic,  inquam,  quis  est  qui  complet  aures 
meas  tantus  et  tam  dulcis  sonus?  Hic  est, 
inquit  ille,  qui  intervallis  coniunctus  impa- 
ribus,  sed  tamen  prò  rata  partium  ratione 
distinctis,  impulsu  et  raotu  ipsorum  orbium 
conticitur;  qui  acuta  cum  gravibus  tempe 
rans,  varios  aequabiliter  coucentus  eflicit  ». 
Dante,  Par.  i  76:  «Quando  la  rota  che  tu 
[Dio]  sempiterni  Desiderato,  a  sé  mi  fece 
atteso.  Con  l'armonia  che  temperi  e  discer- 
ni )♦  ;  cfr.  pure  Par.  vi  126,  e  Purg.  xxx  93. 

10,  1-2.  Sembra  che  il  poeta  si  ricordi  di 
Dante  che  chiamò  la  terra  {Par.  xxxii  151): 
«  L'aiuola  che  ci  fa  tanto  feroci  ».  —  3  4. 
Cicerone  {loc.  cit.):  «  Quibus  amputatis  cer- 
nia profecto  quantis  in  angustiis  vestra 
gloria  se  dilatari  velit».  —  5.  Lei  ecc.  Ci- 
cerone (loc.  cit.)  :  I  Omnia  enim  terra,  quae 
colitur  a  vobis,  angusta  verticibus,-'lateri- 
bus  latior,  parva  quaedam  insula  est,  cir- 
curafusa  ilio  mari,  quod  atlanticum,  quod 
maguura,  quod  oceanum  appellatis  in  ter- 
ris,  qui  tamen  tanto  nomine  quam  sit  par- 
vus,  vides  «•. 


Nulla  eguale  a  tal  nomi  ha  in  sé  di  magno, 
Ma  è  bassa  palude  e  breve  stagno. 

11 
Cosi  Tun  disse;  e  l'altro  in  giuso  i  lumi 
Volse,  quasi  sdegnando,  e  ne  sorrise  : 
Che  vide  un  punto  sol, mar,  terree  fiumi, 
Che  qui  paion  distinti  in  tante  guise: 
Ed  ammirò  che  pur  a  l'ombre,  a  i  lumi 
La  nostra  folle  umanità  s'alHse, 
Servo  imperio  cercando  e  muta  fama, 
Né  miri  il  ciel,  ch'a  sé  n'invita  e  chian 


ama. 


Onde  rispose  :  Poi  ch'a  Dio  non  piace 
Dal  mio  career  terreno  anco  disciorme, 
Prego  che  del  cammin,  ch'èmen  fallace 
Fra  gli  errori  del  mondo,  or  tu  m'informe. 
E,  replicògli  Ugon,  la  via  verace 
Questa  che  tieni;  indi  non  torcer  l'orme: 
Sol  che  richiami  dal  lontano  esigilo 
Il  fìgliuol  di  Bertoldo,  io  ti  consiglio. 
13 

Perché,  se  l'alta  Previdenza  elesse 
Te  de  l'impresa  sommo  capitano, 
Destinò  insieme  ch'egli  esser  dovesse 
De'  tuoi  consigli  esecutor  soprano. 
A  te  le  prime  parti,  a  lui  concesse 
Son  le  seconde:  tu  sei  capo,  ei  mano 
Di  questo  campo;  e  sostener  sua  vece 


11,  1-2.  Dante,  Par.  xxn  133:  «  Col  viso 
ritornai  per  tutte  quante  Le  sette  spere,  e 
vidi  questo  globo  Tal,  eh'  io  sorrisi  del  suo 
vii  sembiante*.  —  3.  un  punto  sol;  come 
un  punto  solo.  Dante  dice  invece  d'aver 
veduto  più  distintamente  il  nostro  emisfero, 
loc.  cit.  151  :  «  [.'aiuola  che  ci  fa  tanto  fe- 
roci. Volgendola' io  con  gli  eterni  Gemelli, 
Tutta  m'apparve  dai  colli  alle  loci  ».  —  5. 
ammirò  ecc.  :  Intendi  :  si  meravigliò  che  la 
nostra  folle  umanità  si  affisi,  intenda,  so- 
lamente {par)  alle  vanità  e  a  i  fasti  umani 
(ombre  e  rumi),  cercando  di  ottenere  im- 
perio e  fama  che  danno  libertà  e  nome 
chiaro  solamente  considerando  la  cosa  dal 
punto  di  vista  umano  ;  ma  chi  è  in  cielo 
vede  come  questo  impero  sia  servitù,  e  que- 
sta fama  muta,  in  conspetto  delle  cose 
eterne.  —  8.  Dante,  Purg.  xiv  118:  «Chia- 
mavi il  ciel,  e  intorno  vi  si  gira  Mostran- 
dovi le  sue  bellezze  eterne  »,  e  il  Petrarca, 
canz.  /'  vo  pensando  48:  «  Or  ti  solleva  a 
più  beata  spene  Mirando  il  ciel  che  ti  si 
volse  intorno  Immortale  ed  adorno  >. 

12,  2.  Petrarca,  canz.  Tacer  non  posso 
95:  «  E  da  quel  suo  bel  carcere  terreno  », 
e  il  carcere  terreno  è  il  corpo.  —  6.  indi: 
da  essa. 

13,  Che  tanto  Goffredo  quanto  Rinaldo 
siano,  sotto  diverso  aspetto,  necessari  alla 
impresa,  si  è  già  notato  al  ci  10,  3;  o  al 


172 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Altrui  non  potè,  e  farlo  a  te  non  lece. 
14 

A  lui  sol  di  troncar  non  fia  disdetto 
Il  bosco  e'  ha  gl'incanti  iu  sua  difesa; 
E  da  lui  il  campo  tuo  che,  per  difetto 
Di  gente,  inabil  sembra  a  tanta  impresa, 
K  par  che  sia  di  ritirarsi  astretto, 
Prenderà  maggior  forza  a  nova  impresa; 
E  i  rinforzati  muri,  e  d'Oriente 
Supererà  l'esercito  possente. 

15  [grato 

Tacque;  e  '1  Buglion  rispose:  Oh  quanto 
Fora  a  me  che  tornasse  il  cavaliero  ! 
Voi,  che  vedete  ogni  peusier  celato, 
Sapete  s'amo  lui,  se  dico  il  vero. 
Ma  di',  con  quai  proposte,  od  in  qual  lato 
Si  deve  a  lui  mandarne  il  messaggiero  ? 
Vuoi  ch'io  preghi  o  comandi  ?  e  come  que- 
Atto  sarà  legittimo  ed  onesto?  [sto 

ir, 

Allor  ripigliò  l'altro:  il  Rege  eterno. 
Che  te  di  tante  somme  grazie  onora. 
Vuol  che  da  quegli,  onde  ti  die  il  governo, 
Tu  sia  onorato  e  riverito  ancora. 
Però  non  chieder  tu  (né  senza  scherno 
Forse  del  sommo  imperio  il  chieder  fora); 
Ma,  richiesto,  concedi;  ed  al  perdóno 
Scendi  de  glialtruipreghialprimosuono. 

17 
Guelfo  ti  pregherà  (Dio  si  l'inspira) 
Ch'assolva  il  ter  garzon  di  quell'errore 
In  cui  trascorse  per  soverchio  d'ira. 
Si  che  al  campo  egli  torni  ed  al  suo  onore  : 
E,  ben  ch'or  lunge  il  giovene  delira, 
E  vaneggia  ne  l'ozio  e  ne  l'amore, 
Non  dubitar  però  che  'n  pochi  giorni 
Opportuno  a  grand'uopo  ei  non  ritorni  ; 

18 
Ché'l  vostro  Piero, a  cui  lo  Ciel  comparte 
L'alta  notizia  de'  secreti  sui, 
Saprà  drizzare  i  messaggieri  in  parte 
Ove  certe  novelle  avrau  di  lui; 
E  sarà  lor  dimostro  il  modo  e  l'arte 
Di  liberarlo  e  di  condurlo  a  vui. 
Cosi  al  fin  tutti  i  tuoi  compagni  erranti 
Ridurrà  il  Ciel  sotto  i  tuoi  segui  santi. 

19 
Or  chiuderò  il  mio  dir  con  una  breve 
Concliision,  che  so  ch'u  te  fia  cara: 


e.  X  77,  8.  —  8.  Altrol;  Os.  altri.  —  lece:  è 
lecito. 

16,  3.  (la  qneeli,  onde:  da  coloro  dei  quali. 
—  5.  né  senza  scherno  ecc.:  Intendi:  Né  il 
chiedere  per  parte  tua  sarebbe  forse  senza 
dispregio  e  irrisione  dell'autorità  tua  di 
Bonirao  duce. 

18,  5.  dimostro:  dimostrato.  —  7-S.   Cfr. 

e.   I    1,  7-5. 

19,  1-2.  Petrarca,  Tr.  M'jrt.  ii  160:  «  Più 


Sarà  il  tuo  sanguealsuo  commisto,  e  deve 
Progenie  uscirne  gloriosa  e  chiara. 
Qui  tacque,  e  sparve  come  fumo  leve 
Al  vento,  o  nebbia  al  sole  arida  e  rara; 
E  sgombrò  il  sonno,  e  gli  lasciò  nel  petto 
Di  gioia  e  di  stupor  confuso  affetto. 

20 
Apre  allora  le  luci  il  pio  Buglione, 
E  nato  vede  e  già  cresciuto  il  giorno  ; 
Onde  lascia  i  riposi,  e  sovrapone 
L'arme  a  le  membra  faticose  intorno. 
E  poco  stante  a  lui  nel  padiglione 
Venieno  i  duci  al  solito  soggiorno, 
Ove  a  consiglio  siedono,  e  per  uso 
Ciò  ch'altrove  si  fa,  quivi  è  concluso. 

21 
Quivi  il  buon  Guelfo. che  '1  novel  pensiero 
Infuso  avea  ne  l'inspirata  mente, 
Incominciando  a  ragionar  primiero. 
Disse  a  Goffredo:  0  principe  clemente. 
Perdóno  a  chieder  ne  vegn'io,  ch'in  vero 
È  perdón  di  peccato  anco  recente; 
Onde  potrà  parer  per  avventura 
Frettolosa  dimanda  ed  immatura. 

22 
Ma  pensando  che  chiesto  al  pio  Goffredo 
Per  lo  forte  Rinaldo  è  tal  perdóno, 
E  riguardando  a  me  che  'n  grazia  il  chiedo. 
Che  vile  a  fatto  intercessor  non  sono. 
Agevolmente  d'impetrar  mi  credo 
Questo,  ch'a  tutti  fia  giovevol  dono,    [da 
Deh!  consenti  ch'eirieda,  e  che,  in  ammen- 
Del  fallo,  in  prò  comune  il  sa^ue  spenda.  (• 

23  '  ^  ^ 

E  chi  sarà,  s'egli  non  è,  quel  forte 
Ch'osi  troncar  le  spaventose  piante  ? 


ti  vuo'  dir  per  non  lasciarti  senza  Una  con* 
clusion  che  a  te  fia  grata  ».  —  4.  Virg., 
Aen.  I  19  :  «  Progeniem  sed  enira  troiano  a 
sanguine  duci  Audierat  •.  —  5-6.  Virg.,  Aen. 
V  740:  «  Dixerat,  et  tenues  fugit  ceu  fumus 
in  auras -,  e  Cicerone  {loc.  cit.):  «  lUe  di- 
scessit,  ego  autena  somno  solutus  sum  » 
—  7.  il  sonno:  fa  da  sogg.  a  sgoìnbro, cho. 
vale  parti.  —  8.  affetto:  è  qui  usato  nel 
suo  significato  generale  di  sentimento. 

20,  1-2.  Virg.,  Aen.  viii  67:  «  nox  Aenean 
somnusque  reliquie.  Surgit  et  aetherei  spe- 
ctans  orientia  solis  Lumina  ».  Cfr.  ancóra 
Omero,  II.  ii.  —  4.  faticose  :  atte  alia  fatica; 
cfr.  e.  I  62.  3.  —  5.  stante:  particella  che 
vale  «  dopo  ». 

21,  2.  Infuso  :  M  novel  pensiero  era  in  lui 
stato  infuso  dal  cielo. 

22,  1-4.  Guastavini:  «  Agevola  la  doman- 
da dalle  circostanze  di  tutte  tre  le  persone 
che  v'  intravvengono  [Goffredo,  Rinaldo, 
Guelfo]  . . 

2J,  1-6.  Cfr.  la  parlata  di  Ugoue  alla  st.  14. 


CANTO  XIV 


173 


Chi  giva  in  centra  a  i  rischi  de  la  morte 
('on  pili  intrepido  petto  e  più  costante? 
Scoter  le  mura,  ed  atterrar  le  porte 
\'edràiIo,  e  salir  solo  a  tutti  inante. 
Kendi  al  tuo  campo  ornai,  rendi  per  Dio 
Lui  eh'  è  sua  alta  speme  e  suo  desio, 
24 

Rendi  il  nipote  a  me:  si  valoroso 
1]  pronto  esecutor  rendi  a  te  stesso: 
Né  soffrir  ch'egli  torpa  in  vii  riposo, 
I\la  rendi  insieme  la  sua  gloria  ad  esso. 
Segua  il  vessillo  tuo  vittorioso  ; 
Sia  testimonio  a  sua  virtù  concesso; 
Faccia  opre  di  sé  degne  in  chiara  luce 
K  rimirando  te  maestro  e  duce. 
25 

Cosi  pregava;  e  ciascun  altro  i  preghi 
Con  favorevol  fremito  seguia. 
Onde  Goffredo  allor,  quasi  egli  pieghi 
La  mente  a  cosa  non  pensata  in  pria, 
Come  esser  può,  dicea,  che  graziai'  neghi 
Che  da  voi  si  dimanda  e  si  desia  ? 
Ceda  il  rigore;  e  sia  ragione  e  legge 
Ciò  che  '1  consenso  universale  elegge. 
26 

Torni  Rinaldo;  e  da  qui  inanzi  aflfrene 
Più  moderato  l'impeto  de  l' ire, 
E  risponda  con  l'opre  a  l'alta  spene 
Di  lui  concetta,  ed  al  comun  desire. 
Ma  il  richiamarlo, 0 Guelfo, ate  conviene: 
Frettoloso  egli  fìa,  credo,  al  venire. 
Tu  scegli  il  messo,  e  tu  l' indrizza  dove 
Pensi  che  '1  fero  giovene  si  trove. 

27  [no  : 

Tacque;  e  disse  sorgendo  il  guerrierDa- 
Esser  io  chieggio  il  messaggier  che  vada; 
Né  ricuso  cammin  dubbio  o  lontano. 
Per  far  il  don  de  l'onorata  spada. 
Questi  è  di  cor  fortissimo  e  di  mano;  [da: 
Onde  al  buon  Guelfo  assai  l'offerta  aggra- 
Vuol  che  sia  Tun  de'  méssi,e  chesial'altro 
Ubaldo,  uom  cauto  ed  avveduto  e  scaltro. 
28 

Veduto  Ubaldo  in  giovenezza,  e  cérchi 
Vari  costumi  avea,  vari  paesi, 
Peregrinando  da  i  più  freddi  cerchi 
Del  nostro  mondo  agli  Etìopi  accesi, 
E,  come  uom  che  virtude  e  senno  merchi, 


24,  8.  E  rimirando  :  Os.  Sol  rimirando. 

25,  2.  Con  favorevol  fremito  segni'a:  Virg., 
Aen.  XI  296  «  varius  per  ora  cucurrit  Au- 
soniduna  turbata  fremer». 

27,  1.  gnerrier  Dano:  Carlo,  commilitone 
di  Sveno:  cfr.  e.  vni,  —  4.  Derivato  dal 
Petrarca  son.  «  Cesare  poi  ohe  7  traditor 
d'Egitto  Gli  fece  il  don  dell'onorata  testa  ». 

28,  1.  Veduto  :  CONQ.  e  Os.  veduti.  —  5. 
merchi:  guadagni.  Petrarca,  son.  Beato  in 


Le  favelle,  l'usanze  e  i  riti  appresi; 
Poscia  in  matura  età  da  Guelfo  accolto 
Fu  tra'  compagni,  e  caro  a  lui  fu  molto, 

29 
A  tai  messaggi  l'onorata  cura 
Di  richiamar  l'alto  campion  si  diede; 
E  gli  indrizzava  Guelfo  a  quelle  mura, 
Tra  cui  Boemondo  ha  la  sua  regia  sede; 
Che  per  publica  fama,  e  per  secura 
Opinion,  ch'egli  vi  sia  si  crede. 
Ma'l  buon  romito,  che  lor  mal  diretti 
Conosce,  entra  fra  loro,  e  turba  i  detti; 

30 
E  dice:  0  cavalier,  seguendo  il  grido 
De  la  fallace  opinion  vnlgare. 
Duce  seguite  temerario  e  infido, 
Che  vi  fa  gire  indarno  e  traviare. 
Or  d'Ascalona  nel  propinquo  lido 
Itene,  dove  un  fiume  entra  nel  mare  : 
Quivi  fia  che  v'appaia  uom  nostro  amico: 
Credete  a  lui;  ciò  che  diravvi  io  '1  dico. 

31 
Ei  molto  per  sé  vede,  e  molto  intese 
Del  preveduto  vostro  alto  viaggio 


sogno  13:  «<  Pur  lagrime  e  sospiri   e  dolor 
merco  ». 

29,  3.  a  quelle  mura  ecc.  :  ad  Antiochia. 
—  8.  turba:  sconvolge  quanto  si  veniva  di- 
cendo. —  Os.  tronca. 

30,  3.  Duce:  è  il  grido  vulgare,  detto  te- 
merario  perché  non  considera  le  cose  nella 
loi^o  realtà  e  con  agio;  ma  le  giudica  dalla 
apparenza  e  in  un  sùbito.  —  5.  propinquo: 
vicino:  latinismo  oggi  raro  pur  nella  lin- 
gua poetica.  —  *  8.  ciò  clxe  diravvi:  leg- 
gono le  tre  B;  Os.  ciò  ch'ei  diravvi. 

SI,  1.  Ei  molto  per  sé  vede  :  essendo  savio 
naturale;  e  'inatto  intese  va  unito  con  da 
me  del  v,  3,  Quantunque  in  tono  troppo 
sarcastico  e  irriverente  pure  la  nota  del 
^Galilei  a  questa  stanza  mi  par  contenga 
alcun  che  di  giusto,  riguardo  all'unità  ri- 
gorosa del  poema,  là  dove  osserva  che  il 
mago  naturale,  che  sapeva  della  venuta  dei 
due  guerrieri,  _si_j)o^v.axispjirmi are  di 
*  menargli  sott'acqua  e  sotto  terra  a  vedere 
i  nascimenti  dei  fiumi  e  la  generazion  de' 
metalli,  e  simili  altre  cose  che  non  hanno 
che  fare  niente  con  la  separazione  di  Ri- 
naldo »;  e  che  tutto  ciò  non  è  «  che  una 
lunghera  per  servire  all'allegoria,  avendo 
voluto  (il  poeta)  figurare  l'una  e  l'altra  filoso- 
fia ».  Ma  bisognava  pure  adornarlo  il  poema 
e  variarlo  si  che  piacesse  !  L'allegoria  v' è 
certo,  poiché  il  Tasso  medesimo  nella  Lett. 
51  (e  cfr.  ancóra  la  Lett.  80,  più  sotto  in 
nota  alla  st,  36)  confessa  che  l'Eremita  sta 
al  mago  naturale  (il  vecchio  onesto  della 
st.  33)  come   lìeatrice    a   Virgilio:    «Finge 


174 


GERUSALEMME  LIBERATA 


(Già  gran  tempo  ha)  dame:  so  che  cortese 
Altrettanto  vi  fia,  qnanfegli  è  saorgio. 
Cosi  lor  disse:  e  più  da  lui  non  chiese 
Carlo,  0  l'altro  che  seco  iva  messaggio; 
Ma  furo  ubbidienti  a  le  parole, 
Che  spirito  divin  dettar  gli  suole. 
32 

Preser  commiato  ;  e  si  il  desio  gli  sprona, 
Che.senzaindiigio  alcun  posti  in  cammino, 
Dirizzaro  il  lor  córso  ad  Ascalona, 
Dove  a  i  lidi  si  frange  il  mar  vicino: 
E  non  udian  ancor  come  risuona 
11  roco  ed  alto  fremito  marino, 
Quando  giunsero  a  un  fiume,  il  qual  di  nova 
Acqua  accresciuto  è  per  novella  piova; 
33 

Si  che  non  può  capir  dentro  al  suo  letto, 
E  se  'n  va  più  che  strai  correnteepresto. 
Mentre  essi  stan  sospesi,  a  lor  d'aspetto 
Venerabile  appare  un  vecchio  onesto, 
Coronato  di  faggio,  in  lungo  e  schietto 
Vestir,  che  di  lin  candido  è  contesto. 
Scote  questi  una  verga,  e  '1  fiume  calca 
Co' piedi  asciutti,  e  contra  il  córso  il  valca. 
34 

Si  come  soglion  là  vicino  al  polo, 
S'avvien  che  '1  verno  i  fiumi  agghiacci  e  in- 
correr su 'IRen  le  villanelle  a  stuolo  [dure, 
Con  lunghi  strisci,  e  sdrucciolar  secure; 
Cosi  ei  ne  vien  sovra  l'instabil  suolo 
Di  queste  acque  non  gelide  e  non  dare  : 
E  tosto  colà  giunse,  onde  in  lui  fisse 
Teuean  le  luci  i  duo  guerrieri,  e  disse  : 
35 

Amici,  dura  e  faticosa  inchiesta 
Seguite;  e  d'uopo  è  ben  ch'altri  vi  guidi; 


I  Che  '1  cercato  guerrier  lungi  è  da  questa 
Terra  in  paesi  incogniti  ed  infidi. 
Quanto,  oh  quanto  de  l'opra  anco  vi  resta! 
Quanti  mar  correrete,  e  quanti  lidi  ! 
E  convien  che  si  stenda  il  cercar  vostro 
Oltre  i  confini  ancor  del  mondo  nostro. 
36 

Ma  non  vi  spiaccia  entrar  ne  le  nascose 
Splelonche,  ove  ho  la  mia  secreta  sede; 
Ch'  ivi  udrete  da  me  non  lievi  cose, 
E  ciò  ch'a  voi  saper  più  si  richiede. 
Disse;  e  che  lor  dia  loco  a  l'acqua  impose, 
FA  ella  tosto  si  ritira  e  cede: 
E  quinci  e  quindi  di  montagna  in  guisa 
Curvata  pende,  e  'n  mezzo  appar  divisa. 
37 

Ei,  presili  per  man,  ne  le  più  interne 
Profondità  sotto  del  rio  lor  mena. 
Debile  e  incerta  luce  ivi  si  scerne,    [na: 
Qual.  tra"  boschi,  di  Cinzia  ancor  non  pie- 
Ma  pur  gravide  d'acque  ampie  caverne 
Veggiono,  onde  tra  noi  sorge  ogni  vena, 
La  qual  rampini  in  fonte,  o  iu  fiume  vago 


Dante  che  Beatrice,  cioè  la  teologia,  guidi 
lui  per  mezzo  di  Virgilio,  che  vogliono  al- 
cuni che  s'intenda  per  la  scienza  naturale  ». 

—  3.  Già  gran  tempo  ha  :  già  è  gran  tempo. 
3:ì,  3.  a  lor  d'aspetto  ecc.:  Cfr.  in  Virg., 

Aen.  vili  31  l'apparizione  ad  Enea  di  Tibe- 
rino (nome  sacro  del  Tevere).  —  4.  an  rec- 
ehio:  il  mago  naturale,  contrapposto  ad 
Ismeno  che  è  mago  diabolico.  —  onesto: 
degno  di  essere  onorato,  riverito.  Cosi  Dante 
chiama  veglio  o?iesto  Catone.  Purg.  i  32,  di 
cui  prima  ha  detto  «  Degno  di  tanta  reverenza 
in  vista  Che  più  non  dee  a  padre  alcun 
figliuolo».  —  5.  faggio:  Guastavini  :  «Di- 
nota solitudine  queir  albero,  ed  è  perciò 
convenevole  a'  contemplativi,  qual  era  quel 
mago».—  schietto:  semplice,  senza  pieghe 
e  senza  ornamenti.  —  6.  contesto:  tessuto. 

—  8.  Talea:  valica. 

34,  1.  Ticino:  vicino  al  polo  relativa- 
mente, rispetto  a  noi  ;  che  il  Reno  non  è 
in  modo  assoluto  vicino  al  polo,  —5.  Cosi; 
CONQ.  e  03.  Tal. 


85,  -1.  Incogniti  :  Os.  inospiti.  —  8.  del 
mondo  nostro:  Guastavini:  «del  nostro  mon- 
do, cioè  di  quello  eh'  è  racchiuso  fra  le  co- 
lonne d'Ercole  ;  perciocché  Rinaldo  era  di 
là  nell'isole  Fortunate  *. 

30.  Questo  canto,  nella  prima  forma  che 
ebbe  dal  poeta,  era  pieno  di  miracoli,  ma 
ciò  non  garbava  agli  scrupo^o^Hn  matèria 
di  religione;  onde  il  Tasso  lo  modificò  in 
alcuna  parte:  «ma  fra  questi  miracoli, 
scrive  egli  (Leti.  SO),  non  numero  l'abita- 
zione sua  (del  majo)  sotterranea,  pere'  ol- 
irà che  chiara  è  V  allegoria,  e'  altro  non  è 
abitar  sotto  terra  che  il  contemplar  le  cose 
che  ivi  si  generano;  qual  miracolo  é  que- 
sto cosi  grande?  •  —  5.  Disse  ecc.:  Vir^ 
Georg,  iv  359:  «  Simul  alta  iubet  discedere 
late  Flumina,  qua  iuvenis  gressus  inferret: 
at  ilium  Curvata  in  montis  faciem  circum- 
steiit  unda.  Accepitque  sinu  vasto,  misitque 
sub  amnen  ». 

37,  3-4.  Virg.,  Aen.  vi  270:  «  Quale  per 
incertam  lunam  sub  luce  maligna  Est  iter 
i  in  silvis  ».  E  Dante,  Inf.  xv  18:  <  Ci  riguar^ 
dava  come  suol  da  sera  Guardar  l'un  l'altro 
sotto  nuova  luna  ».  —  Cinzia:  uno  dei  nomi 
che  ebbe  la  luna.  —  Il  Tasso  qui  segue^ir^ 
gilio,  Georg,  iv  363,  che  alla  sua  volta  si 
accostò  alla  opinione  di  antichi  filosofi,  i 
quali  avvisarono  che  tutti  i  fiumi  derivas- 
sero dal  baratro^  ampio  ricettacolo  d'ac- 
que posto  nelle  viscere  della  terra.  —  7. 
rampini;  volentieri  avrei  corretto  in  ^am- 
piUi  come  ha  la  st.  Os.;  o  in  rampolli 
come  leggono  altre:  ma  ho  dovuto  persua- 
dermi  che  non  sinrao  dinanzi   ad    un    err. 


CANTO  XIV 


175 


Discorra,  o  stagni,  o  si  dilati  in  lago. 
38 
f  I  E  veder  ponno  onde  il  Po  nasca, ed  onde 
'idaspe,  Gange,  Eufrate,  latro  derivi; 
Ond'  òsca  pria  la  Tana;  e  non  asconde 
Gli  occulti  suoi  principi!  il  Nilo  quivi. 
Trovano  un  rio  più  sotto,  il  qual  diffonde 
Vivaci  zolfi,  e  vaghi  argenti  e  vivi  : 
Questi  il  sol  poi  raffina,  e  il  licer  molle 
Stringe  in  candide  masse  e  in  auree  zolle. 

39 
E  miran  d'ogni  intorno  il  ricco  fiume 
Di  care  pietre  il  margine  dipinto; 
Onde,  come  a  più  fiaccole  s'allume, 
Splende  quel  loco,  e '1  fosco  orror  n'è  vinto. 
Quivi  scintilla  con  ceruleo  lume 
11  celeste  zaffiro  ed  il  giacinto  ; 
Vi  fiammeggia  il  carbonchio,  e  luce  il  saldo 
Diamante,  e  lieto  ride  il  bel  smeraldo. 


di  st.  ma  ad  una  forma  creduta  buona  dal 
Tasso.  Perché  oltre  che  nelle  2  stampe  del 
Bonnà  del  15S1,  è  ancóra  neiraltra  uscita 
per  cura  del  medesimo  a  Ferrara  nel  1585 
(la  quale  fu  al  dire  dello  stampatore,  non 
senza  nuova  rivisione  e  correzione  dello 
stesso  poeta);  ma  specialmente  perché  nel- 
V Apologia  (cfr.  Tediz.  curata  dal  Guasti, 
pagg.  382-86)  è  dal  Tasso  lasciata  in  quel 
gruppo  di  voci  che  egli  vuol  far  credere 
che  potrebbe  difendere  (se  non  fosse  ora- 
mai seccato),  come  ha  difese  le  altre  che 
gli  furono  apposte  come  errori.  —  in  fiu- 
me THgo  Discorra:  o  scorra  in  fiume  er- 
rante. 

38,  1.  Virg.,  Georg,  ly  G63:  «lamque  do- 
mummiransgenitricisethumida  regna  Spe- 
luncisque  lacus  clausos,  lucosque  sonantes, 
Ibat,  et  ingenti  motu  stupefactus  aquarum 
Omnia  sub  magna  labeatia  flumina  terra 
Spectabat  diversa  locis  Phasiraque,  Lj'cum- 
que  Et  caput  unde  altus  primum  se  erum- 
pit  Enipeus  ecc.  ».  —  2.  Idaspe,  il  Gelara 
affluente  dell'Indo.  —  Istro,  oggi  Danubio. 
—  3.  Tana,  oggi  Don.  —  5.  Trovano  nn  rio 
ecc.  GuaStavini:  «  Ciò  è  detto  secondo  l'opi- 
nione degli  Alchimisti  i  quali  tengono  che 
fa  materia  dell'oro  e  dell'argento  e  di  eia- 
schedun  altro  metallo  sia  il  zolfo  vivo,  e 
l'argento  vivo  ;  generandosi  poi  da  essi  o 
questo  0  quell'altro  metallo,  secondo  la 
qualità  e  quantità  di  que'  due  componenti, 
che  nella  mischianza  s'abbatte  ad  essere 
insieme  ecc.».  —  6.  Vivaci  zolfi:  Guastavi- 
ni:  «  zolfo  vivo,  cioè  minerale,  a  differenza 
dell'artificiato»  —  vaghi  argenti  e  vivi: 
l'argento  vivo:  il  mercurio. 

39,  1,  il  ricco:  Os.  al  ricco.  —  2,  care: 
preziose.  —  3.  8'  allume  :  si  allumi,  illumini. 


40 

Stupidi  i  guerrier  vanno,  e  ne  le  nove 
Cose  si  tutto  il  lor  pensier  s'impiega, 
Che  non  fanno  alcun  motto.Al  fin  pur  move 
La  voce  Ubaldo,  e  la  sua  scorta  prega: 
Deh,  padre,  dinne  ove  noi  siamo,  ed  ove 
Ci  guidi,  e  tua  condizion  ne  spiega; 
Ch'io  non  so  se  '1  ver  miri,  o  sogno,  od  om- 
Cosi  alto  stupore  il  cor  m'ingombra,    [bra; 
41 

Risponde:  Séte  voi  nel  grembo  iraraeneo 
De  la  terra,  che  tutto  in  sé  produce; 
Né  già  potreste  penetrar  nel  denso 
De  le  viscere  sue  senza  me  duce. 
Vi  scorgo  al  mio  palagio,  il  quale  accenso 
Tosto  vedrete  di  mirabil  luce. 
Nacqui  io  Pagan,  ma  poi  ne  le  sant'acque 
Rigenerarmi  a  Dio  per  grazia  piacque. 
42 

Né  in  virtù  fatte  sou  d'angioli  stigi 
L'opere  mie  meravigliose  e  conte 
(Tolga  Dio  ch'usi  note  o  suffumigi 
Per  isforzar  Oocito  e  Flegetonte); 
Ma  spiando  me  'n  vo  da'  lor  vestigi 
Qual  in  sé  virtù  celi  o  l'erba  o  '1  fonte  : 
E  gli  altri  arcani  di  natura  ignoti 
Contemplo,  e  de  le  stelle  i  vari  moti. 
43 

Perocché  non  ognor  lungo  dal  cielo 
Tra  sotterranei  chiostri  è  là  mia  stanza, 
Ma  su  '1  Libano  spesso  e  su  '1  Carmelo 
In  aerea  magion  fo  dirnoranza: 
Ivi  spiegansi  a  me  senz'alcun  velo 
Venere  e  Marte  in  ogni  lor  sembianza; 
E  veggio  come  ogn'altra  o  presto  o  tardi 
Roti,  0  benigna  o  rainaccievol  guardi. 
44 

E  sotto  i  pie  mi  veggio  or  folte  or  rade 
Le  nubi,  or  negre,  ed  or  pinte  da  Iri  ; 
E  generar  le  pioggie  e  le  rugiade 
Risguardo,  e  come  il  vento  obliquo  spiri; 
Comeilfolgors'infiammi,eperquai  strade 


40,  1.  Stupidi:  stupiti,  percossi  dalla  me- 
raviglia. 

41,  4.  senza  me  duce:  Guastavini  :  «^  senza 
la  speculazione,  o  la  cognizione  della  filo- 
sofia, non  si  possono  intendere  i  secreti 
della  natura».  —  5-6.  Guastavini:  «La  co- 
guizion  delle  cose  naturali  illustra  mirabil- 
mente l'intelletto  dell'uomo». 

42,  Qui  indica  le  differenze  che  corrono 
fra  i  maghi  naturali  e  gli  stregoni:  cfr.  ciò 
che  oppostamente  al  savio  naturale  fa  Isme- 
ne, e.  II  1-2,  e  e.  XIII  5-8. 

43,  3.  Libano  :  cfr.  e.  i,  14,  7,  in  nota.  — 
Carmelo  :  il  più  alto  monte  di  Terra  Santa. 
—  4.  aerea:  perché  alta,  che  signoreggia 
molta  aria. 


176 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Tortuose  iu  giù  spinto  ei  si  raggiri; 
Scorgo  comete  e  fochi  altri  si  presso, 
Che  soleva  invaghir  già  di  me  stesso. 
45 

Di  me  medesmo  fui  pago  cotanto, 
Ch'io  stimai  già  che  '1  mio  saper  misura 
Certa  fòsse  e  infallibile  di  quanto 
Può  far  l'alto  Fattor  de  la  natura  : 
Ma  quando  il  vostro  Piero  al  fiume  santo 
M'asperse  il  crine,  e  lavò  l'alma  impura. 
Drizzò  pili  su  il  mio  guardo,e'l  fece  accorto 
Ch'ei  per  sé  stesso  è  tenebroso  e  corto. 
46 

Conobbi  allor  ch'augel  notturno  al  sole 
È  nostra  mente  a  i  rai  del  primo  Vero; 
E  di  me  stesso  ri.si  e  de  le  fole 
Che  già  cotanto  insuperbir  mi  fero  : 
Ma  pur  séguito  ancor,  come  egli  vuole, 
Le  solite  arti  e  l'uso  mio  primiero. 
Ben  sono  iu  parte  altr'nom  da  quel  ch'io  fui; 
Ch'or  da  lui  pendo,  e  mi  rivolgo  a  lui  ; 

47  [gna, 

E  in  lui  m'acqueto.  Egli  comanda  e  inse 
Mastro  insieme  e  signor  sommo  e  sovrano; 
Né  già  per  nostro  mezzo  oprar  disdegna 
Cose  degne  talor  de  la  sua  mano. 
Or  sarà  cura  mia  ch'ai  campo  vegna 
L'invitto  eroe  dal  suo  career  lontano  ; 
Ch'eilam'irapose:egiàgran  tempo  aspet- 
II  venir  vostro,  a  me  per  lui  predetto,  [to 
48 

Cosi  con  lor  parlando,  al  loco  viene 
Ov'egli  hall  suo  soggiorno  e  '1  suo  riposo. 
Questo  è  in  forma  di  speco,  e  in  sé  contiene 
Camere  e  sale,  grande  e  spazioso. 
E  ciò  che  nutre  entro  le  ricche  vene 
Di  più  chiaro  la  terra  e  prezioso, 
Splende  ivi  tutto;  ed  ein'èinguisa  ornato, 
Ch'ogni  suo  fregio  è  non  fatto,  ma  nato. 
49 

Non  mancar  qui  cento  ministri  e  cento. 


44,  8.  Inraghir  già  di  me  stesso  :  intendi 
che  il  mago  soleva  già  esaltarsi  di  sua 
scienza:  cfr.  la  st.  seg.,  v.  1-4. 

46,  2.  misura:  Gentile:  «  Sente  ed  esplica 
queldetto  di  Protagora,  che  ruomo  è  la 
misura  di  tutte  le  cose  ► 

46,  1.  augel  ecc.:  derivato  dal  l'etrarca, 
benché  in  altro  senso,  son.  Come  V  can- 
dido pie  14:  *  Che  son  fatto  un  augel  not- 
turno al  sole».  —  5.  egli:  il  primo  Vero, 
Dio.  —  7.  Il  Petrarca  son.  Voi  ch'ascoltate 
4:  «  Quand'era  in  parte  altr'uom  da  quel 
ch'io  sono  ». 

49,  1.  cento  ministri  e  cento  :  moltissimi: 
numero  finito  per  T  infinito,  iialilei.  •«  Que- 
Bi'aver  cento  ministri  e  cento  non  ha  molto 
del  filosofo  0  del  teologo,  e  per   essere  un 


Che  accorti  e  pronti  a  servir  gli  osti  fóro; 
Né  poi  in  mensa  magnifica  d'argento 
Mancar  gran  vasi  e  di  cristallo  e  d'oro. 
Ma  quando  sazio  il  naturai  talento 
Fu  de'  cibi,  e  la  séte  estinta  in  loro: 
Tempo  è  ben,  disse  a  i  cavalieri  il  mago, 
Che'lmaggiordesir  vostro  ornai  sia  pago. 

50 
Quivi  ricominciò:  L'opre  e  le  frodi 
Note  in  parte  a  voi  son  de  l'empia  Armida  ; 
Com'ella  al  campo  venne,  e  con  quai  modi 
Molti  guerrier  ne  trasse,  e  lor  fu  guida. 
Sapete  ancor  che  di  tenaci  nodi 
Gli  avvinse  poscia,  albergatrice  infida: 
E  ch'indi  a  Gaza  gli  invio  con  molti 
Custodi,  e  che  tra  via  furon  disciolti. 

51 
Or  vi  narrerò  quel  ch'appresso  occorse: 
Vera  istoria,  da  voi  non  anco  intesa. 
Poiché  la  maga  rea  vide  ritòrse 
La  })reda  sua,  già  con  tant'arte  presa. 
Ambe  le  mani  per  dolor  si  morse, 
E  fra  sé  disse  di  disdegno  accesa: 
Ah!  vero  unqua  non  fia  che  d'aver  tanti 
Miei  prigion  liberati  egli  si  vanti, 

52 
Se  gli  altri  sciolse,  ei  serva,  ed  ei  sostegna 
Le  pene  altrui  serbate  e  '1  lungo  aftauno: 
Né  questo  anco  mi  basta;  i'  vo'  che  vegna 
Su  gli  altri  tutti  universale  il  danno. 
Cosi  fra  sé  dicendo,  ordir  disegna 
Questo,  ch'or  udirete,  iniquo  inganno. 
Viensene  al  loco  ove  Rinaldo  vinse 
In  pugna  i  suoi  guerrieri,  e  parte  estinse. 

5.3 
Quivi  egli  avendo  l'arme  sue  deposto, 
In  dosso  quelle  d'un  Pagan  si  pose  ; 
Forse  perché  bramava  irsene  ascosto 
Sotto  insegne  raen  note  e  raen  famose. 
Prese  l'armi  la  maga,  e  in  esse  tosto 
Un  tronco  busto  avvolse,  e  poi  l'espose: 
L'espose  in  ripa  a  un  fiume  ove  doveva 
Stuol  de' Franchi  arrivar,  e  '1  prevedeva. 

54 
E  questo  antiveder  potea  ben  ella, 
Che  mandar  mille  spie  solca  d'intorno. 
Onde  spesso  del  campo  avea  novella, 
E  s'altri  indi  partiva,  o  fea  ritorno  ; 
Oltre  che  con  gli  spirti  anco  favella 


discepolo  di  un  santo  eremita  stava  con 
troppa  pompa».  —  2.  osti:  ospiti.  —5.  sa- 
zio ecc.:  cfr.   e.  xi  17,  1,  e  in  nota. 

60,  5-8.  Cfr.  e.  X  60  e  seg-g. 

61,  5.  Verso  di  Dante,  Inf.  xxxiii5S,  che 
fu  già  adoperato,  modificandolo,  dal  Tasso 
nel  e.  IV  1,  7. 

64,  5.  Oltre  che  ecc.:  qui  Armida  comin- 
cia a  dimostrarsi  meglio  nella  sua  qualità 
di  maga  che  si  serve  dell'aiuto  dell' inferno. 


I 


CANTO  XIV 


177 


Sovente,  e  fa  con  lor  lungo  soggiorno. 
Collocò  dunque  il  corpo  morto  in  parte 
Molto  oppnrtuua  a  sua  ingannevol  arte. 
55 

Non  lunge  un  sagacissimo  valletto 
Pose,  di  panni  pastorai  vestito, 
E  impose  lui  ciò  ch'esser  fatto  o  detto 
Fintamente  doveva;  e  fu  eseguito. 
Questi  parlò  co'  vostri,  e  di  sospetto 
Sparse  quel  seme  in  lor,  ch'indi  nutrito 
Fruttò  risse  e  discordie,  e  quasi  al  fine 
Sediziose  guerre  e  cittadine. 
5G 

Che  fu,  com'ella  disegnò,  creduto 
Per  opra  del  Buglion  Rinaldo  ucciso, 
Benché  al  fine  il  sospetto  a  torto  avuto 
Del  ver  si  dileguasse  al  primo  avviso. 
Cotal  d'Armida  l'artificio  astuto 
Primieramente  fu,  qual  io  diviso. 
Or  udirete  ancor  come  seguisse 
Poscia  Riualdo,  e  quel  ch'indi  avvenisse. 
57 

Qual  cauta  cacciatrice,  Armida  aspetta 
Riualdo  al  varco,  Ei  su  l'Oronte  giunge, 
Ove  un  rio  si  dirama,  e,  un' isoletta 
Formando,  tosto  a  lui  ai  ricongiunge  ; 
E  'n  su  la  riva  una  colonna  eretta 
Vede,  e  un  picciol  battello  indi nonlunge. 
Fisa  egli  tosto  gli  occhi  al  bel  lavoro 
Del  bianco  marmo,  e  legge  in  lettre  d'oro: 
58 

0  chiunque  tu  sia,  che  voglia  o  caso 
Peregrinando  adduce  a  queste  sponde. 
Maraviglie  maggior  l'orto  o  l'occaso 
Non  ha  di  ciò  che  l' isoletta  asconde. 
Passa,  se  vuoi  vederla.  E  persuaso 
Tosto  l'incauto  a  girne  oltra  quell'onde  ; 
E,  perché  mal  capace  era  la  barca, 
Gli  scudieri  abbandona,  ed  ei  sol  varca. 
59 

Come  è  là  giunto,  cupido  e  vagante 
Volge  intorno  lo  sguardo,  e  nulla  vede. 


55,  7.  Fruttò:  produsse:  come  in  Dante, 
Inf.  XXXIII  8:  «Che  frutti  infamia  al  tra- 
ditor  eh'  i'  rodo  ".  Allude  il  T.  alla  sedizione 
di  Arginano  nel  e.  viii. 

56,  4.  Costruisci:  si  dileguasse  al  primo 
avviso  del  vero.  ~  *  Del  ver.  Cosi  l'Os.  2>a/ 
ver  le  tre  B. 

67,  2.  Oronte:  considerevole  fiume  della 
Siria,  detto  ancóra  Hasi,  cosi  descritto  da 
Gugl.  Tir.  IV  8:  *  Orontes,  secus  Heliopolim, 
quae  alio  nomine  appellatur  Alalbet,  pri- 
mum  habens.exordium,  per  Caesareara  et 
Antiochiam  in  mare  descendit  mediterra- 
aeum  ».  Rinaldo  era  appunto  diretto  verso 
Antiochia.  —  3.  na  rio  si  dirama:  Dante, 
Par.  X  13:  «  Vedi  come  da  indi  si  dirama 
L'obliquo  cerchio  ». 

69,  1-2.  Dante,  Purg.  xxxii  154:  «  Ma  por* 


Fuor  ch'antri  ed  acque  e  fiori  ederbeepian 
Onde  quasi  schernito  esser  si  crede:  [te; 
Ma  pur  quel  loco  è  cosi  lieto,  e  in  tante 
Guise  l'alletta,  ch'ei  si  ferma  e  siede, 
E  disarma  la  fronte,  e  la  ristaura 
Al  soave  spirar  di  placid'anra. 

60 
Il  fiume  gorgogliar  fra  tanto  udio 
Con  uovo  suono;  e  là  con  gli  occhi  corse  : 
E  mover  vide  un'onda  in  mezzo  al  rio 
Che  in  sé  stessa  si  volse  e  si  ritorse; 
E  quinci  alquanto  d'un  crin  biondo  uscio, 
E  quinci  di  donzella  un  vólto  sorse, 
E  quinci  il  petto  e  le  mammelle,  e  de  la 
Sua  forma  in  fin  dove  vergogna  cela. 

61 
Cosi  dal  palco  di  notturna  scena 
0  ninfa  o  dea,  tarda  sorgendo,  appare. 
Questa,  benché  non  sia  vera  Sirena 
Ma  sia  magica  larva,  una  ben  pare 
Dì  quelle  che  già  presso  a  la  tirrena 
Piaggia  abitar  l'insidioso  mare; 
Né  men  ch'in  viso  bella,  in  suonoèdolce 
E  cosi  canta,  e  '1  cielo  e  l'aure  molce: 

62 
0  giovenetti,  mentre  aprile  e  maggio 
V'amraantan  di  fiorite  e  verdi  spoglie, 


che  l'occhio  cupido  e  vagante  A  me  rivol- 
se >.  —  3.  Verso  che  sente  nella  fattura  un 
po'  di  quello  del  Petrarca,  son.  Amor  che 
meco  5:  «  Fior,  frondi,  erbe,  ombre,  antri, 
onde,  aure  soavi  ».  —  5-8.  Ariosto,  Ori.  vi 
24  :  «  E  quivi  appresso  ove  sorgea  una  fonte 
Cinta  di  cedri  e  di  feconde  palme,  Pose  lo 
scudo,  e  l'elmo  dalla  fronte  Si  trasse,  e  di- 
sarmossi  ambe  le  palme;  Ed  ora  alla  ma- 
rina ed  ora  al  monte  Volgea  la  faccia  al- 
l'aure fresche  ed  alme  Che  l'alte  cime  con 
mormorii  lieti  Fan  tremolar  de'  faggi  e  de- 
gli abeti  >. 

61,  1-2.  Ovidio,  Mei.  in  111:  «Sic,  ubi 
tolluntur  festis  aulaea  theatris  Surgere  si- 
gna  solent,  primumque  estendere  vultus, 
Caetera  paulatim  ;  placidoque  educta  tenore 
Tota  patent,  imoque  pedes  in  margine  pò- 
nunt».  —  4-5.  una  ben  pare  Di  quelle:  una 
delle  sirene:  si  è  già  annotato  al  e.  iv  86, 
7  come  le  rappresentasse  la  favola;  per 
capir  meglio  ora  qui  il  T.  si  aggiunga  che 
esse  (credute  figlie  del  fiume  Acheloo,  della 
ninfa  Calliope  o  di  Mneraosiue  secondo  al- 
tri) abitarono,  secondo  alcuni,  certe  isolette 
di  fronte  alla  Campania,  donde  allettavano 
col  canto  i  viandanti  e  li  addormentavano, 
poi  li  off'endevano  a  loro  talento;  fino  a  che 
sdegnate  di  non  aver  potuto,  come  canta 
Omero,  vincere  anche  Ulisse  e  i  suoi  com- 
pagni, si  gettarono  in  mare.  —  8.  molce  : 
raddolcisce:  è  frase  virgiliana  «  aether:» 
mulcebat  cantu  » 


12  —  Tas«o,  (Jerumlemvie  liberata. 


178 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Di  gloria  e  di  virtù  fallace  raggio 
La  tenerella  mente  ah  non  v"  iuvoglie! 
Solo  chi  segue  ciò  che  piace  è  saggio, 
Eiusiiastagioudeglianui  il  frutto  coglie. 
Questo  grida  natura.  Or  dunque  voi 
Indurarete  l'alma  a  i  detti  suoi  ? 
63 

Folli,  perché  gettate  il  caro  dono. 
Che  breve  è  si,  di  vostra  età  novella  ? 
Nome,  e  senza  soggetto  idoli  sono 
Ciò  che  pregio  e  valore  il  mondo  appella. 
La  fama  che  invaghisce  a  un  dolce  suono 
Voi  superbi  mortali,  e  par  si  bella,    [bra. 
È  un'eco,  un  sogno,  anzi  del  sognoun  om- 
Ch'ad  ogni  vento  si  dilegua  e  sgombra. 
64 

Goda  il  corpo  securo,  e  in  lieti  oggetti 
L'alma  tranquilla  appaghi  i  sensi  frali  : 
Oblìi  le  noie  andate,  e  non  affretti 
Le  sue  miserie  in  aspettando  i  mali. 
Nulla  curi  se  '1  ciel  tuoni  o  saetti; 
Minacci  egli  a  sua  voglia,  e  infiammi  strali: 
Questo  è  saver,  questa  è  felice  vita: 
Si  r  insegna  natura,  e  si  Taddita. 
65 

Si  canta  l'empia:  e  U  gioveuetto  al  sonno 
Con  note  invoglia  si  soavi  e  scorte. 
Quel  serpe  a  poco  a  poco,  e  si  fa  donno 
Sovra  i  sensi  di  lui  possente  e  forte  : 
Né  i  tuoni  omai  destar,  non  ch'altro,  il  pon- 
Da  quella  queta  imagine  di  morte,      [no 
Esce  d'agguato  allor  la  falsa  maga, 
E  gli  va  sopra,  di  vendetta  vaga. 
66 

Ma  quando  in  lui  fissò  lo  sguardo,  e  vide 


62,  3.  DI  gloria  e:  cosi  pure  Conq.;  ma 
(»s.  Di  gloì'ia  o.  —  5.  Solo:  cfr.  Lucrezio, 
De  rer.  nat.  in  16.  —  8.  Indurarete;  per 
i7uiurerete',  solita  forma  erronea  già  av- 
verUta. 

6j,  3-1.  Vuol  dire:  il  pregio  e  il  valore 
ODOiati  da  gli  uomini  presso  che  come  dèi, 
non  sono  che  false  immagini  a  cui  non  cor- 
risponde una  realtà  (un  soggetto),  perciò 
sono  idoli.  Petrarca,  canz,  Italia  mia  76: 
*  Non  far  idolo  un  nome  Vano  "senza  sog- 
getto ».  —  3.  Xonie.  03.  Nomi.  —  5-S.  Dante. 
Purg.  XI  100:  «  Non  é  il  mondan  romor  al- 
tro che  un  tìato  Di  vento  che  or  vien  quinci 
ed  or  vien  quindi  ». 

64.  Il  Galilei  sentenzia  che  le  st.  62,  63 
t  64,  «sono  assolutamente  buone,  et  ornate 
à'^ìJ'ni  sorta  di  leggiadria  »  ;  trova  solo  da 
ridire  sull'ultimo  verso  (sil'i)iseg-a%)  come 
un  po' pedantesco.  —  7.  felice:  cosi  pure 
CoNQ.;  Os.  facile,  come  pure  aveva  Bon.<, 
ma  poi  nell'err.  corr.  pose  felice. 

65,  2.  scorte:  accorte.  —  3.  donno:  si- 
jrnore.  —  6.  Ovidio,  Amor.,  ii  9.  41:  «quid 
«st  somnus  gelidae  nisi  mortis  \m&'go  ?  » 


Come  placido  in  vista  egli  respira, 
E  ne'  begli  occhi  un  dolce  atto  che  ride, 
Ben  che  siau  chiusi  ''orchefias'ei  ligira?), 
Pria  s'arresta  sospesa,  e  gli  s'asside 
Poscia  vicina,  e  placar  sente  ogn'ira 
Mentre  il  risgnarda;  e  'n  8ulavagafroi>te 
Pende  omai  si,  che  par  Narciso  al  fonte. 
67 

E  quei  ch'ivi  sorgean  vivi  sudori 
Accoglie  lievemente  in  un  suo  velo  ; 
E,  con  un  dolce  ventilar,  gli  ardori 
Gli  va  temprando  de  l'estivo  cielo. 
Cosi  (chi  '1  crederla?)  sopiti  ardori 
D'occhi  nascosi  distempràr  quel  gelo 
Che  s'indurava  al  cor  più  che  diamante  : 
E,  di  nemica,  ella  divenne  amante. 
68 

Di  ligustri,  di  gigli,  e  de  le  rose 
Le  quai  fioriau  i)er  quelle  piaggieamene, 
Con  nov'arte  congiunte,  indi  compose 
Lente  ma  tenacissime  catene.         [pose; 
Queste  al  collo,  a  le  braccia,  a  i  pie  gli 
Cosi  l'avvinse,  e  cosi  preso  il  tiene: 
Quinci,  mentr'egli  dorme,  il  fa  riporre 
Sovra  un  suo  carro;  e  ratta  il  ciel  trascorre. 
69 

Né  già  ritorna  di  Damasco  al  regno, 
Né  dove  ha  il  suo  castello  in  mezzo  a  Ton- 
Ma,  ingelosita  di  si  caro  pegno,  [de; 

E  vergognosa  del  suo  amor  s'asconde 
Ne  l'oceano  immenso,  ove  alcun  legno 
Rado.  0  non  mai,  va  de  le  nostre  sponde, 
Fuor  tutti  i  nostri  lidi;  e  quivi  eletta 
Per  aolinga  sua  stanza  è  un'isoletta: 
70 

Un'isoletta  la  qual  nome  prende 
Con  le  vicine  sue  da  la  Fortuna.  [de 

Quinci  ella  incimaauuamoutagnaascen- 
Disabitata.  e  d'ombre  oscura  e  bruna; 
E  per  incanto  a  lei  nevose  rende 
Le  spalle  e  i  fianchi,  e  senza  neve  alcuna 


68,  3-4.  Cfr.  e.  iii  22,  1-2.  —  8.  Narciso, 
bellissimo  giovane,  figlio  di  Cefiso  fiume  in 
Beozia,  e  di  Leriope  ninfa,  specchiandosi 
un  giorno  al  fonte,  si  invaghi  di  sé  stesso 

I  si  fieramente,  che  si  distrusse  a  poco  a  po- 
!  co,  e  fu  convertito  nel  flore  che  ora  porta 
I  il  suo  nome.  Poliziano  [Stanze  i  79)  •  Nar- 
i  cisso  al  rio  si  specchia  come  suole  » 
i  67,  2.  Accoglie  lievemente:  Os.  Lieve- 
i  inerite  raccoglie. 

6S,  3.  Con  noT'arte:  con  arte  insolita,  per- 
ché magica.  —  4.  Lente:  cedevoli,  elastiche 
quasi,  come  il  «  lentum  vimen  »  virgiliano. 

69,  7.  Fuor  tutti  i  nostri  lidi:  oltre  lo 
stretto  di  Gibilterra.  —  8.  au' isolelta  ecc .: 
una  delle  isole  Fortunate  (le  Canarie).  Cfr. 
la  citaz.  del  Petrarca  fatta  più  sotto  alln 
st.  75. 


CANTO  XIV 


179 


Gli  lascia  il  capo  verdeggiante  e  vago  ; 
E  vi  fonda  un  palagio  appresso  un  lago  ; 

71 
Ove  in  perpetuo  aprii  molle  amorosa 
Vita  seco  ne  mena  il  suo  diletto. 
Or  da  cosi  lontana  e  cosi  ascosa 
Prigion  trar  voi  dovete  il  gioveuetto, 
E  vincer  de  la  timida  e  gelosa 
Le  guardie,  ond' è  difeso  il  monte  e  '1  tetto: 
E  già  non  mancherà  chi  là  vi  scorga, 
E  chi  per  l'alta  impresa  arme  vi  porga. 

72 
Trovarete,  del  fiume  a  pena  sorti, 
Donna  giovin  di  viso,  antica  d'anni, 
Ch'a  i  lunghi  crini  in  su  la  fronte  attorti 
Fia  nota,  ed  al  color  vario  de'  panni. 
Questa  per  l'alto  mar  fia  che  vi  porti 
Più  ratta  che  non  spiega  aquila  i  vanni, 
Più  che  non  vola  il  folgore;  né  guida 
La  trovarete  al  ritornar  men  fida. 

73 
A  pie  del  monte  ove  la  maga  alberga, 
Sibilando  strisciar  novi  pitoni, 
E  cinghiali  arrizzar  l'aspre  lor  terga. 
Ed  aprir  la  gran  bocca  orsi  e  leoni 
Vedrete  ;  ma  scotendo  una  mia  verga, 
Temeranno  appressarsi  ove  ella  suoni  : 


72, 2.  Figura  la  Fortuna  come  il  Petrarca, 
canz.  Tacer  non  posso  48:  «  Di  tempo  an- 
tica, e  giovane  del  viso».  —  3.  Confi*onta 
Boiardo,  nella  descrizione  di  Morgana,  Ori. 
Inn.  part.  ii,  viii  43:  «  Lei  tutti  i  crin  avea 
soprala  fronte....  Poca  treccia  di  dietro 
anzi  niente  ».  —  4.  color  rarlo  de'  panni  : 
rappresenta  l'instabilità. 

73.  Tasso  {Leu.  80)  *  Il  Castello  d'Armida 
è  forza  che  sia  guardato  ;  ma  sarà  guardato 
dai  serpi  solo,  de'  quali  è  gran  copia  in  una 
delle  Fortunate,  che  si  chiama  perciò  La- 
certaria  ».  —  1-3.  Virg.,  Aen.  vii  15:  «  Hinc 
exaudiri  gemitus  iraeque  leonum  Yincla 
recusantum  et  sera  sub  noeta  rudentum, 
Setigerique  sues,  atque  in  praesepibus  ursi 
Saevire  ac  formae  magnorom  ululare  lu- 
porum  ».  —  5.  una  mia  verga  :  Questa  verga 
è  d'oro  come  si  vedrà  ;  ma  prima  il  Tasso 
voleva  che  fosse  di  frassino  come  è  detto 
nella  Lett.  ora  citata;  «La  verga  che  gli 
[i  serpenti]  farà  fuggire  sarà  di  frassino  o 
d'alcun  altro  di  quelli  arbori  che,  se  cre- 
diamo a  coloro  e' hanno  scritto  de'  secreti 
de  la  natura,  impauriscono  e  fanno  fuggire 
i  serpi.  Se  questo  effetto  sia  vero  o  no,  non 
importa;  basta  che  alcuno  lo  scriva  per 
vero  ».  Il  Guastavini  riporta  un  luogo  di 
Plinio  (lib.  XXI,  cap.  13)  ove  parla  della 
virtù  del  frassino  contro  i  serpenti  :  «  Kxperti 
prodimus,  si  fronde  ea  gyro  claudatur  ignis 
et  serpens,  in  ignem  potias  quam  in  fraxi- 


Poi  via  )naggior  (se  dritto  il  ver  s'estima) 
Si  troverà  il  periglio  in  su  la  cima. 
74 

Un  fonte  sorge  in  lei,  che  vaglie  e  monde 
Ha  l'acque  si,  che  i  riguardanti  asseta  : 
Ma  dentro  a  i  freddi  suoi  cristalli  asconde 
Di  tòsco  estran  malvagità  secreta; 
Che  un  picciol  sorso  di  sue  lucide  onde 
Inebria  l'alma  tosto,  e  la  fa  lieta; 
Indi  a  rider  uom  move;  e  tanto  il  riso 
S'avanza  al  fin,  ch'eì  ne  rimane  ucciso. 
75 

Lunge  la  bocca  disdegnosa  e  schiva 
Torcete  voi  da  l'acque  empie  omicide; 
Né  le  vivande  poste  in  verde  riva 
V'allettin  poi,  né  le  donzelle  infide, 
Che  voce  avran  piacevole  e  lasciva, 
E  dolce  aspetto  che  lusinga  e  ride: 
Ma  voi,  gli  sguardi  e  le  parole  accorte 
Sprezzando,  entrate  pur  ne  l'alte  porte. 
,76 

Dentro  è  di  muro  inestricabil  cinto, 
Che  mille  torce  in  sé  confusi  giri  ; 
Ma  in  breve  foglio  io  ve  '1  darò  distinto. 
Si  che  nessuno  error  fia  che  v'aggiri. 
Siede  in  mezzo  un  giardin  del  labirinto, 
Che  par  che  da  ogni  fronde  amore  spiri  : 
Quivi  in  grembo  a  la  verde  erba  novella 
Giacerà  il  cavaliero  e  la  donzella. 
77 

Ma  come  essa  lasciando  il  caro  amante 
In  altra  parte  il  piede  avrà  rivolto, 
Vuo'  ch'a  lui  vi  scopriate,  e  d'adamante 
Un  scudo  ch'io  darò,  gli  alziate  al  vólto, 
Si  ch'egli  vi  3i  specchi,  e  '1  suo  sembiante 


num  fugare  serpentem  »  —  7.  dritto:  drit- 
tamente, giustamente.  —  8.  Si  troverà  :  Os. 
Troverete. 

li,  1.  Un  fonte:  la  fontana  del  riso:  di 
che  parla  anche  il  Petrarca  nella  canz.  Qual 
più  diversa  e  nova,  76:  «  Fuor  tutt'  i  no- 
stri lidi,  Nell'isola  famosa  di  fortuna.  Due 
fonti  ha:  chi  dell'una  Bee  muor  ridendo; 
e  chi  dell'  altra,  scampa  »  ;  il  Tasso  nella 
Le(t.  56  scrive:  «  la  fonte  del  riso,  celebrata 
da  molti  ed  in  i)articolar  dal  Petrarca,  ed 
attribuita  da  la  fama  e  4a  i^eografl  a  l'i- 
sole Fortunate;  ne  la  quale  se  ì  'd'uà  guer- 
rieri avesser  bevuto  sarebber  morti  ».  Il 
geografo  Pomponio  Mala  scrive  (De  situ 
oòis):  «  Unus  singulari  duorum  fontium  in- 
genio maxime  insignis,  alterum  qui  pota- 
vere  risu  solvuntur  in  mortem  ». 

76.  1.  maro:  CoNQ.  e  Os. muri.  —  cinto: 
sostant.  cintura,  avviluppamento. 

77,  4.  Un  sondo  ecc.:  lasciando  a  parte 
l'allegoria,  qui  lo  scudo  fa  l'ufficio  che  l'a- 
nello vincitore  degli  incanti  nell'Ariosto 
{Ori.  VII  -17  e  segg.);  anello  che  da  Me.ii,s.mi 


180 


GERUSALEMME  LIBERATA 


Ve{,'gia,  e  l'abito  molle  onde  fu  involto  : 
Ch'a  tal  vista  potrà  vergogna  e  sdegno 
Scacciar  dal  petto  suo  l'amor  indegno. 

78 
Altro  che  dirvi  ornai  nulla  m'avanza, 
Se  non  ch'assai  secar  ir  ne  potrete, 
E  penetrar  ne  l' intricata  stanza, 
Ne  le  più  interne  parti  e  più  scerete; 
Perché  non  sia  che  magica  possanza 
A  voi  ritardi  il  córso  o  '1  passo  viete; 


é  portato  a  Ruggiero  che  si  trova  nelle 
delizie  dell'isola  d'Alcina,  appunto  come 
qui  Rinaldo  neir  isola  di  Armida. 

78,  3.  ne  l'intricata:  Os.  de  l' intricata. 


Né  potrà  pur,  cotal  virtù  vi  guida, 
Il  giunger  vostro  antiveder  Armida. 

79 
Né  men  secura  da  gli  alberghi  suoi 
L'uscita  vi  sarà  poscia  e  '1  ritorno. 
Ma  giunge  ornai  l'ora  del  sonno,  e  voi 
Sorger  diman  dovete  a  par  co  '1  giorno. 
Cosi  lor  disse,  e  li  menò  da  poi 
Ove  essi  avean  la  notte  a  far  soggiorno. 
Ivi  lasciando  lor  lieti  e  pensosi, 
Si  ritrasse  il  buon  vecchio  a  i  suoi  riposi. 


»  79.  5.  da  poi.  Cosi  legge  la  B3  Dopoi 
leggono  le  B'-5.  Os.  e  altri  seguiti  anche 
d^  Solerti. 


CANTO  xy. 

Mattino  ^  Il  mago  dopo 
aver  consegnato  a  Carlo 
e  ad  Ubaldo  un  libro, 
una  verga  e  uno  scudo, 
li  sollecita  alla  partenza 
■^  La  fortuna  li  accoglie 
nella  sua  barca,  poi  spie- 
ga le  vele  -jAr  Viaggio  dei 
due  messaggeri  sino  alle 
isole  di  Fortuna  -jfr  Giunti 
neir  isola  destinata,  la 
donzella  sbarca  i  due 
guerrieri,  i  quali  pernot- 
tano a  pie  del  monte  in 
cima  del  quale  sta  il  ca- 
stello ove  è  prigioniero 
Rinaldo  tAt  H  mattino 
seguente,  vinti  gli  osta- 
coli e  le  tentazioni,  i  due 
entrano  nel  palazzo  d'Ar- 
mida. 


1 
Già  richiamava  il  bel  nascente  raggio 
A  l'opre  ogni  animai  che  'n  terra  alberga, 
Quando  venendo  a  i  due  guerrieri  il  Saggio 
Portò  il  foglio  e  Io  scudo  e  l'aurea  verga. 
Accingetevi,  disse,  al  gran  viaggio  [ga: 
Prima  che  '1  di,  che  spunta,  omai  più  s'er- 
Eccovi  qui  quanto  ho  promesso,  e  quanto 
Può  de  la  maga  superar  l'incanto. 

2 

Erano  essi  già  sorti,  e  Tarme  iptorno 

A  le  robuste  membra  avean  già  mésse  : 

Onde  per  vie  che  non  rischiara  il  giorno 


1,  4.  il  foglio,  per  regolarsi  nel  labe- 
rinto  (cfr.  e.  xiv  76,  1-4);  —  lo  scudo,  per 
far  rinsavire  Rinaldo  {ivi,  77,  3-8)  ;  —  l'aurea 
yerga,  per  vincere  i  mostri  che  sono  a  guar- 
dia del  castello  d'Armida  {ivi,  73,  1-6). 


Tosto  seguono  il  vecchio;  e  son  ristesse 
Vestigia  ricalcate  or  nel  ritorno, 
Che  furou  prima  nel  venire  impresse: 
Ma  giunti  al  letto  del  suo  fiume:  Amici, 
Io  v'accomiato,  ei  disse;  ite  felici. 
3 
Gli  accoglie  il  rio  nel'alto  seno;  e  l'onda 
Soavemente  in  su  gli  spinge  e  porta. 
Come  suol  inalzar  leggiera  fronda, 


2,  4.  l'ìstesse  ecc.  Virg.,  A.^n.  ix  392: 
«  vestigia  retro  Observata  legil  *. 

3.  Questo  viaggio  del  cavalier  danese 
alle  isole  Fortunate  si  confronti  nell'Ario- 
sto (Oì'l.  XV  16  e  segg.)  con  quello  di  Astolfo 
che  istruito  da  Logistilla  lascia  l'isola  di 
Alcina  e  veleggia  accompagnato  da  Andro- 
nica  e  da  Sofrosina  attraverso  il  mare  in- 
diano.  —   3.   suol:   ha   per  sogg.  onda.  — 


182 


GERUSALEMME  LIBERATA 


La  qual  da  violenza  in  giù  fu  tórta; 
E  poi  gli  espon  sovra  la  molle  sponda. 
Quinci  mirar  la  già  promessa  scorta; 
Vider  picciola  nave,  e.  in  poppa,  quella 
Che  guidar  li  dovea  fatai  donzella. 

4 
Crinita  fronte  essa  dimostra,  e  ciglia 
Cortesi  e  favorevoli  e  tranquille:  _ 
E  nel  sembiante  a  gli  angioli  somiglia; 
Tanta  luce  ivi  par  ch'arda  e  sfaville. 
La  sua  gonna  or  azzurra  ed  or  vermiglia 
Diresti,  e  si  colora  in  guise  mille; 
Si  ch'uom  sempre  diversa  a  sé  la  vede 
Quantunque  volte  a  riguardarla  riede. 

5 
Cosi  piuma  talor,  che  di  gentile 
Amorosa  colomba  il  collo  cinge, 
Mai  non  si  scorge  a  sé  stessa  simile, 
Ma  in  diversi  colori  al  sol  si  tinge: 
Or  d'accesi  rubin  sembra  nn  monile. 
Or  di  verdi  smeraldi  il  lume  finge, 
Or  insieme  gli  mesce,  e  varia  e  vaga 
In  cento  modi  i  riguardanti  appaga. 

6 
Entrate,  dice,  o  fortunati,  in  questa 
Nave,  ond'io  l'oceàn  secura  varco, 
Cui  destro  è  ciascun  vento,  ogni  tempesta 
Tranquilla,  e  lieve  ogni  gravoso  incarco. 
Per  ministrae  per  duce  or  me  vi  appresta 
11  mio  signor,  del  favor  suo  non  parco. 
Cosi  parlò  la  donna;  e  più  vicino 
Fece  poscia  a  la  sponda  il  curvo  pino. 


4.  In  giù  fu  torta:  fu  volta  sott'acqua.—  8. 
fatai  donzella:  è  la  Fortuna,  che,  come  in 
Dante  (Inf.  vii  61-96),  è  ministra  della  Prov- 
videnza: chiamata  qui  fatale  perché  per 
l'appunto  destinata  da  Dio  a  condurre  i 
guerrieri. 

4,  1.  Crinita  fronte:  cfr.  e.  xiv  72,  3,  e 
in  n>ta.  —  *  essa  li-ggono  le  tre  B;  Os.  ella: 
meno  bene  per  la  troppo  vicina  successione 
dei  tre  suoni  in  ella.  —  2.  Cortesi  ecc.:  il 
poeta  dipinge  la  Fortuna  prospera.  —  5,  or 
azzurra  ecc.:  va  particolareggiando  i  panni 
della  Fortuna,  che  già  disse  di  color  vario 
(cfr.  e.  XI  72,  4).  —  8.  Quantunque  volte: 
quante  volte. 

6,  1-8.  Lucrezio,  De  rer.  nat.  u  801: 
«  Piuma  columbarura  quo  pacto  in  sole  vi- 
detur,  Quae  sita  cervices  circum  coUumque 
coronat:  Namque  alias  fit  uti  claro  sit  ru- 
bra pyropo,  Interdum  quodam  sensu  fit  uti 
videatur,  Inter  caeruleuni  virides  miscere 
smaragdos  ».  —  6.  finge:  compone,  forma. 
Intendi:  ora  la  piuma  presenta  una  luce 
verde,  si  come  un  brillare  di  smeraldi. 

6,  3.  destro:  favorevole,  propizio.  —  8.  il 
curro  pino:  la  nave. 


Come  la  nobil  coppia  ha  in  sé  raccolta, 
Spinge  la  ripa,  e  gli  rallenta  il  morso; 
Ed  avendo  la  vela  a  l'aure  sciolta, 
Ella  siede  al  governo,  e  regge  il  córso. 
Gonfio  è  il  torrente  si,  ch'a  questa  volta 
I  navigli  portar  beri  può  su  '1  dorso; 
Ma  questo  è  si  leggier,  che  '1  sosterrebbe 
Qual  altro  rio  per  novo  umor  men  crebbe. 
8 

Veloce  sovra  il  naturai  costume 
Spingon  la  vela  in  verso  il  lido  i  venti: 
Biaucheggian  l'acque  di  canute  spume, 
E  rotte  dietro  mormorar  le  senti. 
Ecco  giungono  omai  là  dove  il  fiume 
Queta  in  letto  maggior  l'onde  correnti, 
E  ne  l'ampie  voragini  del  mare 
Disperso,  o  divien  nulla,  o  nulla  appare. 


7,  1.  in  8é;  Os.  in  lui  —  Intendi:  Come 
essa,  la  Fortuna,  ha  raccolto  in  sé,  cioè 
nella  sua  barca,  la  nobile  coppia,  spinge  la 
ripa,  ossia  si  scosta  dalla  ripa  puntando  il 
remo  contro  terra,  e  rallenta  al  curvo  pino 
il  morso,  cioè  leva  l'ancora.  —  4.  gorerno: 
nel  senso  del  lat.  gubernum,  timone,  si 
trova  nel  Petrarca  (p.  es.  son.  Passa  la 
nave  »>i(a  3:  «  et  al  governo  [della  nave] 
Siede  '1  signor,  anzi  il  nemico  mio  »);  è  an- 
córa nel  cinquecento,  in  poesia  nell'Ario- 
sto, e  in  prosa  nel  Bembo,  Asolani.  —  *  5. 
Gonfio  è  li  torr.  li.  Cosi  le  tre  B.  Gonfio 
il  torr.  è  si  Os.  —  7.  Ha  questo:  cioè  na- 
viglio. 

8.  Nella  prima  stesura  di  questo  canto  il 
Tasso  aveva  fatto  si  che  la  nave  corresse 
per  virtù  della  chioma  della  donna,  sparsa 
ai  venti;  avendo,  _credo,  davanti,  la  navi- 
cella del  Purgatorio  (e.  ii  in  principio)  dan- 
tesco corrente  per  forza  dell'ali  dell'angelo 
nocchiero.  E  di  questa  chioma  e  del  viag- 
gio marittimo  dei  due  guerrieri  cosi  parla 
(Lett.  54):  «  Io  n'ho  rimosso  il  maraviglioso 
de  la  chioma,  seguendo  in  ciò  più  tosto 
l'altrui  giudizio,  e' un  certo  mio  compiaci- 
mento: e  quel  che  prima  era  da  me  attri- 
buito a  la  chioma,  ora  è  attribuito  ad  una 
vela  ordinaria.  Comincio  la  navigazione  da 
Ascalona, luogo  vicinissimo  a  Gerusalemme; 
e  la  nave  maravigliosa  viene  a  passar  per 
Gaza,  si  che  piiò  veder  alcuni  de  gli  appa- 
recchi del  re  d'Egitto:  e  quivi  i  due  cava- 
lieri intendono  da  la  donna,  che  l'esercito 
regio  non  è  ancor  tutto  ragunato.  Nel  Mor- 
gante.  Rinaldo,  portato  per  incanto,  va  in 
un  giorno'  da  Egitto  in  Roncisvalle,  a  ca- 
vallo ecc.  ».  —  1.  Teloce:  velocemente.  — 
BOTra  ecc.:  oltre  al  potere  delle  navi  umane. 
—  3.  Virg.,  Aen.  v  141:  «  adductis  spumant 
freta  versa  lacertis  »    —  canute:  bianche. 


CANTO  XV 


183 


A  pena  ha  tocco  la  mlrabil  nave 
De  la  marina  allor  turbata  il  lembo, 
Che  spariscon  le  nubi  e  cessa  il  grave 
Noto,  che  minacciava  oscuro  nembo: 
Spiana  i  monti  de  l'onde  aura  soave, 
E  solo  increspa  il  bel  ceruleo  grembo  : 
E  d'un  dolce  seren  diffuso  ride 
Il  ciel,  che  sé  più  chiaro  unqua  non  vide. 
10 

Trascorse  oltre  Ascalona,  ed  a  mancina 
Andò  la  navicella  in  vèr'  ponente; 
E  tosto  a  Gaza  si  trovò  vicina, 
Che  fu  porto  di  Gaza  anticamente: 
Ma  poi,  crescendo  de  l'altrui  ruina, 
Città  divenne  assai  grande  e  possente; 
Ed  eranvi  le  piaggi  e  allor  ripiene 
Quasi  d'uomini  si  come  d'arene. 
11 

Volgendo  il  guardo  a  terra  i  naviganti 
Scorgean  di  tende  numero  infinito; 
Miravan  cavalier,  miravan  fanti 
Ire  e  tornar  da  la  cittade  al  lito; 
E  da  cammelli  onusti  e  da  elefanti 
L'arenoso  sentier  calpesto  e  trito: 
Poi  del  porto  vedean  ne'  fondi  cavi 
Sòrte  e  legate  a  l'ancore  le  navi: 
12 

Altre  spiegar  le  vele,  e  ne  vedièno 
Altre  i  remi  trattar  veloci  e  snelle; 
E  da  essi  e  da'  rostri  il  molle  seno 


9,  1-6.  Virg.,  Aen.  v  819:  «  Caeruleo  per 
sunama  levis  volat  aequora  curru:  Subsi- 
dunt  undae,  tumidumque  sub  axe  tonanti 
Sternitur  aequor  aquis,  fugiunt  vasto  aethere 
nimbi  ».  —  7.  Lucrezio,  De  rer.  nat.  i  8:  a 
■\^enere:  «  tibi  rident  aequora  Ponti?  Paca- 
tumque  nitet  diffuso  lumine  caelura  »•. 

10,  *  1.  Trascorso  Os.  ;  Trascorre  C.  —  A- 
Rcalona:  città  di  Palestina  sulle  sponde  del 
Mediterraneo,  Per  tutto  questo  viaggio  è 
da  vedersi  la  Geografia  di^trabone,  la  qua- 
le il  Tasso  ebbe  sott' occhTo.  —  3-6.  Gaza: 
prima  era  dentro  terra  e  dava  il  suo  nomo 
al  porto  da  cui  ella  distava  circa  un  mi- 
glio: disfatta  da  Alessandro,  fu  riedificata 
in  riva  al  mare.  Il  Galilei  giudica  questa 
e  le  due  seguenti  stanze  bellissime. 

11,  2.  di  tende  ecc.:  Allude  agli  appa- 
recchi del  re  d'Egitto,  come  dice  nella 
Leu.  riportata  in  nota  alla  st.  8.  —  8.  Sorte: 
Benché  le  2  st.  Bon.  abbiano  Sarte.,  ho  cre- 
duto dover  correggere  secondo  ha  Os.  e 
l'altra  st.  del  Bon.  uscita  in  Ferrara  nel 
1585.  Sórte  vale  ferirne:  il  Buti  nel  Oom,- 
mento  a  Dante,  Inf.  xxvi  43:  *  Io  stava  so- 
pra il  ponte  a  veder  surio  »,  spiega:  «  Surto, 
cioè  fermo;  come  si  dice  surta  l'ancora 
quando  è  legata  «•. 

12,  1.  Tediòno:  vedevano. 


Spumar  percosso  in  queste  partie  in  quel- 
Disse  la  donna  allor:  Ben  che  ripieno  [le. 
Il  lido  e  '1  mar  sia  de  le  genti  felle, 
Non  ha  insieme  però  le  schiere  tutte 
11  potente  tiranno  nnco  ridutte. 
13 

Sol  dal  regno  d'Egitto  e  dal  contorno 
Raccolte  ha  queste;  orlelontaneattende: 
Che  verso  l'oriente  e  '1  mezzogiorno 
Il  vasto  imperio  suo  molto  si  stende. 
Si  che  sper'io  che  prima  assai  ritorno 
Fatto  avrem  noi,  che  mova  egli  le  tende: 
Egli  0  quel  ch'in  sua  vece  esser  soprano 
De  l'esercito  suo  de'  capitano. 
14 

Mentre  ciò  dice,  come  aquila  suole 
Tra  gli  altri  augelli  trapassar  secura, 
E  sorvolando  ir  tanto  a  presso  il  sole, 
Che  nulla  vista  più  la  raffigura; 
Cosi  la  nave  sua  sembra  che  vole 
Tra  legno  e  legno,  e  non  ha  téma  o  cura 
Che  vi  sia  chi  l'arresti  o  chi  la  segua: 
E  da  lor  s'allontana  e  si  dilegua. 
15 

E'n  un  momento  in  centra  Raffia  arriva. 
Città  la  qual  in  Siria  appnr  primiera 
A  chi  d'Egitto  move  :  indi  a  la  riva 
Sterilissima  vieu  di  Rinocera. 
Non  lunge  un  monte  poi  le  si  scopriva 
Che  sporge  sovra  '1  mar  la  chioma  altera, 
E  i  pie  si  lava  ne  l'instabil  onde, 
Che  l'ossa  di  Pompeo  nel  grembo  asconde. 
16 

Poi  Damiata  scopre,  e  come  porte 
Al  mar  tributo  di  celesti  umori 
Per  sette  il  Nilo  sue  famose  porte 
E  per  cento  altre  ancor  foci  minori: 


14,  4.  nulla:  nessuna;  come  in  altri  luo- 
ghi già  visti.  —  la  raffigura:  la  distingue 
per  UE  aquila. 

15,  1-3.  Raffia:  città  e  fortezza  della  Si- 
ria (in  quanto  comprende  ancora  la  Pale- 
stina), sui  confini  dell'Egitto:   oggi  Refah. 

—  4.  Rìnocer.'i:  Guastavini:  «Dopo  Gaza  e 
Raffia,  mette  Strabene  Riconolura. ..  oggidì 
è  quella  detta  Faramida  »:  oggi  El-Arisch. 

—  5-S.  Guastavini:  «Intende  del  monte  Ca- 
sio, il  quale,  come  dice  Strabene,  si  stende 
oltre  in  mare,  ed  in  cui  furono  poste  le  ce- 
neri del  Gran  Pompeo  ucciso  a  tradimento 
dagli  Egiziani  dopo  che  vinto,  in  Farsaglia, 
s'era  rifuggito  colà  ecc.  ». 

16, 1 .  Damiata  ;  antica  celebre  città  d'Egit- 
to, sopra  una  delle  bocche  orientali  del 
Nilo:  oggi  Damietta.  —  poi-te:  porti,  verbo. 

—  2.  celesti:  cioè  vitali,  accomodatissimi 
alla  produzione  e  generazione,  spiega  il 
Guastavini:  ma  credo  li  dica  celesti  perché 
discesi  dal  cielo,  in  conformità  all'epiteto 


184 


GERUSALEMME  LIBERATA 


E  navica  oltre  la  città,  dal  forte 
Greco  fondata  a  i  greci  abitatori  ; 
Ed  oltra  Faro,  isola  già  che  liinge 
Giacque  dal  lido,  al  lido  or  si  congiunge. 
17 

Rodi  e  Creta  lontane  in  verso  al  polo 
Non  scerne,  e  pur  lungo  Africa  se'n  viene. 
Su  '1  mar  eulta  e  ferace,  a  dentro  solo 
Fertil  di  mostri  e  d'infeconde  arene. 
La  Marmarica  rade,  e  rade  il  suolo 
Dove  cinque  cittadi  ebbe  Cirene. 
Qui  Tolomita,  e  poi  con  Tonde  chete 
Sorger  si  mira  il  fabuloso  Lete. 
18 

La  maggior  Sirte  a'  naviganti  infesta, 


di  celeste  che  altrove  (e.  xvii  14)  dà  al  Nilo. 
—  5-6.  Intende  di  Alessandria  fondata  da 
Alessandro  Mag-no.  —  7-8.  Faro:  non  più 
isola,  ma  isola  in  antico  avanti  all' imboc- 
catura del  Nilo;  come  si  rileva  da  Omero 
{Odis.  IV),  che  finge  vi  andasse  Menelao 
(traduz.  del  Giiastavini):  «  È  poi  una  certa 
ìsola  del  molto  tempestoso  mare  -  Innanzi 
all'Egitto,  Faro  quella  addimandano,  - 
Tanto  discosta,  quanto  in  tutto  il  giorno 
una  concava  nave  -  Fornisce,  alla  quale  lo 
stridente  vento  spira  di  dietro  ».  E  Lucano, 
Phars  x509:  «  Tura  claustrum  pelagi  cepit 
Pharum.  Insula  quondam  In  medio  stetit 
illa  mari,  sub  tempore  vatis  F'roteos,  ac 
nunc  Pellaeis  proxima  muris  ». 

17,  I.  Rodi  e  Creta  (ora  Candia)  isole  del 
Mediterraneo.  —  in  Torso  il  polo:  più  a  tra- 
montana. —  2.  lungo  Africa  se  'n  Tiene:  co- 
steggia l'Africa.  —  5.  Guastavini:  •  La  Mar- 
marica è  detta  Bona  oggidì,  e  confina  ad 
occidente,  come  dice  Tolomeo,  con  la  re- 
gione Cirenaica  •  :  corrisponde  all'antico 
deserto  di  Barkah.  —  3—4.  Guastavini:  «  Di 
ciò  favella  Strabene...;  e  Pomponio  Mela 
(De  situ  Oì'Ms):  -  Pleraque  eius  inculta,  et 
aut  arenis  sterilibus  obducta,  aut  ob  situm 
caeli  terraruraque  deserta  suut.  aut  infe- 
stantur  multo  ac  malefico  genere  anima- 
lium  ».  —  6.  Cirene:  o  Cirenaica,  fu  anche 
detta  Pentapoli  perché  comprendeva  le 
cinque  città  Cirene,  Apollonia,  Tolemaide, 
Arsinoe,  e  Berenice,  oggi  presso  che  di- 
strutte. —  7.  ToloniiU,  oggi  Tolometa  (Ptho- 
lèmais),  nel  paese  di  Tripoli.  —  8  fabaloso 
Lete:  Guastavini:  «  Fabulosus  Hydaspes, 
disse  Orazio,  cioè  del  quale  .son  finte  e  con- 
tate molte  favole.  A  Leto  da  si  fatto  ag- 
giunto il  Poeta  nostro  per  gli  orti  delle 
Esperidi,  che  furono  finti  in  questo  luogo  ». 
L'Ariosto  disse  (Ori.  Pur.  x  92,  1)  Ibernia 
fabulosa  alludendo  forse  alle  favole  che 
raccontavano  coloro  che  uscivano  dal  pozzo 
di  S.  Patrizio. 

IS    1.  Sirte:  sirti  chiamarono  gli  antichi 


Trattasi  in  alto,  in  vèr'  le  piaggio  lassa; 
Il  capo  di  Giudecca  in  dietro  resta; 
E  la  foce  di  Magra  indi  trapassa.       [sta 
Tripoli  appar  su  "1  lido:  e  'n  centra  a  que- 
Giace  Malta,  fra  l'onde  occulta  e  bassa; 
E  poi  riraan  con  l'altre  Sirti  a  tergo 
Alzerbe,  già  de'  Lotofagi  albergo. 
19 

Nel  curvo  lido  poi  Tunisi  vede. 
Che  d'ambo  i  lati  del  suo  golfo  ha  un  mon- 
Tunisi,  ricca  ed  onorata  sede  [te; 

A  par  di  quante  n'ha  Libia  più  conte. 
A  lui  di  costa  la  Sicilia  siede, 
Ed  il  gran  Lilibeo  gli  inalza  a  fronte. 
Or  quinci  addita  la  donzella  a  i  due 
Guerrieri  il  loco  ove  Cartagin  fue. 
20 

Giace  l'alta  Cartago;  a  pena  i  segni 
De  l'alte  sue  mine  il  lido  serba. 
Muoiono  le  città,  muoiono  i  regni; 
Copre  i  fasti  e  le  pompe  arena  ed  erba; 
E  Tuoni  d'esser  mortai  par  che  si  sdegni  : 
Oh  nostra  mente  cupida  e  superba! 


banchi   di   sabbia   mobili   sulle   coste   del- 
l'Africa settentrionale.  Chiamarono  poi  Sirte 
maggiore  quel  tratto   di  mare   che  oggi  è 
golfo  di  Sidra  (dal  capo  Borion  al  Cefale), 
minore  l'altro  golfo  più  all'ovest,  che  oggi 
:  è  di  Cades,  il  quale  termina  al  promonto- 
j  rio  di  Amnion.  —  2.  lassa:  lascia.  —  3.  capo 
di  Giudecca:  allude  al  capo  che  gli  antichi 
I  chiamavano  di  Cephalas  (Cefale).  —  4.  Ma- 
[  gra,  fiume  della  Barberia  nel  regno  di  Tri- 
]  poli.  —  5.  Tripoli:  città  d'Africa,  posta  sulle 
!  coste  di   Barberia.    —  6.    Malta:    isola   fra 
r.Xfrica  e  la   Sicilia.   Tolomeo    la  pone  fra 
le  isole  dell'Africa.  —  7    altre  Sirti:  cfr.  la 
nota  al  verso  1.   —  8.  Alzerbe:    isola    rim- 
petlo  al  capo  Zerbi,   detta  oggi   Meninx,  e 
ancora  Djerba  o  Gerba:   pone  il  Tasso  che 
rimane  a  dietro  alla  nave  veloce,  insieme 
colle  altre  Sirti,  appunto  perché  è  nel  golfo 
della  piccola  Sirte.  In  quest'isola  abitarono 
i  Lotofagi,  cosi  detti  perché  si  cibavano  dei 
frutti  dell'albero  Loto,  frutti  che  avevano 
la  proprietà  di  far  dimenticare,   agli  stra- 
nieri che  ne  mangiassero,  la  dolce  patria. 
Cfr.  Omero,  Odiss.  ix. 

19,  1.  Nel;  Os.  In.  —  2.  Che  d'ambo...  ha 
nn;  Os.  (Tha  d'ambo...  un.  —  5.  di  costa: 
dallato:  Dante,  Purg.  xxxii,  152:  «Vidi  di 
costa  a  lei  ritto  un  gigante»;  e  ve  n'ha 
esempi  anche  in  prosa.  —  *  7.  Or  quinci, 
Os.  Or  quivi  le  tre  B.  —  8.  Nei  dintorni  di 
Tunisi  si  veggono  le  rovine  di  Cartagine. 

20,  1-6.  Sannazzaro,  De  partu  Virginis, 
II  «  ...  devictae  Carthaginis  arces  Procu- 
buere:  iacentque  infausto  in  litore  turres 
Eversae.  Quautiira  illa  nietus,  quantum  illa 
laborum  Urbs,  dedit,  insultans  Latio  et  Lau* 


CANTO  XV 


186 


Giungon  quinci  a  Biserta,  e  più  lontano 
Han  l'isola  de'  iSardi  a  l'altra  mano. 
21 

Trascorser  poi  le  piaggio  ove  i  Numidi 
Menar  già  vita  pastorale  erranti. 
Trovar  Bugia  ed  Algeri,  infami  nidi 
Di  corsari;  ed  Orati  trovar  più  inanti: 
E  costeggiar  di  Tingitana  i  lidi, 
Nutrice  di  leoni  e  d'elefanti,  fsa; 

Ch'or  di  Marocco  è  il  regno, e  quel  di  Fes- 
E  varcar  la  Granata  in  contro  ad  essa. 
22 

Son  già  là  dove  il  mar  fra  terra  inonda 
Per  via  ch'esser  d'Alcide  opra  si  finse; 
E  forse  è  ver  ch'una  continua  sponda 
Fòsse  ch'alta  ruina  in  due  distinse. 


rentibus  arvis!  Nunc  passim,  vix  reliquias, 
vix  nomina  servans,  Obruitur  propriis  non 
agnoscenda  ruiuis.  Et  querimur  genus  in- 
felix  humana  labare  Membra  aevo,  cum 
regna  palam  raoriantur  et  urbes  ».  —  Dante, 
P